Capitolo 13 - Errori

 

 

Né io né Diana abbiamo avuto bisogno del pronto soccorso.

Ne siamo usciti incolumi … -  miracolosamente – ma è così.

Almeno fisicamente.

Le ho detto che mi sento pronto a guidare fino a Washington, che sto bene…

Le ho mentito.

Non sto bene e non so se riuscirò a guidare fino a Washington.

I pompieri sono arrivati da due ore ormai, ed ancora non sono riusciti a domare totalmente le fiamme.

Odore di polvere e di bruciato impregna l’aria della sera scura.

Qualcuno ci pone delle domande.

Rispondiamo a monosillabi.

Si – eravamo dentro la struttura prima dell’incendio.

No – non crediamo sia stato un cortocircuito.

Si - siamo usciti dalla finestra.

No – non siamo riusciti a tirare nessuno fuori con noi… a dire il vero nemmeno ci abbiamo pensato.

Ci chiedono se abbiamo già avvertito l’FBI, rispondo di no, rispondo che probabilmente già lo sanno.

Ci lasciano andare poco convinti.

Ritorniamo all’Excelsor per toglierci fumo, polvere, sudore e paura di dosso.

Non ci siamo rivolti la parola.

Entrambi sappiamo che se la Biocosmos è stata rasa al suolo, ci deve essere un motivo.

Ed entrambi pensiamo sia lo stesso motivo che il compianto Karpenter ci ha rivelato proprio prima di venire ammazzato.

Ed ero sotto i nostri piedi, quel motivo, al di là di quella porta di ferro… non ci sono dubbi in proposito.

Karpenter ha parlato di urgenza… di ‘sconsideratezze’.

Alludeva alla Applied e a Dallas.

Ora so cosa significava.

Ma sento uno strano peso nel petto… dico ‘strano’ perché è diverso da quello che ormai mi sono abituato ad indossare come una cazzo di cravatta di piombo ogni giorno della mia fottuta esistenza.

Un peso.

Grosso, ingombrante… in mezzo al petto.

E non è né il fumo di quel dannato incendio, né la fatica.

Non è neppure la solita rabbia verso il destino che mi fa essere sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Sento la terra tremare e micro-esplosioni tra le pareti del mio cranio.

Mi sento coinvolto e disconnesso da tutto nello stesso preciso istante.

Le poche cose che avevamo portato occupano già il vano davanti alla porta.

Tutto è arrangiato con la hall.

Tutto è pronto per partire… tranne io.

Che stringo i pugni inesorabilmente vuoti mentre aspetto che Diana esca dal bagno e mi raggiunga.

Seduto sulla sedia imbottita dell’altica scrivania, guardo di fronte a me e non vedo niente.

Ho le tessere di questo fottuto puzzle proprio davanti agli occhi.

Ma sono tutte della stessa gradazione di nero - come carbone - , queste tessere… ed è quasi impossibile rimetterle insieme.

Ho come la sensazione di aver perso un dettaglio, di aver prestato poca attenzione… la stessa cosa che provo ogni volta che salgo su un fottuto aereo per chissà dove e sono certo di aver dimenticato qualcosa, soltanto che amplificata a potenza.

Mi costringo a fare mente locale.

Mi dico che presto sarò a Washington – cazzo – e *devo* avere ogni aspetto della situazione sotto controllo.

Quasi rido di me stesso – non ho mai avuto niente sotto controllo in tutta la mia vita.

E mi rendo conto che non solo non ho un cazzo tra le mani -  che non è certo una novità -  ma che il mio viaggio in quel dell’Ohio aveva, almeno inizialmente, uno scopo completamente distinto da tutta questa merda.

Mi ero ripromesso che avrei riflettuto, ma non ho avuto il tempo di farlo – più probabile che non ne abbia avuto la forza d’animo.

Mi ero posto una precisa domanda prima di salire su quella dannata macchina a Washington, ormai due giorni fa – già da due giorni, cazzo! - … mi ero ordinato di domandarmi cosa *volevo* e di darmi una risposta.

Ed è questo che non ho fatto… è questo che ho completamente dimenticato di fare, merda.

La corrente mi ha trascinato per due fottutissimi giorni.

Devo delle risposte.

A me stesso ma soprattutto a Scully.

Gliele *devo*, è questa la sola cosa che conta.

Non ha un cazzo di importanza quanto faticoso sarà decidere, o anche solo rifletterci sopra.

Valutare e soppesare ogni pro e ogni contro di una scelta che, intimamente, non ho neppure il fegato di prendere.

Devo lealtà a Scully.

E sicuramente le devo *fedeltà*.

A prescindere dal fatto che *realmente* non so come cazzo deve evolvere questa relazione – anche se so per certo che non può rimanere così com’è un minuto di più – le devo fedeltà per quello che è stata, è, e che continuerà ad essere; un tassello fondamentale della mia esistenza.

Ho riconosciuto questa verità, non senza fatica, ormai tanto tempo fa.

L’ho riconosciuta e l’ho accettata come inevitabile.

Ho *bisogno* di lei.

Non so da quando – ma probabilmente non ha nemmeno importanza.

Ed è l’incertezza sul perché che sta creando tutti questi problemi.

So che Scully è necessità, ma non ho la più pallida idea del motivo… o meglio… la necessito come partner, e su questo non si discute… ma la necessito come amica, o come… amante?

E’ tutta una questione di… *necessità*? O di*bisogno*? O forse è qualcos’altro? Qualcosa che non posso afferrare ma che c’è… perché lo sento?

Gliel’ho detto, proprio due giorni fa, le ho detto con questa inutile voragine che oso chiamare bocca che *provo* qualcosa… qualcosa di forte… ma cosa?

Ed è il più pericoloso campo minato che abbia mai dovuto oltrepassare, questo.

Appunto perché è *lealtà* quello che le devo, non posso permettermi errori.

Non con Scully.

Mai più.

Ma sto già sbagliando, non è così?

Ho già sbagliato… lo sento.

Il mio cellulare squilla d’improvviso e quasi salto sulla sedia.

Qualsiasi cosa sia, *chiunque* sia, sono preparato a tutto ormai… forse solo perché non sono preparato a *niente*.

Il display mi informa che è Skinner e mi ritrovo quasi a sospirare  alleggerito – sono un fottuto codardo.

Avrei dovuto aspettarmi una sua telefonata, comunque.

“Mulder” rispondo distaccato.

‘Agente Mulder’ mi chiama formale e secco… e subito percepisco che c’è qualcosa che non va.

Ma forse il fatto che mi sia levato dalle palle più efficacemente di Copperfield ha qualcosa a che fare con tutto questo.

“Si, signore…” lo sprono e mi rendo conto di essermi immediatamente agitato.

‘Dov’è?’ domanda duro ed è incazzato.

Respiro a fondo.

Avrei dovuto aspettarmi anche questa domanda, cazzo.

“Si è appena verificato un curioso incidente” cerco di divagare quasi sarcastico “… la Biocosmos Pharmaceutic Research è stata rasa al suolo -  come la Applied -  qualche ora fa” .

‘Cosa?’ chiede immediatamente.

Ok… l’ho distratto.

“Si… incendio… parlano di cortocircuito ma posso senza dubbio affermare che non è certo questo il motivo.” Dico blandamente allusivo.

“Lei è li?” Domanda cosciente.

“Si”ammetto.

“E l’Agente Fowley?” Chiede e non posso mancare di notare una leggera inflessione ‘accusatoria’ nella sua voce.

Si è sempre saputo che Skinner è un fan di Scully, comunque.

Deglutisco.

“E’ … è qui con me” espiro a fatica.

Il vicedirettore non parla e non commenta, per il momento.

Lo sento sospirare dall’altro capo del telefono, non più ‘accusatorio’ ma… deluso.

Medito di chiedere spiegazioni ma mi interrompe domandando cauto ‘quando torna?’ .

“Sarò a Washington in mattinata, Signore” lo rassicuro in fretta.

“Bene” commenta duro, per nulla sollevato.

Che cazzo sta succedendo?

“Signore-” inizio.

‘L’Agente Scully è stata sospesa dall’FBI’ mi interrompe ed è un secchio di acqua gelata sulla testa.

“COSA?” quasi urlo.

DIO.

‘Ha capito bene. E il condirettore Kersh vuole vedere sia lei che Fowley appena sarete di ritorno.’

Il sangue mi sale alla testa… non sono più agitato, ma spaventato a morte “Cosa sta succedendo Signore?” domando esasperato “Perché hanno sospeso *Scully*?”

‘Lo domandi a lei’ mi spegne secco, arrabbiato ‘e non boicotti questo appuntamento, Agente Mulder…’ pontifica ‘… si consideri avvertito.”

Senza darmi il tempo di chiedere NIENTE mi attacca il telefono in faccia.

Rimango con gli occhi e la bocca spalancati e la cornetta stretta tra le mani per secondi.

Boccheggio mentre compongo il numero di Scully.

Dio, sospesa - sospesa - sospesa- sospesa- sospesa- sospesa- sospesa- sospesa- sospesa- sospesa – mi ricorda il mio cervello annebbiato.

Dio. SAPEVO che era successo qualcosa… lo sapevo!

Scully non risponde, cazzo.

Provo a casa: segreteria.

Provo e riprovo, respiro affannato.

Hanno sospeso Scully?!?! – mi domando completamente sbalordito -  Dio, avevo il sospetto che fosse successo qualcosa ma cazzo, SOSPESA?

Sto assorbendo la notizia come se mi avessero appena comunicato che è caduta la torre di Pisa.

Solo, non è possibile.

Scatto in piedi.

Riprovo a chiamare, ma nulla… non risponde.

Rispondi - rispondi- rispondi- rispondi- rispondi CAZZO RISPONDI!!! – continuo e ripetere a tempo con i incessanti squilli del telefono libero, mentre impreco e busso con eccessiva veemenza alla porta del bagno.

“DIANA!”urlo.

Fuori di qui – penso… - devo tornare indietro… devo trovare Scully….

Scully, cazzo… dove sei?

‘Si?’ dice piano e apre la porta.

E’ pronta, quasi sospiro dal sollievo.

“Muoviti, si torna a Washington” ordino affannato.

Diana mi fissa con occhi rotondi.

La ignoro e richiamo Skinner.

Risponde al primo squillo.

‘Agente Mulder-’ inizia esasperato.

“PERCHE’ HANNO SOSPESO SCULLY?” Urlo.

Non ci sono cazzi, me lo DEVE dire.

‘Mulder-’ ricomincia.

“PERCHE’?”

Skinner sospira ed io impreco.

Cazzo, rischio le coronarie qui.

Qualcuno DEVE parlare.

Mando disperazione via etere perché il vicedirettore respira a fondo ed incomincia, con tono quasi circospetto.. e questo fa aumentare la mia paura di 100 volte.  ‘Due giorni fa l’Agente Scully è entrata in un carcere federale senza autorizzazione’. E la sospendono per *questo*? – mi domando sconvolto. ‘Voleva interrogare Jehenins che è-’

“So chi è!” taglio corto, infastidito.

Il vicedirettore continua, ‘Jehnins è morto… poco dopo aver parlato con lei… si è siucidato’.

Cosa??!?

COSA?!?!?

‘.. e Kersh l’ha sospesa… aspettava solo quello’ conclude sconfitto.

Cazzo, questa non è solo una carognata.

Questa è, Dio… è la fine! – realizzo, e gli occhi mi si gonfiano senza preavviso “Signore…? Ci-ci sarà qualcosa che poss-”

‘NO’ mi blocca ed è una lancia nel costato ‘non per il momento, no’ conferma e posso dire che non è più che dispiaciuto.

E’ terrificato, come me.

Nessuno dei due sa cosa dire, a questo punto.

Rimango con la cornetta tra le dita, immobile.

‘Un'altra cosa, Agente Mulder’ quasi sussurra.

No. No. Scuoto la testa.

Non aspetta consenso e dichiara soltanto ‘Ed Jerse è morto’. Dio. ‘… il corpo è stato ritrovato meno di due ore fa…’ fa una pausa lunga millenni… espira “è.. è stata l’Agente Scully a ritrovarlo.’

I miei occhi si sbarrano, non vedo niente.. non vedo più niente “C-cosa?”

Non risponde.

Forse non c’è nulla che mi possa dire.

E realizzo. “Signore…. Scully-Scully non risponde al telefono.. non è a casa…” sento puro terrore nella mia voce.

‘Sta bene’ mi ferma cercando di darsi un tono deciso, forse solo per rassicurarmi.

Non ci riesce.

‘Ha… ha espresso il desiderio di non essere disturbata.. di stare da sola,… per un po’’ mi comunica stanco.

Cosa?

Dio. Scully sta male.

Il sono qui e Scully perde il *lavoro*, perde – una fitta di attraversa – perde… Jerse.

Ed io sono *qui*, cazzo.

“Signore-” cerco di ribattere.

‘la lasci in pace’ mi dice così seccamente che faccio un passo indietro per lo sgomento.

“S-Signore?”

La comunicazione si interrompe.

Il suono della linea mi sbatte tra le pareti della testa.

No. No. No – Dio. NO.

Schiaccio 1 e aspetto.

Le mani mi tremano a tempo con le ginocchia.

Cerco di schiarirmi la voce e mi rendo conto che ho intenzione di lasciarle un messaggio.

Anche se non ho la più pallida idea di che cazzo dire, so che lo farò.

Ma poi sento quello che non mi sarei mai aspettato di sentire.

La mia bocca si spalanca per l’orrore.

E’ il suono della linea telefonica… occupata.

Scully ha… ha staccato il telefono.

Dio.

Alzo lo sguardo spaventosamente disorientato e vedo Diana impalata sulla porta con i bagagli in mano – che mi fissa.

E finalmente capisco – ed è come una doccia gelata in pieno inverno - … che non solo ho sbagliato qualcosa… ho sbagliato *tutto*.

 

 

@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@

 

Sono completamente pazza, questo lo posso ammettere almeno con me stessa.

Pazza e stupida e assolutamente imprevedibile.

Cosa fanno le eroine dei romanzi strappalacrime quando il mondo si sgretola sotto i loro piedi?

Non lo so e francamente non me ne fotte un cazzo.

Io corro.

Come Forrest Gump… senza nessun motivo apparente.

Ho avvertito la polizia del ritrovamento del cadavere, come era giusto che facessi.

Ho risposto alle loro domande.

Ho detto a tutti di lasciarmi in pace.

Ed adesso corro.

Con i miei pantaloncini da jogging e la mia felpa con il cappuccio preferita, taglio l’aria scura della parte vecchia di Washington.

Seguo il percorso del sabato mattina, quando ho tempo per recuperare l’ammanco di attività fisica di un’intera settimana trascorsa seppellita sotto i rapporti che Mulder si rifiuta di compilare per qualche arcana questione di principio.

Corro.

Per nessuna ragione e per tutte.

Scappo da me stessa… scappo dalla realtà.

So che sarà una questione di attimi… ma anche solo per un istante non voglio sentire nulla se non fatica fisica e odore di sudore.

Ed Jerse è morto.

Morto.

E’ un fatto incontestabile… non mi rimane che accettarlo.

Accetto la morte ogni santo giorno. L’accetto e la uso come una macabra iena.

L’osservo e l’analizzo togliendole anche il più remoto aspetto poetico.

E’ il mio lavoro.

E’ quello che sono chiamata a fare.

Non mi stupisce la morte di Jerse.

Un numero incalcolabile di persone stanno morendo mentre io oltrepasso il laghetto artificiale di Central Park.

Ma mi dispiace che sia morto.

Mi dispiace incredibilmente.

Altrimenti i miei occhi non sarebbero così tanto iniettati di sangue da non riuscire più a chiuderli.

E le mie guance sarebbero bagnate solo di sudore.

L’aria che sbatte sulla mia faccia è ghiaccio… forse solo perché sto correndo così veloce che la temperatura del mio corpo deve essersi innalzata di parecchi gradi.

Mi dispiace che Ed sia morto e non solo perché è stata una delle persone che mi sono portata a letto.

E neppure perché mi sento responsabile.

La massima che ho imparato con gli anni è che non devo responsabilizzarmi per la morte di qualcuno fino a che non sono io quella che preme il grilletto.

Se non vivi seguendo questa massima, non puoi essere agente dell’FBI.

Un concetto che Mulder non ha mai voluto imparare, tanto meno mettere il pratica.

Mi spiace per Ed… perché la morte lo ha inseguito.

Da quella fottuta storia di quel tatuaggio fino ad ora è stata alle sue spalle.

Ha annusato il suo odore.

Ed ha scelto di colpirlo proprio adesso.

Adesso che, in un modo o nell’altro, anch’io sono coinvolta.

Ed è morto per quei files….

E posso essere certa che il suo assassinio sia in qualche modo un monito nei miei confronti.

La posta è alta, questa volta – mi ripete Skinner nel buio del seminterrato.

Ed ora so che significa.

Balle – penso e mi strofino un mano sulla faccia per confondere lacrime, sudore e ghiaccio – mi sento in colpa, cazzo.

Semino morte.

Sono nefasta.

Ed è questo il dato di fatto.

Prima Jehenins, poi Ed… uno al giorno, bella media.

E penso che avrei potuto superare brillantemente tutte queste sciagure, come ho fatto negli ultimi sei anni, del resto, se non si fossero presentate così simultaneamente.

Penso che sarei riuscita a cavarmela.

Ma sono sulle mie ginocchia e non so se avrò la forza di aspettare il colpo di grazia.

Allora corro.

Corro via da tutto.

E prima o poi dovrò fermarmi, dovrò guardare la situazione così com’è, ferma e statica e non in movimento, come quando osservo anonimi paesaggi dal finestrino della Taurus inchiodata nel mio sedile del passeggero.

Questa sono io, e questa è la mia vita.

Questo è quello che succede intorno a me e questo è quello che devo affrontare.

E questa volta non è una sfida ad armi pari, forse non lo è mai stata.

Non voglio sentirmi disperata.

Non voglio sentirmi persa anche se ho perso.

Voglio vivere nell’illusione che ho ancora la possibilità di combattere.

Da sola… ma posso farcela – è quello che mi dico.

Sola – mi ripeto.

E mi si stringe lo stomaco.

Sono forte abbastanza – mi convinco -  sono coraggiosa abbastanza, e posso riuscire… sempre… - ma nel profondo di me so che sono tutte balle.

Non mi sono mai sentita così spaventata in tutta la mia vita e questo eleva a potenza la mia paura.

Ed all’improvviso, tra il rumore delle mie scarpe che schiacciano foglie già cadute e già morte e il suono cupo del mio respiro affannato, sento “Agente Scully?”.

Riconosco immediatamente quella voce, anche se l’ho sentita solo una volta.

La riconosco e mi metto a correre più veloce.

“Si fermi, Agente Scully” ripete nascosto dietro ad una delle grandi querce che ornano questo percorso da jogging.

Non voglio fermarmi.

Non voglio.

Ma devo farlo.

Come ti devi fermare davanti a quegli impertinenti ragazzi che ti ammaliano con la prospettiva di alleggerire la tua anima con una modica donazione di 10 dollari. Non vuoi…ma ti devi fermare.

Rallento.

Mi piego su me stessa e respiro a fondo.

Sento i suoi passi dietro di me, si avvicina.

Quando penso di aver recuperato fiato abbastanza mi volto di scatto.

“Se deve dirmi qualcosa di interessante, parli adesso… altrimenti mi lasci in pace” sentenzio acida come ammoniaca.

E lo faccia in fretta – vorrei aggiungere.

Il peso che sento nel petto sembra essersi aggravato dal momento stesso in cui mi sono fermata.

Mi schiaccia, finirà per impedirmi di respirare.

Lui mi osserva.

Nero e cupo e così bello da sembrare finto.

La sola cosa luminosa sono i suoi occhi.

Di quel colore screziato che è più di azzurro.

E’ bello si… lo noto adesso per la prima volta e so che dovrei essere concentrata su un paio di altre cose, in questo maledetto momento, ma ad una donna certi particolari non possono sfuggire.

Si schiarisce la voce.

Vuole parlare ma probabilmente non sa da dove incominciare.

Oppure non sa cosa dire.

Non importa perché qualsiasi cosa sia non ho la pazienza sufficiente per rimanere qua impalata.

Mi volto e ricomincio a correre.

“Si fermi!!!” praticamente mi urla dietro, completamente spiazzato.

E all’improvviso sento una mano sulla mia spalla.

La situazione è quasi ridicola e non posso fare altro che rallentare.

Quella mano scivola da me appena mi giro.

Lo fisso mentre mi guarda sorpreso e lo trapasso con gli occhi.

Veloce – gli ordino senza parlare.

Si schiarisce ancora la voce.

“E pensare che non ci volevo credere quando l’hanno descritta come una persona… glaciale” sussurra quasi ironico.

Che fa? Mi prende per il culo?

La rabbia mi sale al cervello “beh” affermo dura “non mi prende in un buon momento”.

Sto quasi per voltarmi di nuovo e scappare da questa farsa quando la sua voce mi blocca “E non si è domandata perché?” chiede avvicinandosi.

Resisto all’impulso di allontanarmi e medito.

“Me lo dica lei il perché.” Ribatto secca.

Non è questo il compito degli informatori?

“Prima quei files… poi Jones… poi la Applied… e Jehenins…” incomincia elencando ad una ad una le mie disgrazie.

Ho ancora gli occhi e la bocca spalancati quando continua con tono basso, misurato “… *Mulder* fuori città, la sospensione… ed ora *Ed Jerse*”.

Gli manca la gita al Plaza e ha fatto bingo.

“E non si è domandata perché?” conclude allusivo.

Rimango in silenzio e lo fisso, sgomenta.

Come cazzo fa a saperlo, comunque?

“Come fa a sapere queste cose?” riesco a chiedere… piano.

Quasi sorride quando realizza che ormai mi sono arresa: lo ascolterò.

“Gliel’ho già detto, Agente Scully… non si ponga domande inutili…” il mio sonoro sbuffo lo interrompe.

Abbasso la testa e rifletto.

“Volevano colpirmi” sussurro e quando mi rendo conto che era così dannatamente palese sono persino imbarazzata per averlo notato solo adesso.

“Esatto” conferma piano “… e ci sono riusciti… ma forse non hanno tenuto conto abbastanza di qualche particolare-”

“Quale?” domando espirando e rialzo piano la testa.

“La sua forza, Agente Scully” Enfatizza.

E, incredibile a dirsi, mi metto quasi a ridere.

Lui mi fissa con occhi rotondi mentre cerco di sopprimere quest’orrendo ghigno che mi curva le labbra.

“E’ questo che è venuto a dirmi?” Chiedo delusa e paradossalmente indignata.

“Non finga di non capire, Agente” quasi mi rimprovera.

Adesso si che mi sento una perfetta idiota, perché non ci sto capendo un cazzo.

Al mio sguardo palesemente interrogativo si sente in dovere di aggiungere “… pensa che la morte di Ed Jerse sia casuale… in questo momento?”

Una fitta di rinnovato dolore mi fa spalancare la bocca ancora in cerca d’aria.

Continuo solo a guardarlo.

Lui prosegue sempre più concitato “.. pensa che non la useranno contro di lei?”

“Co-come?” sono in grado di domandare, completamente sbigottita.

Ci manca solo che mi accusino della morte di Ed.

“… lei aveva delle *direttive* da seguire, Agente Scully… e il ritrovamento del cadavere di Jerse dimostra che non l’ha fatto” specifica.

“COSA?” ansimo e mi avvicino.

“Ed Jerse è coinvolto nel caso Jones, e le era stato *chiesto* di non intervenire”

Ma.. Dio…

“Non… non” cerco di spiegare.

Non sono andata da Ed per quel maledetto caso.

Sto ancora boccheggiando quando lo sconosciuto mi interrompe secco “non è a me che deve delle spiegazioni, ma al condirettore Kersh… che non si risparmierà di convocarla… la prima cosa domani mattina”

Cazzo… cazzo… cazzo.

Osservo il paesaggio scuro alle sue spalle.

Cazzo, un’altra trappola.

Un’altra fottuta trappola.

Lo sconosciuto probabilmente legge la mia espressione persa perché sussurra “…sono molto bravi a scoprire i punti deboli e ancora più bravi a colpire su quei punti, Agente… lei è un libro aperto per loro. *Tutti* lo sono.”

La consapevolezza mi colpisce improvvisamente.

So che ci sono delle falde nella mia luminosa armatura.

So di avere più di un tallone di Achille.

E *loro* si sono solo limitati a colpire dove già ero scoperta.

E mi hanno colpito adesso.

Adesso che mi sento coinvolta dalla testa ai piedi.

Adesso che sono debole… adesso che sono sola.

“E’ questo… è questo che hanno fatto a Kaili” mi sorpreso a mormorare.

L’hanno colpita ripetutamente fino a quando non è crollata.

Lui annuisce con una leggera espressione di soddisfazione in volto, come se fosse compiaciuto della mia improvvisa illuminazione.

Allora è probabile che Kaili si sia uccisa.

Come è probabile che abbia chiesto a Jehenins di farlo.

Tutti i miei errati sospetti cadono sotto forma di ideali macerie ai miei piedi.

E capisco che *loro* non si sporcano le mani uccidendoti, lasciano che sia tu ad eseguire il compito.

Mi rendo conto che possono portarti ad un grado di psicosi tale che la morte sembra la sola soluzione immaginabile.

Ma la domanda delle domande rimane.

Il più grosso punto interrogativo.

“Perché?” Chiedo senza fiato.

Gli occhi dello sconosciuto si allargano.

Specifico seccamente “ora so *come*. Voglio sapere *perchè*…”

Abbassa la testa piano mentre lo osservo in attesa.

“A questa domanda non posso rispondere…” dice piano, quasi colpevole.

Sono io quella che si avvicina minacciosa adesso.

L’aria fredda di novembre è diventata incandescente.

La mia voce è incrinata dalla rabbia quando domando “non può o non *vuole*?”

Non replica.

Sta fermo e zitto.

Alza il capo e mi fissa con sguardo illeggibile.

“RISPONDA!” quasi gli urlo in faccia.

Non ho tempo per i suoi giochi o per gli indovinelli.

“Non… posso” è in grado di dire… e, non so per quale strana ragione, mi ritrovo a *credergli*.

Neppure per un momento ho pensato che questa fosse un’altra trappola.

Perché?

Continuo a guardarlo sorpresa da me stessa… da quanto facilmente svenda la mia *preziosa* fiducia al più allettante degli offerenti.

Faccio un passo indietro ed poi un altro.

“Agente Scully?” sussurra quasi spaventato mentre mi allontano.

E qualcosa dentro di me scatta, e sento l’impellente bisogno di rassicurarlo.

Ma perché?!?

“… non gli permetterò di darmi il colpo di grazia…” affermo paradossalmente sicura “non senza combattere.”

Assimila le mie parole e accenna un sorriso sorpreso e compiaciuto con quelle labbra disegnate.

Annuisce piano.

E realizzo che uno strano senso di fierezza mi ha pervaso.

Mi volto e ricomincio a correre.

L’aria è meno densa.

E mi sento così maledettamente strana.

E poi finalmente capisco cosa sto provando e quasi rido di me stessa: è coraggio.

Dio.

Non sapevo di averlo perso… ma adesso so che per qualche ragione che non avrò mai modo di scoprire… l’ho ritrovato.

Coraggio.

Il coraggio è forza – realizzo scioccamente.

Corro come un soldato a ritmo delle ultime parole che ho detto a quello sconosciuto.

- non gli permetterò di darmi il colpo di grazia…non senza combattere -

le sento ancora ed ancora… e mi convinco della loro fondamentale verità.

Non permetterò a nessuno di vincermi.

A niente e a nessuno.

E senza nemmeno accorgermene, sono arrivata a casa a velocità supersonica.

Non penso sia il caso di fermarmi a fare stretching davanti al mio palazzo a quest’ora di notte, anche se ormai tutti i miei vicini hanno incominciato a dare per scontato il fatto che sia completamente pazza.

O incredibilmente sfigata, più probabilmente.

Salgo le scale a due a due e nel corridoio che porta verso l’ingresso del mio appartamento sento il telefono squillare furiosamente.

Non voglio sentire nessuno, non voglio parlare con *nessuno* - penso quasi spaventata scuotendo la testa.

Entro pigra e nello stesso tempo cauta.

La suoneria e così alta che quasi mi spacca i timpani.

Mi tolgo la felpa e decido cocciutamente di ignorarlo… ma è praticamente impossibile.

Mi avvicino al telefono, guardo l’identificatore di chiamata e mi si gela il sangue nelle vene.

E’ Mulder, cazzo.

Il mio corpo si muove autonomamente.

La mia mano raggiunge il cavo e tira forte.

Tutto il baccano cessa d’improvviso e i miei nervi rispondono sciogliendosi.

Mi butto sul divano.

Non permetterò a *nessuno* di darmi il colpo di grazia…- cantilena la mia mente - non senza combattere.

 

@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@

Continua…