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Il "piccolibicilindrici"-pensieroippopotamo

perché piccoli? perché bicilindrici?

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Preambolo

Correva l'aprile 1999, e aveva improvvisamente termine quella fase della nostra carriera motociclistica in cui abbiamo posseduto una grossa cavalleria a disposizione: rientravano infatti al concessionario i 151 cv di un Kawasaki ZZR 1100 viola e arancione -una moto robusta, comoda e divertente; talvolta pesante, ma ottimale per il nostro uso. Rientravano al concessionario dati in permuta per un piccolo, economico, modesto bicilindrico verde metallizzato. Era questa, in realtà, una scelta di ripiego: avevamo ordinato - già 4 mesi prima - un Suzuki SV 650, bella moto semi-sportiva allora appena uscita, che da subito ha avuto grande e meritato successo. A causa dei lunghissimi tempi d'attesa ci si prospettava di doverla attendere per ulteriori sei mesi; un po' a malincuore optammo dunque per ripiegare su un modello più "rudimentale": un Kawasaki ER-5.

Cinque anni prima avevamo già avuto un bicilindrico da mezzo litro, un Suzuki GS500, moto piuttosto modesta (motore un po' fiacco, telaio debole) per l'uso che eravamo - e siamo - soliti fare. Pareva, insomma, che stessimo per darci, come si dice, la zappa sui piedi - almeno sulla carta. Nella pratica invece è iniziato il periodo di massimo godimento motociclistico della nostra più che decennale esperienza. 

foto del nostro Kawa Er-5

Noi e la moto

Ammettiamolo pure: non abbiamo mai avuto velleità sportive.

Abbiamo amici che amano "correre" in moto: e garantiamo che il vedere, il trovarsi davanti, diciamo pure l'"ammirare" uno che corre veramente è un buon modo per capire quanto lenti si sia. Oh, tanto per intenderci: i limiti di velocità ci stanno comunque (quasi) sempre stretti, le andature allegre sono sempre le benvenute, il buttarsi in piega "un po' di più" di quanto verrebbe naturale è sempre il momento più inebriante in moto; ma tutto ciò, e spontaneamente, nei limiti della sicurezza e del buonsenso. Qualunque strada si stia percorrendo, oltre una certa andatura sorge nel pilota un fastidioso terrore di schiantarsi da qualche parte che "suggerisce" di non andare oltre, qualcosa che si potrebbe sensatamente chiamare senso della sopravvivenza. Soprattutto se si è sempre in due, sulla sella.

qualcosa su di noi

Ora, si dice che uno dei piaceri della moto sia anche il fatto di poter raggiungere luoghi non sempre accessibili con altri mezzi di trasporto, e nel poterlo fare in maniera comunque più "gradevole" che con qualsiasi altro mezzo. Come cerca di sintetizzare - giustamente - Robert Pirsig ("Lo Zen e l'Arte della Manutenzione della Motocicletta" - ed Adelphi):

"Se fai le vacanze in motocicletta le cose assumono un aspetto completamente diverso. In macchina sei sempre in un abitacolo; ci sei abituato e non ti rendi conto che tutto quello che vedi da quel finestrino non è che una dose supplementare di TV. Sei un osservatore passivo e il paesaggio ti scorre accanto noiosissimo dentro una cornice.

In moto la cornice non c'è più. Hai un contatto completo con ogni cosa. Non sei più uno spettatore, sei nella scena, e la sensazione di presenza è travolgente. E' incredibile quel cemento che sibila a dieci centimetri dal tuo piede, lo stesso su cui cammini, ed è proprio lì, così sfuocato eppure così vicino che col piede puoi toccarlo quando vuoi - un'esperienza che non si allontana mai dalla coscienza immediata."

E' questo che del resto tiene normalmente lontani i motociclisti dalle autostrade, perlomeno nei casi in cui non sia necessario coprire per qualche motivo grandi distanze in tempi brevi. In moto il viaggio non è più, come avviene solitamente in macchina, il raggiungimento di una determinata meta attraverso un obbligatorio trasferimento; un trasferimento che avviene quanto più velocemente possibile, dal momento che non è in genere cosa gradita. In moto, il viaggio consiste proprio nel trasferimento da quel luogo ad un altro, e spesso è quasi indifferente quali siano questi luoghi. A volte non ci sono nemmeno.

Il fatto di voler o di poter raggiungere un luogo lascia in ogni caso supporre che la moto sia un mezzo, lo strumento, e non il fine stesso. Su questo non ci dovrebbe piovere: non a caso è detto "mezzo" di trasporto.

Se il luogo-meta può esserci o meno, il fine diventa invariabilmente il trasferimento-viaggio, e la moto è il mezzo con cui raggiungerlo. Al contrario, tanto per fare un confronto esemplificativo comprensibile, si può pensare che coloro che amano la moto sportiva come oggetto con cui correre (in pista o sulle strade più "adatte") facciano qualcosa di inevitabilmente diverso da quanto sopra; la moto non è più in tal caso vissuta soltanto come un mezzo, ma diventa essa stessa una passione, è lei il "fine" stesso. Questo non significa che la moto non sia più uno "strumento" (anzi: è lo strumento con cui correre); ma al di là delle emozioni effimere ed istantanee non c'è "trasferimento", o viaggio, o altra cosa che si possa considerare "fine". Non c'è un "equivalente" del viaggio, insomma. Inoltre, spesso l'uso vero e proprio di questo genere di moto non si limita a quando la moto è "in movimento": la manutenzione, l'elaborazione, la ricerca di componenti speciali, le discussioni con altri che condividano tale passione fanno parte, diciamo così, dell'"uso" della moto. Fine e mezzo allo stesso tempo, fusi assieme.

Poi c'è viaggio e viaggio. Noi, pur non amando particolarmente le velocità esasperate, non facevamo in ogni caso cose molto diverse da chi corre in pista. Sì, d'accordo: facevamo viaggi lunghi e a medio-largo raggio; ma il tutto si riduceva alla fine a girare quanto più possibile in moto per tutto il giorno, senza sosta: km su km, strade su strade, per il puro piacere di guidare, credendo forse così di vedere "più" cose, "più" luoghi, "più" paesaggi. Quei viaggi erano - qualcuno più, qualcuno meno - ben poco differenti da dei lunghissimi, lenti giri in una enorme pista aperta al pubblico.

Dopo alcuni anni in cui la moto era per noi questa specie di "fine", dopo tanti viaggi in cui lo scopo era solo fare strada, ad un tratto ci siamo chiesti: ma andare dove? Arrivare fino a dove? E per quale motivo? 

Lo spirito da "piccolo bicilindrista"

E' iniziato così, infine, un processo che ci ha portati a riconsiderare quanto ci circonda mentre viaggiamo. Abbiamo cominciato a prendercela più calma, a guardarci di più attorno, ad andare un po' di più in profondità. Ora ci capita spesso di essere fra quelli che tendono a preferire una piccola stradina fatta con calma, e non più fra i macinatori di km in quantità industriale. Preferiamo cercare (e magari senza riuscirci) di assorbire l'essenza di un luogo circoscritto piuttosto che vedere superficialmente un'ampia zona del mondo. Certo, è la scoperta dell'acqua calda; ma anche l'acqua calda, una volta scoperta, non è poi una cosa da buttare.

Ci saremmo arrivati con 151 cv? Forse sì; in teoria nulla l'avrebbe impedito. Certo è che è stato con il modesto Er-5 che ciò è avvenuto, ed anzi è stato del tutto spontaneo. Ora abbiamo l'impressione che molte cose che un tempo ci sarebbero apparse insignificanti ci sembrino più "gustose"; fare qualsiasi gita o viaggio ci fa sentire più in pace con quanto ci circonda, ora che non abbiamo a disposizione che l'"essenziale", ora che non abbiamo cavalli in esubero e chili di plastica in attesa di penetrare l'aria, adesso che ogni parte della moto è "quel che serve" e null'altro. E' il piacere di comprendere e di padroneggiare fino in fondo quanto a disposizione, c'è una sorta di quieta e tranquilla confidenza fra mezzo di trasporto e trasportati.

Giriamo con calma, guardando più cose; comunque divertendoci quando le andature sono "allegre" e le pieghe un po' più "pronunciate", ma senza l'ansia di vedere tutto e subito. La fretta toglie il gusto a molte cose.

In conclusione, il piccolo bicilindrico è un tipo di moto che pare concepito appunto per questo; è l'espressione della calma, della ponderazione, del desiderio di fare semplicemente e con cura le cose. Nel piccolo bicilindrico c'è l'essenza, e nulla di più, del girare in moto.

qualcosa sul nostro Er-5: piccole elaborazioni e consigli

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tre piccoli bicilindrici: prova comparativa fra Honda CB500, Kawa ER-5 e Suzuki GS500E (da "Motociclismo" 8-2001)

Epilogo

Il Kawa Er-5 è stato rimpiazzato il 22 agosto 2002 da un Yamaha Fazer 600, moto di notevole versatilità, comoda per viaggi e per l'uso "sport-touring" giornaliero. Ciclistica eccezionale per stabilità e direzionalità - si può prendere qualsiasi curva come si vuole - e motore che si può iniziare ad usare tranquillamente (anche nella marcia più lunga) dai 2000 giri. Guidando disinvoltamente in souplesse si mette la sesta e non la si cambia mai. NON male, veramente non male.

foto del Fazer

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