Testi di Paolo Accorsi
e Fabrizio Tesini
illustrazioni Alessandro Forti
questo
racconto appartiene agli autori secondo la legge 22 aprile 1941 n.633 :
tutti i diritti riservati.
Se sei interessato alla sua riproduzione scrivimi(SOLEGEMELLO EDITORE) e contatterò
gli autori.
Avv. N. 4: “Un
Samurai a New York ”
( 28° episodio: “ I semafori decapitati ” )
1. Furti di formaggio
2. Topazio Rattazzi
3. La Gazza Ladra
4. L’escalation di Rattazzi
5. L’esercito dei topi
6. L’ultimatum
7. Rattazzi K.O
8. Un sindaco da salvare
Avv. N. 2: “Il vampiro con un dente solo”
9. Il Conte Macula
10. Donna barbuta sempre piaciuta
11. Jamaican Pirss
12. Chi dorme piglia botte
13. Il cimitero di S. Cristobal
14. Ipnosi
15. Due sposi e una sparatoria
16. Notte di fuoco e fiamme
17. La zona delle colline pazze
Avv. N. 3: “Le zanzare polari”
18. Le creature modificate
19. Il circo di Kiev
20. Intrigo internazionale
21. Missione stella Polare
22. Battaglia sui mari
23. Polo Nord
24. Valery Galbarov
25. Battaglia per la vita
26. Foca per la vittoria
27. Mister Corvus
Billy Bon
Avv. N. 4: “Un Samurai a New York ”
( 28° episodio: “ I semafori decapitati ” )
Quel giorno, sembrava quasi che le poche macchine che erano in circolazione
in quei lontani anni ’40, fossero tutte concentrate lì: all’incrocio
tra la 75a e la 76a strada, strombazzanti e qualcuna anche accartocciata,
coi loro conducenti che, dai finestrini abbassati, lanciavano insulti a destra
e a manca. Per Billy Bon quella doveva essere una passeggiata rilassante,
nel tentativo di dimenticare le sue ultime disavventure amorose. Invece si
trovò, suo malgrado, invischiato in quel guaio che avrebbe poi caratterizzato
i giorni a venire. Avendo udito il rumore assordante dei clacson, subito si
affrettò per avvicinarsi al luogo del misfatto, insieme a numerosi
curiosi. Restò letteralmente allibito, quando notò che i due
semafori che dovevano regolare la circolazione di quel punto, erano praticamente
tagliati di netto. Sembrava proprio che qualcuno li avesse segati a metà
con qualche strano attrezzo. Tra le urla dei conducenti e quelle delle persone
che osservavano, un paio d’affannati vigili tentavano di riportare la normalità:
la cosa però non gli riusciva affatto. Addirittura, nella foga uno
dei due finì con l’ingoiare il suo fischietto.
- Sfiit sfiit haurg!! Ehm!!! Sfiiit -
Urlava piegato in due il capo dei vigili Remson, mentre un burbero camionista
lo insultava.
- Imbranato!! –
Nel bel mezzo di quel caos, un vecchietto riconobbe Bon e gli si avvicinò
agitato:
- Io c’ero, io ho visto!! –
Gli urlò per farsi sentire.
- Che cosa ha visto? –
Domandò Bon continuando ad osservare lo spettacolo caotico che aveva
di fronte.
- E’ stato….. –
Ma il vecchio fu spinto da un’antipatica cicciona.
- Scansati! Ubriacone puzzolente, devo ancora fare la spesa! Io sono una
vera
massaia! -
Il vecchio, spaventato a morte, si rifugiò tra la folla.
- Un pò di educazione signora!! –
La redarguì Bon. Ma la grossa donna reagì sollevandogli il
cappello e spiaccicandogli una confezione di dodici uova sulla testa.
- Così impara a rispettare le casalinghe!! –
Se ne andò grugnendo ad un altro esile passante. Bon cercava
inutilmente di ripulirsi, ancora incredulo per l’accaduto, quando il vecchietto
rispuntò dalla folla.
- Mi scusi signor Bon, le volevo descrivere quello che ho visto….Hic…
-
Forse il vecchietto era leggermente ubriaco e Bon non sapeva se dargli credito.
- Si sbrighi, per favore, prima che torni quel mostro –
- Io l’ ho visto! Era un Samurai giapponese e ha tagliato
in due i semafori col suo
spadone…..Hic… -
Bon restò attonito. Subito un altro passante intervenne.
- Signor Bon, non dia ascolto a questo ubriacone, passa
più tempo in birreria che a casa sua -
- Ma io l’ ho visto!…Hic -
Ribatté il vecchio sicuro di sé. In effetti era decisamente
sbronzo, ma Bon notò nella lucentezza dei suoi occhi, qualcosa che
lo spinse a fidarsi di lui. Pochi istanti dopo, arrivarono sul posto alcuni
agenti di polizia, decisi a ristabilire definitivamente l’ordine. Si misero
a disperdere i curiosi.
- Circolare…non c’è più nulla da vedere…-
- Tornate alle vostre case, lasciateci lavorare –
Un giovane agente raggiunse anche Bon e il vecchio.
- Circolare per favore, anche voi signori su! –
- Un momento! –
Gli disse Bon esibendo il suo tesserino. L’agente lo riconobbe e rimase
affascinato dal suo eroe.
- Ma lei è Billy Bon in persona!! –
- Si! Uova comprese –
- Lasci che le stringa la mano, questo è il giorno più bello
della mia vita –
Bon gli porse la mano unta di albume e il giovane la strinse come se fosse
quella del Presidente. Subito dopo si ripulì nella divisa cercando
di non farsi notare.
- Stavo ascoltando la testimonianza di quest’uomo –
Gli disse Bon.
- Sembra aver visto qualcosa –
- Se è per questo non è il solo, ne stiamo sentendo di tutti
i colori –
Rispose il giovane agente sempre eccitato.
- Ma io sono sincero…Hic…e non m’ interessano i colori..Hic… -
- Ma quest’ uomo è ubriaco fradicio!! –
Esclamò perplesso il giovane agente incredulo.
- E lei dà retta ad un ubriacone?! –
Bon cercò di spiegarsi, ma l’ agente lo screditò senza pietà
e se ne andò deluso da colui che fino a quel giorno era stato il suo
eroe, ma che ora era soltanto uno dei tanti incapaci. Bon ne aveva già
abbastanza di quella storia e di quel posto. Le uova poi, ormai seccate sui
suoi capelli, gli davano tremendamente fastidio. Si rivolse nervoso verso
il vecchietto:
- Venga al dunque per favore, signor?…Perché avrà pur un nome?!
–
- Mi chiamo Fred…Fred….Mah…Ehm… Dovrei avere addirittura un paio di cognomi
ma adesso non me li ricordo…..Hic –
- Mi meraviglio di me che gli do retta –
Sussurrò tra sé Bon sconsolato
- Venga al punto per favore, cosa ha visto?! Si può sapere?! –
- Quel pazzo, cioè quel samurai, è saltato fuori all’ improvviso
da un tombino e dopo aver urlato qualcosa, sicuramente in giapponese, ha estratto
la sua lunga spada e ha tagliato di netto, in un sol colpo, quei semafori…
si! Una cosa mai vista!! -
- Allora mi segua!! –
Ordinò deciso Bon al vecchietto. Voleva confrontare la sua versione
con quella degli altri testimoni e così lo condusse dove alcuni agenti
raccoglievano le deposizioni. Poco più lontano, accasciato, da solo
sul marciapiede, il capo dei vigili Remson stava tentando di vincere la sua
personale battaglia contro il fischietto ingoiato, ignorato incredibilmente
da tutti e deriso da un gruppo di monellacci di quel quartiere. Il resto della
folla era attirato dalle testimonianze che stavano raccogliendo alcuni agenti
sul posto. Ogni tentativo di disperdere tutte quelle persone era vano, la
curiosità era troppo grande. Usando la sua influenza, Bon riuscì
ad accompagnare il vecchietto tra i super testimoni ma gli agenti lo scartarono
subito, giudicandolo inattendibile per il suo appariscente stato d’ebbrezza.
Per il giovane agente di prima fu un altro duro colpo: dovette assistere al
secondo fallimento consecutivo del suo ex eroe. Mentre il vecchio era allontanato,
rischiando perfino l’arresto, Bon decise di restare per ascoltare qualche
versione dell’accaduto:
- Erano in due, uno aveva un martello pneumatico, l’altro
una sega a vapore modello Mississippi…..una delle migliori
–
- Vada avanti per cortesia! –
Urlò il sergente O’ Hara arrivato al colmo della pazienza.
- Ehm… Si stavano sfidando per via di una donna. Quello
col martello pneumatico, vedendo nelle luci dei due semafori, gli occhi verdi
dell’amata che l’aveva tradito, si accanì come una furia, abbattendoli
senza pietà –
- Portatelo viaaa! -
Urlò O’ Hara, slacciandosi il colletto della camicia.
- Sbattete in galera anche questo e avanti un’altro….Voglio
la verità!!..Avete capito?! Non ho tempo da perdere!! –
Si fece avanti uno stravagante personaggio con un pesante turbante indiano
sulla testa. Dopo aver eseguito uno strano saluto orientale rivolto al furioso
sergente, disse melanconico:
- Sono stato io…..li ho spezzati con la forza della mia
mente….Anche lei, se vuole, può riuscirci. Basta concentrarsi intensamente
–
- Viaaa!!…Portatemelo viaaa!! –
Urlò di nuovo il sergente paonazzo in volto.
- C’ è qualcuno, per favore, che abbia visto quello che è
successo? –
Fu il momento di un giovane che portava al collo la sciarpa dei New York
Giants. Si presentò deciso al cospetto di O’ Hara.
- Io ho visto tutto! Quell’ultimo touch down non era
regolare, ecco spiegato il motivo della contestazione verso la dirigenza
da parte dei tifosi –
O’ Hara, per un istante, rimase perplesso. Cercò con lo sguardo aiuto
tra la folla, nessuno però sembrava capire le parole deliranti del
giovane tifoso.
- Ma cosa dice questo qua?….Ma lei è un pazzo lo sa? –
Il giovane ci rimase malissimo.
- Ma come?!…Non è una retata nei confronti dei tifosi dei New York
Giants? –
Dopo questa domanda, O’ Hara cadde come un grosso albero tagliato di netto.
Intervennero definitivamente tutti i suoi colleghi per disperdere una volta
per tutte i curiosi. Nel nuovo trambusto creatosi, una giovane ragazza che
si trovava davanti a Bon esclamò:
- Ma io ho visto veramente quello che è successo,
quel terribile Samurai sbucato dal nulla, che ha tagliato come grissini i
due semafori –
- Come ha detto signorina? –
La interruppe Bon.
- No, niente….Stavo chiacchierando con la mia amica –
- Perché non parla con me, ci potrebbe scappare anche una bevuta
–
- Allora vengo anch’ io….Hic –
Si aggiunse il vecchio Fred risbucato da chissà dove. Bon convinse
i due testimoni a confrontarsi e la ragazza confermò in pieno la versione
del vecchio.
Ancora una volta Billy era riuscito a saperne più della polizia.
Lo strano personaggio travestito da Samurai, non era più la patetica
visione di un ubriaco squattrinato, bensì la realtà. Una domanda
sorgeva spontanea ora: chi era quel tipo? Cosa cercava?
Un improvviso bagliore lo accecò. Sembrava quasi che una stella fosse
precipitata dal cielo avvolgendo nella sua luce ogni cosa. Bon si portò
le mani agli occhi e si voltò per proteggersi.
Qualche giorno prima, in un luogo dove il tempo era annullato dal fragore
delle tempeste o dalle bonacce malinconiche di un oceano senza fine,
le grandi onde roboanti, s’infrangevano, possenti, contro la scoscesa e ripida
scogliera. Esausto, ricoperto di fango e di sudore, osservava dall’alto il
percorso intrapreso per la pericolosa scalata. C’ era riuscito. Finalmente
era sull’isola. Adesso doveva scoprire se era quella giusta oppure un altro
vano tentativo. Aveva dedicato gran parte della sua vita a questa disperata
ricerca e forse, finalmente, era riuscito a trovare l’isola di Pula. Dopo
essersi riposato, si addentrò nella foresta, orientandosi interpretando
un’antica e logora mappa che teneva tra le mani. Dopo diversi minuti di cammino,
si fermò guardandosi intorno.
- E’ il posto giusto! –
Esclamò tra sé notando un bacco da seta gigantesco che depositava
uova gialle ocra.
Dalla sua sacca estrasse quattro piccoli cubetti di legno, li lanciò
in aria e ne ricaddero solo tre. Il quarto stava nella mano aperta dell’arcimaga
Paurosaki, apparsa come d’incanto davanti a lui in una nuvola di polvere magica
violetta.
- Chi mi ha evocato dalle mie remote mansioni magiche? –
L’uomo s’ inginocchiò rispettoso pronunziando un’antica formula:
- Ki ghe no, ki ghe si –
- Bravo discepolo, vedo che ti sei applicato nello studio degli antichi
riti…..Chiedi e forse ti sarà dato –
- Potentissima arcimaga….Indicami la via segreta che conduce alla fortezza
di Lamaoba e aiutami nella mia impresa –
- Ha ha ha ….Ancora quest’assurda pretesa! -
- Si! Voglio rubare le famose ciabatte dell’Imperatore! –
A quest’affermazione, alla maga s’ illuminarono gli occhi. Un tremito scosse
il terreno tutt’intorno.
- Pazzo!! Come osi sfidare antichi incantesimi come questo! Non te lo ripeterò
più una seconda volta, basta con queste sciocchezze! –
- Ma potente Paurosaki, io devo! –
- Chi credi di essere tu? Non sei che un grammo di polvere disperso nell’immenso
deserto del tempo –
- Io sono il tuo umilissimo schiavo Tomaiashi Ciabatey –
Ripeté mesto Ciabatey prostrandosi ancor più al cospetto della
potente maga.
- Devi dimenticare il tuo antenato Kengo Sciavate, devi dimenticare questa
storia, ti porterà solo guai. Se le guardie imperiali, per punizione,
amputarono entrambi i piedi del tuo antenato, avranno avuto un buon motivo
-
- Da allora, fino a pochi decenni or sono, un editto dell’Imperatore comandava
quell’orribile amputazione a tutti i primogeniti della nostra famiglia. Pensi,
potente arcimaga, che perfino mio nonno non aveva i piedi –
- Che reato credi avesse commesso Sciavate? -
La collera che covava in Ciabatey fu alimentata come benzina sul fuoco da
quella semplice domanda.
- Niente!….Ne abbiamo già parlato più volte. Assolutamente
niente!!! –
Urlò prima di calmarsi e di spiegarsi:
- La sua unica colpa fu di essere il calzolaio imperiale. Sbagliò
nel prendere le misure del reale piede dell’ Imperatore Cato Hou, causandogli
con le sue ciabatte nuove, il fastidioso principio di un callo…..Ecco quale
è stata la sua colpa!! –
- Un momento! –
Esclamò la maga.
- Se ben ricordo, per colpa di quel mal di piedi, il saggio
Imperatore, che mai in tutta la sua vita aveva preso una decisione errata,
per quel breve periodo non fu se stesso. Perse una guerra, quattro figli
e due mogli. L’Impero Giapponese rischiò di essere annientato dai
Mongoli e anni di carestie terribili seguirono per colpa di Kengo Sciavate
–
- Sciocchezze!! –
Esplose Ciabatey
- Con il dovuto rispetto che ho per lei, potente Paurosaki,
il mio avo non aveva nessuna colpa e io lo vendicherò –
- Bada! Terribili incantesimi proteggono quel luogo. Io ti posso
indicare la strada ma il resto dipenderà unicamente dal tuo valore….Quindi
mi sa tanto che non hai speranze -
- Mi indichi la strada, preferisco morire qui oggi piuttosto
che vivere il resto della mia vita nell’umiliazione –
- E sia allora! Non tenterò più di fermarti. Quella
è la via –
La maga alzò la mano e indicò la direzione con l’indice puntato.
A quel gesto gli elementi si scatenarono e un violento ciclone sradicò
gli alberi secolari della foresta, mostrando la via. L’arcimaga scomparve
lasciando nelle mani di Ciabatey il quarto cubetto di legno. Ciabatey tremava
come una foglia, il potere degli arcimaghi era grandioso.
All’interno dell’isola, sorgeva un piccolo villaggio di pastori e agricoltori,
spesso vittime dei banditi che vivevano sulle montagne.
- Vecchio! Dammi il tuo riso! –
Stava ordinando il bandito Uruma con la sua bocca priva di denti e un occhio
guercio. Il coraggioso vecchio gli rovesciò il piatto di riso addosso.
- Non ho paura di un uomo senza denti –
Gli uomini del bandito lo circondarono tra le urla di terrore dei paesani.
- Lasciatelo! –
Esplose una voce tuonante. Era il grande Okudera, la guardia imperiale prescelta
per vegliare sulla mitica tomba di Cato Hou e membro della nobile stirpe degli
Okudera, famiglia da sempre al servizio dell’Imperatore. Vedendo la possente
figura del Samurai, i banditi si volatilizzarono, tranne uno: il capo Uruma.
_ Hi hi hi -
Rideva il vecchio mentre raccoglieva da terra il suo riso.
- Rubare è un atto vile –
Disse Okudera avvicinandosi.
- Sulle montagne si muore di fame. Tu parli di viltà, ma hai servi
e cibo in
abbondanza, mentre noi mangiamo le cortecce degli alberi… Guarda qua la
mia
bocca come è ridotta –
- Queste sono tutte scuse, qui in paese abbiamo case e cibo per tutti. Quello
che
serve sono il lavoro e la disciplina, voi non volete lavorare –
Per tutta risposta Uruma estrasse la spada, mentre Okudera assunse una posizione
di preghiera.
- Che cosa fai? Chiedi perdono per i tuoi peccati? –
Domandò con scherno il bandito, prima di lanciarsi all’attacco contro
il Samurai. Vibrò il colpo mortale con la sua spada ma Okudera bloccò
la lama con due dita girandola e disarmando così l’incredulo avversario.
I compari del bandito, vedendo il loro capo umiliato in quel modo, contrattaccarono
lanciando sul Samurai una pioggia d’armi rudimentali. Okudera evitò
il loro attacco con una tranquillità disarmante, dopo di che li salutò
con l’inchino tipico del Samurai. Lanciò contro di loro il suo boomerang
e li uccise tutti. Lasciò in vita solo Uruma, che giaceva disperato
ai suoi piedi. Il saggio Okudera parlò:
- I tuoi uomini non sono morti invano, ora vivono in te. Se saprai onorarli
col lavoro e una vita onesta, essi vivranno per l’eternità nei cieli
buoni. Comprendi come sia facile morire ed invece difficile vivere nel modo
giusto? –
- Comprendo, comprendo –
Ripeté mesto il bandito.
- Allora vai e vivi saggiamente -
Okudera fece ritorno alla fortezza di Lamaoba, salutato dagli applausi degli
abitanti del paesello, che lo veneravano come una divinità. Allontanatosi
il Samurai, Uruma non visto, stordì una povera vecchietta e gli rubò
le sue pannocchie, prima di scomparire, ridendo sadicamente, tra le montagne……
Nello stesso momento, anche se in un mondo completamente lontano dall’umile
paesello sull’isola di Pula: il tramonto colorava di rosso intenso la sfarzosa
zona di Time Square. Nella gioielleria di John Flipper, una delle più
rinomate di New York, stava capitando una cosa inconsueta. John Flipper in
persona era appena entrato nel suo negozio, cosa che a quell’ora non faceva
praticamente mai. Si diresse con decisione verso uno dei suoi trenta commessi.
- Buona sera signor Flipper –
Lo salutò emozionato il giovane commesso.
- Si allacci bene quel bottone per favore e si sistemi il colletto –
Lo redarguì Flipper, che poi si avvicinò alla vetrinetta contenente
uno dei gioielli più preziosi di tutta la collezione: la pantera nera,
un gigantesco diamante nero d’origine africana.
- Serve qualcosa signore? –
- Sono venuto per prelevare la pantera nera –
- Non si può! –
Rispose deciso il giovane commesso. Flipper rimase perplesso.
- Ma cosa diavolo dice?! –
- Mi vuole mettere alla prova signore, non è vero? –
- Ma quale prova! Apra subito quella vetrinetta, che tra l’altro sono anche
di corsa questa sera –
- Signore! Proprio lei si è raccomandato più volte di non
aprire per nessun motivo questa vetrinetta…mai! –
- Non aprirla agli altri, non a me! –
- Io mi rifiuto di aprire! –
- Insomma basta! Ubbidisca e non discuta! –
- James…James! –
Urlò il giovane commesso. Un vecchio inserviente subito li raggiunse.
- Il signor Flipper vuole che apra la vetrina che contiene la pantera nera
e che gli
consegni il gioiello –
- E’ assolutamente proibito!
Si affrettò a puntualizzare James.
- Ma io sono il padrone qua dentro e voglio quel gioiello! Avete capito
che mi
serve?! -
- Bisogna sentire cosa ne pensa Duglas –
- Al diavolo Duglas, aprite subito quella vetrina o vi licenzio tutti! –
Duglas, poco lontano dai tre, udendo il suo nome si avvicinò incuriosito.
- Buona sera signor Flipper, a cosa dobbiamo il piacere di questa sua visita
inaspettata?
- Sono venuto per ritirare la pantera nera –
- Impossibile! –
- Anche lei ci si mette?! –
- Bisognerebbe telefonare a Kirkwood, alla sede di S. Francisco –
- Non facciamola troppo lunga per cortesia, a me serve quel gioiello e Stop!
Sono io che comando qui! –
- E’ disposto ad assumersi la totale responsabilità? –
Si azzardò a domandare timidamente Duglas. Flipper divenne paonazzo
in viso, colpì con un pugno l’aria e si avviò verso l’uscita.
- Questa faccenda non finisce qui! Mi sono spiegato?! Quel gioiello era
per mia moglie, questa sera diamo un’importante ricevimento….In ogni caso
io non devo giustificarmi con voi, razza d’idioti! Faremo i conti domani!
–
Un isterico Flipper uscì come un tornado dalla sua gioielleria, seguito
dai tre commessi molto preoccupati.
- Signore ci ripensi, se vuole, il gioiello lo può avere anche subito
–
Lo stava in pratica implorando Duglas con le lacrime agli occhi.
- Andate tutti al diavolo! –
Flipper salì sulla sua limousine e scomparve nel traffico.
- L’abbiamo combinata grossa! –
Esclamò James, mentre rientravano nel negozio.
- Abbiamo rispettato un suo ordine, non c’è nulla da temere, conosceva
bene la
procedura, questi padroni presuntuosi che si sentono al di sopra delle regole
non mi garbano molto –
Cercò di rincuorarlo il giovane commesso, nemmeno lui troppo convinto
di ciò che stava dicendo.
- Abbiamo fatto la cosa giusta…vedrete che Kirkwood approverà il
nostro
comportamento e ci proteggerà –
Chiuse definitivamente Duglas. Ma tra i tre non brillava certo l’allegria,
anzi….
Poco prima della chiusura, Flipper entrò di nuovo nel locale. Dato
che nel frattempo, si era sparsa nel negozio la notizia di quanto era accaduto
ai tre sventurati commessi, tutti lo fissarono spaventati.
- E’ venuto per licenziarci! –
Pensarono i tre. Senza parlare, Flipper si recò di nuovo al banco
del giovane commesso. Duglas li raggiunse immediatamente.
- E va bene signore….aprila –
Ordinò al collega. La vetrinetta si aprì dopo che il commesso
ebbe digitato una combinazione segreta su una minuscola tastiera. Senza nemmeno
fiatare, Flipper ne estrasse il gioiello e lo avvolse in un panno di velluto
mettendoselo poi in tasca. Salutò tutti con un cenno della mano, prima
di uscire e sfrecciare via su di un taxi.
- Siamo salvi! –
Esultò il giovane commesso saltando sul bancone.
- Siamo stati fortunati, meno male che è tornato! –
Gli fece eco James.
- Si vedeva però che era arrabbiato –
Disse Duglas.
- Non ha detto una sola parola, lui che di solito, è sempre così
loquace –
I festeggiamenti furono interrotti dalla nuova ed imprevedibile comparsa
del proprietario, che furente entrò nel negozio come un proiettile
impazzito.
- Voglio dirvi una cosa sola a tutti voi! –
Urlò rivolto a tutti i dipendenti.
- Ero già a casa e mi ero calmato, quando ho pensato bene di ritornare
e farvi un
bel discorso chiarificatore: sappiate che qua dentro il burattinaio che
controlla tutti i fili sono io, John Flipper! Io sono al di sopra di qualsiasi
dettaglio o regolamento, quando parlo si esegue e punto! Sono stato
chiaro?!….
Quando io ordino esigo ubbidienza e velocità, va bene?! –
Nel negozio non volava una mosca, tutti se ne stavano rannicchiati dietro
i loro banconi a sorbirsi la ramanzina.
- Quando io voglio un oggetto qualsiasi qua dentro, mi deve essere consegnato
immediatamente… e se questa sera mi serve la pantera nera voi……. –
Flipper indicò in quel preciso istante la vetrinetta, che solo poco
prima conteneva il gioiello e vedendola vuota gli prese letteralmente un colpo.
Un quarto d’ora dopo, il negozio era pieno d’infermieri e poliziotti. John
Flipper aveva rischiato l’infarto ed ora stava ancora urlando tra un sedativo
e l’altro:
- Ma a chi l’avete dato?! Non ero io…Non ero io! Idioti! Consideratevi morti!!!
–
Fu portato via in quello stato. Subito scattarono le indagini ma del gioiello
non si seppe più nulla. In una sfarzosa villa ottocentesca, protetta
da un grande parco privato, qualcuno stava brindando, solitario, alla riuscita
del colpo sulle note della sinfonia n. 40 di Mozart.
- Non c’è colpo impossibile per me, perché io sono Arsenio
Du Prêt! –
Disse tra sé il diabolico ladro, mentre sorseggiando cognac, contemplava
la mitica pantera nera, ormai nelle sue mani. Dopo essersi gustato per diverso
tempo il nuovo gioiello, Du Prêt si alzò dalla comoda poltrona
e si diresse verso la parete del salone, alla quale erano appese le vetrinette
che contenevano i frutti di tutti i suoi colpi. Con delicatezza inserì
la pantera nera tra l’elefante d’argento, rubato a Città del Capo e
il granchio di cristallo, rubato nella casa di Fidel Castro. Voltandosi si
mise a rimirare la grande ricchezza contenuta nel suo salone. Mezzi busti
romani, alcune mummie trafugate nella tomba del grande Faraone egiziano At
– Hak – At, tutta la sua collezione di quadri preziosissimi, rubati nei musei
più importanti del mondo e sostituiti da falsi dipinti da lui stesso.
Fu improvvisamente rapito da un quadro in particolare: la senora Sabasa y
Garcìa, del Goyia, che in quel momento era illuminato dalla calda ed
intensa luce del camino. Quel giovane volto di fanciulla, sembrava respirare
ed assorbire vita dai colori e quasi riemergere lentamente dal passato. Du
prêt si sentì attratto da quegli occhi così reali e vivi,
dalle giovani labbra appartenute ad un passato sconosciuto ma che ora sembrava
volessero parlargli…. E così, infatti, fu.
- Buona sera caro signor Du prêt –
- Buona sera –
Rispose Du prêt, come sempre educato. Poi però, il bicchiere
che teneva tra le mani gli cadde frantumandosi.
- Mafelica, maledizione! Ti manifesti sempre nei modi più insoliti
–
- Io posso essere ovunque e qualsiasi cosa –
- Lo sai quanto costano questi bicchieri? –
- Con il colpo che ti ho permesso di fare questa sera ne potrai comprare
un milione –
- Scusami, è che le tue apparizioni bizzarre mi spaventano sempre
–
- Questo perché sei solo un uomo. Ha…ha…ha… -
Rise la strega sistemandosi i riccioli dipinti.
- Io ti devo molto, ma devi smetterla di trattarmi come una nullità,
sono sì un uomo ma… Soprattutto Arsenio Du Prêt! –
- Tu sei quello che dico io e farai quello che dico io, come sempre! –
- Sì Mafelica, scusami –
- Da anni usi la mia magia per cambiare le tue sembianze ed assumere qualsiasi
identità. Tutto questo ti ha permesso di diventare quello che sei oggi.
Te li ricordi i patti? –
- Veramente io non ricordo nulla –
Il quadro iniziò ad ondeggiare freneticamente sulla parete. A quella
vista, Du Prêt s’inginocchiò atterrito.
- Sapevi che un giorno ti avrei chiesto un favore in cambio di ciò
che ti ho concesso, ebbene, quel giorno è arrivato. Ora sono io ad
avere bisogno di te –
- Che cosa devo fare? –
Chiese umilmente Du Prêt. A quelle parole, un pugnale sibilò
nell’aria, conficcandosi nella parete che stava alle spalle del ladro e infilzando
un punto imprecisato di un’antica mappa.
- Tu ti recherai in quel luogo! –
Du Prêt, incuriosito, andò a guardare.
- In Giappone?! –
Esclamò confuso.
- Su una piccola isola vicino al Giappone –
- Cosa c’è da rubare in un posto del genere? –
- Qualcosa che vale più di tutto quello che potresti rubare in tutta
la tua misera esistenza –
Du Prêt fu colto da una smania ed una curiosità morbose.
- Che cosa può essere? –
Domandò eccitato immaginandosi antichi e sperduti tesori pirateschi.
- Le ciabatte dell’Imperatore Cato Hou –
- Un paio di ciabatte?! –
Esclamò impietrito Du prêt. Il quadro però, era tornato
a fissarlo ingenuo e privo di vita. L’incantesimo era finito e la strega se
ne era andata. Sul tavolino, posto accanto allo sfarzoso divano che stava
al centro del salone, spiccava il biglietto aereo di andata e ritorno per
il Giappone.
Fine 28° episodio.
Non perdete il prossimo episodio, dal titolo: “Le ciabatte dell’Imperatore
Avv. N. 4: “Un Samurai a New York”
(29° episodio: “ Le ciabatte dell’Imperatore ”)
Bon si strofinò gli occhi e lentamente riacquisì la vista.
Intorno a lui ora sembrava tutto di nuovo tranquillo.
- Accidenti, che botta! Cosa sarà stato? –
Si domandò. Intanto la ragazza era sparita e lui si ritrovò
tra le mani un piccolo sacchetto di cuoio.
- E questo cos’è? -
- Ho trovato questo strano oggetto vicino ad uno dei semafori tagliati –
Disse il vecchio Fred, rimasto accanto a Billy.
- Secondo me è caduto al Samurai –
A quelle parole, Bon si affrettò ad aprirlo. Ne estrasse quattro
piccole piramidi di legno.
- Che gioco sarà? Un gioco Giapponese forse -
Anche Fred volle vederle. Su ogni lato vi erano delle piccole incisioni
in Giapponese, il che non lasciava dubbi sulla loro provenienza. Quando Bon
fece per riprendersele, il vecchio strinse il pugno.
- Credo di aver diritto ad un premio per la mia collaborazione…..Hic
–
Bon si frugò nella tasca dell’impermeabile ed estrasse due biglietti
da cento dollari.
- Bastano? –
Il vecchio consegnò le quattro piramidi, entusiasta per la gigantesca
mancia.
- Mi devi promettere che li spenderai tutti in whisky –
- Ci puoi giurare amico….Hic –
Ma Fred mentiva… Finì con lo spendere tutto il denaro in pessimo
vinaccio Olandese. Non appena Bon ebbe congedato il vecchio, una macchina
gli si accostò per avvertirlo che Cooper aveva urgente bisogno di
lui in centrale. Un’ora dopo, Billy era nell’ufficio del Capitano insieme
a Coyote. I due amici lo informarono che durante la notte, era stato assassinato,
in modo davvero inconsueto, un pericolosissimo gangster: Gino Wayne.
Era stato trovato morto in una stanza d’albergo, con i piedi tagliati di
netto poco sopra le caviglie. La cosa più assurda era, che l’assassino
li aveva fatti sparire insieme alle ciabatte…
- Cosa?! –
Esclamò Bon a quella strana notizia.
- Dalla testimonianza di un cameriere dell’albergo, sappiamo con certezza
che Wayne calzava un paio di ciabatte poco prima dell’omicidio. Durante un
primo sopralluogo, le uniche cose mancanti dalla stanza, sono risultate appunto
quelle ciabatte… Oltre ai piedi di Waine –
- Erano ciabatte preziose? –
Chiese Bon, distrutto dagli eventi.
- Si! Come le mie…Ho..Ho..Ho… -
Rispose ironicamente Coyote.
- E io cosa centro con questo ladro di ciabatte pazzo! –
- Confidavamo in una tua intuizione-
Lo esortò Cooper
- Questo è troppo anche per me –
Ed uscì dall’ufficio. Non si allontanò di molto, non poteva
andarsene così e lasciare i suoi amici in difficoltà. Inoltre
doveva raccontare a qualcuno la storia dei semafori, non riusciva a tenersi
dentro una simile esperienza e così, rientrato nell’ufficio, raccontò
ai già confusi colleghi quanto gli era capitato poco prima. Lo squillo
improvviso del telefono, interruppe un silenzio meditativo, seguito al racconto
di Bon. Rispose Cooper ed un agente lo avvertì che all’incrocio tra
la 15a e la 17a strada, un pazzo vestito da Samurai, aveva letteralmente tagliato
in due un taxi, prima di scomparire dentro un tombino. I tre si precipitarono
sul posto, ma durante la corsa in macchina, dalla radio furono avvertiti
che lo strano personaggio era ricomparso poco più avanti, dove aveva
fatto a pezzi un’edicola, creando confusione generale, prima di scomparire
tra la folla di curiosi. Arrivati sul posto, una nuova segnalazione li sorprese.
Ora il Samurai, saltato fuori da un distributore automatico di giornali,
aveva causato il deragliamento di un tram, dopo aver tagliato in più
punti le rotaie. Andarono avanti così fino a tarda sera, senza mai
riuscire ad arrivare al momento giusto in nessuno dei luoghi segnalati. Più
passavano le ore, più la gente tendeva ad esagerare nelle descrizioni
degli eventi. Qualcuno aveva visto il Samurai sulla testa della statua della
libertà. Qualcun altro sosteneva di averlo visto ridare la vista ad
un cieco. Altri ancora, volare sopra Manhattan, facendo roteare il suo spadone.
Per farla breve, in una sola giornata, il Samurai era già diventato
un mito, che ancora però non aveva un nome.
- Insomma bastaaa!! –
Stava urlando Bonner, seduto al ristorante “ il fagiano bruno “ del suo
amico Bruno Cuochetti
- Ma chi è?! –
- Si calmi per favore –
Lo redarguì Marcomains, che era a cena con lui quella sera.
- Sarà uno dei tanti esauriti cronici che vuole sentirsi qualcuno
per un giorno –
- Finirà in galera….Bon lo catturerà vedrete…Passatemi dei
grissini intanto –
Arrivò una carriolata di teneri grissini integrali, che furono rovesciati
accanto a lui.
Quella notte, Bon prese una decisione irrevocabile: avrebbe dormito! Salutò
tutti, esausto, andandosene poi a casa. Sprangò la porta, staccò
il telefono e si lasciò cadere sfinito sul letto.
- Finalmente un po’ di pace –
Si fece una doccia gelida e s’infilò il pigiama: niente poteva fermarlo.
Prima di coricarsi però, volle dare un’ultima occhiata alle piccole,
stranissime, piramidi giapponesi. Più le osservava e le rigirava tra
le dita, più si sentiva confuso e sconfitto.
- Al diavolo anche queste! –
Esclamò a voce alta lanciandole in aria. Ne ricaddero solo tre.
- Ma?! –
Si domandò Bon guardando verso il soffitto. La quarta piramide era
sparita. La cercò sul pavimento, poteva essergli sfuggita durante la
caduta. Quando rialzò la testa, la trovò sul palmo della mano
del potente Arcimago Magasaki.
- Aaaaahhh !!! –
Urlò Bon, che scivolò subito sotto il letto per nascondersi.
Purtroppo lì sotto riposava il suo cucciolo d’alano Messicano, di cui
aveva completamente dimenticato l’esistenza…
Il cucciolo, affamato, l’ addentò.
- Aaaaahhh!! –
Urlò una seconda volta, uscendo di scatto e ritrovandosi di fronte
al possente mago. Magasaki. Aveva una lunghissima treccia di capelli bianchi,
che sembrava essere dotata di vita propria e che terminava con un terzo occhio,
con il quale ora stava studiando Bon, girandogli tutt’intorno.
- Tu ora sei il mio nuovo padrone. Io sono un arcimago buono, non hai nulla
da temere da me. Io porto solo saggezza e felicità –
Bon sentiva la terra tremare sotto i suoi piedi. Non trovava la forza di
parlare.
- Sei forse muto? –
Gli chiese il mago.
- Se è così, fai un gesto con la testa ed io ti farò
parlare –
Bon mosse un piede: era completamente a massa… Il terzo occhio dell’arcimago
sbatté freneticamente la palpebra, come disorientato.
- Hai forse problemi mentali? Se sì, alza con serenità la
mano destra e io guarirò i tuoi mali –
Bon, tranquillizzato dalla voce paterna del mago e dai suoi modi gentili,
si sbloccò.
- Che prodigio è mai questo? –
- Allora sei sano! Ne sono immensamente felice. Io sono l’arcimago Magasaki
e vengo dalla minuscola isola di Pula. Ho accompagnato in questo futuristico
paese il mio precedente padrone, il saggio Samurai Okudera, facendo uso della
mia magia. Tu lo hai forse sconfitto in combattimento? –
- Ma se non so nemmeno chi è! –
- Possiedi i quattro preziosi Fushimi –
- E che cosa sarebbero? –
- Quelle piccole piramidi che servono ad evocarmi. Il mio vecchio padrone
non se ne sarebbe mai privato, per nessun motivo –
Finalmente Bon cominciava a capire. Il famoso Samurai, che compariva ovunque,
doveva essere quell’Okudera di cui parlava ora il mago. Ma proprio Magasaki
era il vero problema per Bon, che non poteva certo accettare l’esistenza di
simili esseri magici.
- Chiedi e forse ti sarà dato –
Disse il mago, ripetendo quella che sembrava essere la frase tipica degli
arcimaghi.
- Voglio che mi porti da Okudera, ovunque sia –
In un lampo Bon si ritrovò, ancora in pigiama, davanti al Samurai
e lì capì…che anche per quella notte non avrebbe dormito…..
- Accidenti, non ho avuto nemmeno il tempo di cambiarmi –
Pensò imbarazzato, davanti alla possente figura del grande Okudera.
D’istinto, fece per estrarre la sua 38 a tripla canna ma non la trovò:
era rimasta nell’impermeabile.
- Accidenti –
Si lasciò sfuggire.
- Devo ricordarmi di ordinare all’ingegner Carpa un pigiama speciale, attrezzato
di armi..-
Okudera intanto, aveva estratto il suo spadone mettendosi in posizione da
combattimento.
- Di solito non combatto contro uomini disarmati, ma il suo abbigliamento,
confonde i miei principi –
- Si calmi, non sono qui per farle del male –
- Infatti solo gli esseri malvagi fanno del male, lei mi sembra buono –
Okudera rinfoderò la sua spada.
- Mi dispiace per il mio atteggiamento, ma sono tremendamente
spaventato da questo vostro mondo meccanico, fatto di ferro e luci accecanti.
Come potete vivere così? –
- E’ una domanda che mi pongo spesso anch’io –
Rispose Bon tranquillizzatosi.
- E’ lei che ha tagliato i due semafori all’incrocio tra la 75a e la 76a
strada? –
- Mi dispiace tremendamente di avervi causato dei problemi, ero atterrito
e spaventato dalla vostra tecnologia –
- Parla bene la nostra lingua e conosce anche termini che dovrebbero quindi
esserle sconosciuti –
- Questo è il frutto di un incantesimo. Credo che però lei
non sia pronto per queste cose –
- Io ero pronto ad andare a letto, accidenti! –
- In ogni caso la sua apparizione improvvisa in questo luogo è piuttosto
inconsueta –
Affermò il Samurai, ricordandosi dello strano modo in cui era comparso
Billy.
- Prima presentiamoci, io sono l’investigatore Bon, Billy Bon –
Gli porse la mano, che al confronto con quella di Okudera, sembrava la manina
di un neonato. Il Samurai la strinse energicamente.
- Okudera, guardiano Imperiale –
Si presentò il Samurai. Bon estrasse dalla tasca del pigiama il minuscolo
sacchetto che conteneva le quattro piccole piramidi.
- Oggi ho recuperato questo piccolo sacchetto dal contenuto assai
strano –
Lo mostrò ad Okudera che si entusiasmò.
- I sacri Fushimi! –
Esclamò felice.
- Lei non si rende conto del potere che stringe tra le mani –
- Ho conosciuto il mago Magasaki, è grazie a lui che sono comparso
qua. Comunque, questo genere di potere non m’interessa –
Billy restituì il piccolo sacchetto ad Okudera, che s’inginocchiò
recitando le parole di un’antica preghiera:
- Chi Ghiù no, ta ghie ti, ma ades ghiù mi, e Tokyo le là
–
Bon trattenne a stento una risatina spontanea, mentre un ammirato Okudera,
alzatosi, gli stava stringendo la mano con vigore, in segno di gratitudine.
- Il suo gesto risplenderà per sempre tra le stelle luminose. Ci
sono uomini disposti ad uccidere o morire per i sacri Fushimi –
- Ho capito che lei è una persona saggia, è giusto che il
potere del mago Magasaki resti nelle sue mani –
In segno di rispetto, Okudera fece a Bon l’inchino del Samurai.
- Ora ho un debito con lei….La mia vita è sua! –
Bon rimase senza parole e quando si riprese, guardandosi intorno domandò:
- Ma dove siamo qui? –
- In uno strano luogo del suo mondo –
Si trovavano, infatti, al molo n. 15 del porto di Manhattan, tra casse gigantesche,
containers, enormi gru, argani e montagne di grosse funi e gomene.
- Andiamocene da qua –
Propose Bon. Proprio in quel momento, un altro stranissimo personaggio,
saltò fuori all’improvviso da un grosso barile e abbaiando, si scaraventò
addosso ai due.
- E questo chi diavolo è? –
Esclamò Billy spaventato a morte. Okudera estrasse il suo spadone
e spinse lontano l’impietrito investigatore.
- Si sposti e si metta in salvo, questo è Kanaky Bau Bau, detto anche
“Testa di cane”. Vuole da me i sacri Fushimi e sarà disposto a lottare
fino all’ultimo per questo! -
Bau Bau sfoderò un lunghissimo guinzaglio argentato ricoperto di
uncini, lo lanciò verso Okudera tentando d’imprigionargli la testa.
Il Samurai evitò il colpo e contrattaccò col suo spadone, tagliando
di netto un braccio a Kanaky.
- Bauuu!! –
Gridò “Testa di cane” in preda al dolore. Bon assisteva incredulo
a quei pazzi eventi. Non sapeva se chiamare un’ambulanza oppure il canile
municipale. Bau Bau intanto, impavido, aveva azzannato ad una caviglia Okudera.
- Aarff!!! –
Okudera però indossava delle speciali cavigliere in acciaio, che
spaccarono le mascelle di Kanaky Bau Bau.
- Gaii…Gaii.. –
Guaiva mesto Kanaky, mentre cercava di riordinare le forze. In quel momento,
passò un gigantesco cane randagio. Bau Bau, che aveva un’influenza
particolare sui cani, si rivolse all’animale con tono fiero e deciso, nonostante
la mascella rotta.
- Io sono il signore assoluto di tutti i cani. Tu! Servo! Ubbidisci ai miei
ordini e attacca quel Samurai…..Attaccalo a morte! -
Il cane randagio, con una ferocia inaudita, si scagliò contro Kanaky
divorandogli entrambe le gambe, prima di allontanarsi felice scodinzolando.
Era un’alano dell’Oregon, uno dei cani più grandi della terra. Bau
Bau, malgrado tutto si rialzò di nuovo e minacciò Okudera con
le sue ultime forze.
- Questo è solo l’inizio. Altri verranno dopo di me. Tutti i guerrieri
erranti sparsi per il mondo sanno che sei qui. Stanno arrivando….-
Sfinito, Bau Bau crollò a terra e Okudera, incurante delle sue minacce,
gli si avvicinò con calma.
- Ora troverai la pace –
Disse soave prima di staccargli di netto la testa con un violento colpo
della sua spada. Una strana nuvola azzurra avvolse il corpo di Kanaky, che
quasi subito si dissolse. Bon era sbalordito. Dove poco prima stava disteso
il corpo di Kanaky Bau Bau, Okudera raccolse un nuovo piccolo Fushimi, mettendolo
poi nel sacchetto insieme con gli altri.
- Che diavoleria è mai questa?! –
Domandò Bon esterrefatto da quanto aveva visto. Nella mente di Billy,
le domande si ammassavano a centinaia.
- Le risposte spesso richiedono tempo e conoscenza. Ora non abbiamo tempo….e
la conoscenza arriverà più avanti –
Il Samurai s’incamminò. Per Bon il linguaggio usato da Okudera era
più che incomprensibile, nonostante tutto quello che era capitato dovette
trattenere a stento nuove risate.
- Dove stiamo andando ora? -
Domandò.
- Dobbiamo nasconderci. Mi stanno cercando –
- Ma si può sapere cosa ci fa qui in America e da dove diavolo è
sbucato? –
- Io sono Okudera, il sacro guardiano delle spoglie mortali di Cato Hou,
Imperatore della dinastia Namura. Sono nato e vissuto fino ad oggi sulla minuscola
isola di Pula, vicino alle coste dell’amato Giappone che non ho mai visitato.
Il mio compito è di sorvegliare l’intero tesoro custodito nella fortezza
di Lamaoba. Dopo secoli di tranquillità, purtroppo, proprio sotto
la mia responsabilità c’è stato un furto. Io sono qui per riabilitare
il mio onore e quello dell’Imperatore Kato Hou.
- Che cosa è stato rubato? - …………
Solo qualche giorno prima, Ciabatey scrutava dall’alto di un colle la fortezza
di Lamaoba. Era arrivato alla fine del sentiero costruitogli da Paurosaki.
Ora era solo e avrebbe dovuto scoprire con le sue forze i punti deboli della
possente fortezza.
- In alto le mani! –
Ordinò qualcuno alle sue spalle. Ciabatey alzò le braccia
e si voltò molto lentamente. Era Uruma, accompagnato da tre dei suoi
scagnozzi.
- Tira fuori tutto quello che hai e fai presto, uomo dal tatuaggio sulla
fronte –
Gli ordinò Uruma, che lo chiamò in quel modo per via di uno
strano tatuaggio che Ciabatey portava sulla fronte: uno scintillante sole
oscurato da una nube nera.
- No! –
Rispose Ciabatey sicuro di se. I quattro si guardarono in faccia. Uno dei
tre scagnozzi scattò all’attacco con una forca. Ciabatey schivò
il colpo, catturò alle spalle il bandito e gli puntò il suo
pugnale alla gola.
- Non fatelo mai più se volete vivere! –
I quattro capirono che si trattava di un vero guerriero, ma Uruma, orgoglioso,
volle reagire ugualmente. Raccolse una pietra e la scagliò con tutta
la forza contro Tomaiashi. Ciabatey tagliò in due la pietra con il
palmo di una mano e una scheggia colpì Uruma all’occhio sano.
- Aaaahhh!! –
Urlava Uruma mentre correva a nascondersi nella foresta. Ciabatey ingaggiò
i tre briganti rimasti e con loro si diresse alla fortezza. Giunsero davanti
alle mura in piena notte. Si issarono usando delle funi procurate da uno dei
banditi. Salirono sulle piccole torri occidentali, da lì discesero
nelle stalle e poi via di corsa verso il sacro tempio dell’Imperatore. Purtroppo
per loro, quella notte, vi era in svolgimento una cerimonia religiosa presieduta
dai monaci del piccolo monastero confinante.
- Aummm….Aummm…Uuuu –
Cantavano gli stonati monaci, redarguiti dal monaco anziano.
- Tenete il tempo… “ Tempockio unitockio “ –
- Aummm…. Aummm –
- Meglio –
Esprimeva ora la sua soddisfazione il capo monaco. Andarono avanti così
per ore. Dopo meno di un minuto i tre briganti erano già nel mondo
dei sogni. Ciabatey invece, che dalla sua aveva il grande odio che covava
nel cuore, restò sveglio fino all’ultimo rito. Alla conclusione i monaci
sparsero una gran quantità d’incenso all’interno del piccolo tempio,
dopo di che se ne andarono in colonna, eseguendo i canti finali.
- Aummm….Uuuuu….Aummm –
Nel tempio rimase solamente un fumo intenso e fastidioso. Ciabatey
stava timidamente facendo i primi passi verso il sacro sarcofago, quand’ecco
che il fumo si condensò tutto in un angolo, prendendo sempre di più
una forma umana. Vedendo ciò, Tomaiashi arretrò di qualche passo,
confuso. Che cosa stava capitando lì dentro?
Quella vaga sagoma gassosa stava diventando sempre più definita.
Ormai si potevano vedere chiaramente capelli, vestiti, perfino gli scaltri
occhi di quell’uomo che, come per un incantesimo, si era materializzato.
- Non c’è colpo impossibile per me, perché io sono Arsenio
Du Prêt! –
Disse il famelico ladro, mentre apriva il sarcofago con agilità e
toglieva le preziose ciabatte a Cato Hou, tutto questo dinnanzi a Ciabatey,
paralizzato dallo stupore.
- Ti ringrazio Mafelica per questo tuo ennesimo prodigio –
Sussurrò di nuovo Du Prêt, rivolto verso il cielo. Ciabatey
si era ormai ripreso dallo shock e gli lanciò contro il suo pugnale,
ma questo attraversò il corpo del ladro andandosi a conficcare contro
una statua di legno.
- Ah…Ah…Ah –
Rise divertito Du Prêt mentre si dissolveva scomparendo. Ciabatey
rimase solo, con il suo odio ed un pugno di mosche. Pianse come un bimbo
cui gli amici avevano rubato le biglie. Poi svegliò a calci i tre
briganti che si erano persi tutto lo spettacolo magico. Stava per inveire
su di loro, quando udirono l’avvicinarsi di molti uomini: era Okudera, con
la sua scorta armata di guardie imperiali. Il trambusto fatto dai movimenti
di Ciabatey li aveva svegliati. I tre briganti fuggirono a casaccio e furono
subito catturati, l’esperto Tomaiashi invece, si nascose dietro un enorme
vaso di giada, originale dell’isola di Giadei e rimase lì trattenendo
perfino il respiro.
Okudera entrò nel piccolo tempio seguito da un paio dei suoi uomini.
Videro il sarcofago aperto e subito, uno dei guardiani gridò:
- Le ciabatte di Cato Hou sono sparite. Hanno rubato le ciabatte dell’Imperatore!
-
Nella fortezza scoppiò il caos e Ciabatey ne approfittò per
risalire sulle piccole torri e fuggire. Almeno un motivo per gioire l’aveva,
era ancora vivo ed era riuscito ad ingannare Okudera che, malgrado i suoi
poteri sensitivi, non era riuscito a captare la sua presenza nel tempio. Ora
non doveva fare altro che allontanarsi dalla fortezza ed evocare di nuovo
Paurosaki. Avrebbe inseguito quel ladro fino ai più sperduti confini
dell’universo e gli avrebbe preso le ciabatte! Era l’unico scopo della sua
vita.
Nella fortezza intanto venivano interrogati i tre briganti. Questi non seppero
dare alcuna risposta soddisfacente, così vennero rinchiusi nelle segrete
e condannati a passare lì, il resto della loro misera vita. Okudera,
disperato, interpellò l’arcimago Magasaki e lui gli spiegò che
le ciabatte erano già in viaggio per L’America…….
- Ed ora sono Qui –
Terminò il suo breve racconto Okudera. Nella mente di Billy non vi
era più spazio per le domande. Si fermò, sedendosi su di una
cassa di legno appena fuori del porto. Si accese una sigaretta.
- Ma non si è chiesto come mai il ladro ha rubato solamente le ciabatte
dell’Imperatore? –
Domandò.
- Ci sono decine di risposte per questa domanda, ora però non abbiamo
il tempo
necessario –
Bon ignorò la fretta di Okudera e continuò a fumare rilassato.
- Le ho fatto questa domanda perché l’altra notte è stato
trovato un cadavere cui erano stati amputati i piedi e l’unica cosa che mancava
nella stanza eran proprio le ciabatte che calzava solo poco tempo prima.
Una strana coincidenza, non trova? –
- Il vostro ladro è un’altra persona –
Sentenziò deciso Okudera.
- Perché? –
- Il mio ladro ha già le ciabatte che voleva, non gliene servono
altre –
- E se fosse un feticista serial killer? –
- Lei legge troppi romanzi di seconda serie, caro investigatore –
- E lei mi tiene nascoste troppe cose –
- E’ vero! –
Chiuse il discorso Okudera, mentre lanciando nel cielo stellato le quattro
piccole piramidi di legno evocava Magasaki. Bon si rese immediatamente conto
che la quinta piramide, guadagnata dal Samurai per la vittoria contro Bau
Bau, era sparita e il minuscolo sacchetto di cuoio era vuoto. Ma cosa stava
succedendo? Gli sembrava di vivere un pazzo sogno. Okudera ordinò a
Magasaki di riportare Billy nel suo letto per concedergli, finalmente, il
meritato riposo.
- Un momento, io….le piramidi di legno…ne manca… -
Tentò di ribellarsi Bon, ma si ritrovò, come per incanto,
sotto le coperte. Subito s’addormentò, sentendosi le palpebre stranamente
più pesanti del solito….Un incantesimo?….Solo stanchezza?….Chissà…
Fine 29° episodio.
Non perdete il prossimo episodio!
SE SEI ARRIVATO FINO QUI...SIGNIFICA
CHE IL RACCONTO TI E' PIACIUTO...