Titolo: Black

 

qui c'è il testo e la traduzione

Autrice: Annax

Rating: ANGST (era da un secolo che non descrivevo i moti d’animo di quelle due personcine di M e S), Vignetta, Scully POV

Spolier: vediamo… allora… Closure, All things, w/in e w/out, PM.

Storyline: la vignetta si svolge da Closure in poi… ma prima di All Things.

Summary: basta poco per ricominciare… a sentire.

Disclaimer: la solita zolfa… M e S non mi appartengono, sono di CC e della sua banda di consumatori abituali di sostanza proibite.

Archive: dove volete ma avvertitemi e (se vi va) sparateci il mio link!

http://digilander.iol.it/annax2/index.html

 

NOTE: cose da ricordare e che mi sono passate per la mente mentre buttavo giù ‘sta vignetta.

Dopo gli eventi di Closure i nostri due agenti preferiti attraversano un momento di stallo.

Gli eventi delle ultime puntate da HAD e Fight club mi sembrano un po’ troppo ilari per la situazione di queste due problematiche personcine.

In w/in si scopre che Mulder è malato… e non l’ha detto a Scully.

Non fraintendete, non ho voluto toccare l’argomento, PER ORA, ma tenetelo presente per interpretare il comportamento del povero Fox.

Enjoy (se fa per dire! :P)

Annax

 

Black

Di Annax

 

 

Sono stanca e annoiata.

Annoiata… ecco.

Stanca… di tutto.

Non c’è nulla che potrei indicare come causa scatenante, o forse tutto… tutto mi annoia.

Ma non so dare un vero nome a quello che sento, o che non sento.

Mi sembra come se ogni cosa mi inseguisse,  mi volesse, mi sfiorasse ma non riuscisse mai a prendermi e toccarmi.

Era da secoli che non mi sentivo così… forse non mi sono mai sentita così.

Adesso che ci rifletto… è vero: non sono mai stata annoiata in tutta la mia vita.

Forse sono stata sola -sicuramente sono stata sola-

Sono sempre stata sola… ma mai stanca, e mai annoiata.

Non ho mai associato la solitudine al tedio: mi ha fatto arrabbiare… mi ha reso triste… o forse l’ho solo considerata qualcosa di naturale… una propensione alla solitudine connaturata in me, parte del mio stesso carattere.

Non un asociale… ma i rapporti con gli altri sono stati sempre un coltello a doppio taglio.

Qualcosa a cui non cedere troppo… a cui non dare troppo affidamento.

Non mi sono mai data totalmente e non ha mia preso tutto di una persona.

La mia vita è sempre rimasta… mia. Di nessun altro.

Ho il mio mondo di piccoli peccati e grandi debolezze che è custodito in un angolo di me così recondito che a stento io stessa riesco a guardarmi dentro.

E questo rende la mia solitudine ancora più insormontabile ed insita in me… perché sono sola anche quando sono con me stessa.

Ciò non toglie il fatto che la particolare sensazione di lassitudine e monotonia che mi perseguita come un ombra latente in queste ultime settimane è qualcosa di totalmente sconosciuto.

Mi spaventa?

No… non ho la forza di avere paura.

Perché temere richiede un dose costante di energia.

Analizzarmi esige un impegno che ora non potrei sopportare di affrontare.

E allora?

Nulla…

Rimango immersa nel mio tiepido brodo…

E non mi aspetto neppure che tutto cambi… non mi aspetto niente.

Resto immobile mentre la vita degli altri mi scorre accanto… mi limito ad osservare e non desidero e non invidio… non voglio e non cerco… sono statica… quasi fredda.

Non è qualcosa di innato per il mio modo di essere… forse qualcuno potrebbe sostenere che non sono mai stata trasportata da grandi passioni, turbolenti moti dell’animo, ma posso sinceramente affermare che non è così.

Anche se cerco di nasconderlo, soprattutto a me stessa, so di essere guidata in ogni mia azione solo da passione… e fede.

Desiderio di giustizia… di forza….

O almeno lo ero….

Tanto tempo fa, in un periodo così remoto della mia vita che a fatica io stessa sono in grado di ricordare, SO di essere stata una incosciente, passionale, ragazza….

Il mio istinto era la mia giuda.

Sbagliavo?

Ogni dannata volta.

Ognuna di quelle che io chiamavo “scelte” ma che in realtà erano solo traduzioni pratiche di istinti primordiali si rivelavano in fin dei conti solo errori.

Intensi… vissuti… drammatici… appassionati errori.

Ma sempre errori.

Ed ora?

Nulla… sono ferma.

Mi guardo intorno in quella che dovrebbe essere la mia casa.

E non la riconosco come mia.

Non ho ricordi tra queste pareti… non ho foto su cui ridere o segni di vita che non sia la mia.

Questo tempio di solitudine è stanco ed annoiato… come me.

Ho amato nella mia vita…

Ho amato e sono stata stupida ed incosciente.

Ricordo di aver passato intere giornate a fare l’amore… e ridere… o solo a sognare ad occhi sbarrati uomini di cui ora ricordo a stento il nome.

Ricordo di aver pianto… e urlato… ed essermi arrabbiata.

Ma non qui….

In mille case differenti… in mille stati… in mille realtà diverse, nuove e vecchie.

Ma mai qui….

Quando ero piccola litigavo con mia madre e i miei fratelli per le più sciocche delle questioni.

Quando ero adolescente gli scontri con mio padre erano all’ordine del giorno…

Stretta e scontenta in una vita troppo perfetta per essere mia.

Vita che sciupavo e rovinavo tra le più bizzarre e moderatamente sconsiderate azioni.

Tra sbornie e ragazzi… e fumo di sigarette che neppure ero in grado di aspirare.

Ricordo che a liceo ridevo sempre… ridevo per ogni cosa….

Ma non sono mai stata una ribelle.

Non nel senso più completo e comune del termine.

Mi bastava trasgredire il giusto necessario per poter convincere me stessa di essere artefice e padrona della mia esistenza, e poi rimanevo legata ed imbrigliata in una realtà fatta di normalità che non avrei mai osato lasciare.

Ricordo cotte e innamoramenti repentini… ricordo corse sulla spiaggia e tramonti rubati prima di tornare nella chiesa-Scully… dove papà e mamma aspettavano la loro pecorella smarrita da poco redenta.

L’università fu uno strazio… veramente…

Notti insonni trascorse a capo chino su centinaia di vecchi libri.

Pomeriggi rintanata in una biblioteca come in un rifugio.

E poi c’è stato lui.

Lui.

E da li ho iniziato a perdere me stessa.

Bambina innamorata e devota.

Ho provato in tutti i modi ad annullarmi per lui.

C’ero quasi riuscita.

Ma poi ho ripreso controllo di me… e da qual giorno non mi sono più lasciata andare.

Se ho ripetuto l’errore?

SI.

Si… pochi anni dopo a Quantico.

Lo stesso… identico errore….

Diversa scena… diverso attore principale, ma stessi dialoghi e stesso finale scontato.

Un film deludente che ho giurato a me stessa di non ripetere mai.

L’ho fatto?

Non lo so… giuro di non saperlo.

A volte penso di si… a volte mi sento la stessa bambina innamorata e devota.

A volte penso di essermi completamente impantanata.

Sto inesorabilmente annullandomi.

Ma poi la smisurata fiducia in quello che oso chiamare “il mio cervello” , fonte principale di quella incredibile fiducia in me stessa e nella mia stabilità, mi fa escludere questa ipotesi.

Sono troppo intelligente per cascarci ancora.

Non ci cascherò ancora.

Sospiro e mi abbraccio le ginocchia più strette.

Il mio soggiorno e buio e blu a causa della luce dello schermo della televisione che non sto guardando.

Vorrei spegnerla ed accendere la radio, ma la musica è fatta per pensare… ed io non penso… non in queste ultime settimane.

Dalla morte di Teena Mulder.

Da quella effimera verità su Samantha Mulder.

Ogni giorno in ufficio il tempo mi scorre tra le dita e tornando a casa, nel traffico delle sei di sera, cerco di riflettere e mi accorgo che non ricordo un accidenti di quello che ho fatto nelle otto ore appena trascorse.

Le tappe successive si ripetono ciclicamente.

Doccia.

Cibo.

Televisione.

Letto.

E poi suona la sveglia e la mia giornata lavorativa ricomincia da capo….

Ora sono in piena terza fase.

La sola cosa differente è che domani è sabato e che la sveglia non suonerà.

Il week end non è più un momento rilassante da quella che sembra un’eternità.

Lo sforzo mentale per occupare le ore lente e vuote diventa estenuante all’inverosimile.

Mulder?

Mulder è sempre Mulder.

Con le sue battute… i suoi sguardi… le sue piccole e grandi pazzie quotidiane.

Ci sono ancora i suoi semi di girasole… i suoi casi assurdi… le piccoli e grandi rivelazioni.

C’è ancora il peso della sua enorme mano sull’incavo della mia schiena.

Ci sono ancora i suoi gesti da lord londinese.

Il caffè sulla scrivania appena entro in ufficio.

Le sue diapositive strampalate di avvenimenti strampalati nelle più strampalate lande di questo strampalato paese.

Ma cosa è diverso? Cosa è uguale?

Non lo so… non lo so….

Mi sento troppo libera per essere imprigionata e troppo in gabbia per essere completamente libera.

E mi sto consumando… lentamente.

E non ho forza per affrontare questo processo di cui riconosco i sintomi.

Stringo il cuscino che ho tra le braccia come l’ultimo degli amanti.

I pantaloni che indosso sono di Mulder.

Facevano parte di una tuta da jogging che ha deciso di non mettere più e che ha infilato nella mia valigia durante un viaggio in Khentachi.

Sono enormi e logori… e così dannatamente comodi.

Sono morbidi e spigolosi…

Come Mulder… come Mulder. 

La maglietta che ho preso senza riflettere dal cassetto è così piccola che a stento mi copre la schiena.

Ogni tanto i reni mandano lente scosse di dolore e di freddo ma non passa neppure per l’anticamera del mio cervello l’idea di muovermi per coprire quell’area.

I miei capelli sono bagnati e grondanti.

Acqua tiepida e profumata ha inzuppato il colletto di questa striminzita maglietta di cotone.

I miei piedi nudi sono blu nella luce della televisione.

Osservo il bordo di spessa stoffa arricciata del cuscino che stringo tra le braccia scoperte.

Lo guardo e seguo tutta la sua lunghezza….

Arrivo all’angolo più lontano da me e poi ritorno indietro con gli occhi fino all’angolo che mi sfiora il seno.

Non so perché lo sto facendo.

Lo faccio e lo faccio ancora…. Avanti… indietro.

*Toc Toc*

Avanti… ed indietro.

*Toc Toc*

Dio… la porta.

Non sbuffo e non oso chiedermi neppure chi sia perché lo so.

Non mi domando nemmeno perché sia venuto… perché… non lo so… non me lo domando.

Decido di alzarmi.

Un piede a terra.

Il pavimento è freddo.

Un altro piede.

Lascio andare il mio caldo cuscino e stacco il sedere dal divano.

Un passo di fronte all’atro e sono davanti alla porta.

“Che c’è?” chiedo ancora prima di aprire.

Sento tossire al di là dello spesso legno.

“Scully?”dice incerto.

Sospiro, giro la chiave e sciolgo il lucchetto.

Tiro la maniglia lentamente.

La luce diffusa del corridoio mi ferisce gli occhi.

Li socchiudo e li riapro lentamente per abituarmi al bagliore.

Quando riesco ancora a vedere Mulder mi è di fronte.

Mani nelle mani.

Spalle curve avvolte dalla sua giacca di pelle marrone.

Broncio imbarazzato e occhi piccoli e spioventi.

Adoro quell’espressione… è l’unico che riesce a mettersela in faccia senza risultare ridicolo.

Vorrei sorridergli ma non lo faccio.

Lui fa scorrere quegli occhi scuri su di me.

Dai piedi ai capelli.

Una … due volte.

“Che c’è, Mulder?” ripeto espirando.

“Nulla… beh… posso entrare?” chiede nervoso.

Annuisco e gli faccio spazio per oltrepassarmi.

Quando è fermo al centro del salotto chiudo la porta alle mie spalle e lo raggiungo.

Rimaniamo immobili per lunghi secondi mentre Mulder ispeziona la stanza buia e io decido cosa è meglio fare.

Poi opto per riacquistare il vecchio e caldo posto sul divano.

Gli faccio cenno di sedersi senza neppure guardarlo negli occhi e mi riprendo il mio cantuccio.

Istintivamente il cuscino finisce tra le mie braccia e me lo stringo al petto mentre rannicchio le gambe sotto di me e respiro.

Non penso.

Non penso a cosa abbia spinto Mulder ad alzarsi dal suo divano per sedersi sul mio.

Non penso che questo silenzio sia pesante.

Non penso a cosa fare oltre che respirare.

Si mette comodo e fissa la tv quasi muta di fronte a lui.

Deglutisce e deglutisce ancora.

Io osservo la linea del suo profilo blu per i riflesso dello schermo con lo stesso animo che usavo qualche minuto fa per il bordo arricciato del cuscino.

Arrivo fino all’attaccatura del capelli.

Seguo la fronte spaziosa e il naso importante… il sottile labbro superiore e il grosso e rotondo labbro inferiore… il mento… il pomo d’Adamo…

Arrivata al collo della giacca che non si è ancora tolto ritorno al pomo e poi su….

Avanti… indietro.

Avanti… indietro.

Vengo interrotta quasi bruscamente quando si volta verso di me.

Mi guarda gli occhi… la bocca… il collo inzuppato della maglietta e poi ancora gli occhi…

“Che stavi facendo?” chiede inghiottendo.

Sospiro e do un’occhiata intorno.

“Nulla”sussurro.

Nulla… non stavo facendo nulla.

Sembra che annuisca prima di voltarsi ancora verso la tv.

“Nulla” bisbiglia.

Rimaniamo immobili e zitti.

Non c’è niente da dire.

Non riesco a pensare ad una ragione valida per spezzare questo silenzio.

Poi parla “Ho portato un film…” dice.

Dovrei essere stupita da questo.

Dal fatto che Fox Mulder… il mio collega di lavoro da sette anni decida il venerdì sera di venire a casa mia solo perché vuole vedere un film… e non vuole farlo da solo.

Ma non sono stupita.

“Che film?”gli domando quasi senza interesse.

Sorride imbarazzato e piega la testa.

Apre la giacca e nell’oscurità vedo il nero lucente di una videocassetta senza custodia che sbuca dalla tasca interna.

“Dirty Dancing” sussurra.

Dirty Dancing?

Rido….

Dio, sto ridendo.

Dirty Dancing?!?

“Dio, Mulder… Dirty Dancing?”.

Sorride perché mi sente ridere e si piega verso di me.

Smette di sorridere.

Annuisce imbarazzato e volta lo sguardo.

Un'altra delle piccoli e grandi pazzie quotidiane di Mulder.

Sorrido stancamente mentre gli dico “mettila nel video… sai come si fa…”.

Annuisce ancora ma in modo più deciso.

Si alza ed estrae la cassetta dalla giacca prima di togliersela e adagiarla sul bracciolo più lontano del divano.

Si muove disagiatamente tra i pochi mobili del salotto.

La maglietta stretta e grigia che indossa mi fa risaltare agli occhi tutta la tensione dei muscoli delle sue spalle.

Si inginocchia, le sue cosce fasciate del jeans pesante, infila la cassetta nella fessura del videoregistratore sotto la tv.

Muove la testa come se volesse voltarsi verso di me e chiedere qualche sorta di consenso.

Ma non lo fa.

Finisce con cura il suo compito e si risiede sul divano evitando di guardarmi.

Il telecomando è di fronte a lui sul tavolino da caffè.

Non lo prende e lascia scorrere lentamente i titoli del film.

Le presentazioni e le pubblicità da videonoleggio.

Li osserviamo entrambi senza interesse.

“Perché Dirty Dancing?” chiedo.

Non risponde immediatamente.

Pondera e valuta cosa dirmi.

Mi guarda e sussurra “Non lo so… penso che abbia attratto la mia attenzione sullo scaffale della videoteca… la copertina forse… non lo so.” Conclude.

Capisco… ci sono mille cose che faccio ignorandone il perché, ultimamente.

Ma questo non è un film da Mulder.

Proprio non lo è.

“Non ti piace?” domanda girandosi piano verso la tv.

Non rispondo e scuoto la testa.

Non mi preoccupo di parlare perché so che lui mi vede anche quando non mi guarda.

E’ Mulder… è Mulder.

Solo quando la musica di apertura riempie la stanza e sullo schermo una vecchia automobile famigliare attraversa le desolate strade costeggiate da verdi foreste mi rendo conto di quante volte io abbia visto questo film….

Tante di quelle volte….

So quale sarà la prima battuta… e quella successiva.

So quale sarà la prossima scena.

Sono sollevata dal fatto che abbia scelto questo film.

Lo conosco così bene che non devo prestare particolare attenzione.

Mi basta riempirmi gli occhi di immagini e le orecchie di parole e musica.

Sospiro e rilasso la schiena.

Una scena segue l’altra.

Una canzone incomincia quando l’altra finisce.

Mulder ha appoggiato le spalle curve sullo schienale del divano, il suo sedere è sul bordo e minaccia di cadere.

Le sue mani sono incrociate sull’addome e il suo volto riflette le immagini della tv.

Gli occhi neri brillano.

E brillano anche le sue labbra gonfie.

La sua fronte è corrucciata, però.

Io ho un nodo al centro della mia e porto due dita per applicare un rudimentale massaggio.

“Sai Scully…”

Sobbalzo.

E’ così strano… non sono nervosa.

E’ solo che il suono della sua voce è stato un imprevisto tra le battute memorizzate del vecchio film.

Piano mi volto verso di lui.

Mi osserva con la coda degli occhi e il collo incassato tra le spalle.

Continua “… stavo pensando…”

Annuisco e non so perché.

Riprende “… che questo film ha un’incongruenza di fondo…”

“Mh?” chiedo immediatamente.

Non per interesse… solo… così….

Si appoggia su un gomito voltandosi quasi completamente verso di me.

“magari con razionalità scientifica riuscirai a dare una spiegazione logica a questa strana contraddizione… ”.

Alzo il sopraciglio.

Lo faccio istintivamente quando sento ‘razionalità scientifica’ e ‘spiegazione logica’ nella stessa frase.

Lui sorride con l’angolo della bocca ed incomincia “Insomma… se Johnny… il protagonista… è un playboy che le donne del villaggio ricoprono di soldi per le sue prestazioni… diciamo… fisiche… come mai non ha soldi abbastanza per pagare un medico abortista decoroso alla povera Penny?”

Dio… mi ha spiazzato.

Rifletto.

No… è troppo ed inutilmente difficile.

“Non so Mulder… forse le donne non lo ricoprono poi di così tanti soldi….”

Si muove e si gira ormai completamente verso di me.

“Ma scusa Scully… passa la metà del film ad elogiare le sue doti da latin lover…”

Sorrido.

“… non so Mulder… mh… forse racconta un mucchio di frottole… sai, i ragazzi lo fanno spesso…”

“Beh… Scully… qui c’è in gioco il futuro della sua amica e compagna di lavoro… non mi sembra l’occasione più adatta per pavoneggiarsi.”

Sorrido stancamente.

“Ok… mi arrendo Mulder… qualche teoria?”

Ride e mi osserva come se avessi detto la cosa più divertente del mondo.

Continua a ridere quando chiedo “Perché? Che c’è?”.

Riprende il controllo.

Sorride.

Ma è un sorriso strano… non un sorriso sereno.

Decisamente un sorriso che non promette bene.

“Beh, Scully… non riusciamo a non farlo…vero?”

“Cosa?” domando mettendomi più rigida a sedere nell’angolo del divano.

“Questo…”

Non capisco.

Si tira su a sedere e spiega “… questa strana dialettica… questo confrontarci su ogni cosa….”

Ancora non capisco dove vuole arrivare, perché so che ha un obiettivo… Mulder non dice mai nulla per nulla.

Alzo il sopraciglio e chiedo “Allora?”

Deglutisce “… penso che sia un modo per portarci il lavoro dietro… trincerarsi dietro questi ‘confronti neutrali’ e ‘casuali conversazioni’ ci protegge….”

“Da cosa?” domando rapidamente.

“Da noi.” Risponde altrettanto rapidamente.

Sono pietrificata.

Ancora non comprendo le sicuramente profonde implicazioni di quello che mi ha appena detto ma quella parola… quel ‘noi’ … ha il potere di bloccarmi il cervello per interi minuti.

Non so perché… preferisco non chiedermelo.

“Non capisco” sussurro.

Il sorriso è scomparso dalla mia bocca.

Ed anche dalla sua.

Non parla, per adesso.

Le immagini scorrono sulle nostre facce mentre la trama del film arriva al suo culmine.

‘Noi’ ci siamo solo fermati.

Lui mi guarda negli occhi ed io guardo i suoi.

Quella canzone…

Quella triste….

La canzone riempie la stanza.

Ricordo la scena… ricordo che Johnny deve andarsene dal residence e deve lasciare la sua Baby.

Ricordo la macchina nera e sporca nel vialetto grigio circondato da grandi alberi smeraldo.

Ricordo persino le parola….

 “abbiamo dato scandalo….” “io non rimpiango niente…”

E le note si espandono e crescono…

“She’s like the wind…”

Lei è come il vento….

E’ triste quella canzone… ma ora la sento come disperata.

E quel banale addio cinematografico assume tutta un’altra portata nella mia mente.

Guardo l’uomo di fronte a me ma non lo vedo.

Mi sento come precipitata in un punto di rottura.

Come se da questo intenso momento dipendesse chissà quale destino.

Come se fossi io, e non la protagonista del film, a dover dire addio….

“Scully…” incomincia.

Io sobbalzo ancora e sobbalzo forte… staccata da quella strana ed intensa sensazione che mi ha pervaso e spaventato a morte.

Sbatto gli occhi e lo rivedo ancora.

Non ho la forza di annuire.

“… abbiamo tante di quelle… cose… spinte in fondo all’anima, Scully… abbiamo tanto di quel dolore… ma non ci concediamo di parlarne… non possiamo farlo tra di noi…”

ancora quel noi…

ed ancora quel brivido lungo la mia schiena…

“… e le sensazioni si sommano e si moltiplicano… e più le spingi in fondo e più si acutizzano fino ad arrivare al punto in cui… smetti di sentire… perché fa troppo male….”

Smetti di sentire….

Perché fa troppo male….

Noia e stanchezza…

Sono vuota e statica… e fredda.

Ho smesso di sentire.

Chiudo gli occhi e appoggio la testa piano.

Dio, ho smesso di sentire.

La sua voce arriva lontana e ovattata alle mie orecchie quando ricomunica a parlare

“Il tuo miracolo non si è avverato Scully… e la mia verità era una chimera… mi ha lasciato solo e a mani vuote….e sento di aver distrutto tutto quello che di buono poteva esserci nella mia vita… e nella tua… per inseguire questa chimera…”

Deglutisco.

La gola è secca e i miei occhi diventano pesanti persino chiusi.

“… la delusione e il dolore sono così costantemente presenti e forti che finisci per non sentirli più… per non sentire niente….”

“Come lo sai?” chiedo senza riflettere in un sussurro spezzato.

Come fai a sapere che non sento niente?

Come fai a sapere che in realtà soffro così tanto?

Come fai a saperlo se nemmeno io lo so?

Sospira “… i tuoi occhi sono così asciutti…” dice e la voce è rotta.

Dio, sta piangendo.

Non so se lo sopporterò.

Non sopporto sentirlo piangere.

“… il peso delle mie colpe mi schiaccia… e mi soffoca… ogni volta che guardo nei tuoi occhi e non li vedo come sempre…e non sono più gli stessi” si blocca, si muove sul cuscino del divano, quasi urla quando riprende a parlare “…Dio Scully… è la cosa peggiore che tu possa farmi!… Piangi… urlami addosso la tua rabbia… grida… Dio, Scully… qualsiasi cosa ma non smettere di sentire… non smettere di sentirmi….”

Un brivido mi attraversa rapido ed intenso.

I miei occhi sono così gonfi.

Le lacrime che scivolano sulle mie guance sono fitte e veloci per la forza dell’esplosione delle mie palpebre.

Non riesco più a chiudere gli occhi adesso.

Piango.

Piango e la potenza dei singhiozzi mi stringe la cassa toracica.

“Dio” mi esce dalla bocca socchiusa… un lamento.

Stringo il cuscino tra le braccia con tutta la forza che mi è rimasta mentre ci seppellisco dentro la mia faccia bagnata e cerco in tutti i modi di smorzare questo pianto convulsivo che non è MIO.

Io non piango così.

Non ho mai pianto così.

Il mio mondo è nero in questo momento.

Nemmeno un barlume di luce riesce a intaccare questa perfetta oscurità.

Oscurità fittizia perché so che non possono nascondermi qui per sempre.

 “Scully…” bisbiglia.

Si sta avvicinando e il calore del suo corpo mi brucia faccia.

Stringo ancora più forte il mio cuscino e singhiozzo… e piango… e blatero sussurri smorzati e parole che io stessa non riesco a comprendere.

La sua mano pesante sposta i capelli umidi dalla mia fronte.

E carezze profonde ed intense mi sfiorano la testa… il collo.

Io non accenno a fermarmi.

Vorrei ma non posso.

Il contatto delle sua labbra sulla mia tempia mi irrigidisce.

Mi bacia una… due… tre volte nel disperato tentativo di calmarmi.

Ma non ci riesce.

Le sue parole si insinuano lente e distanti nella mia mente confusa.

“Fa bene piangere… solo se piangi potrai sorridere ancora… piangi Scully, perché voglio sentirti ridere…”

Resisto all’impulso di allontanarlo da me solo perché non so se posso realmente muovermi.

“Piangi…” sussurra ancora mentre continua ad accarezzarmi la testa.

Ed improvvisamente il cuscino che stringo ed in cui la mia faccia è seppellita mi viene tolto.

La luce blu del salotto mi ferisce gli occhi un attimo prima che decida di chiuderli ancora e sostituire quella barriera con le mie mani aperte.

Il suono del pesante cuscino che colpisce il pavimento.

I lamenti indistinguibili che strisciano fuori dalla mia gola.

Il suo respiro.

Le note delle canzone finale del film.

Sono le sole cose concrete in questo momento.

Il resto è così confuso… così irreale.

Le sue braccia mi circondano in un attimo ed io incomincio a tremare.

Tremo e piango e mi lamento mentre le sue braccia forti e calde mi stringono e mi cullano piano.

E come un gatto che fa le fusa la sua fronte strofina sulla mia guancia umida dal pianto.

Il suo respiro profondo e lento mi tormenta le labbra socchiuse.

Una di quelle sue mani è impigliata tra il groviglio bagnato dei mie capelli e l’altra segue la mia colonna vertebrale con lunghe e intense pennellate.

Passano secondi.. minuti… in cui l’unico movimento sensibile nella stanza è il nostro ritmico ondeggiamento.

Smetto di tremare.

Sorride e mi volta la testa.

La mie labbra sono sulla sua guancia e la sua bocca è vicina del mio orecchio.

Sorride blandamente e bisbiglia “e’ per questo che sono venuto qui stasera…”

Deglutisco “per farmi piangere?” chiedo è la mia voce non è la MIA.

E’ quella di… una bambina, innamorata e devota.

Sento il suo sorriso che si allarga attaccato alla pelle calda del mio collo.

“… no…. No…. Volevo farti sentire…”

E poi le mie guance sono tra le sue mani.

Mi accarezza con i suoi grossi pollici come ha fatto mille volte.

Mi guarda gli occhi e il naso e la bocca… e poi ancora gli occhi.

“Ho bisogno di ESSERE con te” sussurra “ora più di sempre… stai con me” conclude.

Io sono shockata.

Lui è serio e grave… come se realmente da questo istante dipendesse il nostro intero destino.

“Io sono con te” bisbiglio sulle sue labbra.

“No… Scully” riprende in un sussurro concitato “stai DAVVERO con me… stacci con la mente e con il cuore… abbiamo superato la prova del fuoco, Scully… e ne siamo usciti… superiamo anche questo cumulo di macerie che ci impedisce di sentire… e viviamo quello che rimane della nostra vita… ” si ferma… deglutisce e si avvicina ancora.

Mi stringe il viso più forte come per rassicurarmi della sua presenza.

“… il dolore ci sarà sempre, Scully… ma non togliamoci la possibilità di essere… felici…. Io voglio che tu sia felice. Io voglio che tu sia felice CON me.”

La parola ‘felicità’ suona così strana alle mie orecchie.

E’ un concetto astratto e ideale che non ho mai considerato come una concreta possibilità.

Qualcosa in cui poter credere.

Qualcosa da prendere in considerazione come base di un progetto futuro che intreccia le vite di due persone… che insieme sono tutto, e sono niente.

E le profonde implicazioni di quello che ha appena avuto il coraggio di dirmi mi colpiscono d’improvviso.

E ricomincio a tremare.

Mi stringe più forte e appoggia leggeri baci sul mio collo… sul mento… sulla mascella… sulla tempia….

Dio, è tutto così strano.

Così nuovo e agghiacciante e… innaturale.

“Abbiamo la possibilità di respirare, Scully… incominciamo a respirare…” sussurra.

Penso che per lui sia già abbastanza il fatto che gli stia concedendo di stringermi, e mi che stia facendo crollare le mie fantomatiche difese… dopo tutte queste settimane di stanchezza… e noia… settimane di niente.

Ma sento che devo parlare, devo farlo per me “Io ci voglio provare” dico senza voce.

Sorride a mi guarda.

E’ un sorrido sincero.

E’ un sorriso luminoso e caldo.

Annuisce soltanto.

Annuisce ancora quando la sua bocca sfiora la mia.

Cattura le mie labbra in un bacio troppo rapido per essere passionale e troppo intenso per essere casto.

Dio, sono spaventata a morte.

Questa vicinanza mi terrorizza.

Sono rigida mentre la sua bocca tocca ripetutamente la mia chiedendo il permesso ad ogni pausa.

“… Dio, Mulder…” sussurro.

“Mh?”

“Ho bisogno di tempo…” dico soltanto.

Ne ho realmente bisogno… sono troppo sopraffatta e confusa per pensare a quello che è accaduto, che sta accadendo.

Annuisce deluso quando appoggia la fronte al mio mento e respira sul mio collo.

Dio, perché suona tutto così giusto… è così sbagliato.

“Mulder…”sussurro.

“Scully…” mi interrompe usando lo stesso tono concitato di qualche minuto fa “… dammi l’opportunità di farlo adesso… lasciami fare… per me… per te… fidati di me… è la cosa migliore…” .

“Mulder… io… io NON VOGLIO farti aspettare… è solo che…”

“NON POSSO, Scully… non posso aspettare… non posso più”…

E la sua voce è così seria… e triste … e disperata che mi paralizza.

Cos’è successo?

C’è qualcosa, mi sta nascondendo qualcosa, lo sento.

Non sarebbe mai venuto qui stasera se non ci fosse qualcosa di più grande e grave ad averlo spinto a venire.

Avremmo continuato a seppellire ogni emozione nel file delle cose non dette.

Delle sensazioni che non ci è concesso sentire.

Ed invece lui ha preso il coraggio a due mani rivelandosi stanotte come non ha mai fatto prima.

E ci deve essere un motivo.

“Mulder…” lo chiamo mentre da quella che sembra un’eternità riesco a muovermi.

Prendo il suo viso tra le mani e lo costringo a guardare nei miei occhi gonfi e sconvolti.

“… perché? Dimmi perché sei venuto qui stanotte….”

“Ti ho detto…”

“No. Mulder. La verità… dimmi la verità.”

Deglutisce e cerca di abbassare lo sguardo.

Non gli permetto di farlo.

“Sentivo… sentivo che era arrivato il momento di… sento che è arrivato il momento di concedermi di starti accanto… ADESSO posso farlo… lasciamelo fare…”

Sta mentendo… o almeno non sta dicendo tutta la verità.

Lo so… lo sento.

Ma so anche che non dirà di più di quello che ha giù detto stanotte.

Spero che, non ora, ma un giorno decida di fidarsi di me anche con questo… anche con questa sua verità.

Annuisco non convinta.

Si agita quando nota che ho capito che sta omettendo qualcosa.

“Scully… credimi e fidati di me… è la sola cosa che ti chiedo…”

“L’ho sempre fatto.” Rispondo.

Sorride e si avvicina ancora alla mia bocca “Lo so… lo so… continua a farlo allora…” sussurra prima di baciarmi.

Non rispondo ma non oppongo neppure resistenza.

Sono troppo sconvolta per poter capire le mie stesse reazioni.

“Non brucerò le tappe” bisbiglia sulle mie labbra quasi per scusarsi di questa sua presa di potere “… non farò nulla se non sarò certo che sei pronta….”

“Non sarò mai pronta…” sussurro in tutta sincerità “… non sarò mai pronta ….”

“Lo so… ma questo non lo renderà meno bello…”

Un brivido mi attraversa la colonna vertebrale.

Si avvicina e mi bacia ancora ma questa volta rispondo.

Lenta… cauta… ma assecondo il suo bacio e lo bacio a mia volta.

Piccole, caste, sfiorate di labbra tra il calore denso dei nostri respiri.

Poi la sua bocca si appropria all’improvviso della mia.

Quasi sobbalzo quando sento la consistenza della sua lingua.

E’ così particolare… e caldo… e nuovo… e bello.

Dio, era così tanto tempo che….

Appoggio le mani sulle sue spalle, sprofondo le mani tra i suoi capelli corti e sottili mentre le sue braccia ritornano a circondarmi la vita e mi tengono stretta.

Sento il battito del suo cuore.

Dio, è così strano.

Non riesco più a pensare mentre tutta la mia residua concentrazione è impegnata a seguirlo in questo bacio, ad assaporarlo e lasciarmi assaporare.

Chiude le labbra sulle mie e mi morde dolcemente prima di staccarsi.

“Wow”espira.

Sorrido imbarazzata.

Mi fissa con quei suoi occhi scuri e lucidi.

Sorride come se fosse lontano, assente.

“Senti, Scully.. io” incomincia.

“Mulder” lo interrompo “mi fido di te.”

E non è necessario aggiungere altro.

So che farai la cosa giusta.

So che mi dirai la verità quando sentirai di poterlo fare.

Lo so.

Non mi lascerai cadere.

Mi sorride ed appoggia un altro bacio sulle mie labbra.

“Forse è meglio che vada…” sussurra.

“Me lo stai chiedendo, Mulder?”

Non eri tu quello che prendeva tutte le decisioni stanotte?

“Ok…” dice “allora vado…”

Espira profondamente e mi guarda.

Cerca di alzarsi e liberarsi dalla gabbia delle mie braccia ma non ce la fa e ricade sul divano.

Mi bacia di nuovo.

“Vado” sussurra.

E mi bacia.

“Vai”

E lo bacio.

“Ok… a domani”.

Sorrido.

“Mulder?”

“Si…” espira.

“non è il più straziante degli addii… ci vedremo domani… questa… cosa… potrebbe anche ripetersi…”

“Me lo stai chiedendo, Scully?”

Faccio il broncio.

Dovrei farmi assistere da un avvocato, ogni santa parola che uso con Mulder finisce per ritorcesi contro di me.

Sorrido.

“Beh Mulder… se la metti su questo piano… penso che ci siano buone probabilità che si ripeta.” Affermo non poco imbarazzata.

Sorride con l’angolo della bocca e mi guarda.

Vorrei leggere in quei suoi occhi perché so che ci sono ancora tante di quelle cose non dette.

“Buona notte”.

“Notte” rispondo lasciandolo andare.

Si alza dal divano impacciato e prende la giacca.

Lo osservo mentre infila manica dopo manica e torna a guardarmi.

“Notte” ripete.

Annuisco.

Supera il divano e si avvia verso la porta.

“Mulder?”

“SI” quasi urla voltandosi.

“… la cassetta.” Gli rammento.

Realizza e risponde “la riporteremo domani”.

Dio, non ho idea del perché questa frase copra i miei occhi di nuove lacrime.

E’ una cosa così… quotidiana.

Così normale.

“Scully?” mi chiama apprensivo.

“Ok.. ok…” lo fermo “la riporteremo domani” e sorrido.

Si rilassa e risponde al sorriso.

“A domani” sussurra prima di uscire dalla porta.

“A domani” sussurro alla porta chiusa e nel vuoto del mio appartamento.

Dio, non so che pensare.

Rimango immobile per un eternità.

Di scatto mi alzo.

Tolgo la cassetta dal videoregistratore e sorrido la titolo del film scritto in rosa shocking sul bordo.

Dirty Dancing!

Dio, Mulder mi ha fato vedere Dirty Dancing!!!

Mi volto ancora verso la porta chiusa.

Non ho la più pallida idea di cosa gli è passato per la testa stanotte e non so cosa accadrà domani.

Sono scossa e confusa.

Ma sento.

Sto sentendo.

E se veramente questo era il suo obiettivo quando ha deciso di presentarsi da me con questo stupido film… Dio, c’è riuscito.

C’è riuscito in pieno.

Mi rendo conto che sono così piena di energie che mi è impossibile rimettermi seduta.

Prendo il telefono e compongo il numero.

Ascolto impaziente.

“Mulder” risponde.

“Mh… sono io.”

“Oh.. oh.. oh Scully… come stai? E’ da un secolo che non ci si vede…”

lo so che non dovrei farlo ma rido.

Dividiamo un lungo momento di silenzio.

“Scully…?”

“Si.. Mulder… scusa… e che…”

“che?” incalza.

“Grazie.”

E’ la sola cosa che posso dirti.

Grazie. Grazie di tutto.

Ancora silenzio.

Solo il rumore dell’auto che sta guidando… e i nostri respiri.

“Non c’è di che…”sussurra.

Tipica risposta da Mulder.

Sorrido.

“Domani” taglio.

“Domani” dice.

Sospiro e chiudo la comunicazione.

Mi muovo.

Accendo la luce e mi preparo per andare a letto.

Dio, ho baciato Mulder stanotte.

Ci vorrà un secolo prima che riesca ad addormentarmi.

Sorrido allo specchio del bagno.

Domani… domani….

Domani accadrà tutto.

Domani non accadrà niente.

Forse è accaduto tutto stanotte.

Come sempre Mulder aveva ragione.

E’ bello… ricominciare a sentire.

 

Fine

 

Note: lo so… non mi sono data alle grosse sperimentazioni in questa ff… ma l’ho scritta una notte in cui non riuscivo a connettermi in rete perciò… non pretendete troppo!

 

Avvertenza: se vi è piaciuta questa vignettina aspettatevi la seconda parte-epilogo come il Mulder POV (per chi pensa che l’argomento ‘Mulder malato terminale che non dice a nessuno che sta morendo’ è stato uno di quei tanti argomenti NON trattati a sufficienza… l’Annax ha in mente di approfondirlo un po’! )

Grazie per avermi letto,

Annax

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