Sotto il segno del Leone

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 La villa in cui ha inizio questa storia sorge in una zona appenninica ancora quasi immune dal cemento. Lo scarso spirito imprenditoriale degli abitanti del luogo, prima ancora della loro coscienza ecologica o estetica, ha fatto sì che una larga parte della montagna sia rimasta priva delle strutture necessarie ad uno sfruttamento turistico massiccio.
    In un paesaggio, quindi, pressoché privo di cemento, la villa, accompagnata soltanto da altre quattro o cinque abitazioni di fortunati proprietari, e da qualche rudere che funge da ricovero per pastori e mandriani, colpisce l'attenzione di chi passa.
    Qui la montagna è quasi brulla; il colore che prevale è il grigio ferrigno della roccia, solo a tratti interrotto dal verde cupo delle macchie di conifere.
    Raramente vi compaiono animali: qualche mucca vagante, qualche gregge, accompagnato da grandi cani bianchi, quei pastori abruzzesi con i quali è meglio mantenere le distanze.
   Anche la presenza umana è solo sporadica. Fatta eccezione per certe giornate luminosissime, tra gennaio e febbraio, in cui il richiamo della montagna è troppo forte per poterlo ignorare, la zona rimane deserta per gran parte dell'anno, priva come è di piste sciistiche e di attrezzature sportive.

    La villa ha molte stanze; di queste, la più bella è quella che apre le sue finestre a Ovest, sulla vallata, e accentra sui suoi vetri l'oro del sole fino all'ultima fase del tramonto. Il paesaggio che appare a chi vi si affaccia è ampio e solitario, austero. Una stanza ideale per leggere, scrivere e meditare. L'arredamento ricorda quello di una camera da letto di tipo alpino, con mobili di legno massiccio, tagliati a spigoli vivi; un grande letto comodo fa presagire lunghi sonni; un'ampia scrivania posta accanto alla finestra fa supporre un lavoro intellettuale. In realtà non è così. In questa stanza passa la maggior parte del suo tempo, quando è in villa, la padrona di casa, che non è esattamente una persona di cultura. E' una signora sui sessant'anni, sicura di sé fino alla supponenza; rimasta vedova di un marito altolocato, senza figli, non ha altro da fare che organizzare al meglio le sue giornate di donna libera e ricca, e ancora in buona salute: giornate in cui l'accompagna un buon numero di parenti e di amici.
    E' , la sua, una piccola corte, che si sposta con lei, dal salotto della città in cui abitualmente vive alla villa di montagna, residenza per lo più di vacanze estive.
    La corte la segue anche altrove: alle terme, dove lei si reca una volta all'anno, o nei brevi viaggi che talvolta le capita di fare, per piacere o per necessità.
    La sua cultura non è particolarmente approfondita, tuttavia lei respira da quando è nata l'aria di una famiglia in cui si sono avvicendate generazioni di avvocati, medici e letterati, una di quelle stirpi di professionisti che, nel secolo scorso, erano la spina dorsale del Meridione d'Italia.
    Dei suoi fratelli, cugini, zii e antenati, la nostra protagonista ha l'alterigia e la professionalità, anche se queste le servono soltanto, il più delle volte, a dirigere schiere di servi e ad organizzare feste di compleanno.
    Di queste, la più importante è, naturalmente, quella che celebra il suo, che cade in luglio, sotto il segno del Leone, e che si svolge, generalmente, nella villa di montagna.
     In questa occasione lei indossa un abito sempre nuovo ma sempre della stessa foggia: una via di mezzo tra il peplo
 classico e l'abito rinascimentale. Gioielli in armonia.

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