Storia e gossip sulla vita e le azioni di D'Annunzio

 

1. L’impresa di Fiume

Nel 1914 lo scoppio della guerra gli dà la possibilità di affermarsi come protagonista non solo letterario, ma anche storico politico: Nel maggio del 1915 inizia una campagna infuocata per l’intervento contro gli imperi centrali (orazione per la sagra dei mille).

Alla fine della guerra investe la sua popolarità nella marcia di ronchi che lo porta a occupare Fiume e a governarla per sventarne l’annessione alla Jugoslavia (la cosiddetta «vittoria mutilata»).

"O Fiume o morte!"

 

Mio caro compagno,

il dado è tratto!

Parto ora. Domattina

prenderò Fiume con le armi.

Il Dio d'Italia ci assista.

Mi levo dal letto, febbricitante.

Ma non è possibile differire.

Anche una volta lo spirito

domerà la carne miserabile.

 

Gabriele D'Annunzio

11 settembre 1919

 

 

 

Così Gabriele D'Annunzio scriveva a Benito Mussolini: iniziava l'impresa di Fiume.

 

D'Annunzio, che non ha mai rinunciato a rivendicare i diritti dell'Italia su Fiume, organizza un corpo di spedizione. A Venezia egli raggruppa gli ufficiali che fanno parte di un nucleo d'agitazione che ha per motto "O Fiume o morte!". Questi ufficiali assicurano a D'Annunzio un contingente armato di circa mille uomini, ai quali altri se aggiungono poi durante la marcia sulla città irredenta.

 

Gabriele D'Annunzio si autonomina capo del corpo di spedizione e il giorno 12 settembre 1919 entra in fiume alla testa delle truppe. La popolazione acclama i granatieri italiani ed il "poeta soldato".

 

L'impresa di D'Annunzio riesce anche grazie alla compiacente collaborazione del generale Pittaluga, comandante delle truppe italiane schierate davanti a Fiume, il quale concede via libera al piccolo esercito. Le truppe alleate di stanza nella città non oppongono resistenza e sgomberano il territorio chiedendo l'onore delle armi. Di fronte al colpo di mano il presidente Nitti, nel duplice intento di salvare la nazione da un pronunciamento militare e di non provocare incidenti internazionali, pronuncia un violento discorso:

"L'Italia del mezzo milione di morti non deve perdersi per follie o per sport romantici e letterari dei vanesii".

 

Mussolini, fronteggiando l'attacco contro il suo amico D'Annunzio, scrive sulle colonne del Popolo d'Italia:

"Il suo discorso è spaventosamente vile. La collera acre e bestiale di Nitti è provocata dalla paura che egli ha degli alleati. Quest'uomo presenta continuamente una Italia vile e tremebonda dinanzi al sinedrio dei lupi, delle volpi, degli sciacalli di Parigi. E crede con questo di ottenere pietà. E crede che facendosi piccini, che diminuendosi, prosternandosi, si ottenga qualche cosa. È più facile il contrario".

 

D'Annunzio non reagisce agli attacchi del Presidente del Consiglio come Mussolini, ma conia per Nitti un soprannome, niente di più, ma un soprannome nel quale c'è tutto il suo disprezzo per il moderato che disapprova "le gesta sportive". Lo battezza "Cagoja". 

 

20 settembre 1919. Gabriele D'Annunzio ottiene i pieni poteri e comincia a firmare decreti qualificandosi "Comandante della città di Fiume". Il 16 ottobre le truppe regolari dell'esercito continuano a bloccare la città e D'Annunzio dichiara Fiume "piazzaforte in tempo di guerra". Questo gli consente di applicare tutte le leggi del codice militare che in tal caso prevede anche la pena di morte con immediata esecuzione per chiunque si opponga alla causa Fiumana.

 

Il plebiscito del 26 ottobre segna il trionfo di D'Annunzio che ottiene 6999 voti favorevoli all'annessione su 7155 cittadini fiumani votanti.

Sull'onda del successo, D'Annunzio esprime a Mussolini un proprio progetto: marciare su Roma alla testa dei suoi uomini e impadronirsi del potere.

 

Mussolini lo dissuade e lo convince che la cosa finirebbe in un fallimento. In realtà la marcia su Roma è il suo grande sogno ma egli vuole ancora aspettare perché intende essere il solo condottiero di quella marcia, e non certo l'articolista di D'Annunzio, in questo momento più popolare di lui. Nel frattempo le potenze alleate ammoniscono il governo italiano sulle complicazioni che l'impresa fiumana può portare nelle trattative ma la loro presa di posizione è abbastanza moderata, tale da indurre Nitti a non intervenire con la forza contro D'Annunzio ma a intavolare con lui pacifici negoziati.

 

Arriviamo così alla vigilia delle elezioni. D'Annunzio riprende la sua attività espansionistica ed il 14 novembre sbarca a Zara, debolmente contrastato dal governatore militare. Occupata Zara, D'Annunzio riparte pochi giorni dopo lasciando una guarnigione a presidiare la città, mentre corre voce che egli stia per tentare altre imprese del genere a Sebenico ad a Spalato.

 

Gli italiani vanno alle urne ignorando le ultime imprese di D'Annunzio, perchè il governo blocca la notizia attraverso la censura, temendo che il nuovo fatto d'armi possa mutare il corso della consultazione. Le elezioni del 1919 vedono la sconfitta dei fascisti e nel giugno del 1920 Giolitti subentra come Presidente del Consiglio a Nitti.

 

Il 1920 vede la conclusione definitiva dell'avventura fiumana di Gabriele D'Annunzio.

 

I rappresentanti delle potenze alleate si riuniscono a Rapallo. Il 12 novembre viene firmato un trattato che dichiara Fiume stato indipendente e assegna la Dalmazia alla Jugoslavia tranne la città di Zara che passa all'Italia. Il "poeta soldato" viene invitato ad andarsene da Fiume. Questa volta l'esercito e la marina italiana non potranno più mostrarsi compiacenti con D'Annunzio. Il generale Enrico Caviglia viene inviato a Fiume per far sgomberare la città dagli occupanti. E' Natale. D'Annunzio dichiara che quello sarà un Natale di sangue e promette che verserà anche il suo, ma il generale Caviglia ordina ad una nave da guerra di aprire il fuoco contro il palazzo del governo. Le prime bordate segnarono la fine dell'avventura di D'Annunzio che se ne va. I suoi legionari lo seguono. Portano una divisa che diverrà famosa: camicia nera sotto il grigioverde e fez nero.

 


 

2. Il volo su Vienna

 

L'azione non ha scopo militare ma propagandistico con il lancio di volantini annunzianti la vittoria italiana.

 

Durante il ritorno il motore dell'aereo si arresta all'improvviso. La morte sembra per qualche istante inevitabile, ma l'aereo riprende subito quota: «Io mi volsi verso Natale Palli e gli feci il segno di commiato... Natale mi rassicurò senza parola, con una illuminazione del volto che era il sorriso».

 

 

 

 

 

Sul volantino: «In questo mattino d'agosto... Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro. È passata per sempre l'ora di quella Germania che vi trascina, vi umilia, vi infetta».

 

 

Il volo su Vienna fu compiuto il 9 agosto del 1918 da una squadriglia di apparecchi, che lanciarono sulla città migliaia di manifestini, in cui si leggeva:

 

«Viennesi!

Imparate a conoscere gli Italiani.

Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.

Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.

Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle liberta nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni.

Viennesi!

Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s'è volto contro di voi.

Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate?»


 

3. La befa di Buccari

 

«La Beffa di Buccari», consisté in un attacco condotto da tre torpediniere italiane, al comando di Costanzo Ciano e Luigi Rizzo, nella notte tra il 10 e 11 febbraio 1918, contro la flotta austriaca ancorata nella rada di Buccari (Croazia). Le torpediniere silurarono alcune navi e lanciarono in mare tre bottiglie contenenti questo messaggio scritto dallo stesso D'Annunzio:

«In onta alla cautissima flotta austriaca, occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza del suo comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono di ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l'inosabile. E un buon compagno, ben noto - il nemico capitale, fra tutti i nemici il «nemicissimo», quello di Pola e di Cattaro -è venuto con loro a beffarsi della taglia. 10-11 febbraio 1918. Gabriele D'Annunzio»

 


 

4. Il rapporto con il Fascismo

 

Il rapporto con il nascente Fascismo e, soprattutto, con il Fascismo al potere, durante gli ultimi anni della vita di D'annunzio è molto articolato e reso ancora più complesso dalla disinformazione e dai soliti schemi della storiografia sul Fascismo.

 

Ti lascio un approfondito articolo sull'argomento, che puoi scaricare anche in formato testo per poterlo stampare e studiare.

 

 

 

(nella foto D'Annunzio e Mussolini a Gardone, forse nel 1925)

 


 

5. Le donne di D'Annunzio

 

 

 

 


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