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"Famiglie Insieme"

Incontro del 3 giugno 2012

ai Dehoniani di Marechiaro

a chiusura dell'anno pastorale

(clicca sulle foto per ingrandirle)

Riflessione di don Giovanni

Corro verso la meta (Fil. 3,7-16)


In un clima di comunione fraterna e confidenziale, Paolo scrive della prigionia molto probabilmente ad Efeso dove restò per circa tre anni e visse tra gravi difficoltà, come appare dalle parole "ho combattuto e difeso contro le belve" (1 Cor. 15,32), e "abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte" (2 Cor. 1,8). Donando alla comunità, che aveva fondato non molti anni prima, la propria esperienza intima, rivela i passi del suo itinerario verso Dio, e afferma che le tribolazioni sono le circostanze di un disegno di Dio su di lui che si va proponendo e realizzando.
Questo disegno è l'unione con Dio, la santità. Un cammino di perdita e di guadagno, di ostacoli e violenze subite, ma di graduale avvicinamento alla meta gli si manifesta, gli appare nelle circostanze apparentemente soltanto negative.
Così comprende che i titoli della sua storia personale si svuotano di contenuto "a motivo di Cristo" e specifica "ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore".
Ne viene una chiarificazione interiore che si esprime come una sintesi: "dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta".
E ne viene una nuova sensibilità per quanto riguarda la formazione spirituale dei cristiani: "tutti noi dobbiamo avere questi sentimenti... Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo. Fatevi miei imitatori".

Come? Uno scritto di Chiara Lubich del 1978, lo dice: "Osservare i comandamenti, adempiere i doveri del proprio stato, ascoltare la voce della coscienza dove è Dio che parla. E far ciò con sempre maggiore perfezione. Allora anche una mamma che deve svolgere i lavori di casa, anche l'operaio all'officina, anche le lavoratrice alla catena di montaggio, anche l'ammalato nel suo letto, anche il bambino, anche il vecchietto, anche il padre carico di affari, anche il poliziotto, anche l'artista, anche lo stradino, anche il missionario, anche lo scrittore, anche la domestica, anche il barista, anche lo sportivo, tutti, tutti possono farsi santi, perché tutti possono fare la volontà di Dio. Questa strada di santità è via per la messa" (la dottrina spirituale p.114).

L'ascolto della coscienza - ce lo ricordiamo con semplicità fraterna ma con la chiarezza che si deve al servizio della verità - in cui è Dio che parla, costituisce nel suo disegno su ciascuno, e perciò nella realtà della vita di coppia e di famiglia che in coscienza si è scelto come propria verità di vita. Questa verità è perciò la via di realizzazione del Regno di Dio nel particolare che la famiglia di ciascuno è, nella sua irripetibilità, ed è il cammino di santità di ciascuno. Una via da percorrere con fedeltà, non solo nel senso morale che siamo abituati a dare alla parola "fedeltà", ma fedeltà al disegno di Dio nella memoria riconoscente del dono ricevuto e delle caratteristiche che l'hanno identificato all'origine e accompagnato nel corso del tempo e arricchito con la creatività.

L'invito di Paolo a seguirlo nel suo correre incontro al Signore, nel tempo nostro ha trovato attualizzazione in quanto Giovanni Paolo II augurava a tutta la Chiesa all'inizio del terzo millennio, quando proponeva ai credenti: "è ora di riproporre a tutti con convinzione questa misura alta della vita cristiana ordinaria. Tutta la vita della comunità cristiana e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione (N.M.I, 31).

Mi sembra di poter proporre a voi, in questa sosta illuminata dalla luce della Trinità che celebreremo nell'Eucarestia, l'invito a riflettere un po' sulla "misura alta della vita ordinaria" a livello della vita individuale, a quello della relazione familiare, alla disponibilità - anche questo è un livello che appartiene oggi alla famiglia fedele al vangelo del matrimonio - a farsi carico dell'amore fragile e ferito che incontriamo sempre più frequentemente.

Ha detto qualche giorno fa il card. Scola, arcivescovo di Milano, a proposito della conferenza mondiale delle famiglie: "Non basta dire che la voglia di famiglia resiste e che la paternità e la maternità mantengono tutta la loro insostituibile funzione. Si deve con onestà riconoscere alla famiglia il carattere di risorsa per la persona e per la società, anche solo per immaginare il futuro (Corriere della sera 30/5/2012).

Allora uno sguardo brevissimo a tre livelli:
1) Il livello individuale richiama l'insegnamento di J. Maritain. Diceva che una nuova fase della civiltà incomincia sempre dal porsi del soggetto. Bisogna vigilare sulla stanchezze che abbassano la misura del dono e rendono scontata e perciò mediocre la quotidianità. Bisogna vigilare sui mutismi, che sono causa e frutto del logoramento. Bisogna non arrendersi al psicologismo che conduce ad avvolgersi e rigirarsi senza fine in quelli che significatamente vengono chiamati i "labirinti". L'eccesso della preoccupazione di sé, gradualmente rende la vita ripiegata, incapace di vedere l'altro e di uscire dal proprio spazio, occupato da sè, per andargli incontro.
Il labirinto non è nei dedali paurosi dei vicoli del centro storico, dell'anticaglia e del lavinaio. E' nel proprio io, quando viene ingigantito al punto che si appanna fino a sparire la coscienza del dono; perché la preoccupazione di se diventa un assoluto, come appare nel tentativo del maligno con l'ultima tentazione al Signore sulla croce "salva te stesso.. pensa a te!" Solo l'adorazione di Dio, l'ascolto di Lui, la preghiera umile, il guardare in alto, fa uscire dal labirinto, permette a Lui di restituire il suo disegno per ricominciare ad amare. Questo è il discorso più urgente, a livello individuale, per non retrocedere.
Così si può guardare al livello familiare, al rapporto di coppia, con pace e fiducia, senza che la complessità intimorisca a scoraggi. E ancora, alla genitorialità  su tutta la sua ricerca faticosa dell'identità dei figli, bambini, adolescenti, adulti quasi costretti ad essere in ritardo con la vita nella situazione sociale che viviamo. La famiglia può essere l'ambiente ordinario dove la vita cristiana può raggiungere la "misura alta", nella decisione libera e condivisa di amare per primi, di amare sempre, di amare senza preferenze ognuno di quanto le appartengono, liberi da schematismi e progetti. Vieni da pensare alla pianta tutta verde da cui nasce un fiore rosso, dai rami duri e spinosi su cui fiorisce una rosa dai petali carnosi e vellutati!
Ma occorre la decisione libera di amare nella libertà da se stessi, e questo è possibile soltanto se si è decisi di andare contro se stessi nei momenti di ritorno dell'individualismo, e oltre se stessi anteponendosi l'altro nella sua diversità.
Quando la libertà che diventa amore è condivisa, almeno in senso morale e con il desiderio sincero, allora la famiglia può essere "giardino", l'ambiente che Dio Creatore ha preferito e donato ai primi uomini: lì la diversità dei colori è fonte di armonia e pace.

2) Il livello del farsi carico. Se si è attenti a considerare la vocazione personale e quella della coppia e della famiglia come un dono che il Signore fa all'umanità. allora il nostro essere "famiglie insieme" assume uno spessore di significato e di comunione che, anch'esso, deve essere abitato dalla "misura alta" e dalla decisione di amare l'altra famiglia nella diversità del suo fiorire che arricchisce la bellezza dell'insieme. E' il nostro piccolo contributo alla fraternità, alla presenza della Chiesa nel mondo come famiglia di Dio, alla preghiera di Gesù per l'unità. Dobbiamo crescere in quest'unità che si manifesta nella comunione della Parola di Dio, spezzata e condivisa fraternamente.
Dobbiamo crescere nella semplicità di rapporti umani che l'appartenenza al Signore rende diretti, senza invadenza ma anche senza essere paralizzato dalla timidezza. Crescere nella corresponsabilità che avvertire da tutti la sofferenza di ciascuno, ricordando la prima comunità dove l'amore era così forte che "non c'era nessun indigente".
Bisogna crescere fino ad essere liberi responsabilmente di utilizzare per l'insieme il piccolo fondo che siamo abituati e pensare per l'adozione.

3) Infine, l'oltre dell'amore ferito appartiene all'amore che si fa carico. La proposta di incontro con persone che vivono situazioni matrimoniali difficili, di separazione e divorzio, stenta molto a decollare. Certamente, si può comprendere la difficoltà a ritenere utile incontrarsi con il rischio di piangersi addosso, ma i segni di buoni rapporti e di condivisione ci sono e sono segni positivi che danno sostegno nel peso della solitudine, e assicurano la fiducia.
Forse "famiglie insieme" potrebbe fare qualcosa di più per individuare e invitare persone che potrebbero essere coinvolte e forse non hanno il coraggio di farlo di proprio iniziativa.
Forse, in questo gruppo, può emergere qualche indicazione. Certamente, lo sento con forza, la realtà dell'amore ferito appartiene al nostro "insieme" che non è fine a se stesso, ma dono per l'umanità.

Questa giornata, più distesa di quanto non permettono gli incontri mensili, è un'occasione di grazia per interrogarci sul nostro "correre" verso la meta senza appesantimenti derivanti dal passato che ciascuno ha vissuto.
Maria ha corso verso Elisabetta per condividere il dono di Dio in lei, ha portata il Signore che è pace e gioia.
Chiediamole il dono della libertà del cuore, della mente, per essere dono all'umanità.

 

Interventi dopo la meditazione

Rosalba: Cosa ci crea le difficoltà? Il nostro volere che le cose si svolgano in certo modo. Che immagini avere, cosa ci può guidare nel corso della giornata.

Gigi: Viviamo a volte in una deriva psicologica. Per esempio svegliarsi contenti la mattina anche senza precisare un motivo. E' in questo modo più facile ascoltare gli altri. Ci manca sempre qualcosa. E tutti i doni che abbiamo avuto? Una risposta è nel rapporto che si ha con Dio, in una preghiera di ringraziamento. E' qualcosa dentro di noi che deve cambiare.

Brunella: A proposito di doni e ringraziamento io e Pino dovremmo ringraziare, proprio oggi, a distanza di un anno. Quel mese trascorse per noi poi in modo fluido, perché ai problemi si affiancano sempre gli aiuti.

Franco: puntiamo sulla straordinarietà dell'ordinarietà. Siamo sollecitati a fare chissà che cosa, ed invece il nostro vivere ordinariamente che ci aiuta a camminare in avanti. Affidandosi alla provvidenza.

Silvana: la cosa straordinaria nell'ordinario è amare senza misura che diventa difficile  quando c'è un rapporto intimo. Amare senza misura anche quando si viene maltrattati e non è facile. Penso molto a Santa Monica che ha convertito il figlio ed il marito senza niente in cambio. Quando dall'altra parte c'è il silenzio alla risposta, si deve continuare ad amare senza misura. Una madre è capace di spogliarsi di tutto; un rapporto veramente personale diventa sempre più difficile perché occorre spogliarsi di tutto.

Fulvio: Ci voleva una proposta come quella di oggi: il considerare la festa anche come giorno del Signore. La nostra meta è l'unità con Dio e questa vale per tutti. La santità è una meta di tutti. Ogni creatura è unita al creatore. Ci doveva quindi essere una proposta forte quale è la nostra meta. Se si ha la pace interiore si risponde in un modo diverso. Noi sappiamo che c'è un Dio che ci vuole bene al di sopra delle nostre debolezze. In questa consapevolezza si cresce insieme; anche nei momenti di buio dobbiamo vedere una luce. Bisogna crescere perché ogni momento ci può far diventare santi.
Sentirsi insieme nel gruppo. Cerchiamo di scambiarci la nostra anima per metterla in comune; è un momento prezioso di condivisione. In tutti ci dovrebbe essere una pulsione a metter in condivisione, ci sia un fuoco che ci brucia dentro.

Linda: ringrazio don Giovanni perché non sempre ci sollecita a fare un esame di coscienza. A prendere in considerazione le necessità degli altri vigilare sui mutismi e sui bisogni. Dobbiamo stare con le antenne pronte per captare i bisogni intorno a noi e dare agli altri non solo il nostro sostegno economico ma anche le nostre disponibilità.

Giovannella: sono stata colpita dal discorso di questa mattina specie nella sua progressione. Io sono più introversa, penso a me stessa come punto di partenza e rapporto personale con Dio. L'io deve instaurare un rapporto di fede e non di psicologismo. Non partire dalla norma. In un adolescente l'io deve essere creato ed aprirsi, non dobbiamo cercare via di fuga sia nel rapporto personale sia di coppia.
Percepisco che se si sottolinea nella propria vita i doni che si sono ricevuti, questo può diventare irraggiungibile per un'altra persona. Dobbiamo evitare di diventare qualcosa di distante. L'apertura ci deve aiutare a capire che le vie sono infinite.

Franco: Dio è presente nell'ordinario. Questo ci dà fiducia e ci rende felici.

Resoconto dell'anno trascorso e proposte per il nuovo anno:

Fulvio: I momenti liturgici, in cui ci presentiamo come gruppo, quest'anno non sono andati bene; vanno organizzati in maniera più coinvolgente. Stessa cosa si può dire del film: occorre verificare se è una strategia giusta.
Per gli argomenti dell'anno possiamo considerare l'educazione in famiglia, non solo per i figli ma anche tra coniugi, riprendendo quanto proposto quest'anno nel cammino del centro profetico, o l'educazione alla fede, in linea con l'anno della fede della Chiesa italiana.

Franco: invitare i nuovi a momenti più semplici anche per creare familiarità

Silvana: nei momenti della liturgia dobbiamo essere più visibili. Negli incontri ai dehoniani, tale visibilità è molto importante: stare vicini per mostrare l'essere gruppo.

don Franco: sarebbe importante che tutti i gruppi confluiscano in parrocchia: per esempio all'interno della celebrazione delle 10.30 che non è per i bambini ma per le famiglie, di cui i bambini fanno parte. Occorre coinvolgere tutte le famiglie nella pastorale parrocchiale. E' importante sfruttare i momenti parrocchiali per essere presenti. La nostra comunità è uno scrigno di perle preziose che brillano di luce propria mentre devono diventare un insieme. La vocazione della famiglia alla santità deve essere una santità laica in cui dentro c'è la fede.
La validità di una proposta non è misurabile solo dalla risposta. Fermo restando che la proposta è valida, a volte ci troviamo di fronte a famiglie che non hanno interesse alla proposta. Quindi occorre porre attenzione a chi facciamo una proposta. Forse il modo di proporsi va modificato, per esempio piuttosto che annunciare dall'altare un avviso, distribuirlo all'uscita della messa per stabilire un contatto fisico, di persona. Ricordiamoci che il cristianesimo è un contagio, è l'incontro con qualcuno.

don Giovanni: i separati fanno parte della comunità e non di un gruppo a parte. Farli entrare nel gruppo famiglie deve essere una meta anche se i tempi potrebbero non essere ancora maturi.

Tonino: il tema per il prossimo anno può essere la fede, ma andrebbe inserito nell cammino parrocchiale dell'anno. La difficoltà di coinvolgere le persone può essere superato con contatti personali; piuttosto la mia perplessità e di coinvolgere troppe persone. Consideriamo che quando si arriva in un gruppo già formato, che ha fatto un cammino insieme, ci si può sentire spaesati. Una realtà anche se aperta può trovare difficoltà a creare accoglienza. La varietà degli incontri può migliorare la qualità. La meditazione di don Giovanni alla fine può essere meno produttiva perché si perde lo spunto.Invece voci nuovi che si alternano possono portare nuove riflessioni.

Giovannella: stamattina abbiamo messo l'accento sul recupero delle famiglie in difficoltà; occorre creare una metodologia che accolga chi viene per la prima volta. Mi sembra di percepire che ci sia bisogno di azzerare l'esperienza che ciascuno ha all'interno del gruppo per non far sentire a chi arriva per la prima volta e può sentirsi minoranza.

Francesca: è importante il contenuto, ma è importante anche un linguaggio semplice e comprensibile.

Linda: linguaggio semplice anche del sacerdote.

Maria: occorre ritrovare il senso dell'incontro; quando introduce don Giovanni, tutta l'assemblea si mette in sintonia con la Parola di Dio. Farla alla fine il pensiero può essere banalizzato e divenire quasi un racconto o un commento all'incontro. Come cristiani dobbiamo avere la parola di Dio sotto il braccio. In qualunque momento posso utilizzare per la mia vita la parola meditata . Se si cammina con la parola di Dio, in ogni momento si è inspirati a come comportarsi. Il cammino diventa subito per l'altro perché viene immediato come comportarsi.

 

 

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"Famiglie Insieme"

Incontro del 25 - 26 giugno 2011

a Benevento

a chiusura dell'anno pastorale

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Riflessione di don Giovanni

La Sapienza alla luce del Vangelo

1.
In una sensibilità condivisa del pensiero ebraico con altre culture orientali antiche, in senso ampio sapiente è chi ha avuto una buona riuscita nella vita, chi è osservante delle regole di buona educazione nei rpporti sociali, chi è cresciuto in saggezza come frutto di esperienze, sia per profondità sia per numero.
Questa esperienza insegna la realà dei propri limiti, la necessità di riconoscerli, perciò il sapiente si apre a Dio:
“All’uomo appartengono i progetti del cuore,
ma dal Signore viene la risposta” (Pr. 16,1)

L’uomo sapiente impara a poggiarsi su Dio nella convinzione che la vera sapienza si trova in Lui:
“In Lui risiedono sapienza e forza,
a Lui appartengono consiglio e prudenza (Gb. 12,13)

Dopo l’esilio la Sapienza è avvertita come vivente e personalizzata. Accompagna la creazione del cosmo con la sua presenza, lascia le impronte di se in ogni realtà, si fa intuire come disegno divino su ogni cosa, nascosto in Dio.
E Dio comunica la sua Sapienza a chi vuole. Perciò è un dono e può essere ricevuto da chi vive il “timore di Dio” cioè rispetta la sua volontà nel disegno nascosto (1Re, 3,5-10). Sarà la Sapienza a comunicare agli uomini l’intelligenza profonda della raltà (Sap. 9,4).
Salomone la domanda per se, ma la Sapienza non è esclusiva: “siede alle porte della città ... nei crocicchi (Pr. 8,1-356), perciò dove gli uomini si incontrano nella concretezza della vita, e possono trovarla e ascoltarla nell’incontro fraterno; si è “costruita una casa dove imbandisce una mensa” (Pr. 9,1-6), che fa pensare a rapporti non superficiali o frettolosi.

2.
Ma in Gesù c’è una svolta:
preparata dai profeti ma annunciata e realizzata da Gesù:
“perirà la sapienza dei suoi sapienti (di Israele)
E si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti” (Is. 29,14)

S.Paolo dice che questo è avvenuto ed avviene in Gesù Crocifisso, mediante “la parola della croce” (Cor. 1,18)
Si tratta di una sapienza rivoluzionaria e scandalizante per la logica umana, anche ispirata religiosamente. Davanti al Crocificisso: “dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? (1Cor. 1,20)
Il Crocifisso rivela la “stoltezza” della sapienza del mondo.

Paolo non vuole disprezzare la razionalità umana, ma la sua esperienza di fede dice che se l’uomo vuole conoscere la verità definitiva su Dio, e perciò anche su di se, deve entrare in un’altra logica, che è quella del Crocifisso.
Anche l’uomo religioso, eticamente morale, saggio nei comportamenti, deve cambiare mentalità, “rinascere” (a Nicodemo in Gv.3) per accettare un Dio che si autorivela in un Crocifisso, quando la stessa scrittura definisce “maledetto” l’uomo che pende dalla croce. L’uomo credente non deve scandalizzarsi della croce.
Così si svela, agli occhi di Paolo, la vanità oggettiva di tutti i sistemi filosofici e religiosi costruiti dall’uomo con rettitudine, che però non raggiungono l’obiettivo.
Questo obiettivo è solo dono di Dio che si auotcomunica “per mezzo dello Spirito che conosce anche la profondità di Dio” (1Cor. 2,10).
E’ una verità che si sperimenta nei mistici (Francesco d’Assisi, Tommaso d’Aquino, Chiara Lubich: “io sarò il tuo maestro” quando con sofferenza dovette rinunciare a studiare filosofia).
Perciò tutto è dono di Dio, che opera nel credente come una creazione nuova, facendone una creatura nuova (2Cor. 5,17).

3.
Che cosa si comprende nel Crocifisso?
La capacità di Dio di abbassarsi, di “annullarsi” fino a non essere più riconoscibile, porta a non poter più pensare ad un rapporto con Lui di natura “utilitaristica”.
Questo abbassarsi che scandalizza anche l’uomo religioso per la idea che si è fatto di Dio, apre la porta alla rivelazione della verità e della profondità dell’amare di Lui. E in Gesù Crocifisso è data all’uomo la possibilità di comprendere la propria verità, la propria lontananza dalla santità di Dio, e sperimentare che quell’abbassamento di Gesù lo raggiunge e lo fa essere vivo in modo nuovo, in modo e al punto che, nel lasciarsi raggiungere, più niente separa Dio dall’uomo e l’uomo da Dio (Rm. 8,31).
(l’esperienza personale dei “difetti” che restano, come “meglio” per un rapporto con Lui, meno fantasioso e sentimentale)

La coscienza della lontananza diventa esperienza dell’amore personale di Dio che introduce nella sua intimità, perciò per una “nuova creazione”. Questa la Sapienza di Dio e questa la strada per entrarvi e viverla.
Così l’insufficienza, l’incapacità non sono più ostacolo:
“quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccelenza della parola e della sapeinza” (1 Cor. 2,1)
L’altra faccia della debolezza umana del Crocifisso è la forza di Dio.

La fede dei credenti perciò non poggia sul fascino dell’apostolo, ma sull’azione dello Spirito nel cuore degli uomini. Tutto quello che è debolezza, sofferenza e limite, nel credente diventa spazio in cui Dio entra e invita l’uomo alla partecipazione nella gravidanza e nel parto di un mondo nuovo.
Gesù Crocifisso è il nulla, il non essere che permette la relazionalità all’insegna dell’Essere abbassato di Dio.
(Nota: per i paragrafi 1, 2 e 3 cfr. G. Rossé in Nuova umanità, n° 182/2009)

4.
Sapienza e famiglia
“la Sapienza si è costruita la sua casa (Ps. 9,1)
La riflessione precedente porta, quasi con naturalezza, alla famiglia e alle sue problematiche.
“Nell’orizzonte della comunità cristiana, la famiglia resta la prima e indispensabile comunità educante (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 36).
Nella famiglia la Sapienza vuole costruire la sua casa. Quale famiglia?
“padri e madri faticano a proporre con passione ragioni profonde per vivere e, soprattutto, a dire dei «no» con l’autorevolezza necessaria” (ivi).

Uno sguardo al “dentro” delle case in cui abitano le famiglie di tradizione cristiana, in cui la sapienza vorrebbe imbandire la sua mensa, porta alla constatazione del silenzio su Dio, e - a volte molto dolorosamente – al silenzio di Dio.
Le difficoltà a gestire il condizionamento che è operato dalle altre “agenzie educative” può condurre alla rinuncia a proporre, particolarmente per quanto riguarda religiosità ed etica. Così si avvera la realtà di quel silenzio.
Tuttavia la famiglia mantiene la sua “responsabilità primaria” per la trasmissione dei valori e della fede. E’ una responsabilità che caratterizza la famiglia come unica, non sostituibile, e prima comunità educante.
Perciò appartiene al “dentro” delle nostre famiglie l’interrogarsi sul mdo di vivere la fede, la preghiera, la valutazione degli avvenimenti in modo esplicito e tuttavia non opprimente (ivi, 37)

Lo sguardo allargato al “fuori”
Non lasciarsi avvilire dall’enfasi della comunicazione, ma interrogarsi concretamente, non tanto a livello di ulteriori impegni personali, ma anche come gruppo, come “famiglie insieme” su come educare alla fede “nel nostro tempo, nella nostra società, e nella comunità cristiana, nei vari momenti della vita” (ivi, n.37).
La tensione a fare della comunità una “famiglia di famiglie” (n.38)
 

Appunti presi nel corso della meditazione

Il sapiente è molto valutato nella cultura antica. L’uomo sapiente non si pensa solo nel mondo e dimostra umiltà nel suo considerarsi. Nella Scrittura infatti la Torre di Babele è un segno di insipienza, un invito a riconoscere i propri limiti.
La Sapienza non è solo un’impostazione di vita; essa si posa su Dio; essere sapienti è un segno di benedizione.
La Sapienza non è palese all’uomo ma nascosta in Dio. La forma più alta della Sapienza è la contemplazione. E’ quindi un dono per chi vive il timore di Dio, che è uguale a vivere in comunione con Dio.
La Sapienza va chiesta a Dio nella preghiera (preghiera di Salomone).
In Gesù c’è un cambiamento di logica: non più solo la vita, la terra, la fecondità. L’uomo accoglie l’abbassamento di Dio fino al livello dell’umanità. Bisogna rinascere, dice Gesù a Nicodemo.
La Sapienza non è ottenere favori dal Signore; la benedizione non si misura in quello che si ottiene. Gesù chiede di non scandalizzarsi davanti al crocifisso. Si ha il contrasto tra la Sapienza di Dio nell’amore donato e la stoltezza umana nel bene cercato.
Ci sono esperienze forti nella spiritualità cristiana: Francesco sente “va e ripara la mia chiesa”; alla chiesa deve far capire che la vita nei grandi monasteri e nelle cattedrali era significativa, ma rischiava di restare lontano dalla vita reale. I contadini dei campi erano in tal modo non raggiungibili: occorreva mettere da parte i libri per accogliere la gente umile.
Poco tempo dopo san Tommaso d’Aquino sente davanti al Crocifisso che la sua teologia poteva diventare astratta se non si faceva carico dei poveri: ed allora predicò in dialetto.
Chiara Lubich voleva studiare la filosofia ma non ne ebbe la possibilità. Nella preghiera sentì la voce del Signore che le disse: “io sarò il tuo maestro”. La Sapienza non viene dalla cultura ma dall’arrendersi a Dio.
Cosa impariamo dunque dal Crocifisso: la scelta di Dio di rivelarsi attraverso l’abbassamento fino a non essere più riconoscibile.
La logica del “prego il Signore perchè mi faccia un favore” viene superata. Dio si manifesta piuttosto come amore gratuito e la Sapienza quindi non è arrivare al tutto in maniera completa. Guardando il Crocifisso dobbiamo dire sì alle nostre negatività accettando i nostri limiti. L’altra faccia della debolezza del Crocifisso è la forza di Dio. Tutto ciò che è limite è lo spazio in cui Dio si inserisce.
Nel documento del Papa al termine del sinodo dei vescovi sulla Parola si dice: “il silenzio di Dio prolunga le sue precedenti parole”.
Dobbiamo portare la Sapienza umana verso la Sapienza del crocifisso.
La famiglia resta la comunità educante: “la Sapienza si è costruita una casa”.

Come famiglie dobbiamo chiederci come viviamo questa realtà. Al di fuori delle nostra case il mondo della famiglia ci appartiene.
 

Commenti sull'anno trascorso

La tematica scelta per l’anno 2010-2011, “Farsi Carico” ha mostrato una duplice faccia: da un lato un interesse per i temi proposti e per l’attenzione alle realtà del territorio, dall’altra l’allontanamento da temi strettamente della famigllia.
Ecco alcuni commenti avuti nella discussione.

Carmen: Famiglie Insieme non è un gruppo aperto solo alle famiglie di Piedigrotta; io che vengo da fuori parrocchia e non vivo la realtà di questo territorio, non mi sono sempre ritrovata. Gli altri anni la tematica familiare mi ha coinvolto di più. Avendo una figlia nell’età dell’adolescenza vorremmo di più confrontarci con altri su questi problemi

Eleonora: Ho sempre visto nelle persone presenti all’incontro delle vocazioni che si stagliavano in modo netto, indipendentemente dal cammino dell’anno. La diversità nell’età creava coesione, desiderio di emulazione. Dopo tanti anni è stato positivo aprirsi anche ad altri temi, ma in fondo in questo anno non ho visto chiaro l’essenza del gruppo famiglie. Forse noi più giovani abbiamo necessità di approfondire le tematiche del matrimonio.

Maria: Ho trovato il tema di quest’anno forte ma un po’ dispersivo; gli anni in cui abbiamo messo in comune la Parola partendo dal vangelo (le Beatitudini, il Pater Noster) mi hanno dato di più per la mia crescita personale e familiare

Fulvio: Famiglie Insieme non si limita ad una proposta per la parrocchia ma vuole essere aperto a tutti. Però per essere propositivi occorre farsi conoscere. E’ nostra responsabilità che le nostre proposte raggiungano tutti.
Ci stiamo configurando più come un gruppo: con il positivo che ci conosciamo meglio ed il negativo che non vediamo facce nuove; dobbiamo essere più attraenti; oltre gli annunci dobbiamo coltivare il rapporti personali, le occasioni di incontro (genitori dei battezzandi, genitori dei bambini di prima comunione, altre possibilità).
Se perdiamo la dimensione del coinvolgimento ci chiudiamo in noi stessi diventando gruppo ed allontanandoci anche dal disegno della pastorale.
Quest’anno abbiamo fatto un passo avanti nei temi trattati, non dobbiamo dimenticare però l’importanza di dibattere della vita di coppia, perno della vita in famiglia.

Don Giovanni: Ci sono delle positività che devono essere sottolineate. La libertà dalla timidezza che permette di aprirsi agli altri è una crescita che stiamo vivendo, è un segno di maturità. La famiglia sta vivendo momenti di difficoltà, il passo avanti che possiamo fare è di essere annunciatori di una realtà possibile. E’ il territoro dove si celebra l’Eucarestia e il mandato alla fine della Messa ne segna il legame.

Linda: Abbiamo la necessità che il gruppo sia accattivante. Per questo dobbiamo chiederci chi vogliamo essere: penso che debba essere un luogo dove la coppia si ritrova e cresce insieme; altrimenti siamo un gruppo di catechesi per adulti, ed è un’altra cosa. Il programma non deve essere un assillo, possiamo farlo saltare se c’è un problema da risolvere, un aiuto che dobbiamo dare ad uno di noi. Noi siamo consacrati dal sacramento del matrimonio, abbiamo bisogno di una catechesi che ravvivi e confermi questa nostra sacralità. Possiamo farci aiutare dai documenti del magistero per rinnovare il nostro sacramento ed andare nel territorio ad annunciare la realtà di una famiglia che vive il matrimonio cristiano nella propria esistenza.

Don Franco: Famiglie Insieme non è una realtà limitata alla parrocchia ed è giusto che sia così. Il positivo è che diventa un gruppo di persone che si vogliono bene, che vogliono crescere insieme. Non bisogna finalizzarsi a risolvere problemi personali. Occorre portare avanti una tema, avendo occhio anche a tematiche particolari.
Alcune volte forse occorre dividersi in sottogruppi, perchè in tanti non si discute bene. Nella vita parrocchiale occorre anche una propodeutica, una coesione e una collaborazione con le altre realtà della parrocchia. Dall’esterno questà realtà è vista in modo elitario, con discorsi difficili e mancata condivisione.
E’ bello che ci siano diversità ma occorre anche maggiore coordinazione. Il territorio ha bisogno di testimonianza. La realtà delle persone che vivono il territorio è la scarsità della profondità religiosa. Un gruppo di famiglie non può essere diviso per età ma ogni età porta la propria esperienza

Eleonora: E’ una ricchezza anche per i nostri figli vivere insieme la condivisione negli incontri. Per questo anche questi giorni finali hanno un senso e dovrebbero essere valorizzati.

Tonino: Se ci connotiamo ad un cammino solo su problematiche familiari può venire un senso di angoscia. La famiglia non è una comunità chiusa, ripiegata sui suoi problemi; la partecipazione ad un gruppo, per essere testimonianza, deve essere aperta ad un contesto in cui si può sviluppare la propria presenza.

Linda: don Franco ci ha detto che dall’esterno ci vedono come un gruppo elitario; ma se ci realizziamo come ambiente aperto, chi viene per la prima volta cerca qualcosa di specifico per la famiglia. Non dobbiamo perdere di vista la specifico della nostra sacramentalità. Si crea così una difficoltà nel renderci visibili nell’insieme della parrocchia. Chi viene dall’esterno vuole un linguaggio semplice e specificità della spiritualità familiare. Occorre avere più attenzione alla preparazione dell’incontro del sabato ed all’assistenza dei bambini che possono anche essere coinvolti in un cammino parallelo.

Eleonora: Famiglie insieme deve pensare all’insieme della famiglia e non solo alla coppia. Per esempio occorre valorizzare l’incontro di fine anno, vero momento di coesione. Bisogna arrivarci preparati con un gruppo che si dedichi a questa preparazione.

Franco: L’aiuto che una famiglia cerca e può avere dai nostri incontri non è solo risolvere un problema, ma uno stare insieme e condividere. Propongo qualche momento di spiritualità in più con una preghiera insieme. Un altro modo di coinvolgimento sono i film che possono essere utilizzati come un punto di partenza per avviare un discorso.

Rosaria: La festa della famiglia anche può essere un punto di partenza per stimolare un incontro. Io avverto sia l’esigenza di un cammino di spiritualità, ma anche di un apertura verso i problemi nel territorio in cui viviamo. Occorre trovare il giusto bilancamento.

Carmine: dobbiamo guardare agli argomenti dei nostri incontri, illuminandli alla luce di Dio. Con questo sguardo e con la gioia dello stare insieme, non è più un problema di cosa parliamo.

Maria: Per l’incontro finale di verifica, alcuni hanno problemi economici per partecipare ai due giorni previsti. Nei preparativi dobbiamo fare in modo di non escludere nessuno, e quindi preoccuparci per superare questi problemi.

Gigi B.: Famiglie Insieme non può coprire tutto; è un punto di incontro. Per esempio, penso che la spiritualità vada portata avanti in maniera personale e vissuta poi in Famiglie Insieme in modo da portare agli altri di quanto ci si è arricchiti. La crescita di ciascuno, portata in Famiglie Insieme, permette la crescita del gruppo anche all’esterno. C’è bisogna della riscoperta del sacramento; c’è bisogno della condivisione dei problemi e delle gioie; non dobbiamo dare l’impressione che tutto sia troppo perfetto, ma calrci nei problemi di ciascuno del gruppo. Utilizzando quanto già di buono c’è nelle nostre iniziative dobbiamo far sentire tutti coinvolti nel cammino del gruppo.

Fulvio: Famiglie Insieme è comunione, condivisione; dobbiamo mostrare di andare oltre il metodo che ci siamo dati, mostrando elesticità nella sua applicazione; dobbiamo in definitiva dimostrare di poter e saper fare a meno anche del metodo.

 

Proposte ed iniziative per il nuovo anno:

 

Foto della gita a Camposauro che ha preceduto l'incontro per alcuni dei partecipanti

       


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"Famiglie Insieme"

Incontro del 19 - 20 giugno 2010

a S. Antonio Abate

a chiusura dell'anno pastorale

(clicca sulle foto per ingrandirle)

 

 

Resoconto e commenti dell’anno trascorso

 

 

Proposte per il prossimo anno
 

 

Riflessione di don Giovanni

“Farsi carico”

“Disprezzato e reietto dagli uomini,

uomo dei dolori che ben conosce il patire,

come uno avanti al quale ci si copre la faccia;

era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.

Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,

si è addossato i nostri dolori,

e noi lo giudicavamo castigato,

percosso da Dio e umiliato” (Is. 53,3-4)

 E’ la comunità che parla ed annuncia la via del servo, una rivelazione che colma di stupore, quasi incredibile.
Ma la sorpresa e la prima incomprensione (“non ha apparenza di bellezza per attirare i nostri sguardi”, lasceranno il posto a una migliore intelligenza: queste sofferenze sono la “via” per la salvezza delle “moltitudini” che gli appartengono come “bottino”.

“Si è caricato”

Il sacerdozio di Gesù non si pone in rapporto di continuità con la tradizione ebraica, nella quale il sacerdozio, riservato alla tribù di Levi, si esprimeva nel culto esterno che aveva:

E’ un sacerdozio di mediazione, di cui viene soprattutto esaltata la gloria.
Gesù vive un ministero più profetico che sacerdotale:

Annuncia che, tra il servire con riti e separazioni, e il servirlo attraverso la dedizione al prossimo, Dio preferisce il secondo.
L’espressione massima del sacerdozio di Gesù sta nella morte

Così Gesù annuncia che era necessaria non una separazione, ma un’unione stretta con gli uomini per essere mediatore perfetto.
Questa dunque la sua fase ascendente: “dovette essere in tutto assimilato ai fratelli” prendendo su di sé le loro prove, le loro sofferenze e la loro morte.
Non è un rito esterno, ma il “farsi carico”.
La perfezione della sua natura umana è l’opera dello Spirito in Lui che si carica dell’uomo, conseguenza di questo caricarsi: “imparò da ciò che soffrì, l’obbedienza” e fu così che fu reso perfetto (Eb. 5,6).
Per conseguenza inaugura una “via nuova” e “vivente" (Eb. 10) che consente l’accesso a Dio senza le antiche espressioni di ritualità
La passione è la “fase centrale”, il dono dello spirito la “fase discendente” del sacerdozio di Gesù, della sua mediazione perfetta.
La fecondità di essa mette i credenti nella possibilità di partecipare alla sua via, al suo sacerdozio.
Ad essi Gesù propone di compiere fedelmente la volontà di Dio e di progredire nell’amore fraterno attraverso la solidarietà concreta. Questo il culto nuovo proposto ai cristiani nella lettera agli ebrei.

 Il culto cristiano è trasformazione del’esistenza per mezzo della carità, che è il “farsi carico” di Gesù:

Ne viene una concezione alta della vita cristiana: i credenti in Cristo sono “sacerdoti e re” e chiamati ad un rapporto privilegiato con Dio.
Per questo rapporto essi esercitano un’azione determinante nella storia del mondo.
Questa doppia dignità viene presentata dall’Apocalisse come il “culmine” dell’azione di Dio nell’uomo. E’ quello che Gesù aveva preannunciato in Mt. 11, 25-30, concludendo: “il mio giogo è dolce e il mio peso leggero”.

Dalla Lumen Gentium 34-35

Partecipazione dei laici al sacerdozio comune

34. Il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo, volendo continuare la sua testimonianza e il suo ministero anche attraverso i laici, li vivifica col suo Spirito e incessantemente li spinge ad ogni opera buona e perfetta.

A coloro infatti che intimamente congiunge alla sua vita e alla sua missione, concede anche di aver parte al suo ufficio sacerdotale per esercitare un culto spirituale, in vista della glorificazione di Dio e della salvezza degli uomini. Perciò i laici, essendo dedicati a Cristo e consacrati dallo Spirito Santo, sono in modo mirabile chiamati e istruiti per produrre frutti dello Spirito sempre più abbondanti. Tutte infatti le loro attività, preghiere e iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e anche le molestie della vita, se sono sopportate con pazienza, diventano offerte spirituali gradite a Dio attraverso Gesù Cristo (cfr. 1 Pt 2,5); nella celebrazione dell'eucaristia sono in tutta pietà presentate al Padre insieme all'oblazione del Corpo del Signore. Così anche i laici, in quanto adoratori dovunque santamente operanti, consacrano a Dio il mondo stesso.

Partecipazione dei laici alla funzione profetica del Cristo

35. Cristo, il grande profeta, il quale con la testimonianza della sua vita e con la potenza della sua parola ha proclamato il regno del Padre, adempie il suo ufficio profetico fino alla piena manifestazione della gloria, non solo per mezzo della gerarchia, che insegna in nome e con la potestà di lui, ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni provvedendoli del senso della fede e della grazia della parola (cfr. At 2,17-18; Ap 19,10), perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale. Essi si mostrano figli della promessa quando, forti nella fede e nella speranza, mettono a profitto il tempo presente (cfr. Ef 5,16; Col 4,5) e con pazienza aspettano la gloria futura (cfr. Rm 8,25). E questa speranza non devono nasconderla nel segreto del loro cuore, ma con una continua conversione e lotta «contro i dominatori di questo mondo tenebroso e contro gli spiriti maligni» (Ef 6,12), devono esprimerla anche attraverso le strutture della vita secolare.

Gaudium et Spes 52

52. L'impegno di tutti per il bene del matrimonio e della famiglia

…..

I cristiani, bene utilizzando il tempo presente (120) e distinguendo le realtà permanenti dalle forme mutevoli, si adoperino per sviluppare diligentemente i valori del matrimonio e della famiglia; lo faranno tanto con la testimonianza della propria vita, quanto con un'azione concorde con gli uomini di buona volontà. Così, superando le difficoltà presenti, essi provvederanno ai bisogni e agli interessi della famiglia, in accordo con i tempi nuovi.

 

Farsi carico del vangelo del matrimonio e della famiglia

Riconoscere il Signore che si è fatto carico, accogliere la vocazione e seguirlo sulla sua via, significa uscire dalla fase della fruizione e camminare verso la fase della costruzione.
Costruzione di qualcosa di cui non cediamo ancora i lineamenti, per cui spesso siamo preda dei rimpianti e delle nostalgie; qualcosa che appare sempre più urgente. La ri-evangelizzazione di matrimonio e famiglia. Là dove il Signore, ogni volta che facciamo l’Eucarestia, si fa carico di un territorio dove la famiglia appare malata fino alle percentuali drammatiche di quasi il 30% di separazioni, realtà talmente drammatica che non pochi, anche nella Chiesa, sentono di distogliere il volto da essa.

 

Il ventaglio del farsi carico:

Cosa significa per noi “farsi carico” concretamente?

Come “farsi carico”?

“Chi andrà di noi?” è la domanda che viene dall’eternità di Dio. Is. 6: chi andrà di noi… eccomi manda me.

 

 


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"Famiglie Insieme"

Incontro del 20 - 21 giugno 2009

a S. Antonio Abate

a chiusura dell'anno pastorale

(clicca sulle foto per ingrandirle)

Commenti sull’intervento di don Giovanni nell’incontro mensile

 

 

Resoconto e commenti dell’anno trascorso

 

 

Proposte per il prossimo anno

 

 

Proposte già definite.

 

 

Momento di riflessione di don Giovanni

 Tre spunti di riflessione:

 

Gv 15, 9-12

"Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati".

 

Per testimoniare l’amore bisogna capire la parola “come” che Gesù ci propone. Nel cammino che abbiamo fatto è emersa la fatica dell’amore di coppia. Gesù ama la nostra differenza da Lui. Gioca nel campo della nostra umanità, gioca “fuori casa”. L’amore di coppia significa amare la differenza dell’altro/altra. Questo non è un atteggiamento naturale; per questo Gesù dice “come”, proponendoci di realizzarlo anche nella sua difficoltà. L’unità del matrimonio non è la somma di due persone ma l’unione.

 

Mc 4, 35-41

In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: “Passiamo all’altra riva”. E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che moriamo?”. Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”. E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro:” Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?”.

 

Gesù dorme durante la tempesta. Gesù interviene, ma i discepoli rimangono increduli. Dio è infinitamente vicino ed infinitamente lontano perché è tutt’altro. Seguire Gesù è accettare di vivere un’avventura in cui i conti non tornano. Non si può pensare a Gesù solo come colui che ci traghetta in un’altra vita. La solitudine del Signore che dorme sembra toglierci la libertà di poter avere una relazione profonda con l’altro. Sembra che il Signore non abbia a cuore la vita dei suoi compagni. Il Signore dorme perché confida nel Dio suo Padre. La notte è il tempo in cui il Signore vince. L’uomo è sempre amato nel cuore di Dio anche quando lui dorme. La grande pace viene dalla certezza che nella fatica c’è un’azione del Signore. La riva a cui arrivano non è solo il Paradiso dopo la morte ma è la sofferenza dell’umanità. L’uomo della solitudine, l’uomo della sofferenza è la riva che ci appartiene testimoniando l’amore fedele. C’è una vocazione a vivere l’amore anche  in chi vive una condizione di totale negazione dell’amore. Vocazione all’amore di Dio di una vita fedele, amore ad un amore più grande del fallimento. Fino a scoprire di poter pregare anche per un marito che mi ha abbandonato (esperienze espresse nell’incontro dei separati).

 

Mt 6.

Il Signore invita a guardare con un atteggiamento di stupore. Che il Signore non ci tolga la capacità di stupirci. La fine dello stupore è l’inaridimento. Dobbiamo chiedere: “Signore aiutaci a continuare ad emozionarci”.

 

 

 


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"Famiglie Insieme"

Incontro del 21 - 22 giugno 2008

a Mercogliano

a chiusura dell'anno pastorale

 

 

 

 

Da uno spunto di meditazione del Card. Martini sulla personalità di Gesù nel racconto della passione del Vangelo di Giovanni (cfr. Le tenebre e la luce. Piemme 2007).

Gv 13,1-3: È detto due volte “sapendo”; è indicata la coscienza di Gesù, il suo essere consapevole e responsabile. Di che cosa? Il suo destino, “l’ora di passare”, la sua responsabilità “tutto nelle mani”, il suo itinerario “a Dio ritornava”. Questa lucidità interiore gli permette di leggere quello che sta vivendo e di gestirlo, facendolo diventare offerta personale.

Noi non abbiamo, ordinariamente, questa prescienza, ma la preghiera prolungata, il ricorso alla Parola di Dio e il confronto fraterno nel dono di essere un gruppo cristiano che vuol camminare “insieme”, ci aiutano a sperimentare la presenza dello Spirito che, come promette Gesù, ci guida “alla verità tutta intera” (Gv 16,13). La coscienza di Gesù si esprime nel dono di sé in pienezza, “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” realizzando quanto avrebbe soggiunto “nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici” (Gv 15,23). Possiamo comprendere perché aveva proposto come norma, principio antropologico universale, regola del vivere “se il chicco caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24-26). La coscienza di Gesù apre alla luce della regalità “quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Così il “sapere” è consegnato ai discepoli “sapete?” (Gv 13,12), “sapendo” (Gv 13,17). Leggere, rileggere, penetrare… è il nostro compito di credenti. Gesù sa guardare la propria vita, come unità, come totalità da avere nelle proprie mani. Noi raramente arriviamo a questo; più spesso viviamo a segmenti, a stagioni, in senso di tempo e in senso di spazio. Perciò abbiamo difficoltà a considerare la vita come un insieme , in cui tutto sia un unico “viaggio”. Ci ha impressionato in questi giorni l’esempio della madre di uno di noi che ha chiesto la celebrazione dell’Eucarestia nel 50° di matrimonio pur essendo lo sposo morto già da alcuni anni e diceva serenamente “celebriamo insieme, lui di là ed io di qua”. Gesù ci insegna a prendere nelle mani, per intero, la nostra vita, dalle mani di Dio e ad offrirgliela. Così cambia il significato della parola soggetto. Da una accezione di tipo passivo, essere sottomesi come sudditi, alla visione positiva, attiva del diventare soggetto, come di chi vuole quello che Dio vuole, perciò è protagonista della propria vita. Gesù ci insegna a guardare con totalità la vita in ogni suo passaggio accogliendolo e offrendolo come possibilità. È famosa la preghiera di Ignazio di Loyola: “prendi, Signore, e accetta tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto e tutta la mia volontà, tutto ciò che ho e possiedo: tu me lo hai dato, a te Signore, lo ridono, tutto è tuo: disponine a tuo pieno piacimento, dammi il tuo amore e la tua grazia, che questa mi basta”. È dunque nel superamento di sé la chiave del cammino umano, nel senso laico di antropologia e nel senso del progredire e della responsabilità di fede. Capire questo è un grande dono. Rendiamocene conto. Non capirlo può comportare di essere oppressi dalle eventualità della vita , con le ansie, le paure, le frustrazioni. La vita come totalità che si va completando è invece fonte di continuo rinnovamento. E punta a farci persone, che vuol dire donne e uomini in dono.

 

Il cammino di quest’anno andava in questa direzione:

·   l’altro nell’appartenenza reciproca della coppia, l’esodo da sé;

·   l’incontro con le molteplicità derivanti dalle famiglie di origine;

·   l’attenzione trepidante alla trasmissione dei valori ai figli;

·   l’incontro-scontro con la società che pretende l’omologazione;

·   la sensibilità per uno stile di vita sobrio, radicato nei rapporti;

·  la scoperta di non poter vivere la vicenda familiare da soli, perciò la disponibilità a lasciarsi aiutare dall’esperienza di altri a cominciare da quelle dolorose delle stanchezze e delle separazioni. Abbiamo capito meglio che la “festa” della famiglia non è nel chiasso ma nello insieme.

 

Bisognerebbe interrogarsi sul cammino del “compimento della vocazione all’esodo” da noi stessi per vivere il noi di coppia, di genitori, di famiglia, di incontro di famiglie. Questo è il disegno sulla Chiesa: essere casa e scuola di comunione. Quanto la convinzione diventa realtà? Quanto il gruppo diventa “per l’umanità”?

È il cammino che dobbiamo ancora compiere.

 

 


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"Famiglie Insieme" in gita a Roccamonfina

(Santuario della Madonna dei Lattani)

a chiusura dell'anno pastorale

(2 giugno 2006)

 

Il 2 giugno 2006 c’è stato l’incontro di verifica e di programmazione consueto , una GIORNATA INSIEME  nella condivisione e nella fratellanza. Nel Santuario di S. Maria dei Lattani a Roccamonfina abbiamo trovato ospitalità e ambiente adatto per la riflessione, la S. Messa e il momento conviviale, il tutto condotto nell’essenzialità. Ne sono scaturiti una considerazione ed un impegno: l’esperienza di una crescita avvenuta durante l’anno, il ripromettersi di non fermarsi, di tentare il più, il MAGIS (come nel programma spirituale di S. Ignazio), cercando di coinvolgere altri, di proporre, per aiutare e sostenere le coppie e le famiglie.

 

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Tutti insieme

 

Le donne

Gli uomini

 

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