NINE INCH NAILS - 

THE DOWNWARD SPIRAL

 

ANNO : 1994 

DURATA:65m

VOTO: • • • • •

 

 

Certo è un po' difficile recensire un disco che per la sottoscritta è semplicemente un capolavoro assoluto della musica internazionale di tutti i tempi….comunque mi cimenterò nell'impresa, se non altro per incuriosire chi (e sono molti) non ha mai sentito parlare di un gruppettino americano chiamato Nine Inch Nails (e che consiste in realtà in un'unica persona, , il poeta nichilista di questo secolo, Trent Reznor). 

La spirale verso il basso si apre con una presentazione niente male; a parlare è Mister Autodistruzione, per chi ancora non l'avesse dedotto dagli inequivocabili rumori iniziali di autoflagellazione. La canzone ci fa entrare in medias res, con quella voce graffiante e metallica ed il suo ritmo martellante, che si interrompe in un rallentamento inatteso per poi ricominciare in un climax di chitarre distorte.

"Piggy" spiazza l'ascoltatore per il suo andamento quasi funky che nel finale si trasforma in una litania ossessiva scandita dal ritornello "Nothing can stop me now".

Col suo inizio quasi alla Queen arriva "Heresy", la canzone simbolo dell'ateismo contemporaneo ("God is dead and no-one cares", non si può dire che il messaggio rimanga tra le righe); il riff di chitarra è molto bello, per chi non l'avesse capito, questo è rock, ragazzi!
Un ritmo sincopato, a rappresentare proprio l'andamento di una marcia, annuncia l'inizio di "March of the pigs". Reznor comincia a dare l'idea di cosa può fare la sua voce. Nel finale si rimane tutti un po' inebetiti: come fa una canzone di questo genere a cambiare completamente, rallentare e diventare ancora una volta funky?

"Closer" è una canzone d'amore come lo intende Reznor: sesso, bestialità e completa mancanza di morale (ma per vederne di peggiori basta leggere le parole di "Last" dall'album precedente "Broken"). Il ritmo è irresistibile; specie nel finale è impossibile non mettersi a ballare. La parte conclusiva richiama uno dei brani successivi dell'album, "The downward spiral".
Arriva "Ruiner" e la folla si SCATENA!!! Sicuramente una delle canzoni più belle dell'album; le tastiere avanzano in un ritmo maestoso che in seguito lascia il campo ad un assolo di chitarra decisamente blues, per ricominciare poi a scandire ossessivamente il tempo e a far riavanzare le tastiere nel loro incedere solenne.

"The becoming" è una delle canzoni più strane dell'album, se non altro per gli effetti in sottofondo di urla e stridori vari. Mr. Autodistruzione per non soffrire più si sta trasformando in una macchina priva di sentimenti che però non può fare a meno di andare in cortocircuito: dopo una piccola parentesi di pace infatti il ritmo diventa ossessivo come non mai e le urla di Reznor esprimono un'angoscia quasi schizofrenica ("Goddam this noise inside my head", maledizione questo rumore nella mia testa).
Ed ossessiva è anche la cadenza che caratterizza tutta "I do not want this", dall'inizio pacato sino al finale impazzito dominato dalla voce prima metallica e poi urlata di Reznor.

"Big man with a gun" è una sorta di piccolo intermezzo: diciamo la verità, non è una gran canzone, ma racconta il delirio del potere e sta benissimo all'interno dell'economia dell'album.
E dopo la confusione infernale di "Big man with a gun" l'oasi di pace di "A warm place". Reznor ha un talento particolare nel realizzare canzoni strumentali, come questa, bellissime e struggenti. Da NON ascoltare quando si è particolarmente depressi, anche se in fondo trovare "un posto caldo" forse è quello che di cui si ha bisogno in questi casi.
"Eraser" è invece una canzone abbastanza inquietante. Anche questa potrebbe essere sottotitolata "L'amore secondo Reznor": un lento climax strumentale introduce e poi accompagna con un fantastico riff di chitarra la voce di Reznor che urla come ogni storia d'amore sia un progressivo uccidersi a vicenda (che allegria, ragazzi!).

Ed ecco una nuova canzone "disturbante", ma di certo un'altra delle più riuscite dell'album: "Reptile". I rumori di fondo sembrano riprodurre l'andamento strisciante ed alieno di un rettile, a cui fa riferimento anche il ritmo cadenzato della voce di Reznor, e quando finalmente, nel chorus e soprattutto nella strofa successiva, giunge la chitarra, assurge subito al ruolo di protagonista.
Ed eccoci al brano che dà il nome all'album, "The downward spiral". Una perfetta rappresentazione acustica dell'inferno dantesco. L'inizio sembra alludere ad una canzone abbastanza melodica, ma viene subito stravolto dall'irruzione dell'urlo di Trent Reznor, che farà da accompagnamento per tutta la durata del pezzo. L'andamento del brano sembra precipitare verso il basso, proprio come suggerisce il titolo, ed il basso in questo caso è rappresentato dal suicidio. Il "grande uomo con la pistola" finisce per puntarla contro se stesso.

E quando appunto tutto sembra finito, Reznor ci spiazza con l'unica vera canzone d'amore di tutto l'album. "Hurt" è dolce, è sommessa, è, a suo modo, romantica, è tutto ciò che le restanti canzoni dell'album non sono. È la poetica dell'abbandono ("everyone I Know goes away in the end"), che genera in chi rimane solo la volontà di vendicarsi ("I will let you down, I will make you hurt") e che lo lascia a chiedersi cosa sarebbe successo se avesse potuto rifar tutto da capo, come scandiscono le ultime parole accompagnate dal suono improvviso quanto imponente della chitarra.

Nel suo complesso, "The downward spiral" è un album eccezionalmente compatto, in cui ogni canzone svolge un ruolo fondamentale. Certo non è facile coniugare due generi così diversi come l'industrial e il rock, ma Trent Reznor è perfettamente riuscito nell'impresa. Un album da ascoltare e riascoltare (preferibilmente a volume alto), che può essere utile a chi crede che sia impossibile trovare nel panorama della musica mondiale qualcosa di veramente originale.

 

 

1) Mr. Self destruct
2) Piggy
3) Heresy
4) March of the pigs
5) Closer
6) Ruiner
7) The becoming
8) I do not want this
9) Big man with a gun
10) A warm place
11) Eraser
12) Reptile
13) The downward spiral
14) Hurt
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