La concezione dell'amore in Dante

 

L'adesione al Dolce Stil Novo

 

Alcuni passaggi della Commedia possono essere anche interpretati come il traguardo raggiunto dalla riflessione teorica di Dante in relazione alla concezione d'amore: infatti il poeta nella giovinezza aderisce totalmente alla poetica del Dolce Stil Novo, ma approda ad una concezione molto più profonda e più umana dell'amore.

L’idea che sembra essere al centro dello Stil Novo è che la donna ingenera sempre nell’uomo un sentimento di elevazione, di perfezione; l’amare stimola una ferma volontà di annobilimento che si tramuta in ansia metafisica e brama d’assoluto, non libera da angoscia e tormento (tematica tipica nell'opera di Cavalcanti). Centrale è l'idea che all'Amore non ha senso resistere, perché, innato in ogni uomo, è portato in atto dalla donna e deve manifestarsi.

 

Guido Cavalcanti, Fresca rosa novella

 

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E se vi pare oltraggio
ch' ad amarvi sia dato,
non sia da voi blasmato:
ché solo Amor mi sforza,
contra cui non val forza - né misura.

Se vi (riferito alla donna) pare eccessivo
cha mi dedichi ad amarvi,
non sia da voi biasimato:
poiché solo Amore mi spinge,
contro cui non servono né la forza d'animo, né la saggezza
(misura è, aristotelicamente, il giusto mezzo fra gli estremi)

 

Il concetto viene ribadito anche da Dante nelle Rime:

 




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     Ne le man vostre, gentil donna mia,
raccomando lo spirito che more:
e' se ne va sì dolente ch'Amore
lo mira con pietà, che 'l manda via.

      Voi lo legaste a la sua signoria,
sì che non ebbe poi alcun valore
di poter lui chiamar se non: "Signore,
qualunque vuoi di me, quel vo' che sia".

      Io so che a voi ogni torto dispiace:
però la morte, che non ho servita,
molto più m'entra ne lo core amara.

      Gentil mia donna, mentre ho de la vita,
per tal ch'io mora consolato in pace,
vi piaccia agli occhi miei non esser cara.

Rime, XIX

 

Ma anche, almeno in qualche elemento essenziale, nella Divina Commedia:

 

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E io più lieve che per l'altre foci
m'andava, sì che sanz'alcun labore
seguiva in sù li spiriti veloci;
quando Virgilio incominciò: "Amore,
acceso di virtù, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua paresse fore
".

Pg XXII, 10-12

E io più leggero di altre volte
camminavo, cosicché senza nessuna fatica
potevo seguire verso l'alto gli spiriti veloci;
quando Virgilio incominciò: “Amore,
acceso di virtù, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua si manifestasse".

È per tale motivo che la figura della donna-angelo, già riscontrata in altre scuole poetiche, acquista un’identità nuova: non è più una metafora o un ornamento retorico (come era nella poesia cortese), ma è realmente l’Intelligenza mediatrice tra il poeta e Dio. Tale nobilitazione dell’animo è chiamata ‘gentilezza’, che sarebbe la perfezione dell’essere, contraria alla nobiltà di stirpe di sangue che invece era esaltata dalla letteratura cortese e cavalleresca.

 

 

La novità di Dante

 

Ma Dante, anche grazie alla riflessione filosofica acquisita dalla Summa Theologiae di S. Tommaso, comprende che non sempre e comunque il sentimento amoroso ingenera un'elevazione dell'animo, perché se tale sentimento stravolge l'aspetto razionale dell'uomo - vera peculiarità dell'essere umano che lo differenzia dagli altri esseri - non può configurarsi come atto positivo, come azione nobilitante e quindi strumento per arrivare a Dio. Al contrario, quando si trasforma in «appetito di fera» (è l'espressione che usa Dante nella canzone XLIX, Doglia mi reca ne lo core ardire delle Rime), è un sentimento negativo, che inchioda l'uomo alla sua animalità e quindi lo allontana ovviamente da Dio: è per questo che Francesca è all'Inferno ed è consapevole della giustizia di Dio nel porla in quel luogo per l'eternità.

 

Sotto questo aspetto il quinto canto dell'Inferno è emblematico del passaggio fra le due concezioni.

Nella prima parte troviamo, infatti, l'esaltazione dell'amore da parte di Francesca secondo le dinamiche classiche del Dolce Stil Novo:

 

 
 
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      Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende 
prese costui de la bella persona 
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. 
      Amor, ch’a nullo amato amar perdona, 
mi prese del costui piacer sì forte, 
che, come vedi, ancor non m’abbandona. 
      Amor condusse noi ad una morte: 
Caina attende chi a vita ci spense». 
Queste parole da lor ci fuor porte. 

 

Ma, nei versi successivi, Dante, attraverso le parole di Francesca che descrivono il tradimento, esplicita la sua nuova concezione d'amore che prevede il passaggio attraverso la componente razionale:

 

 
 
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      Noi leggiavamo un giorno per diletto 
di Lancialotto come amor lo strinse; 
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 
       Per più fiate li occhi ci sospinse 
quella lettura, e scolorocci il viso; 
ma solo un punto fu quel che ci vinse
       Quando leggemmo il disiato riso 
esser basciato da cotanto amante, 
questi, che mai da me non fia diviso, 
      la bocca mi basciò tutto tremante. 
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: 
quel giorno più non vi leggemmo avante».

 

Il «ci vinse» rappresenta l'abdicare della ragione rispetto all'«appetito di fera» e quindi segna l'impossibilità di amare Dio da parte dei due amanti. Tale concetto è, del resto, esplicitato all'inizio dello stesso canto, quando Dante spiega l'applicazione della legge del contrappasso, che per i lussuriosi si concreta nella bufera infernale (If V, 31-39):

 

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      Intesi che a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali
che la ragion sommettono al talento

 

Lì dove «talento» è sinonimo di piacere e desiderio, capace di sottomettere la ragione e quindi trasformare l'uomo in animale.

 

Tutta questa teoria d'amore è spiegata da Dante nel XVII (vv. 85 - 139) e in particolare nei versi 1 - 39 del XVIII del Purgatorio; di quest'ultimo brano riproduciamo i tratti salienti con la parafrasi, necessaria perché il testo presuppone una conoscenza piuttosto precisa della terminologia tomista.

 

 
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      L'animo, ch'è creato ad amar presto,
ad ogne cosa è mobile che piace,
tosto che dal piacere in atto è desto.
      Vostra apprensiva da esser verace 
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, 
sì che l'animo ad essa volger face;
      e se, rivolto, inver' di lei si piega, 
quel piegare è amor, quell'è natura 
che per piacer di novo in voi si lega. 
      Poi, come 'l foco movesi in altura 
per la sua forma ch'è nata a salire 
là dove più in sua matera dura, 
      così l'animo preso entra in disire, 
ch'è moto spiritale, e mai non posa 
fin che la cosa amata il fa gioire.
      Or ti puote apparer quant'è nascosa 
la veritate a la gente ch'avvera 
ciascun amore in sé laudabil cosa;
 
      però che forse appar la sua matera 
sempre esser buona, ma non ciascun segno 
è buono, ancor che buona sia la cera».

 

                Pg XVIII, 19 - 39

L'animo, che è creato con una disposizione naturale ad amare, è pronto a muoversi verso ogni cosa piacevole, non appena è messo in attività da questo piacere.
La vostra facoltà conoscitiva deriva dalla realtà esterna l''immagine, e la elabora dentro di voi, così che fa (volgere l'animo verso quella immagine) e se l'animo, dopo aver considerato quella immagine, si inclina verso di lei, quella inclinazione è amore, è una disposizione naturale che per opera della cosa piacevole incomincia a vivere concretamente in voi per la prima volta. Poi, come il fuoco tende a muoversi verso l'alto per la sua naturale essenza, che è fatta salire alla sfera del fuoco dove, essendo nel suo elemento, si conserva più a lungo, così l'animo preso da amore (per cosa piacevole) avverte il desiderio essa, desiderio che è movimento spirituale, e non trova più pace finché il possesso della cosa amata non gli dà la gioia desiderata. Ora ti può essere chiaro quanto sia nascosta la verità a coloro i quali sostengono che ogni forma di amore in se stessa è cosa buona, (affermando questo) forse in base al fatto che la disposizione naturale ad amare appare sempre buona (poiché tende al bene o a ciò che appare tale); ma non ogni impronta è buona, benché sia buona la cera su cui è impressa (cioè: anche se la disposizione naturale ad amare è buona, non sempre sono tali l'oggetto e il modo in cui essa vi tende).

E, poco dopo,



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      Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede,
dir ti poss'io; da indi in là t'aspetta 
pur a Beatrice, ch'è opra di fede. 
      Ogne forma sustanzial, che setta 
è da matera ed è con lei unita, 
specifica vertute ha in sé colletta, 
      la qual sanza operar non è sentita, 
né si dimostra mai che per effetto, 
come per verdi fronde in pianta vita. 
      Però, là onde vegna lo 'ntelletto 
de le prime notizie, omo non sape, 
e de' primi appetibili l'affetto, 
      che sono in voi sì come studio in ape 
di far lo mele; e questa prima voglia 
merto di lode o di biasmo non cape. 
      Or perché a questa ogn'altra si raccoglia, 
innata v'è la virtù che consiglia, 
e de l'assenso de' tener la soglia.
 
      Quest'è 'l principio là onde si piglia 
ragion di meritare in voi, secondo 
che buoni e rei amori accoglie e viglia. 
      Color che ragionando andaro al fondo, 
s'accorser d'esta innata libertate; 
però moralità lasciaro al mondo. 
      Onde, poniam che di necessitate 
surga ogne amor che dentro a voi s'accende, 
di ritenerlo è in voi la podestate.
 
      La nobile virtù Beatrice intende 
per lo libero arbitrio, e però guarda 
che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende».

                    Pg XVIII, vv. 46 – 75

Ed egli mi rispose: « Io ti posso dire quanto la ragione umana riesce a spiegare intorno a questo problema; affidati solo a Beatrice per ciò che supera i limiti della ragione, poiché si tratta di argomento di fede. Ogni anima, che è distinta dal corpo pur essendo a quello unita, ha in sé raccolta la disposizione propria della sua specie, la quale disposizione non è avvertita se non quando incomincia ad operare, né si manifesta se non attraverso i suoi effetti, allo stesso modo in cui la potenza vitale di una pianta appare nelle sue fronde verdi. Perciò (dal momento che la virtù specifica dell'anima, cioè la capacità di conoscere e la disposizione ad amare, è avvertita solo quando entra in attività) l'uomo non sa da dove provenga la conoscenza delle nozioni innate, e l'amore dei primi beni desiderabili, che è solo in voi uomini, così come nell'ape c'è la tendenza istintiva a fare il miele; e questa prima disposizione non è suscettibile di lode o di biasimo (per il fatto che è innata). Ora affinché a questo primo impulso naturale (che è buono in sé perché viene dalla natura) si accordino tutti gli altri, è innata in voi la ragione (la virtù che consiglia intorno al bene o al male), che deve vigilare l'assenso solo alle cose buone. La presenza della ragione è il fondamento da cui deriva il giudizio del nostro merito o demerito, secondo che essa accolga e scelga gli amori buoni e cattivi. I filosofi che con la ragione investigarono fino in fondo il problema dell'anima umana, notarono questa libertà innata; per questo lasciarono in retaggio al mondo la dottrina morale. Quindi, ammesso che ogni amore che si accende in voi sorga naturalmente (di necessitate: indipendentemente dalla vostra volontà), è anche in noi la facoltà di trattenerlo o no. Beatrice (la dottrina teologica) chiama questa nobile virtù libero arbitrio, e perciò cerca di ricordartelo, se ella incomincerà a parlartene».

 

Come si comprende si può affermare che, in rapporto a quest'argomento, Dante 'scopre' il libero arbitrio, la libertà innata della nostra capacità di amare che può orientarrsi al bene come al male, ma che, comunque resta libera. Si capisce, allo stesso modo, la distanza ormai abissale che distanzia Dante dagli Stilnovisti, per i quali - ricordiamo - la libertà di amare non era libera, ma strettamente vincolata all'istinto di riamare. In relazione a tale riflessione Dante, come si è detto, molto deve a san Tommaso d'Aquino, che parla molte volte dell'amore nella sua opera fondamentale, la Summa Theologiae, mettendolo ovviamente in relazione alla sua visione antropologica.

 

Interessante infine sottolineare che per Dante non esiste una reale differenza - a livello di dinamiche interiori e di manifestazioni esteriori - fra l'amore umano e quello divino. Basta leggere le parole con cui S. Francesco nell'undicesimo canto del Paradiso parla del proprio rapporto con Madonna Povertà, che si configura - addirittura a livello linguistico - come un perfetto rapporto uomo-donna.

 

 
 
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       Non era ancor molto lontan da l'orto, 
ch'el cominciò a far sentir la terra 
de la sua gran virtute alcun conforto; 
       ché per tal donna, giovinetto, in guerra 
del padre corse, a cui, come a la morte, 
la porta del piacer nessun diserra; 
       e dinanzi a la sua spirital corte 
et coram patre le si fece unito
poscia di dì in dì l'amò più forte. 
       Questa, privata del primo marito
millecent'anni e più dispetta e scura 
fino a costui si stette sanza invito; 
       né valse udir che la trovò sicura 
con Amiclate, al suon de la sua voce, 
colui ch'a tutto 'l mondo fé paura; 
       né valse esser costante né feroce, 
sì che, dove Maria rimase giuso, 
ella con Cristo pianse in su la croce. 
       Ma perch'io non proceda troppo chiuso, 
Francesco e Povertà per questi amanti 
prendi oramai nel mio parlar diffuso. 
       La lor concordia e i lor lieti sembianti, 
amore e maraviglia e dolce sguardo 
facieno esser cagion di pensier santi; 
       tanto che 'l venerabile Bernardo 
si scalzò prima, e dietro a tanta pace 
corse e, correndo, li parve esser tardo. 
       Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! 
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro 
dietro a lo sposo, sì la sposa piace. 
       Indi sen va quel padre e quel maestro 
con la sua donna e con quella famiglia 
che già legava l'umile capestro.

 

Sotto questo aspetto Dante si presenta fortemente moderno e perfettamente ortodosso dal punto di vista dottrinale, superando l'eresia càtara che voleva l'amore umano (come tutto ciò che di umano e mondano esiste) sempre e comunque peccaminoso, mal visto, da evitare o, al massimo, da sopportare in vista di un bene futuro e ultraterreno. Dante arriva a Dio attraverso l'amore umano, interpretandolo come reale ed efficace strumento di elevazione verso Dio.

 

 

Appendice lessicale

 

Per il Dolce Stil Novo il verbo non è «amare», ma più spesso vengono utilizzati predicati equivalenti, costruzioni perifrastiche con «amore» oppure la parola «amore» come oggetto di una locuzione verbale («dare amore», «fare amore», ecc.).

Anche nella colossale opera poetica di Dante i verbi «amare» e «amar» sono presenti solo 28 volte (tranne in un caso, «amare» è sempre in rima), 14 volte nel Fiore e tre volte nel Detto d’Amore (se questi devono essere attribuiti all’Alighieri), cinque volte nelle Rime e sei nella Commedia.

 

Al contrario, i sostantivi «amore» e «amor» vengono incontrate 453 volte.

Nella Commedia ci sono 148 casi, 19 nell’Inferno (nove nel canto degli innamorati), 50 nel Purgatorio e 79 nel Paradiso dove dimora Dio, chiamato «'l primo amore» già all’inizio di tutta l’opera (Inferno III, 6).

 

Si nota così un crescendo o un’ascensione verso l’amore e verso l’Amore, stabilito in partenza come il fine del suo viaggio all’aldilà.


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