PRATICHE e FESTE RELIGIOSE

 

 

La CIRCONCISIONE

Lo SHABBAT

Le FESTE

Pesah

Hag shâbû´ôt

Sukkot

Simchat Torà

Rosh Hashanà

Yom Kippur

Shemini Azeret

Hanukkah

Tu Bi'Shevat

Purim

Shavout

 

 

 

 

Le NORME DI PURITA'

 


 

CIRCONCISIONE

 

La circoncisione era il segno d’appartenenza alla nazione giudaica, l’attestato di partecipazione alla discendenza spirituale di Abramo e ai vantaggi dell’alleanza da lui stretta con Dio; massimo obbrobrio dei pagani, agli occhi di un Israelita, era l’essere incirconciso. Il bambino riceveva la circoncisione l’ottavo giorno dalla sua nascita; l’operazione era compiuta da qualsiasi Giudeo, preferibilmente dal padre dell’infante, e di solito in casa. In questa occasione, egli riceveva anche il nome.

Nel II secolo a.C. l’autore del Libro dei Giubilei affermava che anche gli angeli in cielo osservavano la circoncisione (XV,27).

 

 


 

Lo SHABBAT

Secondo il Libro dei Giubilei anche gli angeli erano circoncisi, e inoltre non mancavano di osservare il sabato (II,18): di qui si evince quale importanza avesse il riposo sabbatico per gli Ebrei.

La parola shabbat ha la sua radice del verbo shabat, impiegato spesso nel senso di “cessare”, “smettere di”, e quindi “riposare” (cfr. Gen. 2,2-3). Molto spesso i cristiani ignorano il significato del sabato e il significato dei precetti che lo riguardano. Quel lo che occorre riscoprire è da una parte il carattere liberatore della legge e dall'altra la ricchezza della celebrazione familiare. La complementarietà della sinagoga e della casa costituisce una originalità del Giudaismo e sottolinea l'importanza religiosa della cellula familiare.

Rispettare il sabato significa entrare nello spazio di libertà nel quale si può esprimere l'amore per Dio e per la Sua creazione.

 

Il significato del sabato e l'osservanza dei suoi precetti

Il sabato occupa un posto fondamentale nel Giudaismo: "i figli di Israele osserveranno il sabato per tutte le loro generazioni in alleanza perpetua. Tra Me e i figli di Israele sarà un segno perpetuo, perché in sei giorni il Signore ha fatto i cieli e la terra, e nel giorno settimo ha cessato (in ebraico "shabbath", da cui il nome ebraico del sabato) e si è riposato". (Esodo 31, 16 - 17.)

Il sabato non è un semplice giorno di riposo, nel senso che abitualmente si dà a questo termine, ma una vera imitazione di Dio, che "riposò nel settimo giorno" (Esodo 20,11): astenendosi il settimo giorno da qualsiasi lavoro creativo, l'ebreo praticamente vive il ritmo della creazione e in un certo modo restituisce a Dio le chiavi del mondo che il padrone dell'universo gli ha affidato.

Questa nozione di lavoro creativo sorprende molti osservatori non ebrei, perché, a differenza della nostra consueta concezione del lavoro, essa non ha alcun rapporto con lo sforzo necessario all'esecuzione. Così girare un interruttore o mettere una firma costituiscono lavori che il giudaismo proibisce di eseguire di sabato, dato che hanno per fine una creazione (una scintilla o segni di scrittura).Le categorie dei lavori proibiti riguardano i campi piò diversi, dalla cottura del cibo alla riparazione di un oggetto, allo spostarsi ecc. La stretta osservanza del sabato può comportare gravi sacrifici finanziari.

Merita di essere sottolineato anche l'aspetto sociale del sabato, infatti è proibito non solo lavorare, ma anche far lavorare gli altri, sia pure il servitore o lo straniero o persino il bestiame: tutti quel giorno hanno diritto al riposo. (Esodo 20, 10).

Tutto ciò non esclude l'aiuto fraterno, come per secoli si è praticato in parecchi paesi: era anzi consuetudine per alcune cristiane, di andare a caricare la stufa o spegnere la lampada al vicino ebreo.

 

La santificazione del sabato

Osservare il sabato significa anche "santificarlo", cioè "tenerlo separato": "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo" (Esodo 20, 10). Si tratta di fare del sabato un giorno completamente differente dagli altri giorni della settimana, "un giorno di riposo e di santità".

Dal punto di vista strettamente rituale, il sabato si apre con il "Qiddush" (benedizione sul bicchiere di vino con cui si proclama il sabato giorno "consacrato a Dio") e si conclude con la "Havdalah" (preghiera che "separa" il sabato dagli altri giorni profani). A livello più profondo, si assume uno stile di vita che santifica ogni aspetto di questo giorno, dal pasto all'abito, dalla maniera di camminare per strada al soggetto di una conversazione: "Se tratterrai il piede dal violare il sabato, dallo sbrigare affari nel giorno a me sacro, se chiamerai il sabato "delizia" e "venerando" il giorno sacro al Signore, se lo onorerai evitando di metterti in cammino, di sbrigare affari e di contrattare, allora troverai la delizia nel Signore. lo ti farò calcare le alture della terra, ti farò gustare l'eredità di Giacobbe tuo padre, poiché la bocca del Signore ha parlato" (lsaia 58,13-14). Gli ebrei devono iniziare il sabato un'ora prima della notte.

  

Nella sinagoga e in famiglia

La comunità saluta il sabato recitando sei salmi (95, 96, 97, 98, 99, 29) che corrispondono ai sei giorni lavorativi. Continua poi con il magnifico inno "Lekhah Dodì" (vieni o mio amato) composto a Safed, in Galilea, nel XVI secolo, per ricevere la fidanzata Shabbath (in ebraico "Shabbath" è femminile). Poi si canta il salmo "cantico per il giorno di sabato", e il salmo 93, salmo dell'era messianica, di cui la pace del sabato offre un anticipo.

Durante la settimana l'ebreo pio ha lo spirito rivolto al sabato. Già il venerdì mattina, la madre di famiglia impasta e cuoce i pani del sabato e adorna la casa. Nella celebrazione familiare del venerdì sera la donna ha un ruolo determinante: mentre alla sinagoga essa si limita ad assistere al culto, in casa esercita una precisa funzione liturgica. Tocca a lei accogliere il sabato nel focolare, accendendo le due candele sabbatiche e pronunciando la benedizione inaugurale. Poi si va alla sinagoga. La festa si continua a casa, dopo l'ufficiatura. Ripetendo il gesto di benedizione di Giacobbe, i genitori impongono le mani sul capo dei loro figli. Tutta la famiglia saluta il sabato, mentre il padre e i figli cantano le lodi della "donna forte" (Proverbi 31). lì capofamiglia alza la coppa di vino per recitare il "Qiddush", ne beve e la fa passare a tutti i presenti. Dopo il gesto rituale della lavanda delle mani e la preghiera per la tavola "Benedetto Tu, o Signore Dio nostro, re del mondo, che fai uscire il pane dalla terra", il padrone di casa dà inizio al pasto spezzando il pane che offre a ognuno dei commensali. I canti sabbatici accompagnano il pasto e si chiudono con il salmo 126: "Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, ci sembrava di sognare....".

Il sabato, dopo l'ufficio alla sinagoga, il "Qiddush" e un buon pasto a mezzogiorno, si dedica molto tempo al riposo e allo studio sacro, specialmente alla "parashah" (sezione del Pentateuco) del giorno. Per prolungare ancora la pace del sabato, il pasto serale viene ritardato al massimo.

E' lo stesso desiderio che viene espresso nella cerimonia chiamata "Havdalah" (separazione): si saluta il sabato accendendo una candelina ritorta, recitando ancora una volta la benedizione sul vino, odorando erbe aromatiche, spesso contenute in una piccola scatola artisticamente cesellata, e contemplando la fiamma della candela che poi si spegne nel vino per significare il ritorno alla vita ordinaria, infondendo per così dire lo splendore del sabato nella settimana appena cominciata.

  

Il sabato e i cristiani

Nel Vangelo, Gesù, che ha sempre celebrato il sabato con i suoi discepoli, predica in diverse occasioni che l'uomo deve rispettare il sabato e accoglierlo non co me una schiavitù ma come un dono di Dio: "il sabato è fatto per l'uomo...." (Marco 2, 27). Il Talmud non si esprime in modo diverso: "il sabato è stato messo nelle vostre mani e non voi nelle mani del sabato" (5 Yoma 85 b).

Le prime comunità cristiane di origine ebraica, hanno continuato a festeggiare il sabato, settimo giorno della settimana, mentre la risurrezione di Gesù (Atti 20, 7) è ricordata e celebrata il primo giorno della settimana, considerato come il primo giorno della nuova creazione in Cristo.

La domenica non è stata scelta per soppiantare il sabato: giorno della risurrezione del Signore (Matteo 28, 1 ss), essa è anche giorno della celebrazione eucaristica che attesta la comunione dei credenti e che annuncia l'"ottavo giorno", quello del ritorno del Signore (I Corinzi 11, 26). E' dunque veramente il "giorno del Signore".

Quando la religione cristiana diventò religione dell'impero romano, la domenica incominciò a poco a poco a unire la funzione di giorno di riposo, che ricorda il settimo giorno della creazione, e quella del giorno che annuncia la nuova creazione realizzata dalla risurrezione di Cristo.

 


 

FESTE

 

Le feste più importanti erano le tre cosiddette “feste di pellegrinaggio”, chiamate così perché ogni israelita maschio giunto ad una certa età era obbligato a recarsi al Tempio di Gerusalemme: la Pasqua, la Pentecoste e i Tabernacoli (o festa delle tende).


 

Pesah

La pasqua giudaica (pésah) si celebra la sera del 14 del mese chiamato Nisan (dalla metà del nostro Marzo alla metà di Aprile); poiché il computo giornaliero si compie da tramonto a tramonto, la sera del 14 era in realtà per gli Ebrei l’inizio del 15. Al pomeriggio del 14 nel Tempio avveniva l’immolazione degli agnelli portati da ogni capofamiglia: tale era l’affluenza dei Giudei, che l’atrio del Tempio non era sufficiente a contenerli, per cui venivano stabiliti tre turni d’accesso, mentre nell’intervallo tra di essi le porte del Tempio restavano chiuse. Il sangue delle vittime sgozzate dai medesimi israeliti era raccolto e sparso dai sacerdoti sull’altare degli olocausti, e dopo la preparazione rituale l’agnello veniva portato a casa per essere consumato la sera dopo il tramonto.

Il pasto cominciava con la benedizione dì una coppa di vino presentata a colui che presiedeva; quindi si recavano a tavola pani azzimi, erbe amare e una salsa dentro cui intingerle. Mesciuta la seconda coppa, dopo la celebre domanda convenzionale del fanciullo: “In che cosa questa notte differisce da tutte le altre?”, il padre di famiglia o il presidente rispondeva evocando i benefici di Dio verso Israele al tempo della liberazione dall’Egitto. Poi veniva presentata la vittima pasquale, arrostita sul fuoco. La si mangiava, senza spezzarne le ossa (Es. 12,46), insieme ad azzimi ed erbe amare, mentre veniva fatta circolare la seconda coppa e si recitava la prima parte dell’Hallel (inno costituito dai salmi 113-118). Una benedizione in rendimento di grazie e la lavanda delle mani accompagnavano l’inizio del banchetto vero e proprio. Si mesceva quindi la terza coppa, ed il tutto si concludeva con la recita dell’ultima parte dell’Hallel, seguita dalla quarta coppa; il tutto avveniva proclamando salmi e letture bibliche, in famiglie o gruppi di almeno dieci persone (descrizione del rito nella Mishnah, trattato Pesahim X).

Il giorno successivo, il 15, iniziava la festa degli azzimi (massôt), che durava dal 15 al 21, nella quale non era permesso consumare pane lievitato, e nella quale si raccoglievano e si offrivano le primizie del raccolto. Fin dalla sera del 13 di Nisan il capofamiglia doveva rovistare in tutti gli angoli e i recessi per eliminare ogni derrata fermentata; si poteva farlo fino all’ora sesta (mezzogiorno) del 14 di Nisan, limite estremo per bruciare i resti di pane fermentato.

Quella degli azzimi era anticamente una festa della comunità agricola, collegata con un pellegrinaggio al santuario locale: con la sedentarizzazione d’Israele le due feste vennero a coincidere, ed in pratica identificate. Di fatto, quindi, in epoca neotestamentaria si trattava da tempo di un’unica solennità che si protraeva per un’intera settimana, chiamata indifferentemente Pasqua o Azzimi.


 

Hag Shâbû´ôt

La parola Pentecoste è una trascrizione del greco penthkosté (il cinquantesimo giorno dopo la pasqua), dal nome usato nel giudaismo ellenistico (Tb. 2,1; 2 Mac. 12,32). In origine era la festa delle messi (Es. 23,16), il giorno in cui si offrivano nel Tempio i primi pani frutto della messe raccolta. Il nome di “festa delle settimane” (Es. 34,22; Nm. 28,26) nasce dal fatto che se ne fissava la data contando “sette settimane complete” dopo l’offerta del primo fascio di orzo “all’indomani del sabato” di Pasqua (Lv. 23,15; Dt. 16,9). Riguardo a ciò, ai tempi di Gesù, Farisei e Betusiani o Boetiani (un gruppo di sadducei partigiani della famiglia di Boeto) si dividevano sull’interpretazione di Lv 23,15: si doveva intendere “sabato” in senso stretto, o come espressione designante la Pasqua? Così, secondo i primi, il fascio di primizie doveva essere offerto il primo giorno feriale della settimana di Pasqua, e conseguentemente la Pentecoste cadeva in un giorno qualsiasi; secondo i Betusiani, il manipolo di spighe andava offerto sempre nella domenica dell’ottava pasquale, sicché la Pentecoste veniva a cadere in giorno di domenica.

A partire dal secondo secolo della nostra era e forse più tardi la Pentecoste divenne nel giudaismo (come pure nella tradizione samaritana) una celebrazione del dono della Torah sul Sinai. La festa di Pentecoste, tuttavia non sembra aver avuto particolare rilievo nell’insieme del giudaismo antico: la stessa Mishnah non le consacra alcun trattato particolare, come fa invece per la Pasqua, i Tabernacoli o il Kippur (giorno delle espiazioni).

 


 

Sukkot

La festa dei tabernacoli o delle tende (sukkôt), oppure, meglio, delle capanne, cadeva al 15 del mese di Tishri, ovvero tra la fine di Settembre e l’inizio di Ottobre, e durava otto giorni, concludendosi con grande solennità (cfr. Gv. 7,37): essa segnava la fine dei raccolti in autunno. Esodo 23,16 la chiama “festa del raccolto”, in quanto in origine rappresentava l’offerta a Dio dei prodotti del suolo.

Questa festa, che si estende nell’arco di otto giorni ed è anche chiamata Hag Haasif (festa dell’ adunanza), affonda le sue origini nelle antiche celebrazioni autunnali del raccolto. Le sukkot, decorate con frutti, rami e foglie, erano anticamente vere e proprie capanne utilizzate come rifugio durante il raccolto.
Ai tempi del giudaismo rabbinico, la festa di Sukkot venne arricchita di significati storico-teologici: l’esodo dall’Egitto, il manifestarsi della potenza divina in favore del popolo in fuga. Le capanne rappresentavano qui le precarie abitazioni impiegate dal popolo ebraico durante i quarant’anni trascorsi nel deserto. Il giudaismo rabbinico riuscì quindi ad attualizzare l’antica festa agricola, legandola alla Torà e adattandola così ad una popolazione divenuta prevalentemente urbana. Il culmine della festa di Sukkot, Simchat Torah, è evidentemente collegato a questa transizione.
Gli ebrei laici attribuiscono un notevole significato umanistico alla celebrazione originale di questa festa. L’agricoltura ha costituito il primo passo compiuto dall’umanità verso il controllo della natura, e quindi del proprio sostentamento e della propria esistenza. Questo ha dato origine alla successiva transizione verso la creazione di nuclei abitativi, fino al fenomeno dell’urbanizzazione e allo sviluppo delle diverse civiltà. Sukkot è un tributo all’ingegno e al coraggio degli esseri umani, e di ciò che hanno saputo realizzare. I progressi nei campi dell’agricoltura e della tecnologia costituiscono la base di una celebrazione umanistica di Sukkot.
Sukkot offre alle comunità l’opportunità di riunirsi, di vivere l’esperienza delle “capanne” all’aperto, di riconoscere e riaffermare il legame e l’interconnessione di tutti gli umani, e di riconoscere la responsabilità di tutti verso l’ambiente naturale. Nei tempi antichi, gli Ebrei utilizzavano le capanne per aumentare l’efficienza della raccolta dei frutti della terra. Per l’Ebraismo secolare la costruzione comune della Sukkà ci trasmette un senso di vicinanza e di comunità, perché la Sukkà è di tutti, e tutti si raccolgono in essa per celebrare la festa.

Quattro temi tradizionali che sottolineano l’origine agricola di Sukkot possono offrire spunti di riflessione in occasione della festa:

 


 

Simchat Torà


Simchat Torà, che cade l’ultimo giorno di Sukkot, è una giornata di celebrazione della Torà e dei suoi insegnamenti.
La festa ha avuto origine in Babilonia nel IX secolo e.v., dove la lettura dell’intero testo della Torà nel corso dell’anno era diventata una pratica corrente, e segna il giorno in cui il ciclo di lettura si chiude e ha nel contempo un nuovo inizio. La danza e la processione con i rotoli della Torà è una pratica tradizionale di questa festa. Le processioni (hakafot), proseguono sino a che ogni ebreo nella sinagoga ha portato i rotoli in solenne processione.
Mentre l’ebraismo ortodosso vede la Torà come rivelazione divina, l’ebraismo laico la considera come fonte di insegnamento e di memoria di Israele. L’ebraismo laico, riconoscendo il ruolo primario della Torà nel corso dei secoli, celebra Simchat Torà come il giorno che simbolizza l’impegno del popolo di Israele verso lo studio e la ricerca della verità. Simchat Torà è un’opportunità per onorare la Torà e tutta la grande, sterminata letteratura prodotta nei secoli dal popolo ebraico.

 


 

Rosh Hashanà

L'anno ebraico comincia in autunno con la celebrazione di Rosh Hashanà il primo giorno di Tishri.
La Torah indica Rosh Hashanà come Yom Teruah (il giorno del suono dello shofàr), o Yom Hazikaron (il giorno della rimembranza).
Nell'ebraismo rabbinico Rosh Hashanà è visto come il giorno dell'anno in cui si compie il giudizio divino.

Gli ebrei laici, come altri ebrei nel mondo ebraico contemporaneo, riconoscono nella festa autunnale di Rosh Hashanà un momento di rinnovamento, riflessione e nuovo inizio. Gli ebrei laici interpretano Rosh Hashanà come un momento di auto-analisi e di riaffermazione della forza e della dignità umana. E' il momento in cui considerare le possibilità di cambiamento, di miglioramento, di conseguimento della felicità che gli esseri umani possono creare per se stessi. Come primo giorno dell'anno ebraico Rosh Hashanà segna un momento di svolta, una separazione fra passato e futuro.

Molte comunità laiche suonano lo shofàr evocando il ricordo di un tempo in cui il suono del corno d'ariete radunava le tribù ebraiche in pericolo. Oggi il richiamo dello shofàr convoca a raccolta il popolo di Israele e gli ebrei di tutto il mondo per la celebrazione. Il suono penetrante può ben ricordare ad ognuno l'impegno a mantenere alti i valori umanisti.

Nella cerimonia di tashlikh (gettare) gli ebrei tradizionalmente sono esortati a gettare i propri peccati nell'acqua. Alcuni ebrei laici interpretano questa cerimonia attribuendole il significato del “gettare via” i comportamenti non desiderati, liberandosi di essi, e facendo voto di miglioramento nell'anno a venire. Alcune comunità ebraiche laiche introducono nelle cerimonie di tashlikh la scrittura dei propositi per il nuovo anno.

Rosh Hashanà offre agli ebrei laici un'occasione per una profonda riflessione sulle azioni dell'anno passato, e un momento per cambiare strada ed agire in modo più conforme ai principi morali umanisti.

 


 

Yom Kippur

Al 10 dello stesso mese di Tishri, pochi giorni prima dei tabernacoli, cadeva il Giorno dell’espiazione (Jom Kippur), periodo di riposo e digiuno assoluto. Il sommo sacerdote in persona presiedeva al Tempio a nome del popolo, compiendo la purificazione del santuario con un’aspersione di sangue (era la sola occasione in cui il sommo sacerdote penetrava nel Santo dei Santi) e con l’invio nel deserto del capro espiatorio che portava su di sé tutte le colpe di Israele (Lv. 16, 22).

Sebbene la legge non imponesse ai Giudei il pellegrinaggio, molti ne approfittavano per festeggiare assieme sia il Kippur che i tabernacoli.

Storicamente Yom Kippur è visto come un momento di timore e venerazione, un giorno di pentimento in cui gli esseri umani cercano il perdono divino per i loro peccati. Le origini della festa possono forse essere trovate nell'antico rito babilonese di kippuru (purificazione), che segnava la fine dei dieci giorni della festa dell'incoronazione (l'inizio dei quali corrisponde a Rosh Hashanà). Secondo alcuni studiosi il rituale babilonese consisteva in sacrificio, purificazione rituale e pubblica confessione dei peccati.

Preghiera di penitenza e digiuno sono il cuore dell'osservanza storica dello Yom Kippur. Gli ebrei ortodossi praticano cinque restrizioni o afflizioni, secondo il dettato della Torah: non bere né mangiare (eccetto in caso di pericolo per la salute), non ungere il corpo con olio, non fare il bagno, non indossare scarpe di pelle e non avere rapporti sessuali.

Yom Kippur ha un significato diverso per gli ebrei laici. In esso l'autoesame iniziato a Rosh Hashanà raggiunge qui il suo punto culminante. Gli ebrei laici trasformano Yom Kippur nel momento del perdono, per sé e per gli altri.

Il Kol Nidre viene cantato nella maggior parte delle comunità ebraiche laiche. Il testo storico, che scusa gli ebrei dall'aver fatto voti insinceri è inaccettabile per gli ebrei laici. Poiché la melodia tradizionale è potente ed ebraicamente importante il testo è stato modificato per riflettere l'obbligo umanista a mantenere tutte le promesse fatte con spirito di giustizia.


 

Shemini Azeret


Questa settimana di passaggio e la stagione festiva terminano con Sheminì Azeret, la “sacra occasione di riunione dell’ottavo giorno" (Lev. 23:36) che si combina con Simchat Torà. La celebrazione di Sheminì Azeret/Simchat Torà si incentra sulla Torà – i Cinque Libri di Mosè – ed è famosa per le danze pubbliche con un Rotolo della Torà fra le braccia di qualcuno e per la recitazione del capitolo conclusivo e di quello iniziale della Torà, con la quale si rinnova il ciclo annuale della lettura della Torà. 

Al sopraggiungere del buio, dopo quindi la conclusione formale del giorno sacro, vi sono molti gruppi che organizzano ulteriori festeggiamenti, spesso all’aperto, che non sono limitati dalle restrizioni rituali che si applicano nel corso del giorno santo.

 


 

Hanukkah

Hanukkah è la festa invernale ebraica che dura otto giorni. Per gli ebrei laici Hanukkah celebra il coraggio umano. Le tremule luci di Hanukkah ricordano la lotta, il coraggio e i fragili trionfi del popolo ebraico. Le fiammelle sono un legame al passato e un tributo alle dignità degli ebrei di ogni luogo.

Hanukkah, che in ebraico significa "dedica", si riferisce alla riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme da parte di Giuda Maccabeo ed i suoi compagni nel 161a.C.. Alla base di Hannukkah c'è la storia di una vittoria maccabea abbellita da una leggenda talmudica. La leggenda ci racconta che un piccolo numero di ebrei guidati da Giuda Maccabeo e dalla sua famiglia si ribellarono contro il re greco Antioco Epifane che aveva cercato di imporre la cultura e la religione greca sul suo impero siriano, che comprendeva la Giudea. Dopo la riconquista di Gerusalemme, gli ebrei vittoriosi riconsacrarono il Tempio di Gerusalemme e decretarono una celebrazione annuale dell'indipendenza ebraica.
Circa seicento anni dopo la vittoria maccabea i rabbini cercarono di impadronirsi di Hanukkah e aggiunsero la leggenda di una sola fiasca d'olio che per un miracolo restò accesa per otto giorni.

La storia dei Maccabei è una storia di coraggio umano, integrità e speranza. Il successo della loro rivoluzione è radicato nell'aspirazione della gente alla libertà religiosa, politica ed economica. La gente vuole scegliere da sé il proprio futuro. Ciò è quello che i Maccabei fecero: non pie richieste o lacrimose preghiere, ma azione decisa, pianificazione competente e puro coraggio.

I valori della rivolta maccabea sono importanti oggi come lo erano secoli fa. Anche noi dobbiamo prendere il nostro futuro nelle nostre mani. Noi dobbiamo scegliere da soli come vogliamo vivere e dobbiamo andare avanti sulla nostra strada con coraggio, senza perdere integrità né speranza. Hanukkah è una festa preziosa per gli ebrei laici. In essa si afferma la meraviglia della natura, si celebra il coraggio dei veri eroi e si esprimono con chiarezza i valori che dobbiamo avere, se eroismo, umanità e ordine naturale devono sopravvivere.
 

Festeggiare Hanukkah

Per gli ebrei laici Hanukkah è un tributo alla forza ed al coraggio umano. Giuda Maccabeo era un  uomo che combatteva per ciò in cui credeva, benchè fosse uno zelota religioso che negava libertà di culto a chi gli si opponeva. In ciò era simile al suo nemico Antioco Epifane. Nonostante ciò il suo esempio dimostra un coraggio che lo nobilita. Proprio come i Maccabei presero in pugno il controllo delle loro vite, noi ebrei laici prendiamo il nostro futuro nelle nostre mani. Scegliamo come vogliamo vivere, cercando di comportarci con coraggio e preservando la nostra integrità. Per gli ebrei laici, Hanukkah è pieno appoggio all'umana forza e ingegno, e all'umana speranza e coraggio.

Gli ebrei laici celebrano Hanukkah per ricordare che gli esseri umani possono usare la loro abilità per migliorare la qualità della vita. Le celobrazioni di Hanukkah sono occasioni di festa segnate dall'accensione delle candele nell'hanukkiah. Famiglie e comunità si riuniscono per consumare il cibo della festa che comprende i latkes di patata. Si cantano i canti di Hanukkah e si fanno i giochi con il dreidel. Spesso le famiglie portano la loro hanukkiah nella loro comunità per illuminare la celebrazione comunitaria. Le luci della hanukkiah ci collegano al nostro passato ed agli altri ebrei, e ci ricordano la fragilità della vita.
Noi accendiamo le luci per i nostri valori: azione, coraggio, dignità umana, libertà, giustizia, identità ebraica, libera scelta, forza, ingegno.

 


 

Tu Bi'Shevat


Tu Bi’Shevat, il quindici di Shevat (gennaio-febbraio), citato in fonti rabbiniche come il nuovo anno degli alberi da frutta, per il conteggio degli anni sabbatici, per il pagamento delle decime e per altri fini, non ha quasi più alcun impatto rituale. 

Ha invece acquisito connotazioni laiche, come giorno in cui molte persone singolarmente, in particolar modo i bambini delle scuole, piantano alberi, e funge così da periodo in cui il Fondo Nazionale Ebraico e le autorità locali effettuano un rimboschimento intensivo. Nel corso di questo mese, gli alberi da frutta cominciano a fiorire, iniziando dall’albero di mandorlo, sebbene il clima sia ancora freddo.

 


 

 

Purim

La festa delle sorti (pûrîm), il 14 e il 15 del mese di Adar (febbraio-marzo), commemora la liberazione dei Giudei per mezzo delle sorti narrata nel libro di Ester (cfr. 2 Mac 15,36).

Nell’ebraismo rabbinico Purim è meno importante di Succot ma più importante di Tu Bi-Shevat. Come Hanukkah, ha una posizione intermedia non troppo solenne.
Da una parte ci sono le maschere e il divertimento del genere del martedì grasso. Dall’altra si insiste sulla lettura di una storia seria di un persiano antisemita che complottava per sterminare tutti gli ebrei e che invece viene fatto fuori con tutta la sua corte. Ma, almeno in apparenza, antisemitismo e carnevale non sembrano fondersi molto bene.

Questa strana combinazione è dovuta alla storia di Purim. In origine Purim era forse celebrata alla luna piena del mese di Adar (intorno al primo marzo). Come Tu Bi-Shevat era una festa della fertilità, di “benvenuto alla primavera”. Yahveh non era nell’elenco originale dei personaggi. Dèi rivali originari dell Babilonia occupavano la scena. Marduk (Mordecai) era il re dei cieli, Ishtar (Ester) la dea della fertilità della terra, Haman un diavolo arrogante dell’oltretomba. In una messa in scena in versione greca, Zeus, Demetra e Ade sarebbero stati i corrispondenti personaggi. Ishtar e Haman, le forze della vita e della morte, rivaleggiano fra loro, ma Isthar tronfa, e così fa la primavera.

Come il martedì grasso, la giornata è piena di ricostruzioni storiche e riferimenti sessuali per promuovere la fertilità. Ishtar veniva presentata per mezzo di personificazioni, maschere e travestimenti e il divertimento era assicurato.

Il nome Purim è oscuro, come pure il luogo di origine. Una festa originaria della Palestina rivestita di abiti babilonesi? Oppure un’importazione babilonese adattata alla crescente comunità degli ebrei babilonesi? Nessuno lo sa. Ciò che è certo è che sacerdoti e rabbini “ripulirono” la festa per farne un uso ebraico ufficiale. Marduk e Ishtar non potevano restare nella storia come dèi, ma riemergevano come due graziosi ebrei persiani (i persiani avevano sostituito i caldei babilonesi come conquistatori degli ebrei) perseguitati da un diavolo persiano di nome Haman. Il libro di Ester è il risultato di questa revisione.
Se non c’è alcun riferimento a Yahveh in tutta la storia è solo perché Yahveh non faceva parte della storia originale. Gli autori avevano semplicemente trasformato gli dei pagani in gente del popolo.

Tuttavia i rabbini non credettero mai realmente a Purim. Non era “pura” nemmeno per i loro gusti. Solo l’aspetto politico riscattava la festa. L’ostilità rabbinica nei confronti dei Maccabei offerse a Purim la possibilità del successo. La celebrazione più importante delle vittorie dei Maccabei non era Hanukkah, ma il Giorno di Nicanor, che cadeva il 13 di Adar. (Nicanor era un generale greco che i Maccabei avevano sconfitto in una feroce battaglia.) Abolire semplicemente il Giorno di Nicanor non avrebbe funzionato. Sostituire una festa con un’altra nello stesso giorno avrebbe distolto l’attenzione della gente con un’attività alternativa. Purim era pronta e disponibile per questo nuovo ruolo e la gente se ne innamorò.

Alcuni modernisti privi di humor hanno difficoltà con Purim: deplorano il trattamento vendicativo nei confronti di Haman e non sono contenti di celebrare una festa che riguarda persone che in realtà non esistettero mai.
Ma gli ebrei umanisti sono riluttanti a scartare una festa piena di divertimento e con tanta potenzialità come Purim, una festa che, paradossalmente, ha rinunciato per ragioni teologiche alla sua propria teologia!  La storia di Mordecai e Ester è davvero mitica e può essere trattata come una leggenda. E’ un racconto affascinante che mostra come il prevalere dell’ingegno e del coraggio umano siano molto più umanisti di pie verità su pii rabbini.

Poiché l’abbigliamento dei personaggi di Purim è parte della celebrazione tradizionale, perché non espandere l’idea fino ad includere tutti gli eroi della storia ebraica? Abbiamo bisogno di un giorno eroico per onorare i modelli del ruolo umanistico del nostro passato e del nostro presente. In questo modo la leggenda diventa l’ambiente adatto a rendere più ampi onori a persone reali.

Gli eroi sono importanti: danno corpo ai nostri ideali. Perfino quando esageriamo con le loro virtù, onorarli è meglio che non averli. Abbiamo bisogno di due tipi di radici ancestrali. Abbiamo bisogno di radici popolari, i ricordi di persone e luoghi che descrivono le nostre origini e il nostro sviluppo, ma abbiamo bisogno anche di radici etiche, modelli di comportamento tratti dal nostro albero genealogico. Dopo tutto, gli dèi delle religioni tradizionali sono tutti nati come antenati venerati.

Gli ebrei tradizionali hanno anch’essi il loro panteon umano. La maggior parte è antico e, perciò, aperto al mistero e al mito. Abramo, Mosè, Davide, Ezra, Hillel, Akiba, Isaia, e Geremia sono le “star” principali. Poi ci sono dozzine di altri “interpreti” etici minori che popolano le pagine della Torah e del Talmud.

Gli ebrei umanisti stanno ancora formando la loro lista di eroi. Mentre la maggior parte degli eroi tradizionali sono ricordi appropriati delle origini del nostro popolo, molti di essi sono inappropriati come guide morali e come modelli etici. Alcuni di loro adoravano il soprannaturale e deploravano la fiducia nelle forze umane. Altri erano militanti limitati che vedevano ogni rapporto sociale con i Gentili come contaminante e ripugnante.

Noi non possiamo semplicemente prendere la lista tradizionale ed emendarla un po’. Dobbiamo creare la nostra lista, che includerà non solo antichi luminari, ma anche saggi moderni; non solo coloro che si mantennero entro i limiti della religione organizzata, ma anche coloro che la denunciarono. La nostra lista di eroi comprenderà meno gente che si nascose entro i miti di un passato ignoto e più gente che è stata costretta a guardare in faccia l’esame scientifico del presente.

Ma come scegliere? Quali sono i criteri che un eroe umanista deve soddisfare?
Se trasformiamo Purim nel Giorno degli Eroi –conservando tutti il divertimento e usando Mordecai ed Ester come modelli leggendari- ecco che abbiamo una guida.

Gli eroi ebrei umanisti devono essere famosi. Devono distinguersi in qualche campo del progresso umano in modo tale che i loro nomi siano molto noti. Gli eroi debbono poter essere identificati non solo dai loro amici, ma anche dai loro nemici. Una figura che nessuno conosce difficilmente è stoffa per farne un eroe.
Essi devono essere felici della loro ebraicità. Eroi umanisti di origine ebraica che non abbiano interesse positivo nella loro identità ebraica difficilmente possono essere modelli per chi scelga tale valore.
Devono prendere decisioni in modo razionale. Se andassero in giro a parlare sempre di fede e autorità sacra, sarebbe imbarazzante raccomandarli ad una gioventù umanista. Questo criterio non significa che essi debbano essere riconosciuti come devoti dell’empirismo e del metodo scientifico. I nostri eroi possono essere semplicemente gente di buon senso aperti a cambiare le proprie opinioni sulla base di nuova evidenza e capaci di convivere con l’incertezza e l’ignoto.
Devono essere gente d’azione. In tempi di crisi devono evitare l’attesa passiva e usare le loro umane capacità per risolvere i problemi. La posizione infantile di porre la responsabilità all’azione in una potenza protettiva esterna non è moralmente accettabile. La preghiera è dannosa quando sostituisce l’azione. L’attesa del Messia non qualifica come eroe umanista.
Devono essere coraggiosi.  Devono essere pronti a sfidare pubblicamente vecchie idee quando non vadano d’accordo con l’evidenza dell’esperienza e vecchie istituzioni quando non servano più alle necessità umane. Non devono aver paura di essere innovatori.
Devono essere altruisti. Devono essere capaci di trascendere se stessi per andare incontro alle necessità degli altri. Devono essere sensibili non solo ai desideri di coloro che sono vicini a loro, ma anche agli estranei. Gente razionale che usa la ragione contro il bene della comunità può essere furba, ma difficilmente può far parte degli eroi umanisti.

Chi nella storia ebraica soddisfa a questi criteri? Vengono alla mente in molti – Davide, Elisha ben Abuya (rabbino radicale dell’antichità), Baruch Spinoza, Theodor Herzel, David Ben Gurion, Albert Einstein, Sigmund Freud, Erich Fromm, Woody Allen, Sholem Aleichem. Queste persone sono incarnazione della filosofia ebraica umanista. Sono più facili da capire e imitare che astratti principi. La rappresentazione teatrale di Purim richiede più attori. Cominciamo con Mordecai e Ester, ma non ci dobbiamo fermare lì.

 


 

Shavout


Shavuot, l’ultima delle festività di pellegrinaggio, se conteggiata dall’inizio dell’anno ebraico, cade sette settimane dopo la Pasqua ebraica (6 di Sivan), alla fine della raccolta d’orzo e all’inizio di quella di grano. 

La Torà (Lev. 23:21) descrive questa occasione come la festa delle settimane (in ebraico shavuot), per il fatto di esser conteggiata dalla Pasqua ebraica, e come l’occasione in cui il nuovo grano e i nuovi frutti vengono offerti ai sacerdoti nel Tempio. 

La sua altra definizione – la ricorrenza della consegna della Torà sul Monte Sinai – è di origine rabbinica. Shavuot viene osservata tra gli ortodossi con una maratona di studi religiosi e, a Gerusalemme, con una riunione di massa al Muro del Pianto in occasione di un servizio religioso festivo. Nei kibbutzim, la festa segna il culmine del raccolto del nuovo grano e la maturazione dei primi frutti, comprese le sette specie menzionate nella Bibbia (grano, orzo, uva, fichi, melograni, olive e datteri).



 

NORME DI PURITA'

 

La preoccupazione di consacrare e santificare la vita a Dio spingeva l’Ebreo ad evitare accuratamente tutto ciò che avrebbe potuto in qualche modo far perdere questa santificazione; è la ragion d’essere delle leggi che toccano le impurità e le purificazioni. Il contatto fisico con determinati oggetti, nel pensiero ebraico, produceva in chi li toccava una sorta di macchia, che li rendeva impuri. La legge considerava impure certe funzioni fisiologiche (le escrezioni del corpo e delle ferite, specie il sangue, anche quello del mestruo e del parto), il contatto seppur indiretto di cadaveri umani, di lebbrosi, di persone con imperfezioni fisiche e di diversi animali impuri (cfr. elenco al cap. XIV del Levitico). La Mishnah precisa abbondantemente questa legislazione, dedicando un’intera sezione alla purità (il Tohorôt). Il peso delle prescrizioni si faceva particolarmente sentire in tutto ciò che aveva a che fare col Tempio e la sua liturgia.

Mezzo di purificazione rituale è innanzitutto l’acqua, che a seconda del grado di impurità poteva anche essere utilizzata come lavacro dell’intero corpo.

 


 

 

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