Capitolo quarto

L’attività politica da fuoruscito (1882-1886)

"Oggi, 1° marzo 1881, in conformità con le decisioni del Comitato Esecutivo in data 26 agosto 1879, è stata eseguita la condanna a morte di Alessandro II ad opera di due agenti del Comitato Esecutivo".

 

Nel manifesto della Narodnaja volja veniva alla fine annunciato il successo dell’azione che era costata al gruppo terroristico numerosi sforzi e rilevanti perdite. La buona riuscita dell’attentato avrebbe dovuto portare il popolo a una sommossa e far cadere il governo nell’insicurezza. Queste erano le speranze della Narodnaja volja, ma alla fine non si ebbero altro che delusioni. I risultati dell’attentato furono differenti: non ci fu un’insurrezione popolare e l’apprensione si manifestò più tra i rivoluzionari che tra i membri del governo, al contrario il regicidio rinnovò una politica rigida che affermò i principi autocratici. Il compito del nuovo sovrano era quello di riportare la fiducia nella monarchia sia tra il popolo, sia tra i rivoluzionari.

Il nuovo zar, Alessandro III, uomo testardo e convinto delle proprie idee, ebbe due precettori con ideologie differenti, S. M. Solov’ëv e K. P. Pobedonoscev; quest’ultimo influenzò molto il regno di Alessandro III. La morte di Alessandro II aveva lasciato il conte Loris-Melikov in una situazione poco favorevole; l’8 marzo si riunì un consiglio straordinario per prendere in esame il progetto costituzionale compilato da Loris-Melikov stesso e firmato da Alessandro II la mattina della sua morte. Nonostante la maggioranza dei membri del consiglio fosse convinta che quell’atto avrebbe significato la fine dell’agitazione rivoluzionaria e il consolidamento dell’autorità del sovrano, Alessandro III dichiarò quella concessione non valida e la stessa fu criticata duramente da Pobedonoscev:

"...in Russia si vuole introdurre la costituzione, e, se non subito, si vuole perlomeno compiere il primo passo verso di essa... E cosa è mai la costituzione? Una risposta a questa domanda ce la dà l’Europa occidentale. Le istituzionalità esistenti sono lo strumento di ogni ingiustizia, lo strumento di ogni intrigo.... E questa falsità su modello straniero si vorrebbe introdurre anche da noi per nostra disgrazia, per nostra rovina. La Russia è stata forte grazie all’autocrazia, grazie all’illimitata reciproca fiducia e allo stretto legame fra il popolo e il suo zar".

 

Nonostante l’intervento di Pobedonoscev la maggior parte dei membri del consiglio e il conte Loris-Melikov fecero il possibile per far prevalere la proposta di concessione della costituzione ma, all’insaputa degli altri ministri, Pobedonoscev fece pubblicare un manifesto il 29 aprile 1881 sul "Messaggero del governo" il quale annunciava che Alessandro III credeva nell’autocrazia per continuare a guidare una nazione forte e per preservare il bene del suo popolo. Loris-Melikov e alcuni altri membri presentarono le dimissioni che furono subito accettate e, quando un anno dopo, il conte D. A. Tolstoj ebbe la carica di ministro degli Interni, si comprese che dei sogni di cambiamento erano rimaste solo le illusioni.

Nei giorni che seguirono il primo marzo, dopo qualche momento di sbalordimento, i cospiratori della Narodnaja volja si riunirono per fare il punto della situazione. La morte dello zar non aveva portato all’insurrezione popolare come avevano sperato e quindi la loro lotta non si sarebbe fermata. Il risultato della riunione fu la Lettera del Comitato Esecutivo della Narodnaja Volja ad Alessandro III, scritta da Tichomirov e confermata da tutti i membri del gruppo. Ne furono stampate migliaia di copie e una di queste fu indirizzata al Palazzo d’Inverno il 10 marzo 1881. I pochi superstiti della Narodnaja volja avrebbero continuato a battersi per quello in cui credevano a meno che il governo non avesse accettato la convocazione di un’assemblea popolare eletta a suffragio universale e la concessione di una generale amnistia politica, poiché gli atti di questi prigionieri non erano dei crimini, ma il compimento dei loro doveri. Vera Figner ricorderà nelle sue memorie :

"Nous nous adressons à Vous, écartant toutes nos préventions, surmountant la defiance que nous inspire l’oeuvre séculaire du gouvernement. Nous oublions que Vous représentez le pouvoir qui a si longtemps trompé le peuple, qiu lui a tout fait de mal. Nous nous adressons à Vous comme à un citoyen, comme à un hônnete homme, espérant que le rassentiment n’étouffera pas en Vous la coscience de vos devoirs et le désir de connaître la vérité. Nous aussi nous pouvons avoir du rassentiment. Vuos avez perdu un père. Nous avons perdu non seulement nos pères, mais encore nos frères, nos femmes, nos enfants, nos meilleurs amis. Nous sommes prêt à faire taire nos sentiments, si le bien de la Russie l’exige. Nous en attendons autant de Votre part. Nous ne Vous poson pas de conditions... Nous ne faisons que Vous rappeler les conditions poseé par l’histoire...

Que Votre Majesté décide. Le choix Vous appartient. Nous ne pouvons que demander au destin que Votre raison et Votre coscience Vous suggèrent les seules décisions conformes au bien de la Russie, à Votre dignité et à Vos obligations envers la Patrie".

Inoltre Tichomirov scrisse:

"La sanguinosa tragedia svoltasi sul Canale di Caterina non fu casuale, così come non fu inattesa. Dopo quanto è avvenuto da un decennio a questa parte essa era inevitabile... Voi sapete, Maestà, che non si può accusare certo il governo di Vostro padre d’aver mancato di energia. In Russia fu impiccato l’innocente e il colpevole, le carceri e le terre di deportazione si riempirono di gente. Delle decine di cosiddetti "caporioni" furono perseguitati, impiccati: essi morirono con il coraggio e la tranquillità dei martiri, ma il movimento non si arrestò, esso crebbe e si rafforzò continuamente...il governo può, naturalmente, catturare ed impiccare un gran numero di individui. Può distruggere una quantità di singoli gruppi rivoluzionari. Ammettiamo anche che esso riesca a distruggere la più seria delle organizzazioni rivoluzionarie esistenti. Tutto questo non muterà affatto la situazione delle cose. Sono le circostanze, il generale malcontento del popolo, l’aspirazione della Russia verso nuove forme sociali, a creare i rivoluzionari...".

 

Quasi sicuramente solo Tichomirov si rendeva conto che la lettera era destinata più a quegli esponenti dell’intelligencija liberale che inizialmente si erano fatti prendere dall’euforia e poi si erano tirati indietro, che allo zar Alessandro III.

Invece di prendere in considerazione l’ultimatum del Comitato Esecutivo, Alessandro III abbandonò del tutto il progetto di Loris-Melikov, affermò il potere autocratico e continuò a dare la caccia a tutti i rivoluzionari e a chi poteva minare la sicurezza del regime. Fin dal 2 marzo N. I. Rysakov fu arrestato e la polizia riuscì a fargli confessare tutto ciò che sapeva circa l’attività terroristica, di conseguenza nei giorni successivi furono catturati G. M. Hel’fman, mentre il suo compagno si uccise, Sof’ja Perovskaja, T. M. Michajlov e N. I. Kibal’čič. Gli imputati, organizzatori diretti dell’attentato ad Alessandro II, furono condannati all’impiccagione che avvenne il 3 aprile 1881; solo alla Hel’fman fu commutata la pena nell’ergastolo perché incinta; morì qualche mese dopo nella fortezza di Pietro e Paolo.

Esecuzione di S. Perovskaja, A. Zeljabov, N. Kibalcic, T. Michajlov e N. rjsakov il 3 aprile 1881 a pietroburgo. I criminali condannati a morte indossavano il vestito nero e al collo portavano dei cartelli con la scritta <<zaracida>>.

Le reazioni che seguirono l’assassinio dello zar furono così disordinate da non dare problemi alle autorità; addirittura nelle campagne si dava la colpa dell’attentato ai nobili che avrebbero voluto vendicarsi per la liberazione dei servi della gleba. Quando il Comitato fece circolare un appello tra i mužiki per spiegare il perché del regicidio e per avere l’appoggio dei contadini, questi ultimi continuarono a non credere che tra i cospiratori ci fosse qualcuno appartenente alla classe del popolo. Nelle pubblicazioni dei narodovol’cy della fine degli anni Settanta-inizio anni Ottanta, ci si poteva già rendere conto che il grado di coscienza, la forza di ribellarsi dei contadini russi non era ancora sufficiente per creare uno strumento capace di organizzare una rivoluzione. I mužiki, dopo essere stati schiavi per secoli, si erano adattati alla loro condizione e sopportavano senza ribellarsi il fatto di dover lavorare per lo stato e per le classi dirigenti senza aver alcun beneficio per loro stessi. Gli anni di oppressione avevano lasciato agli ex servi della gleba la traccia indelebile della rassegnazione, della sottomissione e dell’incapacità di qualsiasi atto di resistenza.

Mentre negli anni Settanta, i rivoluzionari sostenevano che il fallimento del lavoro nelle campagne, l’"andata nel popolo", fosse colpa delle continue persecuzioni della polizia che impediva ai giovani propagandisti di aiutare i contadini, dell’assenza di esperienza e del modo inadeguato con cui avevano diffuso le loro idee, P. N. Tkačëv, nella sua rivista "Nabat" [La campana], insisteva a non sperare troppo nel popolo, sosteneva che i contadini erano una potenza conservatrice passiva, credeva che "il popolo non sarà mai in grado, da solo, di realizzare né oggi né mai la rivoluzione sociale".

Nonostante il desiderio e la fiducia nell’opportunità di una rivoluzione contadina, poco a poco i rivoluzionari cominciarono a capire l’importanza della ripercussione negativa che aveva avuto la mancanza, l’inadeguatezza di coscienza civica nel popolo. Nel decennio precedente, Bakunin stesso si era reso conto chiaramente del caratteristico modo di pensare dei contadini, della loro inesauribile fede nello zar, del costante processo di annullamento della personalità nel mir. Le pubblicazioni di "Narodnaja volja" o della "Cronaca delle persecuzioni" riportavano spesso notizie di condanne a morte di rivoluzionari, di arresti, di esecuzioni capitali, ma il popolo non si interessava più di tanto a ciò e si teneva lontano dalla lotta; la "Rabočaja gazeta" riportava così il rapporto tra i rivoluzionari e le masse:

"... il popolo tace, tace perché non sa chi gli è amico e chi nemico, perché non sa per cosa dovrebbe battersi ".

 

Le prove di queste affermazioni furono chiare nel comportamento del popolo dopo l’assassinio dello zar. Nonostante il nuovo sistema di difesa di Narodnaja volja avesse messo momentaneamente in disparte i contadini prendendosi tutta la responsabilità per portare a buon fine la lotta contro il governo, una volta giunti al momento conclusivo delle azioni terroristiche, l’appoggio del popolo fu nullo. I piani di attività nelle campagne rimasero solamente teoria, l’immaturità politica del popolo faceva sì che la fiducia nello zar diventasse sempre più cieca, le illusioni rispetto il potere dello zar superavano di gran lunga la certezza dell’utilità della lotta. Infatti le rivolte contadine che si registrarono tra il 1879 e il 1881 furono nettamente inferiori sia di numero, sia di intensità rispetto i primi anni di lotta rivoluzionaria. Pogrom antiebraici scoppiarono in Ucraina, nei governatorati di Tambov e Voronež; si ebbero disordini non solo nelle città e nelle zone di insediamento semita, ma anche nelle campagne, i contadini infatti, temevano che gli ebrei, essendo ricchi, volessero riprendersi le terre e di conseguenza avessero organizzato l’attentato allo zar; inoltre nel gruppo dei sei condannati si trovava un’ebrea. Oltre tutto gli ebrei collaboravano con la polizia, tentando di scoprire cosa pensavano i contadini, cosa complottavano, li spiavano e andavano a riferire alle autorità.

Nel mese di aprile del 1881 altri venti membri del Comitato Esecutivo furono arrestati, rimasero solo otto persone e proprio gli elementi più esperti erano venuti a mancare. Bisognava ricostituire il gruppo, ma non a Pietroburgo poiché la polizia diventava sempre più abile, inseriva degli agenti nell’organizzazione dei rivoluzionari e, con intimidazioni e ricatti, cercava di strappare informazioni dai familiari dei cospiratori. Occorreva trasferirsi a Mosca dove avrebbero cercato di stabilire di nuovo i contatti con le organizzazioni periferiche. Inoltre, mancando Aleksandr Michajlov, bisognava decidere chi avrebbe guidato la Narodnaja volja: Tichomirov, braccio destro di Michajlov, considerato portavoce ideologico, teorico e migliore scrittore del gruppo, elemento intellettualmente meglio preparato, non aveva la stoffa della guida, non aveva l’autorità necessaria per imporsi ai suoi compagni. Dopo l’attentato del 1° marzo, inoltre, chi gli stava vicino aveva iniziato a notare strani modi nel suo comportamento, portava la fascia nera al braccio come segno di lutto per il defunto imperatore e assisteva alle messe in suo suffragio. I suoi compagni interpretarono questo insolito comportamento come una prudenza esagerata, ma più tardi attribuirono questi gesti all’inizio di quella crisi psicologica che lo portò all’apostasia politica. La direzione dell’organizzazione passò necessariamente a Vera Figner, tra i superstiti la persona dotata di maggiori capacità organizzative, di spirito di iniziativa e coraggio.

Gruppi operativi nella Narodnaja volja in Russia (fine XIX sec.)

Al contrario di Pietroburgo, Mosca non offriva ai rivoluzionari le stesse possibilità: le nuove idee entravano con più fatica a causa di una certa tendenza conservatrice, i nuovi orientamenti politici venivano considerati con una certa diffidenza, ma dopo Pietroburgo, Mosca era la città più adeguata per ricostituire l’organizzazione.

Vera Figner fu la prima a staccarsi dal gruppo degli otto per recarsi a Odessa. In Ucraina, la Figner fu incaricata di occuparsi del gruppo locale della Narodnaja volja e di mettersi in contatto con la sezione militare simpatizzante dell’organizzazione: una cinquantina di ufficiali entrò a far parte della Narodnaja volja.

Il colpo di stato divenne il vero fine della Narodnaja volja e per assicurarsi il successo in questa impresa bisognava avere l’appoggio e la solidarietà di quelle classi sociali che avrebbero tratto vantaggio dal raggiungimento delle libertà politiche. Nel sesto numero della rivista "Narodnaja Volja" del 23 ottobre 1881 Tichomirov scriveva "...l’abbattimento violento del regime è divenuto più che mai inevitabile… Il problema del potere statale centrale diviene chiaramente per noi il punto centrale della lotta politica... Noi siamo contro il dispotismo comunque sia esercitato, da una persona o da un partito, e la violenza può essere usata soltanto per rispondere alla violenza".

A tutto questo seguì comunque un fallimento nell’operazione propagandistica dell’organizzazione ma nonostante l’insuccesso, la scintilla dell’attività terroristica si riaccese. L’attenzione fu posta su F. E. Strel’nikov, il procuratore militare di Odessa; organizzarono il suo assassinio Vera Figner, recatasi sul posto per l’occasione, Stepan Chalturin e Nikolaj A. Želvakov. Il procuratore fu ucciso il 18 marzo 1882 e i due diretti esecutori Chalturin e Želvakov furono catturati, processati e condannati a morte.

In questo modo si dimostrava che nonostante la riuscita di nuovi attentati terroristici, i ribelli continuavano a perdere uomini, che la polizia non dava tregua con la sua vastità di ricerca e inoltre gli elementi più liberali della società, stanchi di continui sistemi violenti di lotta, non davano più appoggio ai rivoluzionari. L’ultimo duro colpo subito dalla Narodnaja volja fu il "processo dei venti" svoltosi nel febbraio dell’82; tra gli imputati si trovavano personaggi di massima importanza come Aleksandr Michajlov, Nikolaj Morozov e Nikolaj Suchanov e Anna Jakimova, tutti colpevoli, direttamente e non, dell’attentato contro lo zar Alessandro II. La sentenza volle dieci condanne a morte e dieci condanne ai lavori forzati; delle dieci esecuzioni capitali nove furono commutate all’incarcerazione nella fortezza di Šlissel’burg e di Aleksij Ravelin.

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La fortezza di Šlissel’burg:

Nel frattempo Lev Tichomirov si lasciava andare allo sconforto, vedeva la sconfitta dei rivoluzionari sempre più vicina, si accorgeva della mancanza di collaborazione da parte di quelle persone con cui avevano sempre lottato. Ciononostante scrisse nelle sue memorie:

"Ma perché eravamo sconfitti? Perché nonostante gli sforzi non riuscivamo a riorganizzarci e ad agire?...La vecchia Narodnaja volja era stata sgominata ma era abituata a queste sconfitte, sapevo che dalle ceneri dei vecchi gruppi ne sarebbero nati di nuovi".

 

Quando poi il 10 marzo 1882 la polizia fece irruzione nell’appartamento dove si ritrovava l’intero gruppo moscovita e ogni tipo di attività si fermò, Tichomirov decise di lasciare i radicali e partire per Kazan’ per poi recarsi al sud. Lì perse quasi completamente i contatti con i rivoluzionari e cominciò a non dare più importanza al fatto che la sua compagna di lotte Vera Figner fosse l’unica a continuare a combattere per gli antichi ideali. Tichomirov era solo interessato alla gente, alla società che non aveva niente a che fare con la rivoluzione. In quel periodo "io mi consideravo morto" dirà, era in preda al panico perché continuavano a cercarlo e l’aveva scampata diverse volte, sapeva che i suoi giorni di libertà erano contati e considerava sicuro che, siccome avevano arrestato persone capaci come Stefanovič e Gračevskij, presto o tardi sarebbe stato preso anche lui. Non era spaventato dal fatto di essere incarcerato, ma era prima di tutto preoccupato della moglie incinta del terzo figlio e poi provava "l’orgoglio tipico dei vecchi cospiratori", non voleva essere preso perché era abituato a essere più furbo della polizia. Per questi motivi si ritirò a Rostov sul Don in incognito, prese un appartamento in affitto e si nascose dietro il nome di un letterato. A Rostov viveva tranquillo, non frequentava i radicali del posto, studiava e scriveva articoli per Šelgunov in "Delo" e "S nižov’ev Dona" [Dal basso Don] nei quali descriveva l’organizzazione delle cooperative di pescatori. Viveva quindi della sua attività letteraria, leggeva parecchio, preparava relazioni, raccoglieva materiale per i suoi articoli, "talvolta dimenticavo di essere una belva braccata".

In quel periodo la moglie Ekaterina propose a Tichomirov di partire per l’estero. Per Tichomirov quella fu una speranza di salvezza, ebbe la visione di una vita normale passata a scrivere le sue memorie e non a scappare dalla polizia, senza aspettare il momento di essere arrestato. Ma per il viaggio occorrevano denaro e documenti falsi. In passato per i rivoluzionari queste erano cose da niente, era più facile avere un passaporto dalla segreteria della Narodnaja volja che per vie legali. Tra i rivoluzionari c’erano molti impiegati e funzionari statali che conoscevano bene tutti i tipi di documenti, avevano migliaia di copie dei timbri e delle firme e, all’occorrenza, in due o tre ore facevano un passaporto. C’era anche chi faceva incetta di documenti, soprattutto gli ebrei delle regioni occidentali, che poi vendevano per circa quaranta rubli. I migliori erano i documenti di persone decedute all’estero delle quali in patria si ignorava la morte. Le difficoltà che allora erano inesistenti per Tichomirov, ora solo e senza conoscenze, gli sembravano addirittura impossibili. Scrisse così a Vera Figner per essere autorizzato a partire dalla Russia e le chiese di aiutarlo a espatriare. La Figner gli rispose delusa che se voleva andarsene non si sarebbero opposti, ma non avrebbero potuto aiutarlo in nessun modo. La Figner naturalmente non capiva come Tichomirov potesse fuggire all’estero, non le sembrava un atto degno di un vecchio membro della Narodnaja volja che invece avrebbe dovuto morire senza arrendersi o scappare; gli scrisse infatti una lettera dicendogli che non avrebbe dovuto scappare all’estero, "noi non dobbiamo fuggire, rinunciare all’opera cominciata...la partenza sarebbe causa di demoralizzazione del centro rivoluzionario". A quel punto però Tichomirov non si sentiva più parte integrante del gruppo dei rivoluzionari, iniziava a considerare le loro idee assurde e già da più di un anno non si occupava delle loro attività. Solo Željabov e Michajlov si rassegnarono all’idea e considerarono il fatto che Tichomirov potesse essere più utile in Europa. Il suo lavoro sarebbe stato più opportuno nella redazione del giornale "Vestnik Narodnoj Voli" di Ginevra. Una volta ottenuto il permesso, i soldi arrivarono da Šelgunov che gli offrì un anticipo sul suo lavoro. Ekaterina pensò invece ai documenti, scrisse a un vecchio conoscente che le mandò un passaporto e le promise il secondo per alcune settimane dopo. Ekaterina partì subito, non poteva aspettare il marito poiché era all’ottavo mese di gravidanza e insieme avrebbero corso il rischio di essere trattenuti in Russia. Una settimana e mezza dopo la partenza della moglie, Tichomirov ricevette il suo passaporto e si mise in viaggio per la tanto desiderata Europa.

Vicino al confine si era già formato il gruppo di passeggeri per Vienna. Arrivato alla frontiera Tichomirov venne chiamato a esibire il passaporto e, contrariamente a quello che pensava il fuggiasco, il documento gli fu restituito subito e il treno partì poco dopo per la Galizia. Nonostante il pericolo e i pochi soldi, arrivato a Vienna, Tichomirov decise di fermarsi due giorni. Ripartì per la Germania e quindi per la Svizzera. Arrivato a Losanna Tichomirov prese un treno che lo portò a Ginevra. Per quanto fosse deluso dalla vita, il viaggio verso l’Europa suscitò in Tichomirov una sensazione di libertà e di felicità:

"...quando fui in Svizzera, quando capii di essere libero e che nessuno mi avrebbe sbattuto in nessuna prigione, che avrei visto Ekaterina senza la paura di essere portato via o che me la portassero via...mi sentii veramente felice...La Svizzera mi faceva ridere un po’, così piccola, carina, pulita, come un giocattolo, come se fosse un paese finto come le casupole con le mucche e i contadini con cui giocavo da piccolo...Fui veramente incantato di Losanna, un posto veramente bellissimo, di una bellezza sfarzosa. Quando il treno, ora inoltrandosi nelle gallerie, ora volando come un uccello sui precipizi del lago di Ginevra, percorre quei luoghi da favola, si è rapiti dalla bellezza unica di quel caleidoscopio di quel paesaggio...Solo un prigioniero che ritrova la libertà o un vagabondo felice mi avrebbero capito".

 

Ekaterina, nel frattempo, si era stabilita in una colonia russa e per i coniugi cominciò una nuova vita. Tichomirov era scappato all’estero con l’intenzione di non lavorare più per la Russia, infatti politicamente era stato educato che se si doveva fare qualcosa per la propria patria la si doveva compiere nel posto stesso, di persona; per i radicali degli anni 1879-81, fare i rivoluzionari da lontano era una cosa stupida, disonesta.

Si stabilì in questo modo a Ginevra con l’idea di riposarsi e di viaggiare senza avere a che fare con gli immigrati e con la politica. Si mise subito in contatto con Šelgunov che gli propose uno stipendio di cento rubli mensili a sessantacinque rubli al foglio per scrivere sul suo giornale, l’argomento poteva essere a scelta. A parte i conoscenti della colonia russa, Tichomirov non era più in contatto con i vecchi compagni in Russia; perché avrebbe dovuto scrivere loro? Scrivere per curiosità era una cosa contraria ai principi della scuola cospirativa a cui era appartenuto. Non aveva interrotto i rapporti con Marija Nikolaevna Ošanina diventata allora Polonskaja; era emigrata poco tempo prima di Tichomirov a Parigi e nonostante non fosse più una rivoluzionaria attiva continuava a mantenere i contatti con coloro che erano rimasti in patria. Dei suoi compagni più vicini la Ošanina era l’unica che si era salvata e Tichomirov continuava a corrispondere con lei perché la stimava per la sua intelligenza fuori dal comune.

Il tempo trascorso a Ginevra in attesa della nascita del figlio fu per Tichomirov uno dei periodi più tranquilli della sua vita, tutto lo meravigliava e lo stupiva e non poté fare a meno di dedicare alcune pagine a questa terra:

"Ginevra è la città ideale per chi vuole vivere tranquillo. E’ pulita, bella, i prezzi sono bassi, è libera e la gente è onesta... Tutto senza la minaccia incombente della polizia.

Questa cultura mi lasciava meravigliato, mi sorprendeva l’enorme quantità di lavoro compiuto dall’uomo accumulato nei secoli... Tutto quel lavoro mi meravigliava, le casette di campagna in pietra vecchie di centinaia di anni; guardavo i campi, ogni appezzamento di terreno è recintato da uno spesso ed alto muro, i fianchi delle montagne sono a forma di terrazze, tutto il paese è suddiviso in quadratini di terra divisi da muri di pietra. All’inizio non capivo cosa fossero. Poi capii che quella era la proprietà privata, il capitale, miliardi di miliardi in confronto ai quali il lavoro di una generazione non era niente.

Ma dov’è in Russia il lavoro del passato? Non c’è niente. Solo miseria nelle campagne. Nessuno abita nella casa del nonno perché di sicuro avrà preso fuoco almeno due o tre volte. Cos’è rimasto degli avi? Un vestito, una mucca, nemmeno. Qui invece il passato è ancora vivo, dappertutto ne è rimasto il segno. Allora ti viene da pensare: quale rivoluzione potrebbe distruggere questo passato di pietra dove tutti ci vivono ancora come molluschi nella barriera corallina?".

 

Verso la fine del 1882 Ekaterina partorì un bambino, Aleksandr. Battezzarlo non fu facile, infatti i coniugi Tichomirov non avevano documenti e avevano paura che la polizia li scoprisse; inoltre le autorità delle località svizzere erano riluttanti a registrare i figli di due persone senza passaporto non tanto per motivi politici quanto per il fatto che il bambino nato in un comune a diciotto anni acquisiva automaticamente la cittadinanza del paese in cui nasceva di conseguenza le autorità non accettavano di registrare i bambini sconosciuti poiché lo stato avrebbe dovuto occuparsi di loro in seguito.

Nonostante Tichomirov facesse di tutto per non interessarsi di politica, Plechanov si preoccupava che il vecchio compagno di lotta finisse in un altro partito, iniziò quindi a condurre un’attività diplomatica per conto di Tichomirov stesso.

Dopo la partenza di Tichomirov per l’estero il Comitato Esecutivo era ormai ridotto a pochi membri che restarono per breve tempo liberi. Solo Vera Figner, che aveva trovato un luogo sicuro a Char’kov per sfuggire alla polizia, rimase l’ultima superstite di quella organizzazione che aveva fatto tremare il governo. Ormai solo a Char’kov e a Kiev si sarebbe potuto trovare qualche elemento per provare a ricostituire un centro direttivo, infatti i principali gruppi di Mosca e di Pietroburgo erano stati praticamente annullati mentre quello di Odessa aveva ricevuto dei colpi tali dalla polizia dopo l’assassinio di Strel’nikov che non poteva essere considerato come centro di reclutamento. Fu scelta comunque Odessa come base per la creazione di una nuova tipografia clandestina. Si stava occupando dell’installazione di questa stamperia Vera Figner quando le si presentò N. K. Michajlovskij, membro dell’ex Comitato Esecutivo, incaricato per mezzo di un intermediario, di proporre ai rivoluzionari una specie di armistizio a nome del governo. Quest’ultimo, se fosse cessata l’attività terroristica, avrebbe provveduto a dare l’amnistia per i reati politici, a concedere la libertà di stampa e a diminuire i rigori della censura, sarebbe stato disposto a estendere l’autonomia agli zemstva e a mettere in libertà un membro del Comitato in quel momento in carcere. Vera Figner considerò con diffidenza la proposta e prese solo la decisione sul fatto che il governo doveva liberare Nečaev. Per quanto riguardava il resto dichiarò che non poteva assumersi la responsabilità di decidere a nome degli altri membri. Qualcuno doveva recarsi all’estero e parlare con Tichomirov e gli altri compagni.

Circa tre mesi dopo il suo arrivo in Svizzera, Tichomirov ricevette una lettera dalla Ošanina contenente notizie da Vera Figner che lo delegava a condurre le trattative e a concludere il patto secondo i propri desideri con un rappresentante del governo russo. Questo intermediario era Nikolaj Nikoladze, un vecchio conoscitore del movimento rivoluzionario diventato un tipico intellettuale di quel periodo sempre però in contatto con gli ambienti radicali. Tichomirov non ci pensò due volte ad accettare l’incarico, pensava che Narodnaja volja fosse ormai sbaragliata, che fosse condannata a estinguersi piano piano e che fosse rimasta solo una possibilità: interrompere l’attività con un particolare tipo di vittoria, con un patto, con le concessioni del governo, così l’onore del partito sarebbe stato salvo. Inoltre Tichomirov pensava che in questo modo il terrorismo sarebbe stato messo da parte e con la liberazione dei prigionieri politici molte persone alle quali si sentiva molto legato sarebbero state scarcerate. Nonostante fosse completamente d’accordo per il patto, Tichomirov preferì recarsi a Parigi a riferire ciò che aveva già deciso:

"... il signor Tichomirov mi comunicò ...nel caso che il governo avesse consentito la propaganda pacifica delle idee sociali...se avesse proclamato un’amnistia e consentito all’intelligencija una maggiore libertà di azione, attraverso la stampa, nelle forme di autogoverno locale e così via, allora il partito si sarebbe impegnato a interrompere la sua campagna terroristica ...[se il governo avesse prestato fede alle promesse fatte] il partito sosterrà lealmente il governo, e con tutti i mezzi a sua disposizione e la partecipazione di tutti i suoi membri collaborerà con il regime per attuare tali riforme".

 

Tichomirov chiese inoltre che Černyševskij potesse ritornare dall’esilio e che il governo indagasse e impedisse i maltrattamenti dei detenuti in Siberia, in cambio i rivoluzionari si impegnavano a non compiere atti di terrorismo durante la celebrazione dell’incoronazione dello zar Alessandro III. Tichomirov accettò la proposta e in attesa di notizie decise di riprendere i contatti con la Russia, di ritrovare i rivoluzionari e di convincerli a obbedire agli obblighi derivanti dal fatto. Si servì della rivista "Vestnik Narodnoj Voli" e decise di darsi da fare all’interno della tipografia. L’incarico di redattore dell’organo di partito che gli fu assegnato era molto utile per conoscere i circoli russi e per riuscire a persuaderli secondo il patto stabilito.

Ma un duro colpo attendeva Tichomirov, tutte le sue speranze di armistizio erano diventate vane, infatti il capo della polizia Sudejkin aveva infiltrato una sua spia in quello che rimaneva del centro organizzativo della Narodnaja volja e informò le autorità che il partito rivoluzionario era ridotto in pessime condizioni e che non avrebbe più potuto creare problemi. Il patto fu quindi considerato nullo e le varie proposte di cui si era parlato non ebbero seguito.

Vera Finger

Nel frattempo in Russia Vera Figner cercava di riunire più collaboratori possibile per ricreare il nuovo centro direttivo. Uno dei pochi superstiti dell’organizzazione militare settentrionale era Sergej Degaev. Vera Figner aveva sempre avuto una particolare antipatia per Degaev ma non era in condizioni di reclutare uomini capaci. Dopo appena un mese dalla creazione della tipografia clandestina nell’appartamento di Degaev, alla fine di dicembre 1882, la polizia fece irruzione e arrestò i cinque componenti della stamperia. Vera Figner riuscì a sfuggire alla cattura ma qualche giorno più tardi incontrò di nuovo Degaev che la informò sulla sua sconcertante fuga. La Figner non dubitò un istante della storia di Degaev, non sospettando che Sudejkin gli aveva promesso la propria protezione in cambio dell’aiuto nell’arrestare Vera Figner e i suoi collaboratori. Il 10 febbraio 1883 anche l’irraggiungibile Vera Figner fu arrestata mettendo così fine alla Narodnaja volja.

Il tradimento di Degaev stroncò completamente l’organizzazione rivoluzionaria in Russia, le sue rivelazioni portarono all’arresto circa duecento ufficiali e molti altri componenti del partito, la maggior parte dei "colpevoli" fu rilasciata, ma gli esponenti di maggior grado furono processati dal tribunale militare. Degaev nel frattempo si era recato in Svizzera forse per compiere la sua opera tra gli esuli politici, ma uno dei pochi elementi della vecchia organizzazione sfuggito alla cattura lo denunciò di tradimento presso Tichomirov che lo convocò a Ginevra per il processo. Degaev confessò tutto davanti al tribunale rivoluzionario e a causa del suo sincero pentimento gli venne commutata la condanna a morte nell’espulsione dal partito e soprattutto nell’eliminazione di Sudejkin. Il 16 dicembre 1883 Degaev scontò la sua pena uccidendo l’ispettore nel suo appartamento di Pietroburgo. Degaev partì immediatamente per Parigi dove Tichomirov gli intimò di sparire per sempre. Sulla rivista "Vestnik Narodnoj voli" Tichomirov scrisse per Sudejkin un necrologio piuttosto duro descrivendolo come uomo privo di ideali e assolutamente interessato mentre Kravčinskij, sul "Daily News" di Londra, lo dipinse come un cinico pronto a tradire anche la monarchia che difendeva se ne avesse tratto dei vantaggi.

Tichomirov continuava a darsi da fare come redattore ed era considerato punto di riferimento da tutti gli esuli russi. Continuava a corrispondere con i compagni rimasti in patria, fece pubblicare il Kalendar’ Narodnoj voli e scriveva anche per il giornale "Listok". Tichomirov fungeva inoltre da legame tra i membri della Narodnaja volja e i peredel’cy, cosa non del tutto facile a causa delle continue divergenze tra i due gruppi. Tichomirov era in continua discussione con Plechanov che aveva abbandonato gli ideali socialisti del populismo per la dottrina marxista poiché sosteneva che l’orientamento populista era considerato inaccettabile perché superato.

Le dispute tra Plechanov e Tichomirov risalivano già all’estate del 1882 quando quest’ultimo era giunto a Ginevra. I dissensi maggiori si ebbero quando Tichomirov pretese che l’articolo di Plechanov intitolato Socialismo e lotta politica venisse pubblicato solo con le sue note in modo da poter ribattere le affermazioni socialdemocratiche che Plechanov affermava. Piuttosto di sottomettersi a queste condizioni Plechanov non fece pubblicare l’articolo e abbandonò la redazione di "Vestnik Narodnoj voli". Per quanto riguarda le discussioni con Plechanov, Tichomirov scriverà spesso nelle sue memorie: "Cento volte ho maledetto il destino che mi ha fatto entrare in quegli affari".

La collaborazione tra narodovol’cy e peredel’cy non era delle migliori anche per il fatto che Dejč aveva intenzione di acquistare per duemila franchi la tipografia di Trusov, un vecchio emigrante russo, per stampare opuscoli e articoli di Plechanov circa la polemica con i narodovol’cy; inoltre dopo l’insuccesso delle discussioni con Tichomirov e la Ošanina, Plechanov, Aksel’rod, la Zasulič, Dejč e Ignatov decisero di costituire un gruppo con ideali marxisti chiamato Osvoboždenie Truda [Liberazione del lavoro]. L’annuncio della fondazione del gruppo venne dato il 25 settembre 1883 con l’apertura della Biblioteca del socialismo contemporaneo e in quella situazione venne pubblicato l’articolo di Plechanov Socialismo e lotta politica senza quelle note che causarono il suo allontanamento dalla redazione del "Vestnik".

Copertina del Kalendar del 1898

Il 30 settembre 1883 Tichomirov si trasferì a Parigi in Avenue Reille n°9 dove continuò il suo lavoro di caporedattore e di corrispondenza con ogni parte della Russia, dalla Siberia alla Lituania all’Ucraina. Non mancava di mantenere poi un certo rapporto epistolare con Kravčinskij col quale parlava di giornalismo inglese e delle polemiche all’interno del partito e con Lavrov che considerava "l’unica persona con cui può parlare con speranza".

All’inizio del 1884 i principali membri della Narodnaja volja emigrati all’estero decisero di riunirsi a Parigi per trovare il modo di affrontare la difficile situazione che si era generata dopo la cattura di Vera Figner. Il punto sul quale si trovarono tutti d’accordo era quello di ricreare un nuovo gruppo di azione. Tichomirov propose German Aleksandr Lopatin come uomo ideale per riorganizzare il partito e per decisione concorde gli fu assegnato il difficile compito di far rinascere la Narodnaja volja ormai completamente distrutta. La scelta di Lopatin fu appropriata per le sue capacità, l’esperienza e la sua iniziativa, possiamo ritrovarne la conferma anche in una relazione ufficiale:

"En chargeant Lopatin du rôle d’emissaire et en le munissant de très grand pouvoirs, les anarchistes réfugiés ne pouvaient mieux faire, car c’était un homme intelligent, hardi et expert, qui s’en était pas à son coup d’essai, un anarchiste qui aimait les horizons vastes et les enterprises grandioses".

 

In Russia, un giovane scrittore, Pëtr Filippovič Jakubovič, aveva appena ricostituito la Molodaja Narodnaja Volja [Giovane Volontà popolare], un gruppo di azione che si occupava soprattutto di compiere una larga propaganda del socialismo tra gli operai e i contadini. Come tutti i giovani di quel periodo, anche questi provavano una certa mancanza di fiducia nei confronti dei seguaci della Narodnaja volja poiché li consideravano colpevoli degli insuccessi e della distruzione della vecchia organizzazione. Il dovere di sottomettere questo gruppo fu quindi arduo per Lopatin che però riuscì a trovare un accordo tra le diverse fazioni e a passare alla loro guida. La prima importante decisione presa fu quella di pubblicare nuovamente la rivista del partito che aveva stampato l’ultimo numero nel febbraio di due anni prima. Nel mese di settembre 1884 la rivista era già in distribuzione stampata da due tipografie differenti, quella a Dorpat e quella del gruppo clandestino meridionale a Rostov sul Don.

Lopatin aveva dato una direzione diversa all’organo di partito rispetto a quella blanquista di Tichomirov di due anni prima. Lopatin si ostinava sul fatto di stabilire maggiori contatti col popolo e fare propaganda tra gli operai inserendoli nel movimento, reclutandoli per formare un gruppo compatto che avrebbe guidato la rivoluzione che non sarebbe stata immediata. Il partito avrebbe dovuto prepararsi con costanza a quella rivoluzione che sarebbe stata il fine stesso dell’organizzazione. Il principio di Tichomirov secondo il quale i militari avrebbero dovuto appoggiare il partito per il colpo di stato, era stato abbandonato, la dimostrazione che il partito non poteva fare tutto da solo era stata evidente; la preparazione di una rivoluzione doveva essere senza dubbio messa a punto in maniera meno avventata e occorreva riflettere in modo più cosciente sul sistema di azione. Il lavoro di Lopatin portò presto buoni frutti: alla fine dell’estate 1884 i gruppi di Mosca, Pietroburgo, Ekaterinoslav, Char’kov, Kazan’, Kiev, Odessa, Rostov sul Don, Orël, Tula e molti altri erano perfettamente operanti e in stretto rapporto tra di loro.

Nel frattempo a Parigi giungevano continuamente notizie di arresti, soprattutto quelli di Kiev avvenuti con resistenza armata; Tichomirov continuava il suo lavoro di corrispondenza ma dalla Russia non arrivava più niente, anche gli articoli "Come si vive in Russia" e "Cronache" venivano rispediti al mittente. Finalmente il 6 aprile giunsero notizie dai giovani di Narodnaja volja e lettere dal sud e dall’est che comunicavano che gli arresti continuavano e che non dovevano più spedire libri dall’estero poiché molti indirizzi erano stati scoperti. Tichomirov decise così di intensificare i suoi rapporti epistolari con la Siberia, ma scoprì che anche lì gli affari non andavano meglio, infatti iniziavano a non ricevere più tutte le sue lettere, la rivista "Otečestvennye zapiski" [Annuali patriottici] era stata chiusa e i deportati al confino continuavano ad aumentare. Anche a Parigi le condizioni dell’organizzazione non erano delle migliori. Ecco cosa scrisse Tichomirov nel suo diario il 7 maggio 1884:

"La nostra situazione è tragica. Non abbiamo soldi, presto non avremo più niente da mangiare. Non paghiamo chi lavora nella tipografia... Non abbiamo aiuto da nessuno... La tipografia è quasi senza lavoro: siamo senza soldi, non abbiamo più nemmeno la carta per stampare..." .

 

 

Passarono i mesi e anche da Lopatin non si avevano più notizie; il "Vestnik" in Russia era stato chiuso e le novità di continui arresti arrivavano tutti i giorni. Anche Kravčinskij, che si trovava in Svizzera, dovette fuggire con urgenza poiché il prefetto di Ginevra aveva ricevuto un mandato di arresto dalle autorità superiori che ordinavano di consegnare al più presto Kravčinskij alla polizia russa. La collaborazione con giornali inglesi e interessi di lavoro spinsero Stepnjak a rifugiarsi in Gran Bretagna non prima però di essere passato a Parigi a rendere visita a Lavrov e ai vecchi amici, l’Ošanina e Tichomirov. Con lui, Tichomirov, che aveva appena iniziato rapporti di lavoro con la rivista francese "Matin", fece progetti circa l’eventualità di scrivere qualche articolo per la stampa inglese.

Quando ormai si era arrivati alla decisione di chiudere la tipografia a causa della situazione economica disastrosa e della mancanza di lavoro, Tichomirov ricevette il 23 luglio una lettera dalla Siberia con 200 rubli e una da Lopatin con 700 franchi e le notizie non dettagliate che la Narodnaja volja in Russia andava bene e che era contento di ciò che stava facendo. Ma proprio mentre Lopatin era così soddisfatto, successero dei fatti che portarono alla rovina la nuova Narodnaja volja. Un nobile polacco, un certo Belino-Brzosowski, chiese collaborazione al gruppo rivoluzionario per l’omicidio di un membro del Tribunale supremo. L’aiuto gli fu concesso, ma più tardi si venne a sapere che era solo una spia infiltrata per far catturare proprio Lopatin. Il 7 ottobre 1884 Lopatin fu arrestato a Pietroburgo ma il fatto che portò alla catastrofe fu che il capo supremo della Narodnaja volja aveva addosso indirizzi dei suoi compagni e recapiti clandestini: in poco tempo, in tutta la Russia, furono tratte in arresto circa cinquecento persone. In questo modo finì anche l’ultimo tentativo di ricostruire la Narodnaja volja..

A Parigi Tichomirov e i suoi compagni apprendevano le notizie degli arresti di Lopatin e degli altri componenti dai giornali "Justice" e "Temps" e alla riunione della redazione si discusse il problema se continuare a stampare o no dopo quello che era successo all’organizzazione. Tichomirov cominciò così a cedere, a sentire che le sofferenze della vita dell’esule lo opprimevano da ogni parte. Leggendo le pagine del suo diario di questo periodo non si trova altro che delusione e disperazione:

"...I nostri affari vanno male. Senza esagerare, inizio a vedere non solo la bancarotta ma anche la nostra morte per fame...Il futuro è buio... Ho una famiglia. Forse sarebbe meglio non averla..."

 

E scrive ancora:

"...In Russia è il caos. Il giornale non ha i soldi...Nella vita privata provo tanta noia, vedo tanto buio, sono ansioso, solo...Ho paura di morire. Come finirà? Cosa possiamo fare? La testa mi scoppia, la forza della vita sta diminuendo. Non può essere che il male vincerà...Già ho detto che non voglio più essere responsabile dell’organizzazione all’estero, però in Russia mi considerano ancora un membro dell’organizzazione. Sto cedendo...".

 

L’anno 1885 fu per Tichomirov un anno pieno di difficoltà, i sogni politici infranti, il lavoro non soddisfacente. Continuava, infatti, a scrivere articoli per riviste locali, ma non era questo il suo sogno. Voleva guadagnarsi da vivere con il suo lavoro da intellettuale e cominciò così, a scrivere un libro sulla Russia. Anche gli appunti sul suo diario avrebbe voluto trasformarli in una raccolta di ricordi e pubblicarli ma il suo lavoro di scrittore non gli permetteva neanche di mantenere la famiglia e così fu costretto a elemosinare dagli amici e a contrarre debiti. Le sue difficoltà quotidiane cambiavano sempre più l’uomo che era stato solo pochi anni prima; da capo rivoluzionario, ossessione del governo russo, iniziò a pensare che:

"...ho finalmente capito che nel significato più profondo, la Russia rivoluzionaria non esiste. I rivoluzionari ci sono, hanno creato un movimento, però questa non è una burrasca ma solo un piccolo increspamento del mare. Il popolo è diventato così piccolo che può solo ripetere ciò che hanno fatto i suoi eroi prima. Non sono gente cattiva ma brave persone, questo è troppo poco per la politica".

 

Tichomirov voleva essere solo il pubblicista del partito di conseguenza limitò la sua corrispondenza con l’estero. Egli pensava che a questo punto bisognasse aspettarsi qualcosa dal popolo russo e non dai rivoluzionari, "...per questo motivo anch’io ho cominciato a fare qualche cambiamento, partendo dalla mia vita privata".

Finalmente riuscì a finire quello che lui chiamava "il suo grande lavoro", La Russie politique et sociale che venne acquistato subito da un redattore francese, M. Savin. L’11 marzo uscì La Russie politique et sociale e con grande piacere di Tichomirov ebbe un discreto successo tanto da essere in trattative per la traduzione del libro in Inghilterra. Fu proprio mentre Tichomirov vedeva in tutto questo un bell’inizio come letterato francese che successe il fatto che cambiò totalmente la sua vita e il suo modo di pensare, infatti verso la fine del mese di aprile del 1886 il figlio Aleksandr, "Saša", si ammalò di meningite. La disperazione totale per la malattia del piccolo fece sì che le origini cristiane di Tichomirov venissero di nuovo alla luce. Cominciò a pregare intensamente e un dilemma spirituale iniziò ad assillarlo. Il bambino stava morendo e il dottore, che lo considerava ormai senza speranza, consigliò comunque ai due coniugi di portarlo a vivere in campagna.

In quello stesso periodo la prefettura cominciò a creare problemi a Tichomirov al quale venne ordinato di lasciare la Francia. Fortunatamente Tichomirov aveva dei buoni rapporti con l’amministrazione francese e, grazie all’intercessione del ministro Klemenço, gli proposero di andare via da Parigi ma di restare comunque in provincia, a patto che si trasferisse entro due settimane. Il 12 luglio 1886 la famiglia Tichomirov era a Le Raincy, in Avenue Thiers n° 49.

 

 

Note:

1 Dal manifesto del Comitato Esecutivo della Narodnaja Volja del 2 marzo 1881 in VALDO ZILLI, La rivoluzione russa del 1905, 1963, Istituto Italiano per gli studi storici, Napoli, p. 19.

2 S.M. Solov’ëv (1820-1879), celebre storico di grande cultura, profondo conoscitore della storiografia europea, dopo gli studi universitari a Mosca si era recato all’estero soprattutto a Berlino e a Parigi. All’occidentalismo di S.M. Solov’ëv si opponeva il conservatore Pobedonoscev (1827-1907) che sosteneva l’autocrazia e l’ortodossia come uniche tradizioni del popolo russo affermando che erano gli unici principi che potevano garantire lo sviluppo della Russia e che il parlamentarismo avrebbe portato la fine dell’autocrazia e di conseguenza della potenza russa.

3 Dal diario del segretario di stato E. A. Peretec pubblicato nel 1927 [Dnevnik E. A. Peretca]. La presente citazione è tratta da V. ZILLI, op. cit., p. 28.

4 D. A. Tolstoj, odiato ministro della Pubblica istruzione, rappresentante della reazione classicistica nelle scuole ed elemento di limitate vedute, era stato allontanato dal suo compito nell’aprile del 1880.

5 [Ci rivolgiamo a Voi, dimenticando tutti i preconcetti, passando sopra alla sfiducia che ci ispira l’opera secolare del governo. Dimentichiamo che Voi rappresentate il potere che ha per molto tempo tradito il popolo, che gli ha fatto del male. Ci rivolgiamo a Voi come a un cittadino, come a una persona onesta, sperando che il risentimento non soffochi in Voi la coscienza dei Vostri doveri e il desiderio di conoscere la verità. Anche noi possiamo avere del risentimento. Voi avete perduto un padre. Noi non abbiamo perduto solamente i nostri padri, ma anche i nostri fratelli, le nostre donne, i nostri figli, i nostri migliori amici. Noi siamo pronti a far tacere i nostri sentimenti se il bene della Russia lo esige. Ci attendiamo da Voi la stessa cosa. Noi non poniamo condizioni... Non facciamo che ricordarVi le condizioni poste dalla storia...

Vostra Maestà decida. La scelta Vi appartiene. Noi non possiamo che chiedere al destino che la Vostra ragione e la Vostra coscienza Vi suggerisca le sole decisioni conformi al bene della Russia, alla Vostra dignità e ai Vostri obblighi verso la Patria"]. V. FIGNER, op. cit., p. 124.

6 Dal testo della Lettera del Comitato Esecutivo della Narodnaja Volja in Literatura social’no-revolucionnoj partii "Narodnoj Voli" [Letteratura del Partito dei Socialisti-rivoluzionari]. Sull’argomento vedi V. ZILLI, op. cit., p. 43; F. VENTURI, op cit., vol. III, pp. 422-425.

7 A. B. ULAM, op. cit., p. 367.

8 P. N. TKAČËV, Naši illjuzii [Le nostre illusioni], in Šočinenija e in Narod i revoljucija. La citazione è riportata in V. A. TVARDOVSKAJA, Il populismo russo, Editori Riuniti, Roma, 1975, p. 190.

9 V. A. TVARDOSKAJA, op. cit., p. 193.

10 Gli otto superstiti erano: Michail F. Gračevskij, con un notevole passato da propagandista, Pëtr A. Telalov, organizzatore del gruppo moscovita di Narodnaja volja, Jurij N. Bogdanovič che partecipò attivamente alla preparazione dell’attentato del 1° marzo, Savelij Zlatopol’skij e Lev Tichomirov. Facevano parte del gruppo: Anna P. Pribyleva-Korba, infermiera volontaria nella guerra russo-turca e parte attiva nell’organizzazione dell’assassinio di Alessandro II, Mar’ja N. Ošanina, membro di Zemlja i volja prima e di Narodnaja volja poi, fu sempre sostenitrice del colpo di stato e Vera N. Figner.

11 Così Vera Figner descriveva la fortezza di Šlissel’burg: "A quelques dizaines de kilomètres de la capitale, d’une capitale pleine de vie, de mouvement et de bruit, la fortesse de Schlusselburg, batie sur un îlot au milieu del flots puissants de la Néva, apparaissait comme un royaume des morts, lointain et inacessible. Le mystère qui entourait les prisonniers, l’isolement phisique autant que moral dans lequel ces prisonniers se trouvaient vis-à-vis du reste du monde, donnait a cette île un caractère mystique et légendaire. Là, derrière ces murs, quelques dizaines d’êtres, emmurés, arrachés à la vie, à la famille, à la patrie, à l’humanité, expiaient dans des casemates l’elan révolutionnaire qui les avait poussés à combattre le Tsarisme". V. FIGNER, Les prisons russes, F. Eymond, Grenoble, 1913, p. 11.

12 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 137.

13 V. FIGNER, op. cit., p. 237.

14 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 144.

15 LEV TICHOMIROV, op. cit., pp. 148-149.

16 Circa le trattative del patto tra governo e Narodnaja volja vedi le memorie di Michajlovskij in Byloe, n. 9, 1907, pp. 208-212 e J. H. BILLINGTON, Mikhailovsky and Russian Populism, Oxford, 1958, pp. 141-142.

17 VERA FIGNER, Opere scelte, Mosca, 1929, p. 342.

18 Dai ricordi di Nikoladze in Byloe, Pietrogrado, 1906, n. 9, p. 256.

19 Nonostante fosse già passato un anno, Alessandro III non era ancora stato incoronato. Il motivo era semplice, la cerimonia di incoronazione si era sempre tenuta a Mosca e aveva sempre portato una gran folla di gente. Non c’era un’occasione migliore per i rivoluzionari per compiere un altro regicidio. Non si poteva neanche però non procedere con la cerimonia perché il prestigio del trono e dello zar sarebbe stato compromesso.

20 La rivista "Vestnik Narodnoj Voli" era stata progettata già dagli inizi del 1882 ma uscì solo alla fine del 1883. L’acquisto della tipografia avvenne per iniziativa di Dejč che la ottenne dal gruppo che stampava negli anni Settanta il giornale "Rabotnik". Vennero stampati solo cinque numeri, l’ultimo è del 1886. Fu pubblicata a Ginevra, in redazione c’erano Plechanov, Lavrov, Dejč, Žukovskij, Vera Zasulič e M. N. Ošanina, Tichomirov prese il posto di Stepnjak come capo redattore.

21 Vera Figner trascorse vent’anni nella fortezza di Šlissel’burg, nel 1904 venne deportata prima ad Arkangelsk, poi a Kazan’ e infine a Nižnij Novgorod. Si recò all’estero dove riprese l’attività rivoluzionaria e ritornò in Russia nel 1915. Morì all’età di novant’anni il 15 giugno 1942.

22 Sergej Degaev si rifugiò in America dove cambiò il suo nome in Alexandr Pell, si laureò in filosofia e diventò professore di matematica nel Sud Dakota. Trascorse i suoi ultimi anni vicino a Philadelphia.

23 "Daily News", 8 gennaio 1884.

24 Il calendario della Narodnaja volja è un calendario della rivoluzione e una raccolta di articoli sull’argomento; è stato pubblicato nel 1883 in quantità di mille pezzi.

25 Facevano parte della riunione L. A. Tichomirov, M. N. Ošanina, G. A. Lopatin, E. A. Serebrjakov, G. N. Černjavskaja e alcuni rappresentanti dei gruppi della Russia meridionale.

26 Chronique du mouvement socialiste en Russie (1878-1887), rédigée sous la direction de l’Adjoint du Ministre de l’interieur, le lieutenant-général Schébéko, San Pietroburgo, 1890 in V. ZILLI, op. cit., pp. 65-66. Della relazione furono stampate solo cento copie. Su G. A. Lopatin è stata scritta una breve ma precisa e documentata biografia: V. ANTONOV, German Lopatin, Lipeck, 1960.

27 L. TICHOMIROV, op. cit., p. 173.

28 Per maggiori informazioni sul soggiorno di Kravčinskij a Londra vedi R. SINIGAGLIA, op. cit., pp. 331 e sgg.

29 G.A. Lopatin fu condannato a morte nel "processo dei ventuno" che si svolse a Pietroburgo dal 28 maggio a 4 giugno 1887. La sua pena fu commutata alla detenzione a vita nel carcere di Šlissel’burg ma riacquistò la libertà nell’ottobre 1905 grazie all’amnistia per i condannati politici. Non si dedicò più all’attività politica a causa delle sue condizioni fisiche ormai minate dalla dura reclusione. Morì nel 1917.

30 L. TICHOMIROV, op. cit., pp. 184-187.

31 Ibid., pp. 188-189.

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