Storia
Il Tibet, paese misterioso per antonomasia, ha da sempre suscitato un grande fascino negli occidentali. Il suo secolare isolamento dal resto del mondo e la sua complessa cultura piena di simboli metafisici, hanno involontariamente alimentato una vasta letteratura fantastica, basata più sui racconti di viaggiatori dotati di fervida immaginazione che su analisi documentate.
La storia del Tibet ci è stata sempre tramandata così intrisa di mitologie buddhiste e di tradizioni popolari da rendere molto difficile la loro separazione dai fatti storici veri e propri. Questa particolarità delle cronache storiche tibetane, peraltro tipiche di molti paesi asiatici, ha indotto diversi scrittori a descrivere il "Paese delle Nevi" in maniera alquanta fantasiosa e poco attinente alla realtà dei fatti, illustrandolo come il paese della magia e dei miracoli. Ricordiamo "Orizzonte perduto" di James Hilton del 1933 o "La rosa del Tibet" di Lionel Davidson del 1962. Romanzi che hanno perlomeno il pregio di presentarsi come opere di fantasia, senza pretese antropologiche.
Quella tibetana è una cultura complessa, che trae le sue origini da antichissime tradizioni ancora poco conosciute, se non completamente ignorate dai più. Informazioni frammentarie, slegate dall’intero ambiente culturale tibetano, e soprattutto senza un'adeguata conoscenza della filosofia buddhista, possono portare il pubblico ad una visione distorta delle tradizioni di un popolo che ha l’unica colpa di credere ancora nelle proprie radici e che non merita certo un’attenzione finalizzata unicamente alla soddisfazione delle nostre morbose curiosità o, peggio, ad un’utilizzazione consumistica della sua secolare cultura da parte dell’Occidente.
L’altopiano tibetano, il più vasto e alto della terra, venne a formarsi circa quaranta milioni di anni fa sotto l’immane spinta del subcontinente indiano che lo fece emergere dal mare, assieme alla catena dell’Himalaya. |
Le cronache locali, intrise di miti buddhisti, fanno discendere i progenitori tibetani dall’accoppiamento del Bodhisattva della Compassione, Avalokitesvara, sotto sembianze di una scimmia, con una demonessa delle rocce. Essi generarono una stirpe di creature che si sarebbero via via sempre più umanizzate e civilizzate.
I primi dati tibetani storicamente attendibili, risalgono alla seconda metà del sesto secolo della nostra era, allorché il capo del Tibet Centrale iniziò una progressiva unificazione del paese. Suo figlio, Songtsen Gampo (617-650), sposò, tra le altre, due principesse buddhiste. Fondò diversi templi, tra i quali la Cattedrale di Lhasa (tib. Jo-Khang), promuovendo con fervore il Buddhismo nel paese. A lui si deve inoltre l’introduzione della scrittura della lingua tibetana con caratteri derivanti dal sanscrito. Songtsen Gampo sarà ricordato come il primo re religioso.
Il secondo re religioso fu Trisong Detsen, che salì al trono nel 755. Fervente buddhista, fondò, nel 799, il primo monastero del Tibet, Samye, invitando nel paese il taumaturgo indiano Padmasambhava e proclamando il Buddhismo religione di stato.
La figura che introdusse il buddismo tantrico (Vajrayana) in Tibet è Padmasambhava, il cui nome significa "nato dal loto". Si racconta infatti che Egli nacque miracolosamente da un fiore di loto sulla superficie del lago Danakosa in Udyana, mitica terra di maestri tantrici e Dakini (le "danzatrici del cielo"), che alcuni storici identificano con la valle dello Swat in Pakistan. In realtà è difficilissimo distinguere il personaggio storico dalle innumerevoli leggende che lo circondano; per moltissimi tibetani Egli fu il secondo Buddha.
Padmasambhava in Tibet è conosciuto con il nome di Guru Rimpoche ("maestro prezioso"), è venerato da tutti e la sua effigie è rappresentata in quasi tutti i monasteri. Giunse in Tibet nel VII secolo su invito del re Trisong Detsen e diffuse in modo significativo la dottrina buddista. Questo periodo è noto come l'epoca della "Prima diffusione della Dottrina", di cui il momento più emblematico fu la costruzione del primo monastero tibetano: Samye, alla cui edificazione sembra abbia partecipato lo stesso Padmasambhava.
La rapida ed irresistibile diffusione del buddismo in Tibet, trovò delle resistenze soprattutto da parte della nobiltà e del clero Bon, la religione tibetana preesistente. Il successore di Trisong Detsen, terzo re religioso Ralpa Chen (817 – 836), volle continuare l’opera di diffusione del Dharma iniziata dal padre: stabilì che le famiglie dovevano occuparsi del mantenimento dei monaci e costruì più di mille monasteri (Vihara). Perfezionò l’opera di traduzione dei testi buddisti e fece redire una edizione in sedici volumi degli insegnamenti conosciuta come "La Grande Madre" (Satasahasrika prajnaparamita sutra – il discorso in centomila versi sulla Perfetta Saggezza).
Ralpa Chen fu ucciso dal fratello Langdarma, che, come già detto, divenne re (836 – 842). Langdarma si opponeva alla diffusione degli insegnamenti buddisti, e diede inizio a una crudele persecuzione. Soprattutto nel Tibet centrale molti monaci vennero uccisi e i monasteri distrutti o confiscati. Il lignaggio (la successione della trasmissione orale diretta agli insegnamenti) di Padmasambhava fu mantenuto in vita da alcuni meditatori che, nei loro eremi sperduti tra i monti, praticarono e trasmisero ai discepoli l’insegnamento tantrico e conservarono scrupolosamente tutti i testi tradotti. Molti praticanti si rifugiarono nella regione del Kham, altri si recarono in India per ricevere gli insegnamenti direttamente dai grandi maestri (i Mahasiddha).
In seguito a questa violenta repressione, che chiuse definitivamente il periodo chiamato dei re religiosi, il Buddhismo, cacciato dal Tibet Centrale, rispuntò qualche tempo dopo nelle zone esterne, specialmente nell’Amdo e nel Ladakh. Il fervore religioso tibetano tornò a poco a poco a rifiorire trovando le sue massime espressioni in maestri come Naropa, Marpa, Milarepa.
I mongoli, che in quel periodo conoscevano il momento del loro grande splendore storico, intervennero direttamente nella vita tibetana. Il grande sovrano Gengis Khan (1206 – 1227), convocò alla sua corte i rappresentanti di tutte le maggiori religioni e di tutte le diverse confessioni (confuciani, taoisti, mussulmani, cristiani e buddisti oltre a maghi e sciamani); pare che egli abbia proclamato vincitori del primo congresso interreligioso della storia i maestri tibetani e che lui stesso si convertì al buddismo Vajrayana. Il sovrano mongolo Kublai Khan affidò il governo del Tibet al suo maestro: l’abate del monastero di Sakya (Sakya Pandita (1253)), a cui faceva capo la scuola Sakyapa. I mongoli e i tibetani fondarono così una sorta di patto sacerdotale in base al quale, mentre i tibetani si prendevano cura del benessere spirituale, i mongoli garantivano al Tibet la sicurezza temporale.
Nel 1349 il dominio dei Sakya venne rovesciato da altri feudatari, e seguirono lotte intestine tra i vari signorotti tibetani. La mancanza di un’effettiva autorità centrale riconosciuta da tutti fu causa di interminabili conflitti tra le diverse famiglie aristocratiche che spesso nascondevano i loro interessi dietro questioni dal sapore religioso.
Nel 1642 l’esercito mongolo di Gusri Khan intervenne in Tibet ed impose ai tibetani il governo temporale di un lama della scuola Gelugpa che chiamò Dalai Lama, allora già alla quinta incarnazione (il Dalai Lama è considerato un’emanazione di Avalokitesvara, la divinità della compassione universale che protegge il Tibet).
Il V Dalai Lama (conosciuto come "il grande quinto") cercò di realizzare un equilibrio tra le scuole limitando i privilegi dei Gelugpa. Diede all’organizzazione religiosa una costituzione che permane ancora oggi nel governo in esilio del XIV Dalai Lama, con cinque posti in parlamento riservati ai capi delle scuole, rispettivamente a: Nyingma, Kagyu, Sakya, Bon e Gelugpa.
Iniziò così il periodo più recente della storia tibetana caratterizzato dal governo del Dalai Lama che, pur appartenendo tradizionalmente alla scuola Gelugpa, ha sempre governato come il rappresentante di tutto il popolo tibetano; la sua autorità temporale e spirituale è sempre stata riconosciuta da tutte le scuole che hanno potuto svilupparsi liberamente in un clima ormai pacificato.
Dal XVIII secolo l’espansionismo cinese comincia a premere ai confini nord orientali del paese e l’imperialismo britannico minaccia il Tibet da sud. Gli ultimi tre secoli del Tibet sono stati caratterizzati dall’alternanza tra tranquillità e periodi di grave tensione finché, negli anni cinquanta, "Il Paese delle Nevi" ha perso la sua libertà in seguito all’invasione cinese.
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