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    Sua sorella Maria era l'unica persona con cui gli riusciva di parlare in confidenza, abbandonando la maschera di imperturbabilità che gli era abituale. Non era, il loro, un rapporto affettuoso - erano entrambi troppo scettici per cedere alla suggestione della tenerezza -, ma un legame fermo, sicuro: l'unico, forse, nella loro vita di superbi.
   Con Giorgio venne anche la figlia, Rita, che lo accompagnava sempre, dopo che il figlio maschio era morto, giovanissimo, per un improvviso attacco cardiaco, come la madre.
   Giorgio aveva vissuto quella perdita, oltre che come un dolore, come un'offesa e un'ingiustizia verso di lui, il padre, che avrebbe voluto fare qualche progetto per quel figlio maschio, che prometteva bene. Gli era rimasta, quasi una beffa del destino, la femmina, da cui non poteva aspettarsi nulla.
   Grassa, bruna, pesante, Rita dimostrava più dei suoi trent'anni; ma nell'animo era rimasta una bambina. Amava i dolci e i vestiti, era pigrissima e irresoluta.
    Il padre la contemplava dall'alto del suo scetticismo, che si venava di comprensione quando lei le guardava con i suoi occhi neri e buoni, e gli narrava con voce placida le piccole storie di tutti i giorni.
    Quando stavano a casa loro, di sera, dopo cena, padre e figlia sedevano immobili, silenziosi, davanti al televisore, che era la meraviglia del momento, e seguivano, ognuno a suo modo, il filo delle vicende che si svolgevano sul piccolo schermo.
    Erano ore di quiete, in cui Giorgio pensava che la sua realtà era ormai quella, e che era inutile cercarne un'altra.
    Talvolta lo prendeva il sonno, e allora alle storie televisive si intrecciavano i sogni, o i ricordi confusi di un passato più o meno remoto.
    Rita seguiva il padre in tutti i suoi spostamenti, ed era immancabile nelle visite a Maria.
    Si diceva, tra le cugine, che a lei fosse destinata la quota più cospicua del grosso patrimonio della zia: un argomento che solo una volta Giorgio aveva affrontato con la sorella, e sul quale non intendeva tornare più.
    Tutti e due sapevano che Rita, nella sua inettitudine, avrebbe dissipato il patrimonio, ma sapevano anche che altro non c'era da fare: perché amavano quell'essere tanto diverso da loro, tanto indifeso e fragile quanto loro erano capaci di difesa e di aggressione.
    Per festeggiare il compleanno di Maria vennero anche i cugini, Pio e Ciro, figli di Paolina, sorella della madre di lei.
    Signori a casa loro, si sentivano piccoli di fronte alla cugina, socialmente superiore.
    Dei due, Pio aveva ereditato dagli antenati comuni la statura alta e la figura solida e armoniosa, non però il colorito di famiglia, che tendeva al chiaro, mentre lui era bruno di occhi, di pelle e di capelli: un'eredità di suo padre, contadino arricchito.
    L'altro, Ciro, era di una bruttezza singolare: una capigliatura crespa, corvina, gli stava in testa come un turbante, e sotto c'era un viso arguto e spiritato, con gli occhi sghembi e il naso sottile.
    Impiegato postale, sfogava la frustrazione di quel lavoro monotono, con cui si procacciava il pane, dedicandosi, nel tempo libero, ad una attività più estrosa, quella di costruttore di presepi. Inventava personaggi e case, paesaggi e oggetti, immaginava storie.
    L'estro di famiglia, che si era rivelato, nei secoli, in qualche pittore o poeta, si estrinsecava, in lui, in quella singolare espressione di manualità e di fantasia.
    Un pezzo da presepe, fatto con le sue stesse mani, rifinito nei minimi dettagli, era il dono che, a ogni compleanno, arricchiva la collezione della cugina Maria: anche se, forse, sarebbe stato più adatto come strenna natalizia.
    Quell'anno Ciro portò una statuina particolarmente graziosa: un ciabattino, con gli occhiali, in maniche di camicia, seduto davanti al suo deschetto pieno di attrezzi; minuscole scarpe malconce lo attorniavano da basso.
    "Com'è carino! - disse Maria, quando lo vide. - E', davvero
un piccolo capolavoro!".
     "E' la civiltà contadina e artigiana, - rispose Ciro, contento - che ha ancora qualcosa da dire".
    Maria non aveva alcun interesse alla civiltà contadina e artigiana, ma sorrise lo stesso al cugino.
   Anche perché, in quel momento, era di buon umore.

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