Capitolo 12 – Posta in gioco

 

Ed eccoci qui, davanti ai cancelli della Biocosmos Pharmacetic Research.

Il sole è alto ma è come se fosse spento.

Non riesce a riscaldare l’aria.

Io mi sento ghiaccio, dentro e fuori.

Bel progresso, - mi complimento amaro -  ieri mi sentivo merda.

Ma ho riflettuto sull’opportunità di questo intervento.

Andare via di qui senza passare dalla Biocosmoland sarebbe da completi idioti.

Magari faccio anche un paio di foto e le porto a Scully come souvenir.

Apprezzerà… sicuramente – medito quando un onda di disperato sarcasmo mi attraversa.

Diana è già in modalità Agente_sono_figa_e_ne_so_sempre_una_più_di_te Fowley.

Almeno c’è qualcosa di *normale* in questo generale delirio.

Suona il campanello – grazie al cielo che non c’è una porta da bussare, altrimenti avrei riso come un pazzo per l’assurdità di tutto questo.

Io sono alle sue spalle, nero e cupo come un corvo.

E miracolosamente il cancello si apre.

Nessuna domanda, nessuno impedimento.

Spalanco gli occhi sorpreso e leggo la stessa espressione sul viso di Diana quando si volta verso di me.

“… e il tappeto rosso?” chiedo e un velo di finta indignazione e compiacimento appare nella mia voce.

Diana sorride piano e si fa strada lungo il vialetto che porta agli uffici centrali.

La seguo a ruota.

E’ strano… non sono mai stato *dietro* a Diana come in questi ultimi giorni, è come se mi stesse trascinando con una corda.

Devo sembrargli un completo idiota, l’ombra di me stesso.

Ma non me ne può fottere di meno, in questo momento.

Entriamo dalla porta principale.

La, per così dire, hall di questo edificio è così sfarzosa che quasi mi sale la nausea.

Tutto brilla, tutto risplende… dagli specchi alle pareti, al marmo del pavimento… e i tavoli della sala d’aspetto sembrano quasi di cristallo.

Manca solo l’insegna a neon lampeggiante ‘Benvenuti nella Biocosmosland’.

Restiamo fermi impalati davanti al vetro del centralino.

Quando Diana scorge la *ragazza* addetta allo sportello si scansa appena e mi mette in trincea.

Era un vecchio trucco di quando lavoravamo insieme.

Io mi lavoro le donne e lei gli uomini.

Sembra merda ma funziona.

Mi costa sfoderare la mia parte più … ammaliante, oggi.

Mi costa incredibilmente.

‘Buongiorno’ dice la biondina al di là del vetro.

“Buongiorno… ” sorrido appena, tiro fuori il distintivo… al diavolo i convenevoli “Agente federale Fox Mulder e questa è la m-” MERDA! “… questa è l’Agente federale Diana Fowley.” Riesco a concludere.

Sono così abituato alla mia frase di rito che quasi la stavo per dire.

O forse è solo che per un attimo non pensavo fosse Fowley quella da presentare.

MERDA!

‘Agenti federali?’ domanda la ragazzina strabuzzando gli occhi.

“Si” confermo calmo “vorremmo parlare con chi comanda qui.” Affermo e il mio tono è quasi arrogante.

Non sono proprio un animale sociale oggi, più probabile è che non lo sia mai stato.

Le ragazzina mi fissa per un paio di secondi.

“Potere aspettare qualche minuto?” chiede nervosa… e senza aspettare una risposta si nasconde in qualche angolo dentro a quello sportello.

Dopo la quasi guff di prima non ho il coraggio di voltarmi verso Diana, così rimango impalato e in attesa.

Passano minuti.

Ne passano altri.

Ed altri ancora.

Quando ormai non ne posso più fare a meno mi volto verso Diana chiedendo conferma.

Lei annuisce appena ed incomincio a bussare al vetro come un incontinente davanti ad un cesso pubblico occupato.

“Signorina?” la chiamo… e la chiamo ancora.

Risultato - mi sento un perfetto idiota.

Sono quasi pronto a rinunciare quando il viso rotondo di quella fottuta biondina mi si presenta davanti e praticamente le busso sul naso.

Mi tiro indietro.

Accenno un mezzo sorrisetto per scusarmi della mia veemenza.

‘Il direttore Howard sta per arrivare… potete accomodarvi… se volete’ ci comunica con falsa gentilezza indicando l’angolo d’aspetto alle nostre spalle.

Annuisco e guardo ancora Diana.

“Molte grazie” sussurra lei con quella sempre presente aria di superiorità rispetto ad ogni essere umano di sesso femminile.

La ragazzina ha l’accortezza di non risponderle, si nasconde ancora nel suo sportello e ci lascia li con quella sola alternativa allo stare in piedi come brutti manichini.

Sospiro e mi avvio.

Mi siedo e mi stiracchio la schiena e le braccia.

“L’hai mai sentito nominare?” chiedo assente quando Diana si avvicina e si siede languida accanto a me.

“Chi? Il direttore Howard?”

Annuisco stanco.

“No…” ammette con sguardo perplesso.

Scully lo avrebbe conosciuto… - penso -  lei sa vita morte e miracoli di ogni iscritto all’albo di medico/ricercatore/patologo dal sessanta ad oggi.

Devono esserci degli Almanacchi speciali.

Passano minuti lunghi come ore.

Diana picchietta il tacco a terra e sono così nervoso che vorrei batterle il ginocchio per farla fermare, ma poi penserebbe ad una mia probabile avance– che probabilmente è il suo scopo- e così lascio perdere.

Sono al limite della mia scala di sopportazione e mi alzo in piedi di scatto.

Ed in quel preciso istante un uomo sulla cinquantina, calvo e con una faccia da ebete coperta per tre quarti da occhiali spessi due dita compare dalla porta comunicante con il centralino.

Mi fissa.

Lo fisso.

“Agenti federali” ci presento, conciso.

“Dott. Howard” risponde altrettanto conciso. Il suo tono di voce è in coordinato con la sua faccia da schiaffi.

Diano si alza e viene a supportarmi.

Howard si avvicina, lentamente “… e il motivo della vostra visita è?” Domanda.

Quasi rido.

C’è bisogno di chiederlo?

Sbuffo “non penso sia uno scoop se le comunico che un ricercatore che figura sul libro paga di questa società è stato trovato morto ieri notte.”

Il Dottore è colpito dal mio cinismo.

Abbassa la testa per un istante prima di affermare secco “No… ma non pensavo avessero già aperto un’indagine federale-”

“Pensava male” commento.

Mi guarda.

Lo guardo.

“A- avete un mandato?” Chiede.

Quasi sbuffo ancora prima di voltarmi verso Diana.

Help – chiedo….

Infingarda come una faina, Diana di schiarisce la voce “… il caso-Karpenter è legato ad una serie di altri casi già aperti… e lei sa che in situazioni di urgenza *come questa* all’FBI è concesso di entrare in qualsiasi struttura-”

“Non avete un mandato” taglia corto Howard, quasi compiaciuto.

“No” intervengo io “ma non ne abbiamo bisogno.”

“Beh… sarà… ma l’urgenza a cui si appellava la sua… collega… mi sembra fuori luogo in *questo* caso.” Replica.

“Io non credo, Dottor Howard. Credo invece che non solo *possiamo * intervenire ma è nostro dovere evitare in qualsiasi modo che prove vengano occultate…” lo ammetto, ci vado un po’ pesante.

Infatti Howard spalanca gli occhi “*Prove*?” domanda indignato “Sono spiacente di comunicarle che non è certo questo il luogo in cui può trovare prove… qui *lavorava* Gill… se lo hanno ucciso *fuori* da questo edificio, è *fuori* che deve andare a caccia di prove…” .

Ma quanto cordoglio per un collega morto da poco più di dieci ore? – noto.

Sono quasi commosso.

“Non posso negare che tutta questa reticenza mi insospettisce…” informo Diana alla mia destra con tono allusivo.

E’ Howard che sbuffa adesso.

E *adesso* mi incazzo.

“Dottor Howard, non stiamo chiedendo la sua opinione in merito…. E tantomeno che ci faccia da giuda turistica… o ci fa entrare con le buone, o entreremo comunque!” Lo avverto duro.

“E’ invasione di proprietà privata” puntualizza.

Lo fulmino con lo sguardo e con un repentino scatto lo supero nella hole.

“Dove va?” quasi mi urla dietro.

Sono già al di là della porta quando sento Diana comunicargli dura “l’aveva avvertito.”

 

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Figlio di puttana.

Gradissimo figlio di puttana.

Ho il sedere inchiodato nulla sedia della sua fottuta scrivania e i gomiti incastonati nel legno scuro.

Le mani congiunte come in preghiera accanto alla mia bocca nel vano tentativo di trattenermi.

Ma non ce la faccio.

All’improvviso tutte le domande che mi ero impedita di pormi negli ultimi due giorni affiorano nella mente e si prendono a pugni nei miei torturati neuroni.

Dov’è?

DOVE CAZZO E’?

Cosa cazzo starà facendo….?

Dio… è con quella pu-

No… non sconcentriamoci.

E’ LUI il figlio di puttana.

‘sono qui… sono ancora qui’ – mi ripete quella sua voce piatta ancora ed ancora tra le pareti della mia testa.

Lo stronzo. E’ li? Li… dove?

Al diavolo?

Questa è grossa.

Questa è la più grossa che mi abbia mai fatto.

Ogni santa volta… ogni fottuta volta che mi ha lasciato qui e se ne andato a farsi i sacrosanti cazzi suoi chissà dove… potevo passarci sopra.

Come passi sopra ad un gatto che fa la pipì su un tappeto, in senso figurale, naturalmente.

Ma questa no.

MI HA MENTITO, cazzo.

Ora…  *così*  ed è con lei-

Dio, quasi tremo dalla rabbia.

E quasi rido se penso alla concomitanza degli eventi.

Fanno la fila per fottermi nell’ultimo periodo.

Uno dopo l’altro, avanti il prossimo.

Mulder…. Dio. – penso e un’ondata di lacrime acide di rabbia mi sale da petto e mi riempie gli occhi – Mulder.. no.

E’ con lei… chissà dove… chissà a far cosa… CON LEI… ADESSO…

Cazzo.

Mi metto le mani sulla faccia e spingo forte.

Non lo farà… non riuscirà a farmi cadere.

Io rimango in piedi.

Ci sarà una spiegazione per questo… e non so neppure se la voglio veramente sentire.

Vorrei strozzarlo con le mie mani.

Singolare quanto la mia SOSPENSIONE sia passata in secondo piano.

Maledetto Mulder.

Ma soprattutto maledetta me, per aver messo in cima della mia fottuta scala di valori la FIDUCIA.

Utopistico e demodé, cazzo.

Avrei dovuto metterci la bellezza ed essermi rifatta le tette….

Non la FIDUCIA.

Cazzo… la FIDUCIA ti svuota.

La mia anima è completamente inaridita mentre continuo a sentirmi una stupida perché piango e mi cola il naso come una bambina.

E la migliore delle ipotesi è che Mulder sia in qualche landa sperduta di questo fottuto pianeta ad investigare… con Fowley.

Bonnie e Clyde, gli stronzi.

Ed io sono qui a farmi cacciare via a pedate nel sedere dall’FBI.

Che bello scherzo.

Mi irrigidisco quando sento bussare alla porta.

Cosa c’è ancora?

Cosa mi aspetta dietro l’angolo?

‘Agente?’ … cazzo.. è Skinner.

Mi asciugo le lacrime dalla faccia con forza e penso che sto per fare una grandissima figura di merda.

Come aggiungere il danno alla beffa: prima lezione.

“S-si?” sono in grado di rispondere.

Il mio viso brucia per l’imbarazzo.

Il Vicedirettore entra cauto in questa protettiva oscurità, ma percepisce subito che aria tira perché quasi sussurra “Dana”.

Dio… no.

Sfigata si, ma non compatita.

“Che ci fa qui, Signore?” domando cercando di modulare il mio tono sulla frequenza Agente_Scully.

“Potrei farle la stessa domanda” dice piano… e abbassa la testa subito cosciente che mi ha appena fatto una cattiveria totalmente gratuita.

Già.

Che cazzo ci faccio qui?

Sono SOSPESA.

La terrificante verità è che non sapevo dove diavolo andare….

Mi mordo le labbra e mi trattengo.

Sono troppo scoperta… sono facile preda di chiunque in questo momento, ed è questa la verità.

Skinner alza lentamente lo sguardo su di me, come se avesse paura di quello che potrebbe vedere.

Ma adesso ha paura a parlare.

Lo sento, l’odore della paura.

“Signore?” lo sprono, la mia voce è quasi normale adesso.

“Sono le cinque del pomeriggio Agente Scully… non dovrebbe essere qui” cerca di recuperare e quasi rido.

Mi si curva solo la bocca però: Skinner protettivo è quasi abitudine, ma Skinner tenero mi fa quasi rabbrividire.

E poi realizzo.

SONO LE CINQUE.

Dio… quante diavolo di ore ho passato qua dentro a flagellarmi per … Mulder?

Si… questo lo posso ammettere almeno a me stessa.

Mi sto flagellando PER *Mulder*.

Che ragazza fortunata.

Mi alzo velocemente e abbasso la gonna… e mi concentro per qualche secondo sulla punta delle mie scarpe nuove.

Quando alzo la testa alla ricerca del mio cappotto mi accorgo che Skinner mi sta guardando, fisso.

Gira il viso e tossisce nervoso.

Io sono completamente allibita, anche se so che è solo alla ricerca delle parole giuste per dirmi quello che mi *deve* dire, il fatto che Skinner mi *guardi* è una nuova.

“Agente Scully” incomincia… - si ritorna ‘formali’ Eh, Walter? – “volevo solo avvertirla che sto cercando di mettermi in contatto con … l’Agente Mulder”.

Il suono di quel nome provoca un brivido di ghiaccio lungo il mio corpo. Cerco di nasconderlo agli occhi di Skinner.

“… penso che debba sapere… penso che sia ora che, *dovunque sia*, torni indietro.” Conclude.

Allora neppure Skinner sa dove sia…. Ora SI che sono allibita.

“Signore?” cerco di intervenire.

Non penso sia il caso di chiamare Mulder per chiedergli di tornare a Washington perché la sua *collega* si è appena cacciata nella merda.

E lui lo sa, ed è per questo che è così cauto.

E’ possibile che mi conoscano TUTTI così bene?

“Agente Scully… Mulder ha delle spiegazione da dare alla commissione proprio come lei” puntualizza percependo il mio scetticismo nell’impresa.

Sospiro rassegnata.

“Mi sembrava giusto che lei lo sapesse” termina così piano che quasi faccio fatica a sentirlo.

“Ah…. Grazie” espiro e mi muovo per raggiungere il mio cappotto sull’attaccapanni.

Cosa devo fare, Signore?

Gli devo mandargli i mie saluti?

Sono quasi sulla porta quando mi chiama alle mie spalle.

“E un’altra cosa, Agente”

Mi volto… lentamente.

Avanti… spari – dicono i miei occhi.

“Questa volta non si scherza, Dana” afferma avvicinandosi, il suo volto è una maschera di apprensione.

Deglutisco.

“… ed io l’avevo avvertita… si tenga lontana dal caso… lasci correre… almeno fino a quando Kersh non se ne sarà andato….”

Dio.

Non si rendono conto che più mi dicono di non farlo e più mi viene voglia di farlo?

Non si alzerebbe tutta questa polvere per un *Caso di routinne*, di questo ne sono certa.

Sto quasi per annuire falsa come Giuda ma Skinner mi blocca ancora “… cercano solo il pretesto… e da anni che lo fanno…. La scorsa volta quest’ufficio è andato in fiamme…” si ferma… sospira… mi fissa ancora quando afferma “ma questa volta la posta potrebbe essere più alta.”

Cazzo.

Skinner è il re indiscusso delle frasi ad effetto.

Quasi faccio un passo indietro.

Mi rendo conto di essere ancora completamente sconvolta quando lacrime di paura mi inondano gli occhi.

Oh Dio.

Esco dalla porta.

In fretta.

Fuori di qui – penso mentre mi infilo in ascensore e sbatto con tutto il mio peso contro la parete di fondo.

Ma Dove?

Dove?

Dio…

Non mi sono mai sentita così minacciata in tutta la mia vita.

Minacciata e vuota.

Non ho più niente.

 

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Io e Diana abbiamo vagabondato per ore in lungo e in largo.

Ogni corridoio dal primo piano fino al terzo piano sono stati setacciati.

In cerca di cosa?

Nulla in particolare, ma fa lo stesso visto che comunque non abbiamo trovato un cazzo di anomalo.

Niente. Nada. Zero. Nicht.

Laboratori.

Simpatici scienziati che ci fissavano con occhi rotondi mentre perlustravano spersi come Alice nel paese delle Meraviglie stanze tutte uguali.

Che fottuta perdita di tempo.

Sono demotivato… lo ammetto.

Ma chi non lo sarebbe.

Ritorniamo al pian terreno quasi con la coda tra le gambe.

Diciamo pure che in questo tour ci avevo riposto un po’ più di speranze del necessario.

La realtà che se qui non trovo nulla, non avrò *nulla* da raccontare alla più che probabile commissione con Kersh in testa che mi accoglierà con le fauci spalancate appena sarò di ritorno a Washington.

E non avrò nulla da raccontare a Scully.

Cazzo.

Sono incazzato, definitivamente.

Sbuffo e quasi mi lamento.

“E’ tutto qui?” chiedo secco a Diana e mi rendo conto che erano secoli che non le rivolgevo la parola.

Lei spalanca gli occhi e mi guarda.

“Fox-” incomincia ma il quel preciso momento realizzo.

E’ colpa di Diana?

No… allora non è giusto usarla come Punching-ball.

Sospiro forte e guardo a terra.

Karpenter è morto.

La Jones è morta.

E qui non c’è nulla?

No.. non può essere cos’ fottutamente puttana la vita.

Ci deve essere qualcosa.

Qui!….

Una figurarle nuvoletta stile Homer Simpson mi scivola fuori dalla testa.

Batto il sottile tacco delle mie scarpe a terra.

Lo batto ancora.

Qua sotto… qua sotto c’è qualcosa.

Deve esserci.

Alzo la testa di scatto e Diana fa quasi un passo indietro per la sorpresa.

“C’è un seminterrato” affermo.

Diana continua solo a guardarmi, poi realizza.

Ci mettiamo in fretta alla ricerca di una possibile via per entrare.

Rovistiamo ancora tutto il pian terreno pervasi da una euforia nera e nervosa.

Passiamo davanti a tutte le porte.

Apriamo i laboratori ad uno ad uno….

“C’è un ripostiglio… qualche stanza non utilizzata?” chiedo a Diana che è alle mie spalle.

Stupido. Come cazzo fa a saperlo lei.

“Non so” risponde infatti.

Al centro della parete ocra di uno dei corridoi è appesa una grossa mappa dell’edificio.

Scruto la piana con attenzione.

E quasi rido quando vedo quello che sto cercando.

Come so è c’è?

Come so che è la porta d’ingresso?

La verità è che non so lo.

Ma mi devo dare credito se voglio arrivare da qualche parte.

A volte riesco a stupire persino me stesso.

Lo indico a Diana e quasi corriamo per i corridoi.

Porta 005.

Eccola.

Giro la maniglia.

Non si apre.

Cazzo.

Vorrei estrarre dal cilindro gli arnesi utili allo scopo ma ho il malsano presentimento di non avere tempo.

Così tiro fuori la pistola e senza pensarci una seconda volta faccio saltare la serratura.

Lo so che sembra esagerato… ma devo seguire l’istinto qui.

Non mi preoccupo di vedere se Diana approvava il gesto, ormai l’ho fatto.

Entro nella stanza vuota e scura.

E poi la vedo.

E se non suonasse strano - se non grottesco - la definirei una… botola.

Ma è un ingresso appoggiato su una parte rialzata del pavimento fatto di un metallo che ha l’aria di essere molto spesso.

Mi avvicino, cauto.

C’è una maniglia ma non c’è una serratura, cazzo.

C’è una tessera di identificazione e una piccolo piattaforma lucida che penso serva per il riconoscimento delle impronte.

Interessante, con tutte queste misure di sicurezza sono quasi certo che non ci sia un magazzino la sotto.

Cazzo.

Cosa si fa adesso?

Mi volto piano verso Diana che quasi ansima per lo sforzo di aver fatto quei venti metri di corsetta.

Male, Diana… lo Jogging allunga la vita.

“Qua sotto c’è qualcosa” affermo e in quel preciso momento un boato soffocato lacera l’aria.

Non faccio nemmeno in tempo a chiedermi che cazzo è che la forza del rinculo sbatte me e lei praticamente fuori dalla stanza.

Un’esplosione, MERDA!

Sotto terra.

Atterriamo sul pavimento di colpo e ci strisciamo sopra per metri.

Quando tutto smette di muoversi e di girare vorticosamente cerco di alzarmi per ritornare verso la porta.

La mano di Diana sul mio braccio avrebbe l’intento di fermarmi.

Mi scrollo da lei e mi avvio.

E poi un suono completamente assordante mi squarcia i timpani.

Mi devo tappare le orecchie e ripiegare su me stesso per proteggermi da quel suono.

Allarmi.

Tutti gli allarmi anti-incendio si sono azionati simultaneamente.

Cazzo.

Barcollo all’indietro e mi imbatto Diana che ancora cerca di alzarsi.

“STAI BENE???” cerco di chiederle sopra il rumore ma è impossibile.

E poi, come animali selvaggi appena liberati dalla gabbia, le fiamme divampano ed è come se le vedessi correre verso di me.

Afferro Diana per un braccio, la strascino in piedi e la spingo fuori.

Via… via di qui.

Cazzo.

Il fuoco mi lambisce quasi il sedere mentre corro come un disperato spingendo Diana quasi peso morto.

Le urla delle persone che si spingono e tirano nei corridoi è la sola cosa che può superare in decibel il suono di questi maledetti allarmi.

La folla si crea.

Dilaga il panico.

Un orda di camici bianchi invade la mia strada verso l’esterno.

E poi ne sento un'altra.. un’atra esplosione… la sento come se fosse proprio sotto i miei piedi.

E mi rendo conto che non c’è più tempo per la processione.

Trascino ancora Diana ed entro in uno dei vicini laboratori.

Cazzo… siamo al pian terreno.

Perché la gente non esce dalle finestre?

Rispondo immediatamente alle mie domande.

Vetri oscurati e praticamente infrangibili chiudono il laboratorio dal mondo.

Mi volto verso Diana che fortunatamente sembra ripresa.

Mi volto ancora verso la finestra.

Il suono mi ovatta il cervello.

Le urla mi agitano.

Cazzo… saranno anche infrangibili quei vetri ma….

Tiro fuori la pistola e sparo.

Il primo colpo ha l’effetto di incrinare appena la superficie.

E’ già qualcosa.

Il vetro cade il frantumi solo quando ci scarico tutto il caricatore… e quello di Diana.

La sera scura invade con luce innaturale la stanza.

“DIANAAAAAAA” la chiamo sopra ai rumori, è a tre passi da me.

L’aiuto a scavalcare…. In fretta…. In fretta, cazzo.

E sento un terzo boato nel momento stesso in cui mi sto catapultando fuori.

Atterro sul prato corto… un volo di un metro e mi sono fatto anche male al sedere.

Che sfiga.

Rimaniamo immobili a riprendere fiato mentre assistiamo a questo macabro spettacolo di fiamme e urla.

“CHIAMA QUALCUNO?” urlo a Diana “CAZZO; CHIAMA QUALCUNO?!?!”

Lei mi guarda persa per secondi.

Cazzo, non possiamo stare qui a guardare.

Tira fuori il cellulare e lo osserva.

Dal suo sguardo capisco che si è miracolosamente salvato da tutto questo roller-coaster, ed io che bistrattavo gli Ericson.

Sta per chiamare quando un suono la ferma.

Un suono terribile… non ho mai sentito un suono così forte.

Una nuvola di fitta polvere si alza dal nulla.

Ed è tutto così veloce che non riesco ancora a capacitarmene ma penso di sapere… che è appena crollata un’ala dell’edificio.

 

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Dovrei piangere… ma ho smesso, e non me la sento di ricominciare.

Dovrei mangiare… ma non posso farlo.

Dovrei come minimo indirizzare questa energia nervosa in qualcosa di utile come pulire quel porcile del mio appartamento, avviare un numero incalcolabile di lavatrici.

Ma non lo faccio.

Non voglio farlo.

Voglio solo dimenticare.

Dimenticare di non avere più un lavoro, di non avere più NIENTE.

Dimenticare questa insopportabile sensazione di vuoto che mi comprime il petto.

Vuoto riempito solo di paura e confusione.

E cosa faccio, allora?

Salgo in macchina come posseduta, incomincio a guidare e, questa volta più che consapevole, mi dirigo verso il Plaza Hotel.

Si, sto andando al Plaza.

Con questo viso sconvolto, con questi occhi sbarrati, coperta ancora dal mio consueto talleur nero pece, mi sto dirigendo verso il Plaza… verso ED…con il preciso presentimento che appena lo vedrò… mi infilerò nei suoi pantaloni.

Non è quello che ho in mente, naturalmente.

Non è per questo che sto andando da lui.

Ma qualcosa mi dice che è quello che accadrà.

Non tutto il mondo gira intorno a te, Mulder – continua a cantilenare la mia mente.

E lo so, come so di chiamarmi Dana Scully, che sono solo un grosso cumulo di stronzate.

Il mio mondo gira intorno a Mulder dal primo, maledetto istante in cui ho messo piede in quel polveroso ufficio, in cui ho stretto quella sul mano, in cui ho visto per la prima volta quell’espressione arrogante, impertinente e devastantemente affascinante su quel suo viso.

Da quel preciso momento, la vita di Dana si è fermata… e Scully ha preso forma.

Scully.

La sola persona che Mulder ha visto e di cui ha esperienza.

La sola persona che si aspetta che io sia – che pretende che io sia – nonostante tutti i suoi giri di parole del cazzo… nonostante mi stia silenziosamente accusando di non essere più la stessa: io non sono cambiata.

Io rimango immutabile come la Sfinge mentre lui è il ragno di Kafka.

E pretende che io stia al passo con i suoi mutamenti….

Fino a ieri l’idea di mettermi una mano addosso lo avrebbe inorridito.

Oggi vuole scopare con me e me lo sbandiera davanti come se fosse la cosa più naturale del mondo.

No, Mulder – penso – hai già avuto Scully… non ti prenderai anche Dana.

Dana rimane di mia proprietà.

E le farò fare quello che vuole.

Dana vuole scoparsi ED, e Dana se lo scoperà – senza sentirsi in colpa come una criminale come quando gli occhi indagatori di quel fottuto bugiardo le incendiavano il viso al ritorno da Philadelphia.

Sia Dana che Scully sono nella merda, in questo preciso istante.

E lui dov’è quando serve? Il fottuto bugiardo?

Non mi importa più di nulla.

Non distruggerà la mia vita più di quanto non abbia già fatto.

Stringo il volante tra le mani con spropositata forza mentre, da sola e a macchina spenta, ferma nel parcheggio del Plaza, rifletto protetta dalla repentina oscurità.

E cerco di convincermi che sia la decisione giusta.

Cerco di convincermi che è quello che voglio… che è quello che Ed vuole e soprattutto che è quello che Mulder si merita.

Ma sono cazzate le mie, e le riconosco una ad una.

Smetto di pensare e scendo dalla macchina.

Entro nell’edificio, mi fermo davanti al banco e mi faccio dire il numero della camera.

Dentro l’ascensore ho persino il fegato di rimirarmi al brutto specchio e provare e rimettere in ordine i miei capelli scompigliati e ritti per l’indignazione.

Cercando di togliermi dalla testa tutti i motivi che mi hanno spinta fino a qui e tutte le probabili conseguenze di quello che sto per fare, busso alla porta.

Busso.

Aspetto.

Nessuna risposta.

Busso ancora, stessa cosa.

Possibile che non ci sia?

L’addetto al reception mi ha detto che non è uscito, *deve* esserci.

Busso ancora ed ancora.

Lo chiamo.

E uno stranissimo senso di agitazione mi pervade.

Lo imputo immediatamente alla mia alterata condizione mentale: sono scombussolata, sconvolta e arrabbiata, ed ogni probabile impedimento sulla mia strada mi fa salire il sangue alla testa.

Ma Ed continua a non rispondere.

E l’agitazione diventa d’improvviso paura.

Scendo di corsa prendendo le scale.

Cerco di convincere l’addetto del banco a darmi le chiavi… gli chiedo se è possibile che non l’abbia visto uscire.

Mi risponde che non si è mosso da quel banco per tutta la giornata, se Ed fosse uscito.. lui l’avrebbe visto, sicuramente… anche solo perché avrebbe dovuto consegnare le chiavi.

Gli domando se è entrato qualcuno.

Se qualcuno ha chiesto di lui.

E la paura mi sta facendo sudare freddo.

Scuote la testa quasi seccato… mi risponde che nessuno è entrato, che nessuno ha chiesto di lui.

Forse perché percepisce il mio terrore, più probabilmente solo perché gli faccio pena, mi da le chiavi e mi catapulto davanti alla porta di Ed.

Le mie mani tremano mentre giro la maniglia ed entro cauta.

Continuo a chiamarlo e chiamarlo ancora… nessuno mi risponde.

Il letto è ancora disfatto.

La lampada sul comodino è accesa ed è la sola illuminazione nella stanza.

E’ successo qualcosa qui – realizzo.

Acuisco idealmente tutti i miei sensi… e la mia mano scivola lungo il mio fianco in cerca del fodero della pistola.

Niente fodero e niente pistola, cazzo.

Sono sospesa dall’FBI.

L’aria è densa… pesante come piombo.

Mi sposto di lato come un ladro mentre respiro a fondo.

E lo sento.

Una spaventosa ondata di nausea mi sale dallo stomaco fino in gola.

Odore di sangue.

Cazzo – cazzo - cazzo - cazzo - cazzo - cazzo - cazzo - cazzo - cazzo – mi ripeto.

Do un calcio alla porta del bagno.

Tremo senza controllo.

L’odore è più forte qui, quasi intollerabile.

Aspetto dietro la porta spalancata per sentire il rumore di qualche movimento.

Non sento nulla oltre il mio respiro irregolare e il martellare del mio cuore.

Nulla.

Dio… NO – penso quando capisco quello che è successo.

Sbatto testa e schiena contro la parete.

Le forze mi abbandonano mentre la mia mente ripete soltanto – fai che non sia vero… fai che non sia vero – ancora ed ancora.

Ansimo per le continue fitte di dolore che sento nel petto.

Chiudo gli occhi e li tengo serrati e *giuro* che mi metto a pregare come una penitente.

Chiedo a Dio di svegliami.

Chiedo a Dio di portarmi via da quest’incubo.

Non so quanto riuscirò a sopportare ancora, forse ho già raggiunto la soglia massima, più probabilmente l’ho già superata.

Respiro e respiro.

Una mano invisibile applica forza su di me fino a quando non mi stacco dalla parete e non copro i pochi passi che mi separano dall’entrata del bagno.

E vedo la concretizzazione di tutti i miei sospetti e di tutti i miei incubi.

La vedo stesa sul pavimento, immersa in una pozza del suo stesso sangue.

E ha la forma di Ed Jerse, con la bocca curva dalla sorpresa e gli occhi spalancati dal terrore.

Chiede aiuto.

Lo chiede a me che rimango impalata davanti alla porta e lo osservo.

E’ morto.

Ed è morto.

Sento l’inconfondibile suono di un urlo che mi trapassa i timpani.

Un urlo di disperazione più che di paura.

Alzo lo sguardo dagli occhi spaventosamente imploranti di Ed e lo specchio del bagno mi è di fronte.

L’immagine di una donna sconvolta risponde al mio sguardo.

I suoi occhi sono sbarrati e la sua bocca è spalancata.

E finalmente mi rendo conto… che sono io quella che sta urlando.

 

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Continua…