Ara della Regina

 

Sulla vetta del colle orientale (Pian della Regina) si ergono infine le imponenti rovine del più grande tempio etrusco fino ad oggi conosciuto, il tempio appunto dell' Ara della Regina. Esse dominano, in direzione del mare e in vista della necropoli di Monterozzi, la verde valle del S. Savino. Rimasto fin dall'antichità sempre parzialmente in vista e quindi oggetto di massicce spoliazioni, il monumento fu interamente riportato in luce e restaurato nel 1938.

   

Ara della Regina – Planimetria

 

Si ignora a quale divinità fosse dedicato e solo recentemente se ne è proposta l'identificazione con Artumes, l'omologa etrusca di Artemis - Diana. I grandiosi resti oggi visibili sono in massima parte il risultato di una ricostruzione del monumento della prima metà del IV secolo a.C., ma sul posto esisteva sin da epoca arcaica un importante santuario, di cui recenti saggi di scavo fanno intravvedere complesse fasi di vita risalenti almeno alla prima metà del VI secolo.

Due strutture che evidentemente ne costituivano l'epicentro religioso, allineate fra loro e perfettamente orientate, furono rispettate dai costruttori del tempio del IV secolo e volutamente inglobate nello spazioso terrazzo anteriore.

Ara della Regina – Ipotesi planimetrica

 

Si tratta di un grande altare fiancheggiato da una sorta di recinto in cui si è proposto suggestivamente di riconoscere il luogo della nascita miracolosa del divino fanciullo Tagete, il personaggio leggendario cui la tradizione attribuiva la rivelazione della aruspicina. Nella prima metà del IV sec. a.C., allorche Tarquinia - assunto un ruolo guida nell'ambito della confederazione delle città etrusche - è impegnata in una intensa attività edilizia con la ricostruzione dei principali monumenti cittadini, l'area del santuario viene ristrutturata e viene edificato il grandioso tempio di cui possiamo ammìrare le rovine. Orientato ad E/SE e costruito su un enorme terrapieno artificiale contenuto da muri a blocchi di calcare, esso è fiancheggiato da due strade provenienti rispettivamente dalla città e dal fondovalle e convergenti verso la fronte del monumento, lì dove era forse situato il foro cittadino ricordato da Livio perchè, durante il primo scontro armato con Roma (358 a.C.), vi sarebbero stati sacrificati ben 307 prigionieri romani. Il tempio è decentrato verso il Nord rispetto al grande basamento, cosi da lasciar spazio ad oriente e a mezzogiorno ad un ampio terrazzo interrotto sulla fronte da una scenografica scalinata incorniciata da due avancorpi; dal terrazzo una rampa centrale tra due ali a gradini conduce al podio dell'edificio sacro la cui pianta ricalca liberamente quella del "tempio tuscanico" ad alae, descrittoci dallo scrittore romano Vitruvio e consistente in una cella preceduta da uno spazio articolato con colonne e fiancheggiata da due corridoi (alae) aperti sulla fronte. Le colonne ed il paramento esterno, arricchito con cornici modanate, erano realizzati in una pietra grigia di origine vulcanica (nenfro) mentre le strutture lignee del tetto erano decorate con una serie di rivestimenti di terracotta policroma: tra questi la celebre lastra ad altorilievo con coppia di cavalli alati applicata, secondo la moda etrusca, ad uno dei travi principali del triangolo frontonale e conservata al Museo Nazionale.

Nel corso del III sec. a.C. tutta la parte posteriore dell'edificio venne ristrutturata e le tre camerette, poste sul fondo della cella e destinate forse ad ospitare altrettante statue di culto, furono allora rimodellate. In epoca romana l'area del santuario si popolò di statue e monumenti commemorativi, preziosi per la conoscenza della storia della città. Dall'area a N ord del tempio provengono infatti i frammenti degli "elogia degli Spurinna" e dei fasti dei magistri del collegio sacerdotale dei LX haruspices, delle biografie cioè dei presidenti di quel potente collegio sacerdotale composto da membri dell'aristocrazia delle città etrusche, istruiti nell'arte della lettura dei presagi mediante l'analisi delle viscere degli animali sacrificati. In età augustea un gigantesco bacino di fontana in marmo greco fu dedicato presso l'angolo NE del monumento da Q. Cossutio, magistrato del municipio Tarquiniese.

Ben conservata è la strada, basolata in età romana, che dopo aver costeggiato una serie di edifici scavati nel secolo scorso ed i cui ruderi sono ancora parzialmente in vista, raggiunge il lato posteriore del tempio, ne fiancheggia il lato meridionale e sbocca infine nel foro cittadino. Quasi in corrispondenza della fronte del santuario da essa si stacca una via che, dirigendosi a Sud, usciva dalla città dalla porta aperta nella cinta fortificata a S.O. dell'edificio sacro, attraversava la valle del S. Savino e quindi risaliva verso le necropoli dei Monterozzi. La sommità del colle della Castellina è interessata da abbondanti resti di strutture di età medioevale. Non mancano però indizi di una frequentazione del sito in età etrusca, fra i quali un capitello in nenfro di ordine ionico e un basamento di colonna di ordine dorico, testimonianze dell'esistenza di un edificio sacro.

 

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