Capitolo 15 - Posti

 

Una volta mi pare di aver sentito da qualche parte che l’essere umano ha la strana tendenza a costruirsi dei “posti”.

Posti ideali o reali.

Luoghi che dedica ad attività particolari.

Spazi fisici o mentali che custodiscono proprietà speciali, che hanno bizzarri poteri.

Come ‘Casa’ è sinonimo di sicurezza, il bar all’angolo della strada può essere fonte del particolare piacere/dovere umano della socializzazione e il percorso da jogging può addirittura diventare motivo di relax.

Ognuno ha un ‘posto’. Che sia fatto di pareti e mobili o di strade e alberi.

Che sia aperto quanto l’oceano o chiuso come una sauna… il luogo eletto come ‘posto’ continua a mantenere le caratteristiche che gli hanno permesso di meritare quella denominazione.

E’ dura scoprire, dopo anni di false illusioni e sciocche congetture, che non ti è mai stato concesso di averne uno.

Ed è quello che ho capito, dopo ore passate a vagare in macchina senza la più pallida idea di dove il motore caldo e la mente sarebbero state in grado di condurmi.

A seguito di un attento esame tra la miriade di ‘posti’ che pensavo di possedere, nessuno è risultato adatto per questo mio particolarissimo stato d’animo.

Forse solo l’inferno, ma dovrei morire per avvalorare questa illazione.

Anche se confesso, non senza un pizzico di imbarazzo, che il mio cervello ha sfiorato l’idea per un paio di volte nel corso delle ultime quattro ore, (la cifra si impenna in modo considerevole se valuto il corso degli ultimi sei anni), sono troppo testarda per dare al mondo la soddisfazione di liberarsi della mia presenza grazie alla mia spontanea collaborazione.

E’ naturale che qui mi stia riferendo solo al mio ‘corpo fisico’.

La mia anima è morta e sepolta e non ho neppure una data utile per commemorare l’evento.

Mentre ero inchiodata sul sedile della mia macchina, e vagavo lungo strade conosciute ma anonime, avevo la strana intenzione di impedire a me stessa di azionare il cervello più del dovuto.

Guidare, respirare dovevano essere i miei unici scopi di sopravvivenza.

Ma, ricordando di aver usato la stessa tecnica proprio prima che forze di origine ignota mi conducessero misteriosamente al Plaza Hotel, ho prudentemente abbandonato quella risoluzione.

Il risultato è che le mia labbra pizzicano al solo ricordo di quello che è accaduto tra pareti macchiate di umidità e smog, i miei occhi soffrono di disidratazione da sforzo eccessivo e la mia mente è posseduta come una vecchia casa di campagna da mille voci differenti tra cui spicca il suono caramellato appartenente alla persona che anche il mio cervello evita di nominare.

Mantenermi in movimento mi avrebbe di certo aiutata, ma non voglio sollievo in questo momento.

Allora rimango immobile e cerco miseria da sommare a miseria.

Mi costringo a provare dolore piuttosto che ira troppo imbarazzante per essere presa in considerazione.

Essere arrabbiata con M… lui… è troppo da sopportare per il mio ego sanguinante.

Mi trasformerebbe in una casalinga tradita, ed io voglio essere solo una martire adesso.

Crogiolarmi nella mie pene e sbattere fuori il resto del mondo.

Un mondo che mi appartiene tanto quanto i posti che pensavo di possedere.

Dall’alto dello sgabello di metallo il mio capo visivo abbraccia muri candidi avvolti da ombre scure, banchi spendenti e ornati da oggetti tanto infernali quanto familiari, ed una sterile barella luccicante… su cui giace il corpo esanime di Edward Jerse.

E’ coperto da un lenzuolo verde pallido tirato fino a sopra il petto.

Clavicole sporgenti, spalle allenate, collo gonfio, viso livido e capelli consistenti quanto paglia è tutto quello che posso scorgere di lui, illuminati dalla sola fonte di luce nella stanza fredda: una lampada a neon che pende come l’ascia della morte sopra a quel corpo.

Anche se l’incisione ad Y non è visibile da qui, non posso evitare di notare quando appaia… violato.

Corrotto e violentato dal mondo, così decadente e miseramente bello anche se privo di anima.

I suoi occhi sono chiusi adesso, l’espressione sul suo viso sembra quasi alleviata, come se avesse finalmente rinunciato ad aggrapparsi ad una vita che non gli appartiene più oramai.

Sembra un oggetto, quasi impagliato.

La sua bocca così livida da apparire azzurra presenta dei tagli profondi che ne intarsiano la superficie con linee marrone scuro, parallele.

Doveva avere la labbra secche prima che urlasse con tutta la forza che i suoi polmoni potevano sopportare.

Ma nessuno ha risposto al suo grido di aiuto.

*Io* avrei dovuto rispondere… ma ho perso tempo concentrandomi su me stessa invece che stare in guardia.

Lo so che non posso biasimarmi, non sono in grado di scorgere il futuro come quelle improbabili chiromanti alla tv.

E non posso neppure incolpare me stessa se non mi sento pronta ad affrontare tutto quello che è appena accaduto, se desidererei solo stringermi come uno sfortunato riccio aspettando che la prima auto di passaggio mi schiacci portandomi via dall’iniquità in cui sono immersa.

Ma sarebbe una soluzione troppo semplice… o almeno troppo semplice per me.

Preferisco rimanere ferma, allora, aspettando che ogni cosa mi scorra addosso come acque torbide mentre osservo con occhi sbarrati le labbra di un cadavere.

Labbra che ho avuto l’ardire di baciare… quando ancora erano calde e umide, vive.

Labbra di un uomo che per un frazione di millesimo di secondo mi ha amata.

Per quanto possa suonare egocentrico e narcisistico, so che è vero.

L’ho visto nei suoi occhi mentre si svuotava grato dentro di me.

Mi riempiva come da tempo immemorabile nessuno era riuscito a fare.

E’ facile amare con il corpo e la mente ubriachi di estasi e piacere, ma questo non toglie merito al fatto che lui ci abbia provato.

Ha indirizzato quel rapido sentimento verso di me, riuscendo a far scattare quella molla di fierezza e lussuria che pensavo non sarebbe mai più riuscita a funzionare, incrostata dalla ruggine e dalla polvere del tempo.

E penso di essere venuta più per quella sensazione forestiera di potere che per la stimolazione.

Gli sono grata per quell’istante.

Per avermi fatto riallacciare a me stessa nel momento in cui più ne avevo bisogno.

Anche se quella nube di euforia liberatoria ha fatto presto a scomparire sommersa dalla polvere dei vecchi schedari del seminterrato, il ricordo di quella sensazione ha sempre creato uno strano senso di calore nel mio petto.

Ed Jerse è stato questo per me… ed è tremendamente triste scontrarsi contro la certezza che *lui* non lo saprà mai.

Non so quanto questa consapevolezza avrebbe lustrato il suo ego, ha comunque interpretato un ruolo importante nella storia di ordinaria follia che è la mia esistenza….

Ma quello che ho davanti agli occhi adesso è solo un’altra pedina mangiata da un avversario senza volto e senza nome su questa scacchiera universale.

E so che in questo gioco si perde, sempre e comunque… ma qualcosa dentro di me sa per certo che non è più una scelta continuare a rimanere ritta in piedi su questa tavola che ha più quadretti neri che bianchi.

In fondo anch’io sono solo una cieca pedina, lo sono sempre stata… nulla dipende dal mio volere, anche se per anni mi sono illusa del contrario.

Mi impedisco di chiedermi cosa farò adesso… con quali attività riempirò l’inutile lasso di tempo che intercorre dal sorgere al calare del sole.

E’ disperatamente degradante scoprire che non avevo nulla se non gli x-files… ed è ancora più terrificamene rendersi conto che non li ho mai posseduti.

Stringevo infiniti granelli di sabbia sottile come sale da cucina tra dita troppo magre per bloccarne la rovinosa caduta.

Dita che adesso sto inconsciamente mordendo… come se l’unica soluzione rimasta fosse incominciare a magiare me stessa fino a sparire, imitando malamente quella serpe che orna la scialba pelle della mia schiena.

Credo persino di aver definitivamente perduto il ‘posto’ sul piedistallo d’orato che… lui… *Mulder*… aveva pazientemente costruito per me.

Una base rialzata che mi teneva lontana e distaccata dalle umane passioni che erano il *suo* modus operandi, mai il mio.

So che questo contribuiva a dare una benché minima parvenza di stabilità alla sua vita fatta di colpi di scena inaspettati.

Ed è forse per questo che ho accettato di rimanere li, in alto, lontana per tutto questo tempo.

Più probabilmente solo perché era fin troppo comodo declinare responsabilità rinchiudendomi in quel voluto limbo emozionale.

Ed è presumibilmente per la stessa ragione che mi ci sono aggrappata con le unghie e con i denti anche quando lui tentava disperatamente di strapparmi quel maledetto piedistallo da sotto i piedi.

Cercava di trascinarmi nelle acqua increspate in cui era immerso.

Per dividere il fardello, più che altro, per non sentirsi irrimediabilmente solo.

Ma mi sono rifiutata di farlo… perché l’onere era troppo alto e i guadagni troppo precari.

E’ pavido, lo so… ma questo non significa che non possa comprendere le mie ragioni.

Chiedete a chi giace nel beato purgatorio di farsi un viaggio all’inferno, sapendo che quando si calerà nelle profondità incandescenti non ci sarà più modo di tornare indietro….

Per quanto emozionante potrebbe risultare l’idea, non si può pretendere che la decisione non sia quanto meno meditata.

Oggi ho avuto un assaggio di quell’inferno - mi sorprendo a realizzare - …e le fiamme mi hanno sfiorato l’anima con una intensità che non pensavo potesse esistere.

Capisco che probabilmente ero *io* quella che aveva bisogno di tempo… ma è stato lui a chiederlo, e questo mi ha spiazzata più del dovuto.

Forse era solo stanco di spingere fuori dalla sua strada quel piedistallo.

Forse ha scoperto un modo meno faticoso di trovare compagnia nella sua vasca colma di acque scure, ed è solo troppo testardo per smettere di tentarmi.

La cosa veramente singolare è che io sia stata *gelosa* di questo.

E che lo sia ancora - riconosco.

Gelosa di chi ha avuto l’audacia, la sfrontata sicurezza di immergersi in quel maremoto anche perché protetta dalla certezza che non ne sarebbe mai stata travolta.

Non è giusto, perché io non ho mai avuto quella certezza.

Dio, sono una beata che desidera l’inferno anche se ne ha paura.

Una Dea che brama disperatamente solo di essere un semplice essere umano.

Fottutamente irrazionale, e triste.

Lui ha tirato la corda ed io l’ho solo lasciata scivolare nell’umido delle mie mani sudate di terrore.

Ma non lo sto giustificando… o perdonando.

Sono invasa da troppa rabbia e non so neppure se abbia ancora senso a questo punto.

Osservo il mio palmo, adesso, staccando lo sguardo d’improvviso dalla forma opaca sdraiata su quella barella.

Scruto la linea della vita sulla mia mano bagnata e viscosa di pianto.

Mi piace pensare di non credere a queste cose, e probabilmente non ci credo.

Ma mi sono sempre scioccamente domandata se la biforcazione netta disegnata da quelle righe scavate nella pelle del mio palmo avesse un significato.

A quale evento, a quale scelta del mio cammino si riferisse quella biforcazione.

A volte ho addirittura pensato di aver superato quell’arcano bivio, sei anni fa….

Ora riesco solo a pensare di esserci a cavallo.

Sono ferma immobile tra quelle linee unite che si separano d’improvviso e vorrei che esistesse un libretto delle istruzioni e dei piccoli rettangoli esplicativi quando fisso i miei occhi su quel punto, come quando la bianca freccia del mouse si ferma su qualche zona calda.

Ma non è così.

Non mi è dato sapere quello che succede, figuriamoci quello che succederà.

E non mi rimane che aspettare, e probabilmente troverò l’orgoglio per non chinare la testa davanti a tutto questo dolore.

Da qualche parte, seppellito nel file della persona che avrei sempre voluto essere, forse è rimasto il coraggio necessario per lasciarmi trasportare dalla corrente mantenendo una parvenza di decoro.

E’ la sola cosa in cui posso sperare in questo momento.

Già il fatto che continui a mantenere viva la fiamma della speranza è una vittoria.

Ma non ho più nulla che possa servire ad alimentare questa fiamma, se non me stessa.

Mi concedo di essere disperata, ancora per qualche minuto, poi tornerò ad indossare la mia lacerata maschera di indifferenza che non è più alla moda… forse dovrei optare per il mantello dell’invisibilità di Herry Potter… se solo esistesse ed avesse un costo adeguato alle mie finanze. 

Forse inizierò a fare dei debiti seri… quelli che hanno una lunga scia di zeri.

Incomincerò a comprare per acquietare l’implacabile fame di consumo, di distruzione.

O forse investirò il mio non-denaro in un trasloco: cambierò casa, stato, paese, pianeta… andrò alla ricerca del mio ‘posto’ come la versione femminile del pastore errante.

Più probabilmente mi raggomitolerò tra le lenzuola del mio vergine letto aspettando l’inevitabile.

Lo so, ho pensieri da pistola in bocca in questo momento… ma non credo che qualcuno possa osare biasimarmi.

Sono quasi decisa ad alzarmi da questo covo… anche se ho le gambe più intorpidite dei sensi, sono cosciente del fatto che non posso rimanere qui tutta la notte.

Sarebbe spettrale, come minimo… stupido, forse; sicuramente inutile.

Stacco il sedere dal metallo ormai caldo e osservo i miei piedi appoggiati a terra con il vano intendo di aumentare la circolazione con l’intensità dello sguardo.

Non funziona.

Alzo la testa per prepararmi a dare l’ultimo e teatrale saluto ad Ed Jerse…

Quando li vedo….

E dallo spavento faccio un balzo indietro costringendo lo sgabello a rovinare a terra.

Il pesante rumore del metallo sulla ceramica mi fa sobbalzare ancora come se fossi stata colpita da un proiettile.

Due occhi vitrei mi fissano nascosti dalle ombre scure.

Cazzo.

Il mio respiro diventa improvvisamente affannato e il mio cuore incomincia a battere furiosamente ad altezza gola.

“Cazzo” rantolo.

“Non volevo spaventarla, Agente Scully” sento un sussurro colpevole mentre si avvicina uscendo dall’oscurità.

Io mi allontano piano e quasi rido….

Dio, sono in un obitorio, è notte inoltrata, sono in vena palesemente introspettiva davanti al cadavere di un uomo e pretendeva che non mi spaventassi vedendolo comparire dal nulla come uno spettro?

E’ lui, merda… il Signor Nessuno.

Ci siamo incontrati in troppe occasioni nell’ultimo periodo, io e questo sconosciuto…. - realizzo, anche se la parola *incontrati* sembra piuttosto fuori luogo dal momento che me lo ritrovo appiccicato ai piedi come l’ombra di Peter Pan in *occasioni* che non posso proprio definire rosee.

“Non voglio ascoltarla” gli comunico dura, solo per superare l’evidente imbarazzo di essere stata sorpresa in un momento molto intimo con un mio passato amante.

Abbassa la testa colpito dalla mia resistenza, ma la rialza immediatamente piantandomi quegli occhi maledettamente chiari sulla faccia.

Mi si blocca il respiro, merda.

Quando si schiarisce la voce per incominciare a pontificare mi rendo conto che probabilmente si era preparato ad una mia reazione asociale.

“So che è un momento difficile per lei, Agente Scully-”

“Ah… lo sa…?” lo interrompo quasi sarcastica.

Lui mi ignora apertamente “e so che l’ultima cosa che desidererebbe in questo momento è avere questa conversazione…”

Che intuito, mi complimento.

Con tutta probabilità glielo comunico con lo sguardo, perché quella sua bocca si curva impercettibilmente.

La sua espressione sembra costernata come quella di un parente di settimo grado del morto ad un funerale.

Mi sale la nausea se penso che la vista di me provochi cordoglio.

Ha ragione però, non voglio avere questa conversazione.

Non voglio sentire più nulla.

Scuoto la testa e mi avvio a lunghi passi verso la porta del laboratorio.

“Non mi costringa ad inseguirla” bisbiglia autoritario quando gli passo accanto.

Il suono di quella voce è così universalmente seducente che non posso non esitare.

Vacillo e lui trova spazio per continuare “è stata una mossa piuttosto azzardata da parte mia arrivare fino a qui per poterla incontrare, Agente… non l’avrei mai fatto se non lo avessi ritenuto importante…”

“Importante per chi?” ringhio.

“Per *lei*” ribatte immediatamente mentre si volta piano verso di me “Soprattutto per lei….”

Questo attira definitivamente la mia attenzione.

Non spreco preziose parole e lo interrogo con gli occhi.

Non ho idea di come sia successo, se sia stata io oppure lui a fare qualche passo di troppo, sta di fatto che adesso siamo incredibilmente…*vicini*…. Così vicini che se non si da una mossa e non dice quello che deve dire molto presto, domani sarò costretta a rimanere a letto per il torcicollo (non che abbia molte altre alternative comunque).

“Le avevo detto quello che stava per accadere… ma le avevo anticipato l’inevitabile, Agente Scully… ”

Mi domando se abbia il dono della chiaroveggenza o se sia solo un uccello del malaugurio.

Un bellissimo uccello del malaugurio - devo costringermi a non aggiungere - un uccello del malaugurio con piume dorate e occhi trasparenti e… Dio… una voce incredibilmente avvolgente… ops… il paragone non calza più.

Continua ignaro di quello che passa sotto la mia fronte corrucciata “… ma ora arriva la parte più difficile…”

Un sospiro tra il disperato e l’annoiato mi esce furtivo dalla gola.

Che altro c’è adesso?

Mi pignorano la casa?

Vendono i miei malconci organi nel mercato clandestino cinese?

Diavolo, non so più che cazzo aspettarmi.

“Fino ad ora quello che è accaduto e quello che *non* è accaduto non è dipeso da lei e tanto meno dalla sua volontà… ”

Già - quasi sorrido - Non è certo una novità.

“… e nemmeno dalla volontà dell’Agente Mulder… ” aggiunge allusivo immergendo una mano sicuramente infetta nelle mie ferite aperte.

Quasi ansimo.

“Non è giusto biasimarlo… come non è giusto biasimare *se stessa*.”

Che cazzo è? Una seduta di terapia gratuita? - penso troppo confusa per essere indignata.

Continuo a fissarlo sbigottita.

“Ma *adesso*, Agente… quello che accadrà o non accadrà potrà dipendere anche dalla sua volontà in merito…”

Non sono convinta che sia un passo avanti.

“Parli chiaro” lo sprono acida.

Distoglie quello sguardo da me per qualche secondo come per raccogliere i pensieri prima di tornare ad accecarmi.

“Si tenga lontana dall’Agente Mulder” sentenzia secco “più che può”.

Un pugno in bocca; “Cosa?” gemo.

“Ha capito, Agente Scully… non è *prudente* per lei… non adesso.”

Cosa?

COSA?

“Cosa?” inconsapevole ira crepa la mia voce.

Il bello sconosciuto rimane intrappolato come in un fotogramma fisso mentre lo osservo stranita.

Qualcosa che penso sia rabbia e/o paura mi sale dallo stomaco, mi avvicino minacciosa  “… lei arriva dal *nulla*… e si arroga il diritto di dirmi quello che *devo* o *non devo* fare mettendo questi ‘comandi’ sotto forma di arcani consigli da *amico* di cui non so né nome né posizione… e pretende che stia ad ascoltarla… lei deve essere completamente matto” concludo espirando e mi volto in direzione della porta.

“Forse lo sono” mi blocca e la rabbia della sua voce si trasforma in una scossa che mi percorre dalla testa fino a scaricarsi a terra.

Mi giro di colpo.

“Agente Scully” inizia e si avvicina mentre fisso gli armonici lineamenti del suo viso contorti appena dall’ira “… si è resa pienamente conto della sua posizione, in questo momento? Sa di non può sperare in nessun tipo di protezione federale? Sa che esiste un file che contiene il nome di trenta donne tra cui il *suo*… e che *questa* persona è morta per quei maledetti files?” quasi urla indicando con un plateale gesto il cadavere rigido di Ed.

Rimango pietrificata.

La mia mascella si serra di scatto.

Un onda di dolore percorre la lunghezza del mio esofago e mi si ferma in gola sotto forma di nausea.

E’ più forte di me, devo abbassare la testa.

Espiro.

Sento i tratti del mio viso che si stringono indignati, offesi e colpevoli.

Sono cosciente del fatto che non posso più alzare la testa adesso, almeno non fino a quando non sarò completamente sola.

“Agente Scully…” mi chiama ed è così mortificato che una vampata di vergogna e pena mi attraversa.

Rimango con il capo chino e gli occhi serrati, non ho altra scelta.

Lo sento immobile davanti a me.

So che la mia reazione è solo amplificata della mia attuale condizione mentale.

So che la Scully di una settimana fa sarebbe già fuori da questo laboratorio, al momento, e magari si sarebbe presa anche la soddisfazione di dargli una ginocchiata nelle palle per sottolineare la sua indignazione.

Ma è un pensiero futile, questo, quella Scully non esiste più oramai.

“Come le ho detto” incomincia con eccessiva cautela “non sono venuto qui per spaventarla…” sussurra “… ma non penso che le sia sfuggita la gravità della situazione…. E’ in pericolo, Agente Scully… questo lo sa… e il solo modo di arginare questa minaccia in *questo* momento è mantenersi alla larga dall’Agente Mulder e da tutto quello che rappresenta…”

“Perché?” bisbiglio.

Non risponde.

Il silenzio diventa compatto nella stanza… pressa sui miei timpani quasi fino a fischiare.

Raccolgo quello che penso sia un briciolo di forza e alzo la testa.

Inspiro aria viziata fino a riempirmi i polmoni e poi la rilascio lentamente.

Lo osservo, e lui risponde al mio sguardo ed è fin troppo affranto, apprensivo e preoccupato.

C’è qualcosa che non quadra qui.

“Perché è così importante da costringerla a correre tutti questi fantomatici *rischi* per venire a dirmelo?” specifico bruscamente.

Ancora non risponde.

Continua solo a guardarmi.

Mi avvicino.

“Perché *tutto* questo è così maledettamente importante da spingere chiunque stia nell’ombra a sacrificare vite… In nome di che cosa? Cosa CAZZO sta succedendo?” insisto come caricata a molla “E perché *lei* si sente in dovere di arrivare fino a qui, pretendendo di darmi *consigli* anche se SA che non li seguirò *mai*.”

Questo lo compisce abbastanza da fargli sbattere le palpebre.

Una, due volte.

“Lei… *lei* è importante, Agente Scully” dichiara calmo e serio.

Inspiro seccata, anche se non credo che il suo obiettivo sia lusingarmi.

“Cazzate” espiro prima di voltarmi ancora una volta in direzione della porta.

“E’ in serio pericolo…” si affretta a replicare… eccessivamente accorato “è vero, le sto chiedendo di *fidarsi* di me… le sto chiedendo di stringere i denti e di aspettare… le sto chiedendo di fare qualcosa che va contro la sua stessa natura: voltare le spalle agli *x-files*… ma lo *deve* fare, perché da questo dipende la *sua* vita, Agente Scully…” si ferma, sospira “e quella dell’Agente Mulder….” Termina piano.

Un nodo mi stringe la trachea.

Sto soffocando.

Mulder, merda.

“Non può aspettarsi che lo faccia, senza avere il minimo indizio sul *perché*” è quello che riesco a dire attraverso la mia gola serrata.

“Lei sa perché, Agente…”

La sicurezza con cui afferma questa stronzata mi costringe a voltarmi di nuovo e a folgorarlo con sguardo cattivo.

E’ troppo sicuro di quello che dice - è troppo certo che ogni consapevolezza risieda dentro di me come se fossi un novello oracolo.

E tutto questo potrebbe anche essere remotamente accattivante se non risultasse così dannatamente fuori luogo ora che sono nella merda fino al collo e che non ho la più pallida idea di quello che sta mi ballando la danza della morte intorno.

La sua voce si abbassa di un paio di toni quando sussurra “lei lo sa… lei lo *sente* che stanno arrivando….”

Cosa?

Oh. Dio.

Ingoio ed indietreggio.

Le mie spalle colpiscono d’improvviso la porta e sobbalzo.

Oh. Mio. Dio.

La lama della paura mi colpisce in pieno addome quando realizzo a cosa si sta riferendo.

Le agghiaccianti immagini di quando mi sono ritrovata in quella dannata macchina di fronte al Plaza senza la più remota idea di come ci ero arrivata.

Le onde di paura e l’oscuro terrore che avevano pervaso la mia mente sconvolta mentre guidavo come in trance attraverso la periferia di Washington.

Stanno arrivando, allora?

Ma chi? Cosa? Perché?

Sotto lo sguardo terrificato di quello sconosciuto le domande rimbalzano tra le spesse pareti del mio cranio e *devo* spalancare la porta e fuggire.

E’ la sola cosa che riesco a fare ultimamente, lo riconosco.

Scappare è l’unica soluzione.

Una mano fredda e ghiacciata scivola sulla pelle bollente del mio collo.

Sobbalzo perché per millesimi di secondo non l’ho nemmeno riconosciuta come *mia*.

Lo *sento*, sotto le dita, nella mente…. Stanno arrivando….

Stanno arrivando… *per me*.

Dio.

Scuoto la testa e prendo fiato perché non posso permettermi di cedere al panico.

Non adesso.

Ma sarò abbastanza forte da non credere alla parole sussurrate di quel Signor Nessuno?

O dovrei credere a questa agghiacciante verità?

Questa verità seppellita nella pelle del mio collo e nei recessi della mia mente da *cinque* anni?

Corro come una perseguitata lungo il corridoio ed esco dalla porta principale.

L’aria gelida non riesce ad intaccare il calore generato dall’angoscia.

Mi chiedo se è saggio seguire quelle *direttive* che mi esiliano da un ‘posto’ che ormai non mi appartiene più formalmente ma è così dannatamente radicato in me che il solo estirparlo dalla mia esistenza mi rende vuota come un foglio di carta.

Mi chiedo se avrò abbastanza coraggio, o forza d’animo per farlo o se non avrò mai scelta in merito.

Mi domando se la mia presenza nella vita di Mulder lo abbia messo in pericolo più di quanto la sua nella mia.

Mi domando da quanto tempo.

Immobile come un brutta statua davanti alla portiera della mia auto, appoggio la testa sopra il freddo metallo, sconfitta e sopraffatta da tutto.

Mulder è in pericolo?

IO ne sono la causa?

E ancora più importante: vale la pena voltare le spalle a tutto quello in cui ho creduto da quella che sembra una interminabile eternità *solo* per posticipare l’inevitabile?

 

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Continua…