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Trascrizione della Conferenza di Don Bruno Forte 

tenuta il 7/4/98, Martedì Santo, presso la Basilica di Piedigrotta

sul tema: "Lo Spirito Santo nella Storia"

 

SALUTO E PRESENTAZIONE del Presidente, Mario Pugliese

Solo un saluto a Bruno Forte che non è il caso di presentare, talmente è noto.  Devo dire che noi gli siamo estremamente grati di essere qui con noi. Diciamo che è un altro dei regali di Don Giusto, perché don Bruno è stato suo amico, 1' ha conosciuto; forse, presentandoci a suo nome, abbiamo avuto qualche possibilità in più di sottrarlo a tutti i suoi impegni e quindi diciamo che c'è una continuità in questo. E' un modo, diciamo, di Don Giusto di continuare a darci una mano: gli strumenti sono tanti e questo è certamente validissimo, in questo periodo pasquale, per aiutare una riflessione che ci sottragga un attimo da quell'infinita serie di angustie, di corse, di affanni che troppo spesso ci fanno perdere di vista quelle che sono le cose importanti. Quindi, lascio subito la parola a don Bruno, perché ci conduca in questo percorso, che ha come argomento: "Lo Spirito Santo nella storia", e il perché e il come di questo argomento è quello che ci dirà, suscitando anche il nostro intervento, se possibile. Grazie.

 

Don Bruno Forte

Sono io che ringrazio tutti per questa presenza, che viviamo in una duplice memoria, grata a Dio: la memoria di Don Giusto, che 30 anni fa lasciava questo mondo, per continuare a vivere nella Comunione dei Santi con noi, e anche nella memoria di Enrico Casola che un anno fa ha concluso il cammino della vita terrena e che della vostra Associazione, "I ragazzi di don Giusto" è stato presidente, infaticabile animatore, amico carissimo di tanti di noi.

Qual è la domanda a cui vorrei tentare di dare una risposta? Una domanda che nasce dalle parole stesse di Gesù, nel Vangelo di Giovanni.

Sapete che, fino al capitolo 12, il Vangelo di Giovanni parla ai credenti e ai non credenti, e a partire dal capitolo 13 si rivolge ai credenti, a quelli che crederanno in Lui. Ora, quello che è molto significativo è che proprio parlando ai credenti, in quelli che vengono chiamati "discorsi di addio" di Gesù, a partire dal capitolo 13 in questo momento così denso di nostalgia e di attesa della sua venuta, Gesù pone la questione decisiva, essenziale, la questione della sua assenza. Coloro che l'hanno conosciuto, amato, che ne hanno sperimentato la potenza taumaturgica, il fuoco della parola di vita, conosceranno il tempo dell'assenza, l'infinito dolore della separazione, della distanza; è un momento drammatico quello che sta per prepararsi, ma in fondo è un momento che caratterizza il cammino della Chiesa nel tempo. Essere credenti non significa conoscere, sperimentare la presenza di Dio, ma credere in Lui nel tempo della sua assenza: in fondo il credente non è che un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, cioè qualcuno che conosce la notte, l'oscurità, il silenzio, ma proprio in questa notte, in questa oscurità, in questo silenzio, invoca il Dio nascosto.

Questa è la condizione della fede; una condizione notturna, tuttavia segnata dalla luce di una promessa. Qual è questa promessa? Ve la leggo come essa risuona nel Vangelo di Giovanni subito dopo che Gesù ha detto che uno l'avrebbe tradito; questo Giuda, il traditore, ha lasciato il luogo del Cenacolo e l' Evangelista dice: "Era notte". Sappiamo che in Giovanni queste indicazioni non sono mai semplicemente cronachistiche. "Era notte" vuol dire che si entra oramai nel grande buio, nel grande silenzio di cui poi, il Sabato Santo sarà l'estrema figura nel tempo della morte del Figlio di Dio. Ebbene, in questa condizione dei discepoli che si preparano a vivere l'infinito dolore dell'assenza di Dio, del loro Dio, Gesù dice: "Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio, abbiate fede anche in me; nella casa del Padre mio vi sono molti posti, se no ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto". Dunque, Gesù ci annuncia una promessa, Lui ci prepara un posto; Colui che è venuto è anche Colui che verrà, la condizione della fede sta tra il "già" della prima venuta e il "non ancora" del suo ritorno. Noi siamo i pellegrini della notte che stanno tra la luce di un giorno che abbiamo conosciuto -la rivelazione del mistero in Cristo, venuto nella carne- la notte che dobbiamo attraversare e l'aurora di una promessa. Ebbene, chi colma questo vuoto, questo lungo tempo dell'attesa, questo Sabato Santo del tempo che sta tra la prima venuta del Signore Gesù ed il suo ritorno nella gloria? Ecco le parole di Gesù: "Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga in voi per sempre lo Spirito di Verità che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché Egli dimora presso di voi e sarà in voi". Dunque Gesù dice che il vuoto dell'assenza sarà colmato e ci dice due parole per caratterizzare Colui che colmerà questo vuoto: il "Paraclito" e lo "Spirito di Verità". "Paraclito" è una parola greca che significa letteralmente "Colui che viene chiamato in aiuto". Dunque il Paraclito è Colui che ci viene in soccorso nel tempo della notte della fede, è Colui che quando non abbiamo più nessuna evidenza, nessuna certezza e siamo come pellegrini che nella notte si muovono a tentoni, ci viene vicino, invocato risponde; in questo senso è il Consolatore, è il Chiamato da presso, in soccorso della nostra debolezza. E poi l'altra definizione che ci dà Gesù "lo Spirito di Verità": ora noi sappiamo che il Nuovo Testamento è stato scritto in greco, ma sappiamo anche che è stato pensato nella lingua della fede di Israele, l'ebraico. In greco, verità si dice aléteia, che è una parola che vuol dire che ciò che era nascosto viene svelato, manifestato. In ebraico non esiste la parola verità; interessante: l'ebraico è una lingua povera, essenziale: 5750 vocaboli in tutto, è una lingua che dice in poche parole le cose più importanti, quelle consegnate alla rivelazione di Dio. Ebbene, in ebraico non esiste la parola verità. Verità si dice con una parola ennet che significa fedeltà. Per il greco è qualcosa che si vede, si possiede, un oggetto nascosto, a cui si toglie il velo davanti, dunque un oggetto che si offre, che si esibisce e che viene dominato dallo sguardo: la verità è un possesso, una visione. L'opposto della verità per il greco è la menzogna, l'errore, il voler nascondere ciò che è evidente. Per l'ebreo non è così: per l'ebreo la verità è fedeltà, è un patto, un legame d'amore. L'opposto della verità non è la menzogna o l'errore; l'opposto della verità per l'ebreo è l'infedeltà, è l'amore non amato, è l'ingratitudine con cui tu non corrispondi all'amore dell'amante. E allora - quando Gesù ci dice che Colui che colmerà l'infinito dolore dell'assenza sarà lo Spirito della Fedeltà di Dio, lo Spirito di Verità, nel senso ebraico- Lui ci dice che lo Spirito sarà il fedele, colui che ci sarà accanto, che nel tempo della lontananza, dell'assenza, dell'esilio, renderà presente per noi il dolce calore della patria, della vicinanza di Dio. Questo è il senso dello Spirito della Fedeltà, dello Spirito della Verità.

 

E allora io vorrei pensare con voi questa sera esattamente questa domanda: "Come lo Spirito colma l'assenza di Dio? Dove abita Dio nello Spirito? Dove noi possiamo incontrare il fuoco della verità dello Spirito, cioè questo Dio vivo che vede, che parla al nostro cuore, che nei momenti di infinita solitudine -che ognuno di noi conosce nelle notti della fede- in questa agonia, in questa lotta che è la condizione del credere, viene a confortare, a sostenere il peso delle nostre solitudini, dunque a colmare il cuore della gioia della sua presenza? Ed allora io tenterò di costruire un ponte fatto da tre arcate, nel quale cercherò di pensare le tre grandi funzioni dello Spirito per rendere presente Gesù alla nostra vita e colmare l'infinita distanza.

La prima arcata la intitolo "Lo Spirito e la memoria di Dio", la seconda "Lo Spirito e l'oggi di Dio", la terza "Lo Spirito e l'avvenire di Dio". Dunque, in che modo lo Spirito colma la distanza che ci separa dal Cristo -Lo Spirito e la memoria di Dio- questo orribile, largo fossato di ormai quasi venti secoli che ci separano da Lui. Quindi "lo Spirito e l'oggi di Dio": dove lo Spirito agisce per trasformare l'oggi degli uomini nell'oggi della presenza di Dio. Infine la terza arcata "Lo Spirito e l'avvenire della promessa di Dio": come lo Spirito anticipa nel presente degli uomini l'avvenire della promessa del Signore.

 

Cominciamo dalla prima riflessione "Lo Spirito e la memoria di Dio". Dicevo che nella notte della fede lo Spirito è la fedeltà di Dio, è Colui che la rende vicina e presente. Ma il Dio biblico, il Dio cristiano è un Dio che è venuto a prendere corpo nella vita degli uomini. C'è una parola nel Nuovo Testamento, molto forte, che vi dico così come è nel testo greco: Kénosi, che significa svuotamento, l'annientamento. Pensate che il Nuovo Testamento l'applica a Dio stesso: il Figlio annientò se stesso, si è spogliato di tutto. Dunque che cosa è il mistero della rivelazione di Dio? E' l'annientamento di Dio. Dio si annienta per amore nostro. Il Dio biblico non è il Dio lontano, straniero, freddo, onnipotente nel senso della logica di questo mondo. Il Dio biblico è un Dio umile, debole, che soffre della sofferenza del suo popolo. Ve lo dico con le parole molto belle di una donna ebrea, morta nel campo di concentramento di Auschwitz a ventinove anni, che scopre Dio negli ultimi anni della sua vita, proprio quando era cominciata la persecuzione contro i figli di Israele, e scopre Dio soprattutto attraverso il Vangelo. Essa scrive in un diario che venne pubblicato molti anni dopo, in cui ci racconta la sua straordinaria esperienza di Dio che la porta ad andare di sua volontà nel campo di concentramento ad aiutare i suoi fratelli e sorelle ebrei a non perdere l'unica cosa che conta: Dio. Vi leggo una pagina di questo diario, è del 12 luglio 1942. Scrive: "Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi; stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano; davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa o Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l'oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani. Ma anche questo richiede una certa esperienza: ogni giorno già ha la sua parte; cercherò di aiutarti affinché Tu non venga distrutto dentro di me. Ma a priori non posso prometterti nulla; una cosa però diventa sempre più evidente per me e, cioè, che Tu non puoi aiutare molto, ma che siamo noi a dover aiutare Te: in questo modo aiutiamo noi stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica cosa che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, o mio Dio, e forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Si, mio Dio, sembra che Tu non possa fare molto per modificare le circostanze attuali, ma anch'esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai Tu a dichiarare responsabili noi; e quasi ad ogni battito del mio cuore accresce la mia certezza: Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere te fino all'ultimo, difendere fino all'ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che, all'ultimo momento, quando arriva la triste pena, si preoccupano di mettere in salvo aspirapolvere, forchette, cucchiai di argento, invece di salvare Te, mio Dio. Le altre persone, che sono ridotte a semplici ricettacoli d'innumerevoli paure ed amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo, dicono: «Me non mi prenderanno». Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia."

Questa donna -che ha trovato Dio non nella facilità del successo di questo mondo, ma proprio nella sofferenza dell'assurda persecuzione- questa donna ha capito che noi dobbiamo fare compagnia al dolore di Dio, che noi dobbiamo aiutare Dio a non morire mai in noi stessi e nel cuore degli altri. Questa è la fede ebraica! Questa è la fede cristiana! Un Dio che sta dalla parte degli abbandonati da Dio, un Dio che si fa piccolo nella storia, cioè fragile segno. Vi ho detto che questo Dio si è incarnato, per così dire, in una lingua di poco più di 5.700 parole: l'ebraico, una lingua povera, scarna. E, scandalo degli scandali, questo Dio si è incarnato, ha assunto una condizione umana, in Gesù Nazareno, che veniva da una terra disprezzata da Israele: "Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?", un pellegrino nella storia, umile che viene a morire sull'albero della vergogna. Questa è la trasgressione: il Dio in cui noi crediamo non è un Dio che soddisfa le nostre logiche, le nostre misure, il Dio biblico, il Dio trasgressivo, e la grande scelta davanti alla quale ci troveremo sempre è questa: crocifiggere Cristo sulla croce delle nostre attese o le nostre attese sulla croce di Cristo? Cioè: costruirci un Dio a nostra immagine e somiglianza o accettare il Dio trasgressivo, scandaloso della rivelazione cristiana? Ebbene, qui abita Dio: in quelle povere parole dell'antico e del nuovo patto, in quella vicenda di un profeta galileo morto appeso ad una croce, che i credenti confessano risorto al terzo giorno. E allora che cosa fa lo Spirito? Lo Spirito riempie quelle parole, fa sì che attraverso quelle povere parole, limitate parole che ci vengono annunciate di testimone in testimone, Cristo sia presente per noi, non come un vuoto ricordo lontano, ma come il Signore vivente della nostra vita, come Paolo che non aveva mai conosciuto Gesù, pur essendo nato poco dopo di lui, intorno al 10 dopo Cristo. Paolo dirà: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me!" Come è possibile che Gesù gli abbia preso il cuore, glielo abbia rapito, lo abbia fatto prigioniero di sé, come Paolo dice? Bene, questo è possibile solo nella forza dello Spirito. Lo Spirito è Colui che rende presente Dio nella sua Parola. Allora che cosa è la Parola di Dio? Se la leggiamo in questa luce, la Parola di Dio non è più un insieme di segni, di parole, non è più solo un linguaggio umano, ma è Dio stesso il segno della sua Parola. Il fuoco dello Spirito brucia nella Parola, perché essa arde in noi come parola di vita. Ricordate la scena di quei due discepoli, carichi di nostalgia e di tristezza, che abbandonano nella notte Gerusalemme e che ripensano le cose passate; lo straniero che si avvicina e li accompagna pronuncia parole che nel loro petto sono come fuoco. "Ci ardeva il cuore nel petto mentre ci spiegava le Scritture". Ecco lo Spirito! Lo Spirito,- è quel silenzio in cui la Parola risuona, per ardere nel nostro petto; grazie allo Spirito, memoria di Dio, Cristo non è il prigioniero della morte, non è neanche il ricordo del passato. Il cristianesimo non è una dottrina consegnata a delle pagine, a dei trattati, fossero pure trattati di teologia. Cristo è il Vivente che vive in noi, che abita in noi, e, fino al momento in cui tu non l'hai conosciuto come tale, fino al momento in cui il cristianesimo è e resta per te una morale, una dottrina, un insieme di comandamenti, il catechismo da imparare, ma non hai conosciuto Lui come il Vivente, che è entrato nella tua vita, tu non conosci ancora Cristo nello Spirito. Questa è la prima grande lezione dello Spirito Santo: colmare una infinita distanza, rendere Gesù vivente per noi, al punto che io possa dire qui e ora: "Egli è vivente in me; io non ho conosciuto il Cristo secondo la carne, io vi parlo nel Cristo secondo lo Spirito che ho conosciuto e conosco come il Vivente nella mia vita. Io vi testimonio Colui che è vivo in me! (Galati 2, 20). Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato ed ha dato se stesso per me. Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me!

Ma questa azione dello Spirito, che dunque ci raggiunge attraverso la Parola, si fa ed è. Si fa carne. La Parola, la Parola biblica non è mai separata dall'evento, dal gesto. Ed ecco allora che il luogo della memoria dello Spirito, il luogo in cui lo Spirito si fa presente nel tempo il Signore Gesù, non è solo la pagina biblica che nella fede e nella azione dello Spirito diventa la presenza del Dio vivente, ma è quell'insieme di luoghi in cui la Parola si fa ed è, la Parola risplende in tutta la sua luce. Ebbene qual è quest'insieme di luoghi? C'è una immagine molto bella dei Padri della Chiesa che ci dà una risposta a prima vista sconcertante. Ci dice: i luoghi in cui Cristo nello Spirito ci raggiunge e ci parla è la Chiesa! Ma perché? Perché la Chiesa è la luna, (si, proprio la luna). In che senso la Chiesa è la luna? Nella notte del mondo, in questa notte dell'assenza di Dio, dove è così facile essere atei, o perlomeno dirsi tali, nella superficialità della parola che dice: "Dio non c'è", in questa notte dell'assenza di Dio, c'è un luogo dove il sole della storia e dell'eternità risplende, seppure di riflesso per noi. Questo luogo che accoglie i raggi del sole e ce li restituisce è la Chiesa. La Chiesa è la mistica luna che risplende non di luce propria, ma dei raggi del sole che è Cristo. Pensate che questa immagine della Chiesa-luna unisce i Padri, cioè i grandi pensatori della Chiesa antica dell'Oriente e dell'Occidente. Allora guardate come è bello: la luna vive tre fasi: la luna crescente, la luna piena e quella calante. Per i Padri queste tre fasi sono i tre grandi compiti della Chiesa, che accoglie i raggi del sole e ce li dona. La luna crescente è la Chiesa che annuncia la Parola di Dio, cioè la Chiesa che ci rende presente Gesù attraverso le parole delle Scritture. Dunque un cristiano che si nutre delle parole della Scrittura, si nutre di Cristo, mangia Cristo nella sua Parola; ma questo nutrimento giunge ad una pienezza. Che cosa è la luna ricolma di luce, la luna piena? Secondo i Padri, la luna piena è la Chiesa che celebra il divino mistero, cioè la Chiesa che vive lo splendore della liturgia, cioè la liturgia è il luogo in cui lo Spirito in pienezza irradia la luce di Cristo. Se la Chiesa è la luna e Cristo il sole, lo Spirito sono i raggi di quel sole che, baciando la luna, la rende splendente nella notte. Nella notte del mondo, lo Spirito ci dona la pienezza della luce nella liturgia. Tanto è vero che nella liturgia noi invochiamo lo Spirito. L'epiclesi, l'invocazione, fa scendere lo Spirito perché si compia il miracolo, ed ecco che quel pane e quel vino diventano il Cristo morto e risorto per noi; ed ecco che quelle parole ed il gesto trasmettono il perdono dei peccati. Dunque, la liturgia è il luogo dello splendore nella notte, è il luogo in cui i raggi del sole inondano la luna mistica, la Chiesa, e si riversano su quelli che si lasciano raggiungere e contagiare da questa luce. La terza fase infine, quella della luna calante, è quella che la Chiesa che si è lasciata inondare dai raggi del sole, quindi dallo Spirito, deve restituire questi raggi nella notte, deve morire a se stessa, deve coricarsi nella notte della carità. In altre parole chi ha ricevuto lo Spirito deve donare lo Spirito nei gesti dell'amore. E' straordinario il fatto che i Padri della Chiesa parlino della morte della Chiesa. C'è un grande testimone di amore alla Chiesa, Cirillo di Alessandria, uno dei tanti esempi, che scrive queste parole: "Intoniamo il canto di lode per la morte della Chiesa, morte che ci conduce alla sorgente della vita santa in Cristo!" Perché? Perché questi Padri sanno che la Chiesa, scomparendo con Cristo, passerà nel Regno di Dio. Quando tutto sarà passato, la Chiesa sarà finita, sarà maturata nel Regno. Ecco, il nostro compito non è farci grandi nella storia; come Chiesa il nostro compito è ricevere e donare lo Spirito nei gesti della fedeltà. Una Chiesa è grande non per le opere che umanamente compie, ma perché dona lo Spirito in abbondanza, nei gesti dell'amore, e quanto più grande è la morte della Chiesa per amore degli altri, tanto più è feconda la sua vita. Se noi siamo qui a ricordare don Giusto, è forse anche perché il suo calvario, la sua morte ha fatto risplendere la luce dello Spirito che ardeva in lui.

Ecco ora la prima grande arcata: lo Spirito e la memoria di Dio, ma non una memoria morta, un ricordo di cose passate, bensì una presenza viva che abita nella Parola di Dio, che abita nella Chiesa, questa mistica luna che annuncia la Parola, che celebra la divina liturgia, come splendore dei raggi del Cristo e che accetta di perdersi nella notte della carità, che vive il dono di sé come morte a sé stessa, come luna mistica, e che fa così compagnia al suo Signore crocefisso. Un altro grande testimone della fede nel tempo della barbarie della guerra, dell'olocausto, un cristiano questa volta, scrive nel campo di concentramento questa breve poesia, che si chiama "Cristiani e pagani" dove dice: "Cristiani e pagani tutti vanno da Dio per chiedere conforto nel loro dolore, ma i cristiani vanno da Dio anche per fare compagnia al suo dolore".

Questa è la Chiesa che si perde nella notte del tempo: una Chiesa che fa compagnia al dolore di Dio, che partecipa alla sua croce, che muore nella morte del suo Dio, che rende feconda la storia con l'azione dello Spirito.

E veniamo alla seconda grande arcata del nostro cammino: "Lo Spirito e l'oggi di Dio". Lo Spirito, abbiamo detto, rende presente la Kenosí di Dio, il suo annientamento, e lo fa nella storia attraverso la Parola e la Chiesa, attraverso i suoi sacramenti, la sua carità; ma lo Spirito non agisce soltanto nella Chiesa. Lo Spirito soffia dove vuole, lo Spirito è anche il grande Signore del tempo, che opera al di là dei confini visibili delle etichette, delle classificazioni che noi vogliamo fare. Ebbene, quest'azione dello Spirito per la quale Dio continua a parlare nel tempo e sorprende continuamente tutti i nostri schemi, questa azione dello Spirito mai l'abbiamo avvertita così profondamente come nel tempo della morte di Dio. Noi viviamo in un'epoca, la nostra, l'epoca moderna, post moderna, che viene chiamata l'epoca della morte di Dio. Allora per capire l'azione dello Spirito in questo tempo, io voglio solo brevemente cercare di capire cosa significa la morte di Dio. Ci sono due grandi idee della morte di Dio: una è la figura, l'icona della "nostalgia", cioè la morte di Dio è l'esperienza dolorosa della sua assenza, che si unisce al desiderio struggente della sua presenza; l'altra è la morte di Dio come bestemmia, protesta, come affermazione: è l'ateismo militante di chi rifiuta Dio. Vi leggerò due testi molto importanti nella storia della cultura dell'Occidente, che ci annunciano questa due figure della morte di Dio, e poi vi dirò come lo Spirito ci aiuta a superare questa morte di Dio. Il primo testo è un testo molto noto, di Nietzche dove annuncia nella risma 125 del "La gaia scienza" che Dio è morto: "Avete sentito di quell'uomo folle che accese una lanterna nella chiara luce del mattino, corse al mercato, si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio!". E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risate. "Si è forse perduto Dio?" disse uno. “Si è smarrito un bambino?" Fece un altro. "Oppure è nascosto, ha paura di noi? E' emigrato Dio?". Gridavano e ridevano in una grande confusione. L'uomo folle balzò in mezzo a loro, li traversò con i suoi sguardi, "Dove se n'è andato Dio", gridò, "ve lo voglio dire: l'abbiamo ucciso! Voi ed io, siamo noi tutti suoi assassini! Ma, come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare, bevendolo fino all'ultima goccia? Dove ci muoviamo ora, via da tutti, soli? Non è un eterno precipitare? Non stiamo forse vagando attraverso un nulla infinito? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere le lanterne la mattina? Dio è morto! Dio resta morto, e noi l'abbiamo ucciso!". Ecco una prima figura della morte di Dio. Nel tempo moderno il Dio ucciso da una ragione presuntuosa, dall'ideologia, u n  Dio ucciso da una visione del mondo che pensa di fare a meno di Lui. Nietzsche ci fa capire che una ragione che uccide Dio sperimenta un infinito vuoto della sua assenza. Tutto diventa più freddo, tutto diventa notte, più notte. Ecco che l'ateismo della morte di Dio, l'uccisione di Dio da parte di una ragione presuntuosamente adulta, genera violenza e morte, come è stato in tutte le ideologie della modernità. Oggi non serviva il "Libro nero del comunismo" per capire queste cose: tutte le ideologie di destra e di sinistra sono state necessariamente violente, perché pretendevano di avere la risposta: tutte, in questo modo, distruggevano le possibilità della libertà dell'uomo.

Dall'altra parte, l'altra figura dell'assenza di Dio: l'assenza di Dio, la morte di Dio come sua "nostalgia". Anche qui vi leggo un testo molto bello di un poeta tedesco, Jean Paul……..che scrive alla fine del settecento. E' " II sogno del Cristo morto". E' un testo molto forte, molto denso: "In una sera d'estate me ne stavo disteso su un monte in faccia al sole, finchè mi colse il sonno, ed ecco che sognai di svegliarmi in un campo di morte, tutte le ombre intorno all'altare; una di esse, una nobile figura, atteggiata ad un dolore senza fine. Tutti i morti gettarono un grido: "Cristo, Cristo, esiste Dio?" "Non esiste"  fu la risposta. L'ombra di ogni defunto fu scossa da un sussulto.

Cristo proseguì: "Andai per i monti, entrai nei soli e con le Vie Lattee percorsi a lungo i deserti del cielo, ma non esiste alcun Dio! Scesi nell'abisso, fin dove l'essere getta le sue ombre, scrutai la voragine, gridai: «Padre, dove sei?» Ma udii soltanto l'eterna procella che nessuno governa, e quando levai lo sguardo sul mondo sterminato verso l'occhio divino, questo mi fissava come un'orbita vuota, senza fondo. Gridate ancora! Gridate! Dio non c'è". Sopraggiunsero allora nel tempio i minori nell'anima, i fanciulli defunti che si erano desti nel cimitero, si gettarono davanti all'alta figura presso l'altare e "Gesù" dissero "non abbiamo noi un Padre?" Lui prorompendo in lacrime: "No, siamo tutti orfani", disse, "voi ed io, non abbiamo alcun Padre!" E tutto si fece angusto, tetro, angoscioso e un battaglio enormemente grande stava per battere l'ultima ora del tempo, per frantumare l'universo. Mi ridestai: la mia anima piangeva dalla gioia di potere ancora adorare Dio, e la gioia, e le lacrime, e la fede in Lui erano la preghiera!"

Capite? Questo risveglio improvviso dall'incubo della morte di Dio riaccende la dolcezza di poter adorare Dio. Ecco la morte di Dio come nostalgia: desiderare la presenza di Dio. Fra queste due grandi figure, l'icona dell'assenza di Dio come rifiuto, come protesta, come uccisione di Dio e l'icona dell'assenza di Dio come nostalgia e come attesa, che cosa fa lo Spirito? Lo Spirito rende presente nella storia il Dio vivente; Egli soffia dove vuole. Dunque, noi abbiamo una certezza: che lo Spirito è la dimensione storica del mistero, che grazie allo Spirito non c'è alcun frammento di storia, di tempo, dove Dio sia assente. Lo Spirito lega i frammenti del mondo all'unità profonda del mistero di Dio. Grazie allo Spirito, dovunque noi possiamo trovare Dio. E allora cosa dobbiamo fare? Dobbiamo saper leggere la presenza di Dio. Il cristiano, diceva un grande teologo, Karl Barth, tiene su una mano la Bibbia e sull'altra il giornale. Egli non ascolta solo le parole di Dio, ma legge anche la storia degli uomini e alla luce della Parola cerca di riconoscere in questa storia i segni della presenza di Dio. Sono i segni dei tempi, cioè gli eventi, i luoghi in cui lo Spirito rende vivo Dio nel tempo della morte di Dio. Prima vi ho letto una pagina straordinaria di E. Illesum, autrice ebrea che trova Dio perfino nel campo di concentramento e che muore, ancora dicendo: "La vita è bella e degna di essere vissuta perché Dio c'è!" E' l'esempio di come dovunque sia possibile riconoscere Dio. Ma per discernere la presenza di Dio nello Spirito, è necessario educarsi al discernimento. Il discernimento spirituale, l'attenzione all'azione dello Spirito nella vita e nella storia, esige tre momenti fondamentali, che dobbiamo imparare a vivere, se vogliamo leggere l'oggi dello Spirito come l'oggi di Dio.

II primo momento, assumere la complessità: il cristiano non è uno che ha le soluzioni già pronte, proprio perché crede nello Spirito Santo, nella fedeltà di Dio nella storia, il cristiano sa che deve abitare nel tempo e non è diverso da tutti gli altri abitatori del tempo. Il cristiano sente l'infinito dolore e le sfide che tutti noi sentiamo, in questa vicenda umana, che è la nostra. Allora la prima condizione del cristiano - come della Chiesa in ascolto dello Spirito- è abitare il tempo, è essere fedele alla terra e conoscere i problemi dell'uomo, delle donne che ci circondano, essere solidali, e portare questi problemi davanti a Dio. Oserei dire che la preghiera del cristiano è come l'eco del dolore del mondo. Guai se un cristiano cercasse nella preghiera il rifugio, l'evasione e non portasse la verità e la complessità della storia. Ma questo significa anche che nessuno di noi, neanche il miglior operatore pastorale, ha le soluzioni pronte alle sfide della nostra vita. Vedete -lo dico con cuore fraterno e con grande semplicità- sapete perché a volte le nostre prediche, le nostre catechesi, i nostri discorsi lasciano tutto come trovano? Io credo che una delle risposte sia questa: perché noi rispondiamo a domande che nessuno ci pone e, soprattutto, ci preoccupiamo di dare risposte. Io credo che il grande compito di chi testimonia lo Spirito non è di dare risposte, ma di suscitare domande, immettere nel cuore la nostalgia e la sete di Dio, di accendere la ricerca; in altre parole ci faccia avvertire tutto il peso della notte in cui siamo, della complessità da cui vogliamo in qualche modo uscire. Ecco allora il primo momento: un pastore non è chi ti dà risposte alle domande, ma chi suscita nel tuo cuore le domande vere; un testimone non è chi ha la formula pronta per tutto, ma chi ti contagia la sete di Dio, il desiderio di Dio che ti fa pellegrino verso il mistero: questo è il testimone dello Spirito. Dunque no ad una Chiesa che ha le risposte pronte, sì ad una Chiesa in ascolto, che sa suscitare domande, che sa porre nel cuore l'inquietudine. Se, uscendo da questa sera, voi avete risposte belle e fatte, a nulla è valso il nostro incontro, ma se questo incontro vi ha turbato in qualcosa e accende in voi una sete di trasgressione, cioè di andare oltre, di superare il limite, di conoscere un volto di Dio a cui non avevate pensato, di far compagnia al dolore di Dio di cui non vi eravate accorti, allora sì abbiamo fatto un balzo in avanti. Assumere la complessità.

Secondo: leggere la complessità alla luce della parola di Dio. Ecco perché il cristiano ha su una mano la Bibbia e sull'altra il giornale: tutta la passione della sua vita sta nel realizzare quest'incontro, nel lasciarsi raggiungere dalla Parola, perché essa parli alla nostra vita. Vedete noi non siamo uditori della Parola, noi vogliamo sempre le risposte pronte. Noi non sappiamo fare violenza alla Parola di Dio perché essa ci turbi, ci attragga, susciti in noi pensieri. Quanto spazio il credente medio dà all'incontro con la parola di Dio? E perché tanto poco spazio? Perché il credente medio vuole fare della fede una ideologia che lo assicuri non una ricerca che inquieta, perché il credente medio non accetta di essere un povero ateo che ogni giorno si sforza per incominciare a credere, e dunque uno che lotta ogni giorno con Dio, vive la passione dell'incontro con Lui. Ma questo significa leggere la parola di Dio. Se tu prendi in mano la Parola di Dio per avere solo risposte, la Parola non ti dirà nulla. Ma se tu la prendi come fuoco che arde e che suscita vere domande, ti accorgerai che dentro di te qualcosa di profondo sta cambiando. Io non so se voi avete mai fatto l'esperienza che ora vi dico, ma che credo sia l'unica esperienza di linguaggio con Dio. Quando noi poniamo a Dio una vera domanda sapete dirmi come fa? Non ci dà una risposta, cambia il nostro cuore! Io posso dirvi che è una esperienza di Dio, questa. Dio non risponde volgarmente, come noi vorremmo, Dio risponde con il suo linguaggio, che è cambiarti il cuore, darti la pace che ti fa vedere dove non avresti visto e volere ciò che non avresti voluto. Ecco allora la Parola di Dio come credenti nella complessità ed è dall'incontro di questi due momenti: assumere la complessità - ascoltare la parola, che nasce la proposta del discernimento. Che cosa è questa proposta? Che cosa è la via che il cristiano indica a se stesso e alla Chiesa? Una via provvisoria e credibile. Ricordate questi due aggettivi. Non cerchiamo risposte definitive, siamo dei poveri pellegrini, ma cerchiamo delle risposte credibili, cioè che nascano da una vera fedeltà a Dio e all'uomo, alla storia e all'eternità, che nascano cioè da questa fatica vera di coniugare nella fede nell'amore il tempo presente e il domani di Dio. Quando noi facciamo questo, quando ci sforziamo di vivere questa spiritualità della duplice ed unica fedeltà alla terra e al cielo, il mondo presente e il mondo che deve venire, allora noi viviamo sotto l'azione dello Spirito: il discernimento. Allora si compie il miracolo, l'impossibile possibilità: l'oggi degli uomini diventa l'oggi di Dio. Si aprono i nostri occhi, riconosciamo qui ed ora Colui che ci parla.

 

Infine l'ultima arcata: lo Spirito e l'avvenire della promessa di Dio.

Che cosa voglio dire con questo? Che lo Spirito non è soltanto Colui che rende presente il passato, che illumina i nostri occhi nel discernimento perché nella morte di Dio noi scopriamo il Dio vivente che ci parla. Lo Spirito è anche Colui che anticipa nell'oggi dell'uomo il domani di Dio, è Colui che ci fa vivere il presente feriale col cuore della festa del giorno di Dio, dell'ottavo giorno.

Ebbene lo Spirito opera questo lavoro in noi suscitando in noi tre atteggiamenti che diventano anche una grande verifica per noi.

Il primo: lo Spirito suscita in noi la speranza della patria futura, lo Spirito ci rende coscienti della nostra incompiutezza, del nostro continuo bisogno di camminare verso il domani. Lo Spirito suscita in noi il bisogno di essere in continua riforma "semper reformanda esperientia". Ecco il primo grande segno dello Spirito che tira nel presente degli uomini il domani di Dio: fare di noi non una Chiesa statica, addormentata, sonnecchiante, ma una Chiesa in cammino, sempre desiderosa della novità di Dio, fare di noi dei credenti non ideologici, assicurati, chiusi nelle loro povere certezze, ma dei pellegrini assetati, che, come diceva Leon Bloy, assomiglino a leoni assetati che cercano nel deserto una sorgente d'acqua. Questa è la condizione del credente, la novità del cuore e della vita. Guai a chi vive la seduzione del possesso, l'estasi dell'adempimento. Il Cristianesimo in questo senso ha un volto "tragico". Non che il Cristianesimo sia senza gioia, il cristiano è nella gioia. Io non esito a dire -sono prete da venticinque anni- di essere un uomo felice; dunque il tempo non ha logorato, anzi ha approfondito la gioia di Dio nel mio cuore. Ma proprio io -che vi dico di essere un uomo felice, che vive la gioia dell'incontro che gli ha cambiato il cuore e la vita e che lo cambia ogni giorno- vi dico che il Cristianesimo ha una dimensione tragica, perché esso non arriva mai al compimento, perché la seduzione del possesso è la tentazione più grande. Il cristiano è un pellegrino verso la luce e lo Spirito è Colui che ti accende questo desiderio sempre nuovo del domani di Dio. Guai a fermarsi, guai a riposarsi, guai a pensare di essere arrivati. Allora il primo segno della presenza dello Spirito è questa condizione di mendicanti, di pellegrini nella notte, è questo accettare di camminare verso la pienezza di Dio: se la verità è quella che vi ho detto all'inizio, la verità non è qualcosa che si possiede, è Qualcuno che ci possiede e che sempre di più vuol possederci. La verità è Dio che ti assale nella notte come l'assalitore notturno con Giacobbe, con cui tu combatti e che devi lasciar vincere perché con Dio vince chi perde. Ecco allora una Chiesa sempre in riforma, un cristiano sempre nuovo, la novità divina, la novità del cuore. Questa è la condizione del cristiano che vive secondo lo Spirito: non la stasi, il possesso, la ripetitività inutile, la mancanza di passione! Allora comprendete la grande terribile domanda che io non esito a fare continuamente a m e stesso e a tutti, specialmente quando predico gli esercizi ai vescovi. Sapete qual è la domanda che faccio continuamente ai vescovi? "Credete in Dio?" Sì, perché nessuno di noi è scontato nella fede; perché la fede o è l'impegno di ogni giorno o è il rimpianto sempre. La fede è la novità nella lotta con Dio in cui, ogni giorno, è necessario che lui vinca. Ecco allora questo primo orientamento: lo Spirito anticipa il domani di Dio rendendoci pellegrini, vivendo in noi il desiderio di una costante riforma, facendo della Chiesa un popolo in cammino.

La seconda dimensione: questo senso dell'inquietudine e della tragedia dell'assenza di compimento, questo vivere il dono di Dio in "spe" e non in "re" si estende anche al rapporto tra il cristiano e la Chiesa e le realtà di questo mondo. La Chiesa nel mondo coscienza critica, cioè la Chiesa non deve idolatrare nessuna forza di questo mondo; ecco perché il cosiddetto collateralismo è in fondo una forma di peccato contro lo Spirito. Guai a voler identificare la Chiesa come una forza politica o partitica in gioco in questo mondo. La Chiesa deve essere la coscienza critica in tutti, in nome di una giustizia e di una speranza più grande. Ecco perché i cristiani come seme delle storia devono essere presenti dovunque, portando però l'inquietudine e il fermento della loro passione per Dio e per l'uomo. Ecco perché non esiste una societas cristiana, un partito cristiano, una ideologia cristiana, ma esiste la coscienza critica che i cristiani possono portare nella società, nel partito o ovunque essi si trovino. Ecco perché essere cristiani non è una posizione di potere, di privilegio, ma è una inquietudine, una passione, una continua, come dire, ferita nelle sicurezze a buon mercato. Lo Spirito opera questo in noi. Lo Spirito soffia dove vuole; poiché ci insegna e ci introduce sempre più nella verità di Dio, ci porta sempre oltre, al di là, facendoci trasgredire tutti i nostri limiti, verso il domani delle promesse di Dio. E' quella che viene chiamata la riserva escatologica del cristiano, cioè questo appartenere alle mani di Dio nel presente degli uomini; quindi questo turbare, stimolare, inquietare per il domani. E, infine, l'ultimo volto di questa azione dello Spirito che tira nell'oggi il domani di Dio è l'anticipazione militante della gioia del Regno. Sì, permettete che la mia ultima parola sia proprio sulla gioia, perché lo Spirito colma il nostro cuore di gioia. "Io non vi lascerò orfani. Io vi darò la mia gioia e nessuno ve la potrà togliere".

Che cosa è questa gioia dei pellegrini, questa gioia di coloro che vivono il dramma della notte della assenza di Dio? E' la gioia dello Spirito che conforta i nostri cuori, è la gioia di chi sa di essere incamminato sulla via del Regno, di pregustare già le anticipazioni della festa! Io credo che un cristiano senza gioia è anche un cristiano senza Dio! Ma non una gioia superficiale dell'allegria banale che passa, ma la gioia profonda di sapere che le onde del mare del tempo non vanno a cadere nel nulla, ma a riposarsi sulla sponda dell'eternità. Noi siamo testimoni in questo senso. In questo tempo in cui si è perso il gusto perfino di domandarsi: "Che senso ha la vita e la storia?" noi, che crediamo nello Spirito, siamo i testimoni del senso, siamo i testimoni della patria futura, di un ultimo respiro dove braccia accoglienti accolgono il cammino della vita. Lo Spirito anticipa per noi quest'ultima festa e perciò colma il nostro cuore della gioia e della pace del Regno che non passa.

Lo Spirito, memoria di Dio nella Parola, nella Chiesa; lo Spirito oggi di Dio che trasforma l'oggi degli uomini nell'oggi, il Kairòs della grazia; lo Spirito, anticipazione militante del futuro di Dio: tuttoquesto ci fa capire quanto è importante incontrare lo Spirito. Ma dove l'abbiamo incontrato? Nella Chiesa!

Permettete che io chiuda con due grandi padri, uno voce dell'Oriente ed uno voce dell'Occidente.

Il primo, S. Giovanni Crisostomo, voce dell'Oriente ci dice così: "Non separarti dalla Chiesa, nessuna potenza ha la sua forza, la tua speranza è nella Chiesa, la tua salvezza è la Chiesa, il tuo rifugio è la Chiesa. Essa è più alta del cielo e più grande della terra, essa non invecchia mai, la sua giovinezza è eterna". Io amo la Chiesa, perché credo, essa è la sposa bella del Cristo, sempre vivificata nello Spirito e -poiché nella notte dell'assenza ho bisogno di Lui- so che solo nella Chiesa ritroverò lo Spirito fino in fondo che potrà farmi incontrare il mio Signore.

E l'altro testo è di Agostino: "Tanto si ha lo Spirito Santo, quanto si ama la Chiesa di Cristo!" Più amerai la Chiesa, più la luna ti colmerà dei raggi del sole splendente. E' anche l'augurio che faccio a voi, alla vostra comunità in questa notte che è la settimana santa in attesa del sabato santo, ma anche dell'ottavo giorno, il giorno dello splendore e dell'amore.

 

DIBATTITO

 

- Lei ha sottolineato molto chiaramente la realtà dell'uomo greco che tende ad evidenziare la verità come una realtà di possesso; ed altrettanto chiaramente ha dimostrato che lo Spirito è una realtà trasformante, una realtà che riempie a "metanoia" i cuori di coloro che l'ascoltano, ma in una società che già da Carlo Marx diceva una realtà di Cristo come oppio dei poveri, e partendo ancora adesso: un uomo addirittura per un forte egoismo, penso, ha la capacità di saper riprodurre degli esseri, umani o animali, che abbia la voglia, la padronanza di voler fare delle cose al posto d i Dio: come presentare la realtà di questa figura mediana tra la realtà dell'oggi e del non ancora che lei ci ha presentato?

 

Don Bruno - I Padri greci ci danno una risposta straordinaria, un po' difficile: nella incarnazione il Figlio di Dio ha ipostatizzato la natura umana, cioè la persona divina del Figlio ha assunto la natura umana. Questa è la Kenosi del Figlio, l'incarnazione; nella Chiesa si capovolgono le parti, cioè le persone umane, noi, portiamo la natura divinizzata dello Spirito. Questa è la Kenosi dello Spirito: lo Spirito non ha un volto, il volto dello Spirito siamo noi. Allora come annunciare lo Spirito in questa società che sembra cercare solo le sicurezze del visibile, della maschera, dell'efficacia, dell'immediatamente percettibile? La risposta può essere una sola. Lo Spirito può essere annunciato rendendolo visibile attraverso la nostra vita, è l'eloquenza del testimone; e poiché lo Spirito è Emèt, fedeltà, lo Spirito non lo si annuncia nella solitudine, ma nella comunione, in quella comunione ricca della solitudine. Dunque, dove sono due o più lo sono in mezzo a loro, ecco lo Spirito come messaggio e presenza attraverso l'unità dei credenti.

Ma, attenzione, è lo Spirito che Gesù consegna nella croce e, dunque, è lo Spirito che si rende presente dovunque si fa compagnia al dolore di Dio, dovunque si vive -con Cristo- l'ora dell'abbandono supremo, dovunque non si annuncia Dio onnipotente dalle risposte già pronte- ma un Dio compassionevole, umile, abbandonato in coloro che si abbandonano. Questo è il mistero del Dio cristiano. Una testimonianza che è tutt'altra rispetto alla logica del potere e dell'efficacia di questo mondo, ma è una testimonianza contagiosa del testimone posseduto dallo Spirito, che annuncia nella carità, che annuncia portando la croce. Sono i due grandi segni della presenza dello Spirito: l'abbandono e la comunione.

 

- Lo Spirito Consolatore consola chi è nella sofferenza; ma chi è nella felicità, di quale consolazione ha bisogno? Sono anche perplesso sul termine "felicità".

 

Don Bruno - Mi sembra di aver detto con molta forza che il cristianesimo ha una dimensione tragica, cioè che ciò che noi crediamo, che amiamo, lo crediamo, lo amiamo nell'assenza, nella notte. Cristo non l'abbiamo mai visto, io perlomeno non ho mai avuto una visione, eppure Cristo è il Signore del mio cuore. Allora la consolazione della fede -proprio nel senso del Paraclito- la chiamata in aiuto di Dio che riempie poi il nostro cuore e ci dona la sua pace non può essere intesa nel senso di una felicità banale, volgare, felicità come soddisfazione, ma può essere intesa soltanto nel senso di una felicità come avere a cuore l'altro fin in fondo. Mi spiego in un modo più semplice: una volta venne a trovarmi un amico che da alcuni anni vive nelle favelas del Brasile, Arturo, un testimone della fede, pieno di gioia, durante un incontro con dei giovani. Allora uno di loro gli chiese se fosse felice e lui rispose di sì; un altro gli chiese: "Ma come fai ad essere felice tu che vivi in mezzo a tanta sofferenza umana, nelle favelas del Brasile?" E lui rispose così: " Esistono due tipi di felicità in questo mondo, la «felicità del consumo»: tu desideri un oggetto del desiderio -una bella motocicletta, una bella macchina, un bel vestito- desìderi, desìderi, lo possiedi e quando lo hai posseduto, non c'è più nulla, ti resta un senso di vuoto; dunque la felicità del consumo che dura il tempo del desiderio. Ma c'è un'altra felicità che mette mano alla "felicità di produzione": tu sei felice quando rendi felici gli altri, quando ti metti al servizio degli altri, quando ti sforzi di amare gli altri, di amare qualcuno". E allora il vero problema per tutti noi è cercare di riconoscere questo tipo di felicità, cioè una felicità costruita nel rapporto con gli altri. Posso assicurarvi che le uniche persone veramente felici, che ho incontrato, sono state le persone che si sforzavano di vivere dando la propria vita per gli altri, con Dio per gli altri. Credo che questa è la felicità che non passa. Allora se noi non siamo felici, e ci possono essere tante ragioni, è un discorso che non dobbiamo banalizzare: davanti a certi dolori è difficile dire: "Sono felice". Ma quella felicità alla quale tutti possiamo tendere è la felicità di lasciarci amare da Dio, dunque affidarci perdutamente a Lui, e nello sforzarci di amare gli altri, di dare la vita per gli altri. Credo che quando tu ti alzi al mattino ed hai qualcuno da amare, Dio anzitutto e gli altri, subito il tuo cuore può riempirsi di un senso, di una gioia, perché c'è qualcuno, un tu, per cui valga la pena vivere.

 

- Il Cristiano ha in una mano la Bibbia e nell'altra il giornale: quindi è chiamato ad annunciare la Parola ed ad annunciare il quotidiano. Come si concretizzano questi due atteggiamenti?

 

Don Bruno - A caro prezzo, non a buon mercato, cioè la formula è facile, la realizzazione è impegnativa ed esigente, perché tutti noi abbiamo la tentazione di ridurre l'una e l'altra cosa a delle formule tranquillizzanti: la fedeltà a Dio diventa un insieme di pratiche di pietà, che è del tutto rispettabile, ma non basta se si riduce ad una ripetizione senza anima. Io dico che dobbiamo essere fedeli agli appuntamenti con Dio, ma dobbiamo sapere essere fedeli anche quando ci costa, cioè pagando un prezzo d'amore, cercando Dio nel tempo della notte, nel tempo dell'assenza di Dio, nella fedeltà. Dall'altra parte, anche la fedeltà al tempo, alla storia può facilmente ridursi nell'idea di parlare e di un contare qualcosa parlando. No, questo non basta: occorre pagare di persona, occorre progettare la propria vita per gli altri. Mi chiedo, per esempio, quanto -nella vita di un giovane- venga dato di tempo, di riflessione al pensiero degli altri nelle scelte del proprio futuro; normalmente la logica è proiettata verso il conseguimento di mete che realizzano se stesse. Io credo che è importante nella vita essere esposti al rischio di una vita vissuta per gli altri, dunque al rischio di Dio.

Ora, vivere fin in fondo le due fedeltà e coniugarle è tutt'altro che facile: i santi sono quelli che ci riescono nella maniera più alta, ma anche i santi la pagano a caro prezzo; però è anche quello che rende la vita così bella, così degna di essere vissuta. L'autrice tedesca già citata continua a vivere: persino nel carro bestiame che la trasportava ad Auschwitz lancia un biglietto, una cartolina che arriva ad una sua amica, in cui dice che la vita è bella, perché c'è Dio; pensate: da un carro bestiame, ammassata con altre cento persone, con un solo barile d'acqua in mezzo, per giorni e giorni attraverso l'Europa per andare in una camera a gas... La vita è bella. La vita è bella quando tu non vivi per te stesso, ma quando ti sforzi di vivere per gli altri, per Cristo.

 

- Voglio ringraziare perché mi ha fatto vivere un momento molto bello, un momento di profonda fede; ma quello che ho ascoltato mi ha lasciato il tormento di vivere questa realtà, questa vita per sostituirmi, per come farlo vivere, renderlo trasparente perché sia veramente cuore di Dio nel cuore dell'uomo, nell'oggi.

 

Don Bruno - Mi può ringraziare non facendolo, ma pregando semplicemente per me. Per l'altra domanda, faccio l'augurio che faceva Papini: " Che Cristo vi perseguiti con tutta la forza del suo implacabile amore per tutta la vita!" Cioè il mio augurio non è "pace pace", il mio augurio è "fuoco fuoco" "spada spada", e, perciò, "pace pace": la pace del regno è una pace che passa attraverso il fuoco dello Spirito, il fuoco delle prove, il fuoco della fedeltà, il fuoco dell'amore. S.Bernardo diceva, in una frase molto bella: "L'amarezza della Chiesa è amara quando è divisa, è più amara quando è perseguitata, ma raggiunge il colmo dell'amarezza quando è in pace". Dunque non c'è augurio più bello che un credente può fare ad un altro credente dell'inquietudine della fede, della passione di cercare Dio ogni giorno in modo nuovo, di non sentirsi mai arrivato, appagato, compiuto, ma di essere dei poveri pellegrini, assetati di Dio ed assetati quindi di carità che è quello che, con la fede, ci tiene su.

 

- Qualche anno fa, ascoltando una sua conversazione alla radio, mi sembrò di aver capito che quanto all'essenza di Dio, per l'uomo era come avvertire qualcosa di introvabile, che noi inseguiamo; avvertiamo questa presenza, la inseguiamo, ma non riusciamo mai a raggiungerla, perché Lui vuole essere cercato, però non si rivela; perciò noi non vediamo questa persona, ma ne avvertiamo la presenza. E' una definizione esatta o con gli anni ho deformato quello che lei disse?

 

Don Bruno - Forse l'ha reso più bello. Uso un'altra immagine che immediatamente dice, un'immagine cara alla tradizione mistica, fondata sul versetto 18 del capitolo I° di Giovanni: "Il Verbo è nel grembo del Padre": il Figlio è nel grembo del Padre noi siamo nel Figlio, dunque noi siamo nel grembo della Trinità.".

L'immagine è molto bella, perché pensate: il bambino che è nel grembo della madre per prima cosa è nella notte, nel buio, non vede nulla. La fede, dunque, non ci fa vedere Dio. Noi stiamo nella notte. Tuttavia il grembo è il luogo della vita, è il luogo dove si nutre il bambino di questi legami misteriosi e fecondissimi; così Dio ci nutre, ci sostiene, ci alimenta. Ma tra il bimbo e la madre esiste già dal primo istante un dialogo che è grandissimo, un dialogo che non è fatto di parole, di suoni, ma è fatto di legami misteriosi nel grembo della madre. Così vale con Dio.

Quest'immagine del grembo spiega ancora di più in che senso noi non possediamo Dio, ma siamo in Lui, posseduti da Lui, nascosti con Cristo in Dio (Col. 3,3); quindi non è che Dio gioca a nascondino, nel senso che ti attrae e si nasconde sempre, ma è proprio come la madre che ti porta in grembo, cioè tu non puoi vederlo, Dio, perché se lo vedessi, dovresti uscire dal grembo. Ma questa è già la nascita, e che cos'è la nascita secondo la fede cristiana? Il dies natalis, secondo la fede cristiana, è il momento della nostra ultima Pasqua, quando morendo lasciamo la vita. Noi vedremo Dio faccia a faccia, quando usciremo dal grembo di Dio, nella vita eterna, ma finché siamo pellegrini in questo mondo, la nostra ricerca di Dio è una ricerca nella notte. Noi siamo nel grembo: questo è, allo stesso tempo, l'aspetto tragico e dolcissimo, pieno di gioia della vita cristiana: l'aspetto tragico, perché noi in certi momenti lo vorremmo vedere, Dio. Chi di noi almeno una volta nella vita non ha detto: "Perché, Signore?" davanti al dolore, al male, ad una sofferenza, e non è una bestemmia. S. Alfonso, che è stato il più napoletano dei santi, oltre ad essere il più santo dei napoletani e che è stato uno degli autori più pubblicati al mondo, diceva una cosa saggissima: "Chi soffre molto e bestemmia sta dicendo le litanie!" La domanda di Dio, nell'assenza di Dio, fatta da chi soffre e ama Dio, non è bestemmia. Dunque, l'assenza di Dio sperimentata dolorosamente fa parte della fede, ma nello stesso tempo il credente sa che Dio c'è, che Dio è il grembo accogliente e caldo della vita, in cui nascondersi nello Spirito. E' il paradosso che vorrei ripetere al primo amico che ha fatto la domanda sulla felicità: mentre siamo nella notte, siamo nella luce; mentre siamo nella morte siamo nella vita; mentre cerchiamo Dio, siamo posseduti da Dio; mentre siamo pellegrini, siamo nella patria. C'è da impazzire. Questo è il Cristianesimo. Qualunque semplificazione che voglia ridurre uno dei poli, banalizza il Cristianesimo o in una religione edificante o in una illusione consolatoria.

 

- Voglio dare lode al Signore per aver partecipato a questa conferenza, perché lei trasmette una luce. Dobbiamo essere attenti ai segni del Signore, a quello che ci dice in ogni istante della nostra vita, perché solo ricevendo questi segni, il Signore ci dà la gioia, già da ora. Ma i segni del Signore non riusciamo a comprenderli: bisogna essere semplici, con parole molto povere e questo può portare a comprendere la volontà del Signore.

 

Don Bruno - Questo mi faceva venire in mente una cosa. Stamattina sono andato a trovare il nostro vecchio padre, il Cardinale Ursi, che io amo in modo profondo, quest'uomo di novant'anni: è stato un momento bellissimo. Ora che non ha più i doveri di governo è un padre molto tenero; pensate che noi abbiamo un appuntamento quotidiano, nel momento dell'epiclesi della Messa: lui prega per me e per Max Thurian, ed io per loro; nonostante la sua età e i suoi malanni -non può più muoversi- è veramente pieno di gioia; ed è la gioia della fede, perché quest'uomo vive profondamente di Dio; ed è la gioia della passione per la Chiesa, per il mondo, perché quest'uomo continua a sognare l'annuncio del Vangelo e si sforza di viverlo. Perciò credo che qui è il segreto: avere una profonda passione per Dio e una profonda passione per gli altri, e questa è lo Spirito che suscita in noi. Ecco perché noi dobbiamo invocare il dono del Consolatore; ma, attenzione, consolatore può essere frainteso come qualcuno che viene a risolvere i problemi, invece Paraclito, Colui che chiami da presso, è Colui che ti sta vicino anche nei tuoi problemi, non te li risolve, però ti aiuta a portarli, ti dà la capacità di guardarli con un cuore nuovo. Questo è il Paraclito, termine greco che esprime meglio il senso della fedeltà. Ci sono persone che da anni chiedono a Dio grazie che non hanno ottenuto, ma siete proprio sicuri che non hanno ottenuto un'altra grazia, se mantengono viva la fede, la più importante di tutte? La grazia non è una guarigione, la soluzione dei problemi; la vera grazia è anzitutto che noi continuiamo a credere in Dio anche nella notte della sua assenza. Questo lo Spirito ce lo dà, ed è questo il dono; il resto passa nella scena di questo mondo, è quando tu continui a credere in Dio e trovi anche la forza di impegnarti anche per gli altri in umilissimi ma veri gesti di impegno, di carità, di attenzione agli altri. Perché Dio non ti lascia in pace, se credi veramente in lui, Dio ti spinge alla condivisione, al servizio. Questa mi sembra che sia la gioia; proprio per questo ha un aspetto tragico, perché è fatta di assenze, di appuntamenti mancati, di attese notturne del volto di Dio. Allora in questo pellegrinaggio sii esigente. Noi abbiamo bisogno di essere colmi dello Spirito: questo significa Parola di Dio, questo significa Eucarestia, il Pane della vita, dello Spirito che trasmette il dono, questo significa il perdono del peccato. C'è gente credente che o prega poco o non prega, che viene all'Eucarestia; perché? Abbiamo tutti talmente bisogno del fuoco dello Spirito, per aprire i nostri occhi. Quando questo avviene, anche il rapporto con gli altri, la nostra lettura della storia diventa di Cristo. Tu sarai fino in fondo nel cuore della storia, se sarai fino in fondo nel cuore di Dio, perché il cuore di Dio è il cuore che apre gli occhi sul mondo, è lo Spirito di verità, è il Paraclito. Chiudiamo ed affidiamo a Dio questa Settimana santa, perché sia una settimana secondo lo Spirito, una settimana dunque di inquietudine e di gioia. Che il Signore vi turbi, vi inquieti, vi sconvolga e vi dia la sua pace! Sono due aspetti dell'unico paradosso cristiano.

 

Don Giuseppe, parroco di Piedigrotta - Io ho goduto, anche perché c'è una realtà che è in ognuno di noi, a volte un po' nascosta, ma messa alla luce da un fratello d i fede, che in qualche modo ha conosciuto i segreti della scienza e dell'esperienza, ecco un momento così forte, così profondo, di godimento spirituale. E si avverte quanto abbiamo bisogno non tanto di parlare, quanto di vivere la realtà che è lo Spirito. Soltanto chi ne fa l'esperienza è capace di parlare, e allora credo che questa scienza Bruno ci ha comunicato, ma ci ha dato anche l'esperienza dell'incontro, del dono; del fuoco dello Spirito. Per questo, tante grazie!

 

Don Bruno - Allora ringraziamo insieme Dio, invocando lo Spirito, con due voci: una di occidente e una d'Oriente.

Quella di Occidente è di una grande ebrea, morta ad Auschwitz però diventata prima cristiana e carmelitana, che dice: "Chi sei, luce che mi inondi e rischiari la notte del mio cuore? Tu mi guidi come la mano di una mamma; se mi lasci, non saprei fare un sol passo. Tu sei lo spazio che mi circonda e mi protegge, Tu più vicino a me di me stessa, più intimo a me dell'anima mia, eppure Tu sei intangibile e infrangi le catene di ogni nome, Spirito Santo, eterno amore."

E l'altra voce, di Oriente, S. Simeone, quello che parla della Kenosi dello Spirito: "Vieni, luce verace; vieni, vita eterna; vieni, mistero nascosto; vieni, speranza che vuoi salvare tutti; vieni, resurrezione dei morti; vieni, potente che tutto compie e trasforma; vieni, respiro della vita mia; vieni, consolazione del mio cuore umile". Amen. Buona Pasqua!

 

ASSOCIAZIONE " I RAGAZZI DI DON GIUSTO"

BASILICA S. MARIA Dl PIEDIGROTTA - P.zza Piedigrotta, 24 - NAPOLI - Tel 0811669761

 

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