CAPUA

          

Museo Archeologico dell’Antica Capua

 

(S. Maria Capua Vetere) Il Museo Archeologico dell'Antica Capua sorge nel cuore della città moderna, in un'area che nel corso dei secoli ha subito numerose trasformazioni. In età medievale fu innalzata, sul tempio capitolino della città romana, la Torre di S. Erasmo, citata da Erchemperto, un cronista longobardo. Utilizzata come fortezza da Longobardi e Normanni, la Torre divenne poi residenza dei monarchi svevi, angioini e aragonesi. Nel 1278 vi nacque Roberto d'Angiò che la trasformò poi in archivio reale e in scuderia regia: in essa furono sottoscritti importanti atti amministrativi e lì Bonifacio VIII, appena eletto papa nel 1295, sottoscrisse il suo programma politico. Ceduta dagli Aragonesi alla famiglia Gentile di Capua nel 1496, la Torre perse via via di importanza. In una incisione di G.B. Pacichelli del 1703, appare circondata da una vasta area coltivata ad alberi da frutta e difesa da mura, baluardi e fossati.

Agli inizi del 1700 il sito, intorno al quale era sorto il quartiere di S. Erasmo, uno dei primi agglomerati della città moderna, tornò al demanio regio; la Torre venne abbattuta e il resto del complesso fu adattato ad alloggio militare, noto come "Quartiere di Cavalleria Torre". Nel 1848 furono completamente rifatte le scuderie, pavimentate con pietra di Bellona e dotate di magiatoie di travertino. Nel 1864 l'intero Complesso fu assegnato al Ministero dell'Agricoltura e destinato, con il nome di Istituto di Incremento Ippico, a deposito di cavalli stalloni e a sede per la riproduzione e selezione delle razze equine. Si riportano i temi principali contenuti nelle 36 vetrine del museo:

L'Età del Bronzo

L'Età del Ferro fasi I-III

Orientalizzante Medio e Recente

Le Produzioni Artigiane

L'Età Arcaica e Sub-Arcaica

Il periodo Sannitico

La Romanizzazione

I Santuari

 

Orientalizzante Medio e Recente

Dai materiali presenti nelle vetrine concentrate nella sala IV, si coglie come intensa fosse, tra la fine del VII e il VI secolo a.C. l'influenza del mondo greco nella scelta di modelli culturali. Viene ad esempio adottato, dall'aristocrazia campana, il rito dell'incinerazione con la conservazione delle ossa combuste in contenitori ceramici (Vetr. 13, e Vetr. 16) o di bronzo che venivano deposti in casse a dado di tufo. Accanto ai vasi di impasto di tradizione locale si trovano le ceramiche di tipo greco, tra le quali abbondano i modelli protocorinzi e poi corinzi e i vasi in bucchero che, inizialmente importati dall'Etruria, verranno poi ampiamente prodotti sul posto (Vetr 13, 548 e 251 Vetr. 14, 16 Vetr. 15).

Oinochoe

Oinochoe

Altra classe ceramica di questo periodo, ampiamente rappresentata a Capua è quella etrusco-corinzia con il grande aryballos (vetr. 16) e il servizio potorio della T. 1582 della vetr. 18, nella quale si ritrova anche una piccola anfora, di tipo etrusco utilizzata per il trasporto del vino.

La pressoché totale assenza dei lebeti bronzei utilizzati come cinerari, dai Musei italiani a causa della esportazione nel XIX secolo di molti, notevoli corredi rinvenuti nelle necropoli tardo arcaiche di Capua, è in parte stata compensata dal rinvenimento della T. 1426 il cui cratere di tipo laconico e il calderone ad anse mobili sono ora esposti nella vetrina 17.

L'Età Arcaica e Sub-Arcaica

Nelle quattro vetrine della sala VII sono esposti i corredi più rappresentativi del periodo arcaico (575-525 a.C.) e di quello sub-arcaico (525-423 a.C.) che vedono l'apogeo della espansione etrusca in Italia e il declino di quella civiltà ad opera delle città greche di Cuma e poi di Siracusa e Neapolis. Nel corso del VI sec. a.C. si ha un aumento delle importazioni greche, tra le quali caratteristiche sono le "coppe ioniche" o quelle cosiddette "dei Piccoli Maestri" (Vetr. 24 Tomb. 700), per le figurine miniaturistiche che le decorano. Spiccano per qualità artistica i vasi figurati di produzione attica, dapprima a figure nere (Vetr. 25 Tomb. 1394), poi rosse con rappresentazioni di celebri miti, come quello dell'uccisione del Minotauro sull' hydria pervenuta alla Soprintendenza per donazione, nel periodo della grande migrazione dei più notevoli corredi verso i Musei europei e americani, o quello della morte di Memnon (Tomb. 882 vetr. 27), o con raffigurazioni di cerimonie, come la scena delle Lenee sullo stamnos della Tomba 298 (vetr. 27).

Accanto all'incinerazione, che richiama il rituale del funerale eroico, e utilizza come contenitore delle ossa combuste preferibilmente il lebete di bronzo, si continua a praticare l'inumazione, con la deposizione del corpo a volte in casse lignee decorate con appliques che, in terracotta o in osso, imitano la decorazione architettonica di un sacello o di un tempio (Vetrina 26).

Hydria

Hydria

Le locali botteghe di ceramica producono vasi decorati a figure nere, a volte con semplici motivi non figurati che perdureranno anche quando si sarà affermata la tecnica a figure rosse. Nel Museo vi sono esemplari di quella classe ceramica (Vetr. 24 e 25) di non particolare spicco per l'individuazione dell'artefice.

I Santuari

 

Possiamo dire che nell'ultima sala, destinata ad essere modificata con l'imminente ampliamento del Museo, sono presentati i materiali provenienti dagli scavi recenti nelle aree dei più celebri santuari di Capua, quello di Diana Tifatina e quello del Fondo Patturelli. Le ricerche all'interno del primo, sul quale sorge la Basilica di S. Angelo in Formis, hanno portato al recupero di pochi oggetti, scarsi frammenti della decorazione architettonica, tra i quali uno di sima a testa leonina, e alcune medagliette devozionali tra le quali curiosa quella con l'invocazione ai Re Magi dei quali sono ricordati i nomi (Vetr. 33), ma di interessanti dati sulla storia architettonica e strutturale del tempio, del quale è stato riconosciuto un ampliamento nella parte posteriore. Importante è stato inoltre il recupero della statua di Mater Matuta in tufo, di non grandi dimensioni e acefala, ma particolarmente accurata nella definizione dei particolari della fibula sul petto e della spalliera del trono, e quello di un torso di sfinge ancora in tufo (esposte sul fondo della sala), che accostandosi a quelle rinvenute nell' 800 hanno dato la certezza di aver reindividuato l'area dell'antico Fondo Patturelli.

      

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