La
giornata si annunciava buona. Nel cielo nitido della montagna non
c'era una nuvola, non un soffio di vento muoveva le cime degli
alberi appuntiti.
Maria si affacciò alla finestra che
guardava a Nord, e vide che le coste del Gran Sasso splendevano
di. una luce bluastra, che si addensava sulle boscaglie delle
pendici più basse.
La cabina della funivia saliva, una
navicella bianca sospesa nell'aria su funi possenti, che, a
quella distanza, parevano fili dì una tela di ragno.
"Ecco, pensava, io sto qui, nel mio
regno. Mi circondano parenti e amici, servi bravi. Sono contenta
di me, ho fatto il meglio che mi è stato possibile fare."
Ma, se fosse l'impossibile, la vera meta
dell'uomo? Impossibile era salvare tutto, consegnare tutto al
futuro, lasciare un segno indelebile. Quale sarebbe stato, il suo
segno? Non aveva avuto figli, e perciò le era negata la
trasmissione fisica delle proprie cellule. Non aveva avuto una
vocazione precisa, artistica o umanitaria: non aveva scritto un
libro, né fondato un orfanotrofio. Tuttavia si sentiva inserita
in un solco, tutrice di un ordine; era troppo saggia per non
considerare che aveva un'età in cui non si può più cam- biare
molto, e conviene mantenersi su posizioni già sicure.
Quel giorno di festa riconfermava il suo
ottimismo. Dal basso le giungevano i rumori delle stoviglie e il
profumo delle vivande messe a cuocere.
Nel giardino, un ragazzo e due fanticelle
allestivano i tavoli per il banchetto all'aperto; sentiva le loro
voci allegre, mentre si davano ordini e consigli vicendevoli, e
ogni tanto scherzavano: era una fortuna, alla sua età, avere
intorno tanta gente giovane. Lei odiava i vecchi, rifiutava l'idea
che lei stessa fosse, ormai, alle soglie di una inevitabile
decadenza fisica; ma sentiva che, nello spirito, avrebbe
resistito fino all'ultimo: usque ad finem.[...]