Situata
in Lazio, a circa quaranta chilometri da Roma, Palestrina (lat. Praeneste) vantava
origini leggendarie: nelle fonti letterarie vi è infatti menzione del suo
legame con il mondo omerico, attraverso Telegono, figlio di Ulisse e di Circe, o
con l'eponimo Preneste, del ciclo virgiliano di Enea, o, ancora, con Ceculo,
progenie di Vulcano. Il profilo storico-archeologico della città, celebre
soprattutto per il più tardo Santuario di Fortuna Primigenia, coincide solo
parzialmente con i tratti mitici connessi alla sua nascita, che sul piano
storico può essere riconosciuta come l'esito di una commistione di Sabini e
Latini, tanto che essa si considerava una colonia di Alba Longa.
Santuario
Fortuna Primigenia
Sul
piano archeologico alcune straordinarie evidenze del periodo Orientalizzante (VII
secolo a.C.), quali soprattutto le tombe "principesche" con
preziosissimi corredi che le accomunano, per la stessa epoca, ad altre
importanti sepolture coeve dell'Etruria propria (Caere, Tomba Regolini-Galassi,
metà circa del VII secolo a.C.), ha sollecitato a considerare l'eventualità di
una presenza di personaggi etruschi di elevato livello sociale/economico
e/o alto 1ignaggio nella società prenestina dell'epoca; in alternativa, la
deposizione di materiali suntuari in questi complessi funerari potrebbe
rientrare nella sfera del dono fra "capi" (etruschi e laziali), i
quali, proprio in virtù dell'appartenenza al medesimo cotè sociale e
ideologico, partecipavano privilegiatamente alla circolazione e al godimento di
oggetti di grande valore. A una presenza etrusca nel Lazio accennano, del resto,
ancora una volta le fonti storiche (Catone, citato in Servio, Commento
all'Eneide, 11, 567). Le testimonianze che provengono dalle necropoli
illustrano, dopo le ricchissime manifestazioni del periodo Orientalizzante, con
particolare riguardo per la sua fase più antica, che un certo livello di
ricchezza dovette permanere, almeno presso alcune classi sociali, anche durante
l'Arcaismo (VI-V secolo a.C.), come si evince da alcuni corredi tombali nei
quali furono deposte oreficerie.
Durante
il IV secolo a.C. Palestrina conta alcune importanti aree cemeteriali, fra le
quali spicca quella di San Rocco-Colombella, che poteva rappresentare una delle
principali zone adibite alla sepoltura, e nella quale le iscrizioni sui cippi
funerari, che permangono in uso sino al II secolo, mostrano congiuntamente
l'influsso etrusco e magno-greco nella compagine artistica prenestina. Nelle
produzioni dell'artigianato artistico, Praeneste si distinse soprattutto
per le manifatture delle suppellettili metalliche (ciste in bronzo, impiegate per
contenere il necessaire da toeletta per le fanciulle: la più famosa sarà
la cista Ficoroni, opera di Novios Plautios tra la fine del IV e il
principio del III secolo a.C., dono di Dindia Macolnia alla figlia, forse
per le sue nozze; strigili per la detersione oleosa del corpo) e per le
ceramiche, in particolare per la ceramica a vernice nera, che in epoca
ellenistico-romana divenne nella penisola italica la tipologia di vasellame da
mensa maggiormente diffusa.
La
fastosa documentazione funeraria di Palestrina, riferita alla fase più antica
del periodo Orientalizzante (prima metà del VII secolo a.C.), testimonia
l'elevato livello di influenza che la cultura dei "principi" etruschi
ebbe su questa città del Lazio, la quale dovette fra l'altro beneficiare della
felice positura territoriale per intessere relazioni anche con il mondo italico,
favorita dalla confluenza dei percorsi che volgevano sia all'Etruria propria che
alla Campania, attraverso la Valle del Sacco. Ciò contribuì in qualche
significativa misura al formarsi di un ceto aristocratico, detentore di potere e
certo di notevolissime ricchezze, che consegnò la rappresentazione del proprio
rango sociale ed economico a una serie di preziosissime sepolture (Barberini,
Bernardini, Galeassi, Castellani ecc.), delle quali le due prime - le Tombe
Barberini e Bernardini - costituiscono tuttora i complessi più famosi. La
loro scoperta rimonta alla seconda metà dell'Ottocento (la tomba Barberini fu
scoperta nel 1855 e la Bernardini nel 1876), benchè a posteriori non sia più
stato possibile individuare il luogo ove esse furono portate in luce. Per quel
che attiene alla Tomba Barberini, le nebulosità delle notizie di cui
disponiamo impedisce purtroppo di conoscerne la tipologia architettonica, se si
trattasse cioè di una tomba a camera o, più probabilmente, di una grande fossa
come quella in cui fu adagiato l'eminente personaggio della Tomba Bernardini. Un
sontuoso corredo funebre, che dai primi del Novecento entrò a far parte delle
collezioni Barberini nel Museo di Villa Giulia a Roma, accompagnava un defunto
di sesso maschile, sepolto con le proprie insegne (trono, carro, scudo), e con
oreficerie assai simili a quelle della ceretana Tomba Regolini-Galassi, prodotte
verosimilmente nelle botteghe orafe di un centro dell'Etruria meridionale. Nel
vasellame non mancavano gli esemplari di importazione dal Vicino Oriente
(calderoni in bronzo), o di imitazione (le cosiddette "coppe
fenicie"), nonche varie raffinatezze di manifattura etrusca (piatti in
bronzo baccellati, avori, gioielli, affibbiagli ecc.).
Un
tenore parimenti elevatissimo connota il defunto della Tomba Bernardini,
adagiato in una grande fossa di quasi sei metri per quattro, molto profonda, e
ampliata sul lato meridionale da un'altra piccola fossetta nella quale furono
recuperati gli oggetti di ornamento personale. Anche in questo caso le insegne
(carro e relativi finimenti equini, scudi, armi ecc., unitamente al modello di
fibula cosiddetta "a drago") tipicamente maschile, non lasciano dubbi
riguardo al sesso maschile del defunto, per il quale non si conosce il rito
funebre adottato (incinerazione o inumazione). Ancora una volta il lussuoso
ventaglio tipologico degli oggetti del corredo contempla suppellettili di
importazione da aree lontane e di produzione locale, in primo luogo le
oreficerie fra le quali figurano diversi affibbiagli per fermare il lembo del
mantello sulla spalla: tra questi emerge per unicità e bellezza il celeberrimo
pettorale la cui piastra era animata da cir- ca centotrenta figurine plastiche
di animali laminati e granulati.
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