Ora di religione nelle scuole (IRC), testimonianze di…
Maurizio Bronzato
Mauro Cappellari
Andrea Cori
Sara Corso
Luca Dolfino
Stefano Ferrando
Silvio Grando
Silvio Manzati
Carlo Marchiori
Valerio Nascimbeni
Sara Patuzzo
Matteo Perlini
Ornella de Pieri
Silvia Pietrogrande
Silvano Zago
Se qualcuno mi chiedesse cosa ricordo per esempio della storia studiata a scuola, non avrei nessun problema a rispondere. Pur avendo dimenticato molte nozioni sono perfettamente in grado di ricostruire a grandi linee quanto insegnatomi. E lo stesso dicasi per la matematica o per l’italiano.
Tutti argomenti trattati con organicità e sistematicità dalla prima elementare al liceo, passando dagli argomenti di base più semplici a cose via via più complicate, le une propedeutiche alle altre.
Ma se qualcuno mi chiedesse che cosa ricordo dell’insegnamento della religione cattolica, la faccenda si complicherebbe perché non mi ricordo niente. Pur avendo partecipato alle lezioni dall’asilo alla quinta liceo non ho in testa un programma o uno sviluppo coerente della materia. In teoria l’insegnamento dell’IRC potrebbe svilupparsi
più o meno come l’insegnamento della filosofia. Ma non è così che me l’hanno insegnato. Sinceramente non saprei nemmeno io dire secondo quale schema lo insegnino.
Ed ecco allora che i miei ricordi assumono una forma strana. Non ho ricordi circa quello che diceva l’insegnante di turno o circa un concetto particolarmente interessante, ma piuttosto mi sovviene una sorta carrellata di figure ed episodi caricaturali, tipo la sequenza degli insegnanti in Amarcord di Fellini, quella con la maestrina della “Pro-spe-tti-va”.
Mi viene allora in mente suor Rosellina che all’asilo prima si assicurava che bimbi fossero seduti tutti da una parte e le bimbe tutte da quell’altra. Poi compiaciuta diceva “i tosi con i tosi, le tose con le tose e el diaolo l’è in crose”. Ed infine ci faceva disegnare l’angelo custode, il
posto che dio ha preparato in paradiso per noi e così via senza dimenticare le fiamme dell’inferno ed il cuoricino di Gesù bambino.
A proposito del “diaolo in crose”. Qualche anno più tardi osservando la sezione biancheria intima femminile del catalogo Vestro avrei capito, improvvisamente e inaspettatamente, il profondo significato della frase che suor Rosellina ripeteva sempre.
Mi ricordo poi don Giuseppe che alle elementari non perdeva mai l’occasione di riunire tutte le classi nell’atrio e per cantare “Viva la gente” mentre lui suonava (male) la chitarra.
Don Giuseppe, inoltre, ci teneva a che imparassimo a memoria le preghiere. Tutte le preghiere. Ed ecco riapparirmi la noia di interminabili pomeriggi passati a memorizzare l’atto di dolore, il salve o regina, le virtù teologali, i vizi capitali e via discorrendo.
Dell’IRC durante i tre anni di scuola media inferiore, invece, ricordo solo che sulla copertina del libro di religione, tra l’altro mai usato, era raffigurato un vaso di fiori. E nulla più. Chissà perché? Boh!
Al liceo ci fu un salto qualitativo: dalle preghierine mandate a memoria all’esegesi biblica in un colpo solo.
Ma forse lo schema didattico era proprio questo. Dai 5 ai 13 anni ci si concentra sugli aspetti mitologico-folkloristici del cattolicesimo (loro però non li chiamano così), puntando forse sull’effetto imprinting. Dai 14 anni in su invece: etica, morale, problematiche giovanili. Non è, però, che seguissi molto quelle lezioni e spesso usavo l’ora di religione per studiare la materia dell'ora successiva. Seguivo solo quando don Gino parlava di sessuologia. In quel caso mi ricordo che il prete si esibiva in virtuosismi verbali stupefacenti riuscendo a parlare per un’ora di seguito di sesso senza mai usare la parola sesso o qualsiasi altra direttamente collegata
all’argomento.
È un po’ come se i professori di matematica non usassero mai la parola “numero”.
Poveracci loro. E poveracci pure noi.
Maurizio Bronzato
Provenendo da una famiglia cattolica, mi sono trovato a seguire
"normalmente" l'ora di religione a scuola, e avendo terminato l'Istituto
Magistrale prima dei 18 anni (periodo in cui ho iniziato quelle riflessioni
che mi hanno maturato una coscienza atea e scettica) non ho mai neppure
lontanamente pensato alla possibilità di poterne fare a meno.
Mi sono chiesto successivamente, anche analizzando l'agire di coppie di
amici con figli, le motivazioni che spingono i genitori a far frequentare ai
loro figli l'ora di insegnamento della religione cattolica.
Sono arrivato alla conclusione che, salvo rarissimi casi di una fede
veramente matura e coscienziosa, la maggior parte dei genitori o non si
interessano del problema e danno per scontato che l'ora di religione fa
parte del "normale" insegnamento della scuola, oppure non vogliono che i
loro figli (o loro stessi) possano apparire "diversi".
Una bella dose d'ipocrisia!
Tornando alle mie esperienze in merito, devo dire che i ricordi delle ore
passate a scuola in compagnia dei preti sono oltremodo nebulosi.
Emergono comunque alcune immagini abbastanza consistenti: la prima riguarda
un nostro compagno di classe alle elementari, di famiglia ebrea, che usciva
di classe quando arrivava il prete; lo stesso prete, successivamente, ci
invitava a pregare "per la povera anima del nostro amico che, anche se era
uno di quelli che avevano ucciso Gesù, poteva salvarsi se fosse stato illuminato dalla Verità" (sic).
Un'altra immagine, allora abbastanza inquietante, si fa strada nei ricordi
delle medie e forse anche del primo anno delle superiori, ed è l'immagine
dei malanni e dei danni (anche mortali) a cui saremmo andati incontro,
secondo il prete, se ci fossimo lasciati andare al diabolico e perverso
piacere della masturbazione.
L'ultimo flashback, a riprova dell'opportunismo che a volte dimostrano i
preti, riguarda l'ultimo anno delle Magistrali (era il mitico '68).
La sua insistenza nel voler farci ritrovare a tutti i costi valori divini
nelle canzoni dei Beatles o nel movimento Hippy mi suonava oltremodo
stonata, e ha cominciato a darmi argomenti di riflessione...
Mauro Cappellari
Ho frequentato le scuole pubbliche, quindi anche l'ora di religione, come quasi tutti gli altri ragazzi. Sempre, come quasi tutti gli altri ragazzi che conoscevo, durante le elementari andavo anche al catechismo, perché i miei genitori mi ci mandavano (e a messa tutte le domeniche ovviamente). Di quelle ore ho ricordi vaghi: che mi annoiavo moltissimo (come al catechismo, che per me era un'inutile doppione, s'insegnavano le stesse cose), e
l'immagine sbiadita dei preti-insegnanti. Alle elementari era lo stesso parroco del mio quartiere, alle medie e alle superiori erano a volte parroci di campagna, dal linguaggio rozzo e dialettale, a volte di città, più istruiti e con tendenze a filosofeggiare. Due episodi però, li ricordo come se fosse ieri.
Alle elementari un giorno, l'arci-prete (quello della mia stessa parrocchia), facendo notare che eravamo in una classe mista, disse: "Voi, tra bambini e bambine, non vi dovete mai toccare. Se dovesse succedere, dovrete sentire come una scossa elettrica!" Alle medie, ad una domanda su chi fossero i protestanti, il sacerdote così rispose: "Sono i seguaci di Martin Lutero. Martin Lutero era un predicatore che voleva far credere alla
gente di essere Gesù, addirittura diceva di poter fare i miracoli come lui! Un giorno fece entrare un uomo vivo dentro una bara, per poi aprirla in pubblico e così far vedere che lui poteva resuscitare i morti. Ebbene, quando ha aperto la cassa, l'uomo era morto! Ecco vedete: con Martin Lutero un uomo è entrato vivo ed è uscito morto, con Gesù uno è entrato veramente morto ed è uscito vivo." Non so come mai questi due discorsi mi siano rimasti così impressi.
Dopo le medie decisi di andare a studiare in un istituto tecnico (I. T. I. S.). Lì il clima era diverso. Erano gli anni della contestazione: spesso vi erano dimostrazioni studentesche, assemblee, volantinaggi, scioperi sia degli studenti che dei professori. Per un lungo periodo la scuola fu anche occupata. Anch'io, assieme ad alcuni compagni di classe, partecipai a molte di quelle manifestazioni.
Credo che sia stato proprio agli inizi di quel periodo che l'ora di religione diventò non più obbligatoria: chi presentava domanda poteva farsi "esonerare". Io, però, dovetti aspettare di diventare maggiorenne, cioè il quinto ed ultimo anno.
Uno dei primi giorni di quel nuovo anno scolastico mi precipitai in segreteria per informarmi su come e a chi doveva essere presentata la domanda, ma nessuno mi seppe dire niente. Buttai giù poche righe su un foglio di carta qualsiasi, in cui chiedevo semplicemente di essere "esonerato" dall'IRC, e lo indirizzai al preside dell'istituto. Il preside era un certo Bruno Marchetti, titolare dell'omonima ditta di articoli religiosi (che
aveva anche un negozio in centro, vicino a Piazza Erbe).
Devo dire che, nei quattro anni del suo incarico, vidi quel preside a scuola pochissime volte: in occasione di eventi importanti, in assemblee nell'aula magna in cui la sua presenza era indispensabile, in tutto cinque o sei volte. La mia richiesta fu vagliata dal vice-preside: un professore che in sua vece si occupava di ogni cosa. Il "vice" (così lo chiamavamo noi studenti) respinse la mia domanda in prima istanza, ma mi fece avere un
fac-simile di come andava compilata: "Il sottoscritto ai sensi dell'articolo tot, legge tot…" Riscrissi allora la domanda nel nuovo formato che fu poi accettata (nel frattempo passò circa un mese, e quindi mi sorbii altre ore di religione).
Quando in classe si venne a sapere che mi ero esonerato, ricevetti i complimenti dei miei amici. Anche una professoressa, durante una lezione, pronunciò un discorso di encomio per il mio coraggio e per la coerenza nelle mie idee (forse fu solo dovuto al fatto che quelli erano anni di contestazione). Alcuni dei miei compagni, più vicini, mi manifestarono l'intenzione di esonerarsi anche loro, ma all'intenzione, non seguirono i fatti: fui l'unico in tutta la scuola ad escludermi dall'IRC. Questo rappresentò il retro della medaglia:
durante quelle ore non era previsto nulla. Di solito mi presentavo all'uscita della scuola e facevo presente ai bidelli al cancello la situazione; qualche volta mi si lasciava uscire, altre volte no. Gli addetti di turno accampavano le solite scuse tipo:
"Non abbiamo ricevuto nessuna disposizione", "Il preside non c'è, chi si prende la responsabilità?" Il fatto che fossi maggiorenne non aveva alcun peso. Fortunatamente, su iniziativa di una professoressa (la stessa che mi aveva encomiato) all'interno dell'istituto era stata allestita una piccolissima biblioteca: potevo talvolta andare a leggere alcuni ottimi libri che l'insegnante procurava. Vi erano dei giorni in cui la
professoressa non era disponibile a tener aperta la biblioteca, a causa di supplenze, malattia, ecc. In quelle ore, se non potevo uscire, le cose si facevano dure: non mi restava che vagare per i corridoi, e dare ogni volta spiegazioni al personale che incontravo, in attesa della campanella…
Andrea Cori
L'ora di religione nella sezione G del liceo scientifico Fracastoro di
Verona era un momento d'imbelle creatività e di stupefacenti virtuosismi
tecnologici compiuti dai ragazzi. La teoria studiata sui testi scolastici
trovava infatti applicazioni pratiche in ardite costruzioni cartacee proprie
della più sofisticata ingegneria aerospaziale. Ricordo che molti di noi si
erano costruiti un vero e proprio arsenale di Tornado IDS, Falcon 900EX,
Hawker Hurricane MK1, Mitsubishi Zero e Messerschmitt BF.109E, il cui
supporto fondamentale era la copertina del libro di religione. Vederli
planare in classe dopo ampie giravolte, per me era veramente affascinante,
come mi stupiva l'abilità dei compagni nel costruire simili congegni con una
semplice pagina dei testi sacri.
Il professore di religione, dal canto suo, cercava di trarre dagli stessi
testi altri magnificenti congegni, di tipo emotivo e religioso questa volta,
ma invano: non riusciva a catturare l'attenzione e la stima di noi ragazze
che nell'osservare i velivoli vagheggiavamo i vari Top Gun della
cinematografia americana. Il povero Don Tortella - chiamato Tortellino dagli
amanti della gastronomia e Tortejaz da quelli inclini all'esotismo - allora
si scalmanava, lanciando i suoi strali contro i demoni che s'impossessavano
del nostro spirito e ci conducevano nel baratro del più bieco materialismo.
Incuranti dell'inferno di parole e improperi, i ragazzi proseguivano con
caparbia volontà ad inventare modelli sempre diversi, sempre più efficienti
e sempre più belli. Ne ricordo uno fatto da Andrea Apollonio, il primo della
classe in matematica e fisica: un Caccia con il volto della Madonna sulla
testa del velivolo e gli angeli alati esattamente in corrispondenza delle
ali. Il tutto utilizzando un'unica stessa pagina del libro di religione
intitolato "Nuova ricerca e rivelazione".
In quest'ora, dunque, due erano gli argomenti trattati: i miglioramenti
nelle tecnologie aerospaziali cartacee e i demoni.
Quali dei due abbiano avuto maggior ascolto, si fa presto a dirlo, se si
pensa che metà della V G (probabilmente la percentuale più alta dell'intero Fracastoro)
si è successivamente iscritta e laureata in ingegneria. E chissà
che il caro Don Tortella non sia stato inconsapevolmente un motivo di tale
glorioso risultato.
Sara Corso
Indottrinamento pubblico: l’ora di religione
In tredici anni di scuola solo una volta non sono stato esonerato dall’ora di religione: in prima elementare. I ricordi che conservo sono rari e quasi insignificanti; l’immagine più nitida che conservo di quell’esperienza è una “lezione” in cui la maestra preparò una torta alla cattedra, con noi bambini ad ammirare la sua arte. Quale fosse il nesso con la religione,
ammesso che ve ne fosse uno, non ricordo, ma la torta era buona; era una torta paradiso. Evento annuale della scuola elementare era inoltre il “lavoretto” che ci facevano fare per le feste comandate (da altri) come natale ed affini; e durante l’ora di indottrinamento cattolico l’opera consisteva nel disegnare il presepe dopo una lettura fiabesca dell’avvento. È così, infatti, che mi immaginavo le
vicende di Giuseppe e famiglia, come una fiaba, ma senza il fascino di castelli, principesse, cavalieri e lieto fine. Nonostante tutto, allora credevo in un dio buono, con aspetto da nonno gioviale e simpatico; anzi forse l’immagine che avevo di lui era più quella propria di un nonno che di una figura superiore. E per questo è una cosa subdola far credere a un bambino, privo ancora di difese culturali proprie e
ricco di fantasia, l’esistenza di un essere superiore che crea dal nulla, che fa le leggi a suo piacimento, che non sbaglia mai e che vuole bene a tutti (no, non sono passato a temi di politica interna).
Il primo dubbio, e con questo la prima e unica domanda diretta che feci a proposito di dio, fu dopo che mi punsi con un’ortica; chiesi alla maestra perché dio, da lei tanto decantato, avesse creato anche le piante che pungevano; l’insegnante, stupita, dopo un silenzio che più tardi interpretai dovuto all’imbarazzo, rispose che se dio aveva creato il bene doveva anche
creare il male. Non convinto, il mio dubbio rimase.
Dalla seconda elementare invece non frequentai più l’ora di religione; eravamo in parecchi (cinque o sei, non ricordo) non avvalenti. Durante quell’ora settimanale il maestro che ci seguiva ci portava a fare passeggiate, ci faceva disegnare; ci sembrava una ricreazione allungata.
Alle scuole medie la mia convinzione che non fare religione fosse una cosa naturale cadde; eravamo in due: io e una testimone di geova. Non avevamo nessun professore che ci seguisse, anzi ci mandavano in una classe vuota e arrangiarsi. Per me sempre meglio della naturale ripetizione del catechismo (che grazie a dio non ho mai frequentato), ma comunque non piacevole; sembrava di
stare in punizione più che di svolgere un’attività alternativa (così era chiamata ancora).
Al liceo finalmente i non frequentanti potevano uscire da scuola, perciò nei casi in cui religione si trovasse alla prima o ultima ora di lezione si entrava dopo o si usciva prima.
Nei casi in cui si svolgesse in un’ora intermedia, sfruttavo il momento per girare la città senza meta a guardare la quotidianità esterna alla scuola, sempre un momento piacevole.
Il quarto anno di liceo lo passai invece in Germania; lì questo problema non sussiste; infatti lo studente può decidere tra due ore settimanali di storia delle religioni (tutte!) o filosofia; scelsi quest’ultima.
Di tutta l’esperienza vissuta, fastidiosi erano i motivi per cui i miei compagni di classe frequentavano (anche quando maggiorenni, al liceo); generalmente i soliti con cui si giustificano comunione, cresima, sacramenti vari e messe standard come natale, pasqua ecc… Ma ancora peggiore era la convinzione di quasi tutti, che tale insegnamento in una scuola pubblica fosse normale
e giustificabile.
Luca Dolfino
Classe prima liceo, il professore di religione, noto parroco tutt'ora attivo presso la basilica di Madonna di campagna, cominciò a raccontare... Qualcuno evidentemente credeva agli esorcismi, qualcuno aveva già sentito parlare di lui e di questa storia strana e inizia a provocarlo: "Professore, ci racconta di quando ha fatto un esorcismo?" Il suo viso parve
illuminarsi: raccontò così ad una classe di quattordicenni un episodio che, a suo dire, gli era capitato. Un tale fu portato in chiesa a forza perché non si alzava più dalla sedia, essendone praticamente incollato... Parlava usando idiomi incomprensibili, tutto contorto in volto ed evidentemente a disagio dentro la chiesa... Il parroco spiegò così con dovizia di particolari che la possibilità di essere
posseduti dal demonio esiste, ma bisogna desiderarlo fortemente... Iniziò a metterci in guardia dalle messe nere e si rammaricò con se stesso di non aver avuto un registratore durante l'esorcismo per fissare su nastro gli idiomi incomprensibili di natura diabolica che uscivano dalla bocca dell'indemoniato.
Ci raccontò di aver pronunciato le formule previste dal rito esorcistico e di aver praticamente guarito il posseduto... Di lì a poco, al parroco venne la brillante idea di assegnare a ciascuno di noi una mini ricerca sulla sacra sindone... Ottenni un pessimo giudizio perché scrissi che quel lenzuolo, poteva essere appartenuto a chiunque perché sui libri di storia non vi era traccia del destino di una così
venerata reliquia... Qualche anno più tardi, tre laboratori tra i più accreditati al mondo, dimostrarono ciò che oggi sappiamo.
Stefano Ferrando
Premetto che durante le prime fasi della mia educazione scolastica ero pienamente inserito, almeno a livello formale, nel contesto educativo della chiesa cattolica comprese cerimonie, catechismi, annessi e connessi. Sulla mia famiglia, in effetti non di credenti esemplari, si riversavano le pressioni dei parenti che mi portarono a quelle frequentazioni.
Per quanto riguarda l'ora di religione durante le scuole elementari devo dire che ho ricordi confusi. In realtà non c'è mai stato un momento durante le lezioni che fosse realmente deputato a ciò. Il problema derivava dal fatto che una bambina che era in classe con me era "di un'altra religione". In effetti non ho mai saputo bene di cosa si trattasse anche perché gli interessati e le maestre erano molto
riservati su ciò.
All'iscrizione delle scuole medie inferiori io ed i miei genitori non esitammo ad iscrivermi all'ora di attività alternative. Sebbene io fossi ancora legato agli ambienti delle parrocchie, forte era comunque la convinzione che la religione doveva essere un fatto privato e non doveva coinvolgere la scuola.
Dei primi due anni di scuola media in relazione a ciò ho un bel ricordo. In classe mia eravamo in tre a non fare religione (anche gli altri due per volontà laiciste). Il caso volle che avessimo a che fare con delle professoresse di lettere e il nostro lavoro si improntò, in quell'ora a settimana, all'analisi di fatti d'attualità che potevano portare anche a tentativi di riflessione sociale (seppur timida). Ho
detto il caso volle perché al terzo anno si rivelò tragicamente la non curanza da parte delle istituzioni nei confronti delle cosiddette "Attività Alternative". Capitò infatti un professore di educazione fisica, che non era molto adatto alla situazione. Per l'esiguo numero fummo accorpati ai "non avvalentesi" di un'altra classe. I miei compagni decisero di optare per il rientro a casa (data la posizione d'orario). Io, che non ero molto abile in educazione fisica, tentai di farmi dare ripetizioni da quel professore che ci era capitato, ma la preside ci fermò, forse perché se gli altri dovevano soffrire a fare catechismo, io non potevo certo
giocare a basket.
Al liceo tentai di non avvalermi fin dal primo anno. Il mio distacco dagli ambienti cattolici era pressoché definitivo (avevo cominciato a frequentare i Giovani Comunisti). Ma già dal primo giorno di scuola la preside mi chiamò dicendomi che, date le scarse disponibilità, non era in grado di mettere in piedi delle attività alternative come io avevo richiesto data anche la scarsità di domande analoghe alla
mia. Avendo io difficoltà ad uscire durante l'orario scolastico, data l'infame ubicazione d'orario e l'essere minorenne, su invito della preside provai a frequentare l'ora di religione. E così fu che per quattro anni (dalla prima alla quarta) ebbi a che fare con degli insegnanti di religione. Erano tutti "laici" (ovvero non chierici) e, nel tentativo di rabbonirmi e di ricondurmi alla retta via,
accettavano bonariamente le mie prime critiche alla religione formulate sulla scia delle prime pagine di Marx che mi accingevo a leggere. In quinta superiore le miei opinioni erano oramai solide e, venendo meno il vincolo dell'età decisi di avvalermi della possibilità di uscire da scuola.
Silvio Grando
Io ho frequentato le scuole molti anni fa. A quel tempo le lezioni di religione cattolica erano obbligatorie. Tuttavia, i genitori potevano chiedere l'esonero. Nessun mio compagno di classe fu mai esonerato.
I primi vaghi ricordi dell'ora di religione risalgono alla scuola media. Il professore di religione era un prete, denominato don Ciliegia, non so perché. Ai miei tempi, tutti i professori di religione erano preti. Le classi erano poche, le vocazioni ancora tante.
Di don Ciliegia ricordo che chiedeva di che parrocchia si fosse, che ci tormentava con i compiti per casa (un disegno o un breve componimento), che una volta accennò ai non corretti rapporti tra Lutero e le donne.
Dell'insegnante di quarta e quinta ginnasio ho memoria soltanto di due fatti. Per farci capire dio uno e trino, fece l'esempio del triangolo equilatero: tre angoli uguali nello stesso triangolo. Un'altra volta disse che nei paesi nordici, protestanti, la percentuale dei suicidi era superiore a quella dei paesi cattolici. Ne ricavava la superiorità del cattolicesimo sul protestantesimo.
Nei tre anni del liceo mi capitò don Aleardo Rodella. Ricordo che faceva dei corsi monografici. Un anno fu sulla verità storica dei vangeli ed un altro sull'evoluzionismo. Nella parte finale della lezione dettava un riassunto di quanto aveva detto e che si sarebbe dovuto studiare. Il libro di religione, regolarmente acquistato ogni anno, non serviva a niente. Non trovavo corretto che il prete ci facesse comperare un libro per poi neppure aprirlo.
Il professore di religione si atteggiava anche a psicologo e sessuologo. A me, vista la mia non grande propensione per la religione, aveva predetto che sarei diventato prete. A qualcun altro, probabilmente a richiesta, spiegava se la masturbazione fosse un peccato maggiore o minore di altra pratica sessuale.
Avere frequentato l'insegnamento della religione cattolica per tutto il corso degli studi non mi è servito nulla nella formazione culturale. Non mi è servito per la storia dell'arte, nella quale si trovano spesso leggende e contenuti religiosi, non mi è servito per meglio intendere la filosofia, non mi è servito nello studio della storia o della letteratura. Storia dell'arte, della filosofia, della letteratura e storia civile sono state materie che mi hanno fatto capire qualche cosa del cristianesimo.
Nell'ora di religione mai ci è stato raccontato che cosa fu l'eresia ariana o quella iconoclasta o altre eresie combattute a lungo dalla chiesa cattolica o che cosa fu l'inquisizione o il protestantesimo. Mai ci fu detto qualche cosa sulle religioni diverse dalla cattolica.
Silvio Manzati
La mia esperienza dell'ora di religione.
Fino all'adolescenza sono stato un cattolico osservante, e il periodo delle scuole elementari è stato il momento in qui questo modo di essere è maturato. Dell'ora di religione in quel periodo e in quello successivo delle scuole medie, ho un ricordo vago: ricordo soltanto che ad un certo momento la mia insegnante di religione è stata una donna laica che allora studiava teologia: allora il fatto che la
religione non venisse insegnata da un prete e per lo più non da un uomo veniva sentito come una fresca novità.
Il periodo del liceo contrassegnò il mio progressivo allontanamento dalla religione cattolica. In quegli anni il mio insegnante di religione era un prete della parrocchia di Villafranca di Verona. Le sue lezioni erano preparate con uno zelo ammirevole ed erano imperniate sull'esegesi della Bibbia. Inoltre trattava argomenti di attualità nel campo dell'etica, come la procreazione assistita, l'ambientalismo e
altro, ricercando ciò che la Bibbia poteva dirci su questi temi, una volta interpretata attraverso gli strumenti dell'esegesi, quindi con un atteggiamento, almeno superficialmente, razionale.
Nonostante che negli ultimi due anni del liceo la mia distanza dalla religione si andasse accentuando, continuavo a seguire le lezioni del mio professore di religione con molta attenzione e rispetto, prendendo appunti (caso forse unico nel nostro sistema solare). Sono rimasto in contatto col mio insegnante di religione per alcuni anni anche durante il periodo universitario, in cui organizzava incontri di riflessione
presso la sua parrocchia con noialtri suoi ex allievi. Aveva un carattere freddo e razionaleggiante, anche se si capiva che ci teneva ad avere un rapporto con noi giovani. Penso infatti che un prete in buona fede sia facilmente soggetto a soffrire di solitudine e di vuoto esistenziale e secondo me questo prete non faceva eccezione, dietro la sua maschera di algida freddezza.
In conclusione penso che dell'ora di religione mi sia rimasto poco o niente, tanto più che oggi il mio ateismo è quantomai ferreo. Credo che l'ora di religione dovrebbe semplicemente essere eliminata dalle scuole e sostituita eventualmente con l'insegnamento della storia delle religioni.
Carlo Marchiori
Non mi sono mai avvalso dell'ora di religione, a partire dalla prima
elementare fino alla maturità. Ovviamente la scelta iniziale è stata
dei miei genitori, ma io l'ho sempre approvata anche da bambino. Il
maggior timore di molti genitori è che il bambino si senta isolato
o diverso dai compagni, ma non è certo stato il mio caso: direi anzi
che mi piaceva sentirmi diverso dagli altri bambini, per me era una
specie di segno di distinzione.
Alle elementari eravamo in tre a non avvalerci: una bambina i cui
genitori erano testimoni di geova, un bambino cattolico che andava
già a catechismo (e i suoi genitori lo ritenevano sufficiente), ed
io. L'ora alternativa consisteva nel trasferirci in un'altra aula
vuota con una insegnante che cambiava di anno in anno, e che in
genere ci insegnava materie alternative (come musica) o ci faceva fare
lavoretti. Tutto sommato un'esperienza positiva, mai noiosa ma neanche
troppo impegnativa. Ricordo con piacere una maestra (di confessione
valdese) che era molto simpatica e ci insegnava i rudimenti della
lingua francese: i nomi dei colori, i giorni della settimana, ecc.
Alle medie l'ora alternativa era molto simile, a parte il fatto che
ero l'unico della classe a non avvalermi. In realtà, fa uno strano
effetto sentirsi l'unico alunno di una professoressa.
Nei primi due anni facevamo piccoli approfondimenti storici che annotavo
su un quaderno, e che riguardavano per lo più la vita civile degli
antichi: le cerimonie matrimoniali presso i latini, i funerali dei
greci, cose di questo tipo. Sono molto grato a quella professoressa,
perché gli approfondimenti mi fruttarono molte lodi nelle interrogazioni
di storia, che allora era la mia materia preferita. Il terzo anno delle
medie inferiori non cambiò molto, a parte la materia: pronto intervento
e soccorso medico.
Al liceo scientifico la situazione divenne un po' sgradevole: causa tra
l'altro una preside reazionaria e bigotta al punto da spingere talvolta mio padre a protestare in presidenza. Ci veniva del tutto
preclusa la possibilità di uscire dall'istituto nelle ore "interne" dell'orario scolastico, persino una volta diventati maggiorenni; inoltre,
c'erano continue polemiche anche per l'uscita anticipata o l'entrata
ritardata alle lezione, con motivazioni inconsistenti che riguardavano
il più delle volte la responsabilità: tutto ciò nonostante i genitori
firmassero liberatorie per l'istituto.
L'ora alternativa non esisteva: semplicemente, se non potevo uscire
dall'istituto, mi ritrovavo a girovagare per i corridoi o a leggere o
ripassare le lezioni in biblioteca. Un mio compagno di classe, unico
non avvalentesi oltre a me, restava in classe senza partecipare:
almeno stava in compagnia. Decisamente l'esperienza al liceo è stata
la peggiore delle tre.
Ho saputo che viene fatta religione anche alle scuole materne, ma
francamente non riesco a ricordare nulla del genere: forse non erano
ancora previste dal concordato, visto che era prima del 1984?
Valerio Nascimbeni
In prima media annessa al Conservatorio Musicale di Verona eravamo solo in cinque, due maschi e tre femmine. Dato che eravamo così pochi e molto affiatati per la comune frequentazione del Conservatorio, avevo deciso di non isolarmi nell’ora di religione e di condividere con loro anche questa esperienza. Uno solo di noi, Tancredi, un ragazzo buono e
gentile, Testimone di Geova, usciva dalla classe.
Un giorno don Agostino ci ha sentito dire che all’intervallo avremmo fatto una partita di pallone maschi contro femmine; una partita, si fa per dire, in quanto la ricreazione si svolgeva nello stretto corridoio del secondo piano delle scuole Pacinotti in l.ge Capuleti, ora sede del Settore Edilizia Privata del Comune di Verona. All’inizio dell’ora di
religione il prete ci ha subito apostrofato dicendo che le parole maschio e femmina si devono riferire solo ai maiali e alle scrofe, mentre noi esseri umani ci dobbiamo chiamare uomo e uoma.
Don Agostino è passato quindi a spiegare che dio, dopo aver fatto il mondo un po’ alla volta, si era sentito felice, ma non del tutto, infatti ha pensato poi di fare anche la creatura umana. Si è vestito allora in modo “solenne” per creare l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma come avrà fatto a fare l’uomo? Per fare le cose meno importanti le
ha fatte esistere solo con un semplice atto di volontà, ma per fare la creatura umana ha dovuto “sporcarsi” le mani, ha preso Adamo dalla terra modellandolo e gli ha detto «domina su tutto».
Per creare la donna poi, dio non ha preso dell’altra terra, ma ha fatto addormentare Adamo e gli ha preso una costola dal petto, non dal cervello, e così ha creato la
UOMA. L’uomo e la uoma fanno il vaso, dio lo riempie dello spirito (”alitus vitae”) che soffia dentro e “crea” in noi una piccola parte di lui. Dio ha dato alla “UOMA” il
grande dono di far maturare in grembo la sua creatura, perciò chiama la “UOMA” Eva, madre dei viventi.
A questo punto avrei voluto alzarmi in piedi e con un gesto plateale sbattere le mani sul banco e chiedergli di uscire, ma questo coraggio non l’ho avuto e, solo a casa, raccontando tutto ai miei genitori e facendo vedere loro il compito scritto a scuola e corretto dal prete, ho chiesto che mi aiutassero a non frequentare più l’ora di religione
cattolica. Mio padre, con grande soddisfazione, scrisse subito una lettera raccomandata al Direttore del Conservatorio dichiarando che non desideravamo più avvalerci dell’insegnamento dell’IRC.
Fu così che mi ritrovai ogni martedì sul pianerottolo delle scale del secondo piano, in fondo al corridoio, assieme al mio amico Tancredi a leggere e commentare i problemi dell’inquinamento ambientale a cui oggi aggiungerei i problemi dell’inquinamento scolastico.
Sara Patuzzo
L’IRC delle elementari e delle medie?
Mistero della fede!
Delle elementari non ricordo nemmeno di averla fatta, mentre alle medie ricordo di aver avuto due professori preti: uno meglio dell’altro.
Uno era uno schizzato che parlava solo di sette, diavoli, posseduti e via dicendo. Il secondo, più giovane di almeno vent’anni (l’altro ne avrà avuti 60), era uno di quei preti che devono a tutti costi essere un non-diverso, ovvero anche se sono preti vogliono fare la figura dei giocherelloni a tutti i costi, rischiando
perfino di diventare sgradevoli. Ricordo di lui soltanto il suo sadismo nel “fare male ironicamente” agli studenti e il suo più grande vanto: saper dire in ebraico le parolacce (solo quelle!).
Di questi periodi ricordo poco niente a causa dell’effettiva inconsistenza delle lezioni di IRC, strano data la mia giovane età, infatti ho terminato solo da un anno la scuola superiore: figuriamoci fra una decina di anni cosa mi ricorderò!
Per le superiori è tutta un’altra storia: ricordo tutto, purtroppo!
Dico “purtroppo” non perché mi stufassi in quelle ore, tutt’altro, mi divertivo un mondo…a non far nulla.
Il libro non fu mai aperto, nemmeno di striscio (così come anche alle medie): perché si ostinano a non voler indicare all’inizio dell’anno che il testo non sarà utilizzato? Costa molto? O serve solamente per dare almeno un’aria di serietà e di concorrenza verso le altre vere materie?
Bè, dopo qualche anno si impara come il mondo gira e, dopo esser stato giocato un po’ di volte, si evita di comprarlo.
Il professore delle superiori (laico) ha indirizzato l’ora di IRC soprattutto sui sentimenti, evitando, almeno per i primi tre anni l’aspetto religioso (anche se per contratto dovrebbe essere l’argomento focale). Dalla quarta iniziò a citare alcuni argomenti religiosi, quali gli immancabili posseduti e la “sacra”
sindone. Tutto questo accadeva, voglio precisare, rarissime volte: infatti, delle ore totali annue (come da contratto) avrà dedicato tempo a noi il 10%, stando abbondante.
La maggior parte delle volte, il 90% circa, il professore nemmeno si presentava (per impegni scolastici ed extra), altre volte veniva in classe e c’invitava tranquillamente a continuare quello che stavamo facendo (copiare compiti delle ore successive, giocare a carte o divertirsi con svariati passatempi), altre volte arrivava e
ci rassicurava con la frase: “Scusate, non voglio disturbarvi, ma vi rubo solamente qualche minuto. Dopo vi lascerò liberi”. Passati i minuti “impegnativi” noi riprendevamo a divertirci e lui o leggeva il giornale o usciva dalla classe senza farci più ritorno, dicendo dolcemente: “Io vado, siete abbastanza maturi da stare da soli, vero?”.
Poveri professori di religione, sono proprio stressati, dovrebbero diminuirgli le ore di lavoro e aumentargli lo stipendio, d'altronde non di sola fede si può vivere.
Matteo Perlini
La prima cosa che mi viene in mente, pensando all'insegnamento della religione cattolica, riguarda i miei figli. Ora hanno diciotto e vent'anni, perciò l'esperienza è di più di dieci anni fa, ma ogni ricordo è ancora vivo in me.
La scelta di farli esonerare dall'insegnamento e di non sottoporli a tutti i riti della chiesa non fu facile, in particolare per due motivi. Il primo riguardava la famiglia. Quella di mio marito è fortemente cattolica: mia suocera è la classica bigotta, e uso questo termine come un qualsiasi altro aggettivo: lei è così. Ma è una persona che ha anche dei lati positivi e, soprattutto, è la madre di mio marito e la nonna dei miei figli. Io non
riesco mai a non mettermi "dalla parte degli altri" e anche se non condividevo le sue scelte di vita, mi faceva stare male l'idea di darle un dolore che doveva essere, per lei, tra i più grandi.
Il secondo motivo riguardava il luogo in cui viviamo: un piccolo paese della provincia veronese (se possibile nella zona anche più retrograda di questa provincia!). Allora non c'erano nemmeno gli immigrati e i soli a non frequentare l'ora di religione erano i figli dei Testimoni di Geova. Mi sono persino trovata a "far comunella" con loro, perché quando si è nella stessa barca...
La delusione più grande fu vedere che neanche i "compagni" erano disposti, nonostante i loro proclami, a fare quella scelta quando la questione diventava personale.
Infine, però, la cosa che mi angustiava di più era il pensiero di far crescere i miei figli come dei diversi: ne sentivo tutta la responsabilità. Devo dire che tutto è stato superato e in particolare quest'ultimo aspetto perché i miei figli sono davvero diversi (ma questo, l'ho capito dopo, è un valore) dalla massa dei loro coetanei che non sanno riflettere liberamente su nulla, né sulla religione, né sulla vita.
Ho un ricordo vivissimo del giorno in cui il prete del paese è venuto trovarmi per parlarmi della santissima comunione che mio figlio maggiore avrebbe dovuto ricevere di lì a poco, fingendosi ignaro del fatto che lo stesso non frequentava neanche il catechismo. A dire il vero il primo anno di catechismo l'aveva fatto ma, dopo che una notte si era svegliato urlando che il diavolo gli stava lanciando addosso il fuoco, decidemmo che era meglio non mandarlo
più. La consapevolezza passa per molte vie!
La discussione col prelato non fu facile, almeno all'inizio, perché anch'io ero ancora soggetta a vari condizionamenti, ma, alla fine, devo dire che me la cavai bene. Anzi, mi stupii della mia forza e della mia determinazione.
Si accomiatò chiedendomi perché non andavo a insegnare catechismo (sic!); salvo poi non ripresentarsi quando, dopo pochi anni, si ripropose pari pari la questione per l'altro mio figlio.
Dell'esperienza a scuola la cosa che rammento di più riguarda una maestra di chiara formazione cattolica. Quell'anno (credo il 1992) andammo a Perugia, alla Marcia per la Pace. Il giorno dopo nostro figlio più piccolo ne parlò in classe e fece un bellissimo e coloratissimo disegno del corteo che ancora conservo. La sua maestra si sentì in dovere di dirci che ci ammirava perché aveva capito che i valori ai quali educavamo i nostri figli erano quelli
della pace, della convivenza, dell'impegno civile e che lo stavamo facendo in maniera più convinta e serena di tanti credenti. Non che ci servisse la patente dataci da una maestra cattolica ma la cosa fu comunque positiva.
Certo non sono state tutte rose e fiori, soprattutto per ciò che riguarda le "materie alternative", le cavolate sui libri di testo e le famigerate feste di Natale. Però devo dire che, a parte qualche piccolo episodio di ordinaria stupidità umana, non ho avuto modo di constatare grandi discriminazioni.
E questa era la cosa che, emotivamente, "da mamma", temevo di più. Per quanto riguarda mia suocera: è giunta più o meno alle conclusioni della maestra; riguardo ai "compagni": il disincanto sarebbe arrivato in ogni caso anche senza la questione religione; ma, soprattutto, per ciò che riguarda i miei figli: ho la grande soddisfazione di saperli orgogliosi del fatto di non aver
ricevuto sacramenti e di non essere stati sottoposti a insegnamenti e condizionamenti religiosi. Portano la loro "diversità" come un vessillo e, allo stesso tempo, come il segno di una cosa più che naturale.
Ornella de Pieri
Ps: non credo ci sia voluto poi tanto coraggio per compiere quella scelta: ce ne sarebbe voluto di più per fare il contrario.
Non sono stata battezzata, in terza elementare (1985-86) ho
"dovuto" partecipare all'irc tenuta dal parroco. Non ricordo perché i miei avevano scelto così.
All'epoca non c'era nemmeno il modulo per scegliere.
So che c'era una mia compagna testimone di Geova che usciva dall'aula e mi sembra che il nuovo
concordato non fosse ancora applicato. In quelle ore la maestra e il prete
tentarono di plagiarmi. Ero terrorizzata. Una volta che un'altra maestra mi
chiese se avrei fatto la comunione, andai a nascondermi in bagno. Quando la
mamma di un amico me lo domandò per telefono, non risposi.
Ho avuto il battesimo dell'aria per essere ripagata di non aver fatto la prima comunione con regali
e annessi. Però ciò non ha cancellato la discriminazione che ho sentito da maestre e da
compagni. L'anno successivo venne istituita l'ora alternativa e potei non
avvalermi. Alle medie e alle superiori non ebbi problemi. Però quelle
discriminazioni che ho subito da bambina mi sono rimaste impresse e mi hanno
rafforzata. Mi hanno insegnato il coraggio della diversità ed il lottare per
affermarla.
Forse sono stati anche quegli episodi che mi hanno spinta molti
anni dopo ad iscrivermi all'UAAR. Io non ho bisogno di scrivere al parroco
per lo sbattezzo, ma potrei scrivere alla mia ex-maestra dicendo che la sua
parzialità mi ha segnata .
Silvia Pietrogrande
Arrivava ogni mattina con la famigerata 850 blu nel parcheggio della scuola media Paolo Caliari. Si chiamava don Bozza, già allora piuttosto anziano (eravamo alla fine degli anni ’70), ma dotato di una certa vitalità nervosa che ben si confaceva al fisico alto e magro.
Maniaco della pulizia, ad ogni entrata in classe eseguiva lo stesso rito: spazzolava via la polvere dalla cattedra con pochi energici colpi di registro e, lamentandosi dell’inefficienza dei bidelli, indossava accuratamente le mezze maniche.
C’è da dire che le sue lezioni non avrebbero lasciato traccia alcuna, se non fosse stato per una sua riconosciuta dote: la passione morbosa per il macabro e il terrifico, abbeverata all’inesauribile fonte delle sacre scritture e dell’aneddotica religiosa e sorretta da una vibrante oratoria. Eccolo allora, la bocca sottile come un taglio, perennemente sputacchiante, scatenarsi in grandguignolesche e
particolareggiate descrizioni di crudeli martìri, tremende punizioni divine, catastrofi varie, pietosi casi umani.
Fra i suoi cavalli di battaglia spiccavano le piaghe d’Egitto, con le cavallette che divoravano gli occhi ai malcapitati nemici di Dio. Ma anche i mostri del Cottolengo: la donna-gatto, la cui mamma fu graffiata dalla sorniona bestia mentre era incinta, nata con muso felino e capace solo di dire miao-miao; l’uomo-cavallo (basato sullo stesso principio); lo sciagurato che noi ribattezzammo “Polifemo”,
ovvero un povero idiota con un grande buco in faccia da cui spuntava un orribile occhio, che si aggirava per i corridoi del pio Istituto urlando come un ossesso. Altre storie erano simpaticamente schifose, come la descrizione di Giona che esce dalla bocca della balena completamente ricoperto dalla bava del cetaceo.
L’apoteosi la raggiungeva con la passione di Cristo: come ispirato da una forza misteriosa, don Bozza afferrava un gessetto con le dita adunche e, facendolo stridere lentamente, disegnava alla lavagna il gatto a nove code che martirizzò il Messia, da noi diligentemente ricopiato sul quaderno di religione. Con “esse” sibilante, spiegava che gli uncini all’estremità di ogni “coda”, come da illustrazione,
servivano a “sssscarnificare” e a “sssstrappare” le carni. La corona di spine era in realtà un casco, con spine fitte e lunghe che perforavano il cranio, trapassavano il cervello e fuoriuscivano qua e là, facendo naturalmente “impazzire dal dolore” il martire. Vi lascio immaginare la crocifissione.
Un altro aneddoto, vedeva un eroico missionario alle prese coi selvaggi in qualche insidiosa regione tropicale: sfidato dall’infido capo tribù a bere un intruglio schifoso dalla coppa su cui si erano appena posate le sue labbra incrostate e purulenti, non solo beveva nello stesso punto, ma, beffardo, la porgeva all’attonito cannibale dicendo: ”Buono! Dammene ancora!”
Ma le storielle di don Bozza erano colorite anche quando non si trattava di terrorizzare qualcuno: Martin Lutero, ad esempio, non era altro che un barbone alcolizzato che morì solo come un cane, divorato dal rimorso. Rimorso che dovette colpire anche Caino, dal momento che si mise freneticamente a scavare buche per cercare un inutile riparo sotterraneo dallo sguardo implacabile dell’”occhio di Dio”, che
lo seguiva dappertutto.
Il libro di testo lo utilizzavamo raramente, ma l’allegro prelato ne aveva la padronanza assoluta: chiamava a memoria i numeri di pagina, e potevi star sicuro che lì c’era proprio il paragrafo che diceva lui. Ricordo un visionario racconto sull’affondamento del Titanic: il grande transatlantico, si narrava, fu concepito e costruito, come una Torre di Babele dei mari, a mo’ di umana sfida all’onnipotenza
divina. I poveri operai cattolici venivano continuamente sbertucciati dai boriosi colleghi protestanti (peraltro gran bestemmiatori), ma soffrivano e pregavano in silenzio come un bambino che pregusta il momento in cui il fratello più grande farà polpette di quelli che gli hanno rubato la merenda. Le gigantesche fiancate recavano scritte ingiuriose e blasfeme, fra cui spiccava una cubitale “No God No Pope”.
Indovinate un po’ il punto preciso dove impattò l’iceberg vendicatore?
C’era, nel libro, anche una specie di “hit parade” del peccato grave, fra cui era annoverato il ballo.
Tutti questi racconti, nati per terrorizzare, erano per me quasi divertenti, visto la scarsa credibilità che già allora gli attribuivo. Ma risultavano realmente spaventosi per i bambini più suggestionabili, che non ci dormivano di notte. La cosa finì anche in qualche consiglio di classe, fra le proteste di alcune mamme e le giustificazioni di un imbarazzato don Bozza. Con quale esito? Molto tempo dopo, scoprii
che un mio amico, più giovane di me di qualche anno, aveva avuto lo stesso mio insegnante di religione in tempi più recenti; ebbene, ci ritrovammo a rivangare un allegro passato fatto di 850 blu, mezze maniche, cavallette, donne-gatto,
polifemi e gatti a nove code.
Uncinati, naturalmente!
Silvano Zago