Capitolo 16 - Guerra
Giro la chiave nella
serratura cauto.
So che non è in casa in
questo momento e non posso neppure incominciare a domandarmi dove sia.
Ma so che è questo il
posto in cui tornerà, prima o poi, e sono deciso ad aspettarla.
Il suo appartamento sa
essere più spettarle del mio, a volte.
Scuro e antico e vuoto
come una vecchia cascina infestata dai fantasmi.
Chiudo la porta alle
mie spalle ed entro riverente.
Ho un motivo per essere
qui.
Ho sempre un motivo
valido quando varco questa soglia, come se fosse una password necessaria.
Come se non mi fosse
permesso invadere questa proprietà per una ragione futile come il puro piacere
della compagnia.
Quasi per incosciente
vendetta decido di mettermi comodo, di togliermi la spessa giacca di pelle e
appoggiarla malamente sulla spalliera di una delle sedie del salotto, di
lanciare la chiave della mia macchina con distrazione sopra il lungo tavolo
scuro.
Sospiro quando mi siedo
sul divano e prendo in mano il telecomando.
Accendo la tv: ho la
netta impressione che sarà una lunga attesa la mia.
Tolgo tutti i suoni
perché non ho intenzione di prestare interesse, ma le immagine proiettate sullo
schermo hanno sempre avuto per me l’effetto di far scorrere il tempo più
rapidamente.
Il motivo della mia
presenza qui è semplice quanto sconvolgente.
Una volta ripresomi dal
roller coaster ormonale provocato da quel bacio rubato nel tetro parcheggio del
Hoover Building - è un eufemismo, perché ho la ferma certezza che non sarò mai
in grado di riprendermi da quello shock - il ritorno nel vecchio ufficio del
seminterrato è stato tutt’altro che disteso.
Una Diana evidentemente
imbarazzata - forse per la prima volta in tutta la sua vita - dalla vista di
quello che la mia espressione doveva trasmettere fin troppo palesemente, mi ha
comunicato con cautela che una certa Susan Leight, di Phonex sarebbe dovuta
essere di ritorno tra le mura domestiche tre giorni fa.
E non l’ha fatto.
La scomparsa di una
donna non si può considerare un x-file a meno che sia ricollegabile ad un caso
già aperto.
In *questo* caso il
nome di Susan Leight risulta presente nel terzo paragrafo del secondo foglio della
lista per cui Edward Jerse ha meritato la morte.
Jones suicida, Leight
scomparsa.
Siamo a quota due.
A dirla tutta la
notizia non mi ha sorpreso più del necessario, ma mi ha spaventato a morte.
Mi ha fatto realizzare che
per quanto la situazione sia già complicata di per se, non mi è permesso di
sperare in una tregua.
Sono in una trincea
scoperta e non posso smettere di stare in guardia fino a quando le bombe
continueranno a cadere.
E non posso neppure
aspettare di comunicarle la notizia domani mattina alla nove in ufficio, perché
Scully non varcherà quella soglia.
Per adesso… o forse per
sempre.
Anche se ancora non
riesco a crederlo possibile, è la realtà dei fatti.
Tutto quello che mi
circonda precipita inesorabilmente, ed è troppo anche chiederne la causa.
Quei files sono
coinvolti nel processo, quella donna morta e quella donna scomparsa.
E visti gli ultimi
sviluppi della situazione, non posso più vivere nel diniego, evitare di
prenderla in considerazione come una evenienza reale: Scully è coinvolta, e
minacciata dalla stessa, identica eventualità.
So che *devo* fare
qualsiasi cosa in mio potere per preservarla, proteggerla.
So che non devo
abbandonarla. Ora, mai.
Ma la sua presenza
nella sua vita vacilla come la fiamma di una candela, in questo istante, ed è incredibile come la mia mente si
rifiuti persino di valutare l’idea come ipotesi.
Dell’impossibile
equazione matematica della mia esistenza Scully è sempre stata la costante.
Non importa quanto le
variabili diventassero ingovernabili e i risultati astrusi, lei era il limite
che tendeva a *me*.
Per quanto la funzione
fosse praticamente impossibile da disegnare senza invadere dimensioni mai
esplorate, lei ha sempre intravisto la speranza di far quadrare i conti.
E’ il suo merito.
E’ quello che ha fatto…
e quello che *dovrà* continuare a fare per me, per il semplice motivo che non
posso più fare a meno delle sue direttive, dovessi pure vendere la mia anima al
fine di tenerla al mio fianco.
Mi sono illuso, in
passato, che perdere Scully sarebbe stato doloroso ma non mortale.
Oggi non ne sono più
tanto sicuro.
Ho commesso un
fondamentale errore valutativo, mi era convinto che Scully fosse immune a tutto
tranne che a me.
Non è così, e in questo
istante trovo incredibilmente stupido il fatto di averlo solo pensato.
La sua pelle non è
nastro isolante.
La corrente viaggia
attraverso il suo copro tanto quanto tutti noi.
La sua posizione su
questo campo di guerra è tanto compromettente quanto la mia, il suo ruolo
fondamentale quanto quello di tutti coloro che ho sempre considerato come i
protagonisti del conflitto.
Non commetterò mai più
questo errore.
Ed ho intenzione di
dimostrarglielo, stasera, domani… sempre.
Ho sempre pensato che
se fossi stato in grado di mantenerla lontana abbastanza, se l’iniquità che mi
ha costantemente fatto da ombra non avesse mai intaccato la sua vita, con tutta
probabilità sarebbe rimasta al sicuro.
Mi sono stupidamente
convinto che bastasse privarla di una fottuta scrivania, di una targhetta, e di
tutti i gradi e le medaglie che si è sempre guadagnata, per evitare che
prendesse un ruolo nel mio personalissimo incubo.
Sono stato un idiota,
perché Scully ne è diventata inconsapevole protagonista… ed è tutta colpa mia.
Volevo tenerla distante
da quello che ero e quello che facevo e nello stesso momento pregavo che si
prendesse la mia anima.
O, come minimo, che mi
aiutasse a trasportarne il peso.
Ma Scully è stata
furba, o più probabilmente solo pazza, ed ha accettato la mia mente e le mie evidenti
limitazioni, ha eluso quella porta che tenevo così prudentemente sbarrata, e si
è intrufolata dalla finestra prendendosi il mio cuore nel processo.
Ed anche se
disperatamente pericoloso e sicuramente sconsiderato, Scully non ha più la
facoltà di uscire adesso.
Per quello che le è
accaduto.
Per quello che accadrà.
Per quello che è ed è
diventata.
Perché quello che è
diventata per me.
Quando sento i passi
lungo il corridoio non sono allarmato, solo nervoso.
Non mi domando cosa le
dirò, prepararsi una tecnica d’attacco è fuori luogo a questo punto del gioco.
Mi costringo a
rilassare la schiena sulla morbida spalliera del divano che ha il colore della
sua pelle.
Mi riempio gli occhi
della luce innaturale proveniente dallo schermo ed aspetto che si decida ad
entrare.
Lo fa.
Gira la chiave nella
serratura, calma.
Sa che c’è qualcuno
dentro il suo appartamento e sospetta di certo che quel qualcuno sia io.
La sua cautela non è
paura, allora… e mi chiedo cosa sia.
Forse è solo fastidio…
forse la mia presenza le da fastidio.
So di meritarlo, ma non
posso impedire che il pensiero mi ferisca.
Come siamo arrivati a
questo punto?
Come si può tornare
indietro?
Ma più importante e
sicuramente più utile: come si può andare avanti?
Il rumore delle sue
scarpe sul pavimento aumenta di consistenza quando è finalmente dentro
l’appartamento.
Non oso muovermi anche
perché sono sottilmente incuriosito da quale sarà la sua reazione.
In verità mi aspetto
una sua reazione.
Se non dovesse più
reagire a me, significherebbe che questa è inesorabilmente la fine.
Non posso neppure
pensarci.
Al fruscio della stoffa
della sua giacca che viene riposta sull’attaccapanni all’entrata, segue in
tintinnio delle chiavi che vengono appoggiate sopra uno dei ripiani.
Continuo ad aspettare.
Ho la netta impressione
che sarà tutto più semplice se evito di alzare lo sguardo su di lei, per un
po’.
Vaga per la casa per
qualche minuto e probabilmente sta prendendo tempo raccogliendo la posta sparsa
sul pavimento.
Non si avvicina.
Non dice nulla con quel
suo tono falsamente seccato che usa per coprire l’evidente sorpresa che le
provoca la mia presenza al di fuori delle ore che istituzionalmente dobbiamo
trascorrere insieme.
Mi rendo conto che
sarebbe più coerente usare il passato a questo punto, ma come al solito il mio
cervello si rifiuta di farlo.
Sospira.
Io credo di aver
dimenticato di respirare durante il paio di muniti appena trascorsi, non che
abbia più importanza che lo faccia oppure no.
Si è rassegnata alla
mia presenza, mi sembra di percepire, perché si avvicina al bracciolo del
divano, quello opposto a dove sono seduto io,
e rimane ferma li.
In piedi ed immobile e
mi guarda.
Io scorgo i contorni
della sua figura con la coda dell’occhio e deglutisco.
Passano minuti in cui
nessun rumore invade questo silenzio, nemmeno quello dei nostri respiri.
“Susan Leight è scomparsa” riesco a dire, il
mio tono di voce rispecchia in pieno il mio umore.
Non mi preoccupo di
puntualizzarle che faceva parte della lista, anche perché sono certo che
sarebbe in grado di recitare quei nomi in ordine alfabetico.
Ho l’impressione di
sentirla trasalire.
Proseguo piano “tre
giorni fa, è andata a lavoro… e non è più tornata a casa….”
Rimango in silenzio e
inconsciamente aspetto che chieda spiegazioni, come fa sempre del resto.
Ma mi sorprende, perché
rimane immobile.
Trovo il coraggio di
voltarmi per la prima volta verso di lei solo per scoprire che in realtà non mi
sta guardando.
Il suo viso è rivolto
in direzione dello schermo luminoso e muto.
Le sue spalle sembrano
fin troppo magre fasciate da quel tessuto ora viola sotto la scarsa
illuminazione, la sua pelle è bianca e lucida come carta da Fax e i suoi occhi
sono vitrei, per quello che riesco a scorgere.
Mi domando se mi abbia
ascoltato, non credo di avere la forza di ripetermi.
Decido di dare per
scontato che sia stato in grado di attirare la sua attenzione, almeno in parte,
così continuo “… è accaduto presumibilmente in un orario compreso tra le
diciannove e le ventuno di martedì sera… nessun indizio, nessuna traccia, nessun
messaggio dai rapitori”, so che suona stupido puntualizzarlo, ma è sempre un
caso di scomparsa… c’è una prassi da seguire.
Anche questo non
provoca la benché minima reazione e finalmente la tensione si tramuta in paura.
Vederla così statica,
avendo la consapevolezza che all’interno di quella sua testa una giostra di
paure e ire e sentimenti indecifrabili fanno a gara per nascondersi, mi
terrorizza.
Rimango come in attesa
per qualche lunghissimo secondo, assorbendo la linea netta del suo profilo
chiaro contro il nero circostante.
Ed all’improvviso tutto
questo diventa insopportabile.
“Scully?” la chiamo,
non penso di essere riuscito a mitigare nemmeno uno degli stati d’animo che mi
pervadono in questa parola.
Ottengo una reazione
però, quasi sospiro… di certo non mi tranquillizzo.
Scully è percorsa da un
forte brivido, ma non si volta, non respira.
Sbatte le palpebre.
Una potente sensazione
di frustrazione mi invade.
Questo che ho davanti agli
occhi non può essere la sola cosa rimasta del mio rapporto con Scully.
Questa tensione… questo
mutismo… questa forzata indifferenza.
“Scully” ripeto e nella
mia voce è ben chiara la vena di disperazione.
Si volta in mia
direzione quasi di scatto ed io non posso non trasalire.
I suoi occhi traslucidi
ed irriconoscibili fissano un punto indefinito tra il mio mento e il mio petto.
Il suo viso è
intagliato nel ghiaccio.
Riesce a modulare un
tono abbastanza convincente quando afferma dura “non faccio più parte degli
X-files”.
Dio.
Questa constatazione
diventa un’ideale pugnalata.
Un’acuta fitta di
dolore… così totale che non ho idea da dove parta e dove arrivi.
Mi trafigge.
Capisco che era il suo
obiettivo, che voleva colpirmi.
C’è riuscita,
maledizione.
Non riesco a impedire
alla mia testa di rivolgerle un cenno sicuramente sgarbato, mentre espiro
dolore e mi rimetto di fronte alla tv.
Non so che diavolo
rispondere a questa, realizzo.
“Non è così semplice…”
mi sorprendo a sussurrare, il mio tono indurito.
Lei sa cosa intendo.
Non è come aprire una
porta e poi chiudersela alle spalle.
Ci sono troppi aspetti,
troppo eventi, troppi *sentimenti* coinvolti.
E lei sa che non
basterà una sospensione e neppure la forza della sua rabbia diretta verso di me
a permetterle di cambiare strada.
Dio, vorrei che fosse
così semplice… ma non lo è.
Passano altri
interminabili, densi e carichi minuti di silenzio costretto.
E finalmente sono certo
del suo deliberato intento di *punirmi* quando la sento asserire secca
“Intendevo quello che ho detto, oggi…”
Ed immediatamente il
suono arido di quel ‘ora lasciami in pace’ invade come un’armata la mia mente.
Non posso impedirmi di
spalancare la bocca, inorridito più che dalle parole, dalla freddezza con cui è
riuscita ad amministrare il suo tono di voce.
Prendo fiato e mi rendo
conto che mi ha ferito.
Gravemente.
Scully mi sta
scivolando tra le dita, la sto perdendo… cazzo.
Ora. Adesso. In questo
preciso istante.
Non pensavo sarebbe mai
successo, ma sta accadendo… proprio *adesso*.
Il mio cuore smette di
battere stringendosi in un pugno.
Sento la pelle del mio
viso come gesso umido che si rapprende.
“Anch’io” bisbiglio
inconsapevole.
Si, anch’io intendevo
quello che ti ho detto.
E quello che *non* ti
ho detto, ma che nel corso dell’ultimo anno è diventato così disperatamente
evidente da rendermi persino ridicolo.
E intendevo anche
quello che pensavo di averti dimostrato… con quel bacio… quel *bacio*.
Non può cavarsela così
facilmente, nessuno di noi due può… non più, oramai.
“Vattene” sussurra
d’improvviso, e realizzo che sta tremando.
Lo sento nella sua voce
prima di vederlo riflesso sul suo corpo quando mi volto sgomento verso di lei.
Guarda ancora un punto
che non posso definire, le braccia strette intorno a se stessa come per proteggersi
da quello che ha appena detto.
Non riesco neppure a
pensare che possa volerlo veramente.
“Vattene” ripete
cercando di metterci tutto quel poco di autorità che le è rimasta.
Non ci riesce.
Ma quando mi guarda
negli occhi per la prima volta da quella che sembra una eternità il messaggio
che recepisco è tanto chiaro quanto agghiacciante.
‘Per favore… vattene’
mi dicono i suoi occhi, sotto forma di ferma supplica e disperata rabbia.
Cerco di mantenere il
contatto tra i nostri sguardi per tutto il tempo che sono in grado di
sopportare.
Ma fa male, quello
sguardo, e le mie palpebre diventano pesanti per lo sforzo e per il dolore.
Chiudo gli occhi, li
chiudo stretti e il gesso sul mio viso diventa finalmente solido.
Lo vuole - realizzo -
lo vuole veramente.
Il mio corpo si stacca
dal divano senza preavviso.
Le mie mente lo segue
solo per l’illusoria sicurezza che solo fuori di qui mi sarà concesso
ricominciare a respirare.
O forse incominciare a
piangere.
Supero il divano dalla
parte opposta in cui lei è immobile, stretta e piccola abbracciata da se
stessa, con quello capo chinato verso terra, che aspetta solo che esca da
questa casa… dalla sua vita.
Me lo ha chiesto… ed è
quello che devo fare.
Faccio due o tre passi
fin troppo rapidi verso la porta, solo per il fatto che non so quanto ancora
sarò in grado di trattenermi, ma poi mi blocco.
Solo dopo essermi
fermato mi rendo conto del perché.
Dio, questa ha tutta
l’aria di essere la fine.
Una fine, merda.
Una fine a cui non sarò
mai preparato e che sono condannato a non accettare mai.
Ed è proprio *ora* che
sento di non avere più nulla da perdere.
Non riesco neppure
prendere in considerazione che cosa rimanga senza *questo*… senza… lei.
Mi volto. Un movimento
lento e deliberatamente misurato.
E sono sorpreso quando
incrocio i suoi occhi. Posso scorgere nel profondo di quello sguardo
un’impercettibile velo di sorpresa e di… aspettativa.
Ma forse mi sto
sbagliando, forse vedo solo quello che voglio vedere… come sempre, del resto.
Mi avvicino e Scully
distoglie quello sguardo da me e volta il viso verso le spesse tende chiuse
della finestra grande.
Mi scoraggia, ma non mi
ferma.
Non ho più nulla da
perdere, non è così?
Se questa deve essere
la fine, voglio che Scully abbia il coraggio di proferire un vero addio.
E’ fin troppo semplice
scegliere una strada quando sono l’ira e la paura che ti indicano la direzione.
L’unica speranza che ho
di trovare pace in questo istante è sapere che quello che sta accadendo sotto i
miei sensi sia quello che Scully
*realmente* vuole.
So che possiede la
forza necessaria per rinunciare a tutto quello che la mia presenza nella sua
vita ha comportato e comporta… e probabilmente sarebbe la cosa migliore.
Ma quello che voglio
sapere e se è pronta a rinunciare a *me*.
Io… Mulder.
Dio. Ho bisogno di
saperlo.
Non so qual è il modo
giusto per scoprirlo, non so neppure se esista un modo.
Non mi preoccupo più
del fatto che potrei farle del male, stiamo sanguinando entrambi… e non si può
essere più feriti di così.
Invado il suo spazio
mentre il suono del battito del mio cuore rimbomba sui miei timpani.
Mi fermo quando siamo
uno di fronte all’altra… così vicini che posso sentire il calore della sua
pelle sulla mia.
Rabbrividisce ed io sto
tremando.
Ha ancora il viso
voltato solo per convincersi che non possa vederla mentre serra le palpebre
percorsa da una fitta di quello che penso sia dolore.
Anche le sue labbra
sono chiuse ed inspira ed espira profondamente dal naso, per trattenersi,
credo, per non allungare quelle braccia ora conserte e scagliarmi nell’angolo
più lontano di questa stanza, di questo pianeta.
Lo vuoi veramente? -
continuo solo a pensare.
E’ possibile?
E’ veramente possibile
che stia accadendo?
Vorrei prenderle il
viso tra le mani e costringerla a guardarmi.
Vorrei trasportarla tra
le mie braccia con la poca forza che mi rimane.
Vorrei.
Ma non posso… non so se
sarebbe il caso, non sono certo di avere ancora il diritto di toccarla.
“Mi dispiace” bisbiglio
invece e mi rendo improvvisamente conto di essere sull’orlo del pianto.
Ingoia aria.
I lineamenti del suo
pallido volto si stringono attorno ai suoi occhi serrati.
“Mi dispiace, Scully…
mi dispiace di averti ferito.” Continuo e so che mi ha sentito anche se la voce
mi ha abbandonato a metà frase.
I suoi occhi si aprono
in una fessura trasparente, mentre dischiude le labbra e le muove piano.
“Mi dispiace di essere
causa di tutto questo dolore.”
Una mano bianca si
muove d’improvviso e sale immediatamente per coprirle le labbra, sussulta.
“Vattene”, il suono di
quel sussurro spezzato arriva distorto da sotto quelle dita tremanti.
“Mi spiace di aver
tradito la tua fiducia e di aver commesso tutti questi errori.” Ammetto e sono
certo che lei sappia quanto coraggio stia bruciando per dire queste
terrificanti verità.
“Vattene Mulder” mi
supplica e poi stringe quella mano sulla sua bocca come per trattenere un
gemito e abbassa la testa quasi fino a sfiorarsi il petto con il mento.
Distrutta.
Dio, non può volerlo davvero.
“Non avrei dovuto
permettere che accadesse, non sono stato abbastanza prudente o anche solo
onesto nei tuoi confronti e mi dispiace.” Continuo a bisbigliare.
Le sue spalle si alzano
e si abbassano e realizzo che sta piangendo.
“Mi dispiace Sc-culee di
averti fatto del male” mi sorprendo a gemere… anch’io sto piangendo “ma anche
tu hai fatto del male a me”.
Si irrigidisce e
trattiene il respiro come se l’avessi colpita.
E non riesce a bloccare
quel gemito che le scivola dalle labbra mentre i suoi occhi si svuotano
d’improvviso.
Lo sa che mi ha ferito.
Oggi, in quel maledetto
parcheggio.
Adesso, qui.
E nel corso dell’ultimo
anno, ripetutamente.
Lo sa che ci facciamo
del male di continuo, aggressivi come animali in gabbia, solo perché non
abbiamo il fegato di accettare quello che è, né tanto meno quello che potrebbe
diventare.
Ascolto il suo pianto e
il mio per istanti fin troppo lunghi prima di staccare le braccia dai miei
fianchi e circondarla.
Non mi preoccupo di
essere respinto solo perché il desiderio di toccarla è troppo forte per essere
arginato.
Forzo la sua testa con
una mano sopra la mia spalla mentre l’altro braccio la tiene salda dalla
schiena.
E’ rigida, ma non
oppone resistenza… ed è un buon segno.
Penso solo che sia
esausta, di tutto.
Appoggio naso e labbra
sui suoi capelli che hanno un odore indefinito di fiori ed erbe e svuoto i miei
occhi e la mia anima.
Dio, mi mancava.
Toccarla, sentirla,
solo adesso mi rendo conto di quanto ne avevo bisogno ….
Di quanto eravamo lontani…
e di quanto ancora lo siamo.
Il calore umido del suo
respiro scalda la mia spalla.
E, Dio, vorrei dirle
qualcosa adesso.
Vorrei trovare parole
adatte che la inducessero ad abbracciarmi la vita e tenermi stretto.
Che mi rendessero
innegabilmente chiaro il fatto che mi abbia capito, perché non oso neppure
pensare che mi abbia perdonato.
Ma è impossibile.
Frustrato dalla mia
stessa difficoltà, le mie mani si spostano sul suo capo e costringo il suo viso
a voltarsi verso il mio.
Appoggio la mia fronte sulla
sua in modo che l’incredibile vicinanza mi renda impossibile scorgere segni di
dubbio, paura o rifiuto nella sua
espressione.
Non potrei sopportarlo,
non adesso, non ora che mi sento così irrimediabilmente scoperto, più nudo di
come non lo sia mai stato.
Respiro sul suo volto e
aspetto che arrivi l’ispirazione, invece.
Che qualche fulmine
rischiari la mia mente offuscata e mi manifesti quello che sarebbe più
opportuno dire, in questo momento.
Ma non arriva nessuna
illuminazione e limito a rubarle il respiro.
E giuro che sto
boccheggiando.
Rimaniamo così per
intensi minuti e le mie labbra continuano a muoversi in cerca di parole, fino a
quando Scully si accorge della battaglia che sta avendo campo nella mia mente e
sorprendentemente le linee della sua bocca si piegano appena.
Lo so che può sembrare
irrimediabilmente buffo.
E lei è, DIO,
disperatamente bella mentre piange con le labbra curve in un ombra di sorriso
incerto.
Penso che sia confusa o
addirittura sotto shock.
Penso che sia
finalmente riuscito a renderla irrimediabilmente insana.
Perchè penso, DIO,
penso che mi abbia perdonato, o che almeno ci stia provando.
E non posso credere che
sia vero.
Il cuore mi si comprime
dolorosamente nel petto e qualcosa dentro di me scatta d’improvviso.
Sono così grato e
abbagliato da quell’accenno di sorriso che devo bloccarlo.
E lo faccio con le mie
labbra.
Rabbrividisco forte e
lei trasale sulla mia bocca.
Assaggio di nuovo il
sapore della sua pelle e delle sue lacrime prima di allontanarmi di millimetri,
spaventato dalle conseguenze di questo gesto ma soprattutto da me stesso, da
quello che ho provato e provo.
Il viso di Scully
rimane immobile tra le mie mani, le sue palpebre tremano impercettibilmente, le
sue labbra gonfie e lucide sono dischiuse appena, in cerca d’aria.
Quel che rimane del mio
cervello lotta contro i miei sensi.
Perde inesorabilmente
schiacciato dal desiderio additivo di assaggiare ancora quelle labbra.
Di dirle tutto quello
che non sono in grado proferire, perché emozioni contrastanti bloccano irrimediabilmente
la mia mente.
Premo le mie labbra tra
le sue ed ho la netta impressione che il mio cuore risalga lungo il petto.
Lo sento battere e
pressare in gola.
Mi allontano ancora e
poi ritorno prendendomi la sua bocca con una cautela dettata dalle troppe
emozioni più che dalla paura.
E’ il suono di un suo
sospiro che mi da la forza o l’audacia necessaria per dischiudere quelle sue
labbra ed invaderle.
Piano… lentamente…
Dio….
Sta accadendo
veramente?
Il calore umido della
sua bocca, che è fuoco nella mia, costringe il mio corpo a rabbrividire e a
tremare e *devo* spingere con una larga mano il suo petto contro il mio per
proteggermi dal freddo pungente.
Posso sentirla fremere
sotto le mie dita, le mie labbra e la mia lingua.
Dio… mi ero sbagliato…
*questa* è la sensazione più intensa che abbia mai provato.
Le sue dita si
appoggiano piano sui miei fianchi, per mantenere l’equilibrio, penso, e stringe
con forza la stoffa della mia maglietta solleticandomi la pelle.
I muscoli del mio
addome si contraggono quando la consistenza della sua lingua entra in contatto
con la mia ed un’onda di disperato sollievo ed eccitazione parte da qualche
punto del mio collo, percorrendo tutta la colonna vertebrale fino a fermarsi
sul mio inguine quando incomincia a rispondere a questo bacio.
Cauta… terrorizzata da
se stessa e dalle sensazioni che so che sta provando….
Dio, mi sta baciando.
Fuoco… fiamme… calore….
Questo è paradiso ed
inferno.
Quando la temperatura
diventa troppo elevata non posso fare altro che cercare di placare la mia sete
con la sua bocca.
Sento il desiderio
sgorgare dal profondo di me, cieco e incontentabile, e credo che la mia pelle
lo stia trasmettendo per osmosi alla sua perché l’impeto della sua risposta
aumenta ed aumenta….
Colpo su colpo, io
mordo le sue labbra e lei morde le mie.
Calda, umida ed
intossicate passione traspare da questo bacio.
Lei respira la mia
aria, cercando di placare la sua sete, ansima piano e si spinge contro il mio
petto.
Le sue mani premono
sull’incavo della mia schiena ed io *solo* non posso credere che stia accadendo
davvero.
La mia erezione
compressa contro la spessa stoffa dei jeans che indosso prende contatto con la
valle del suo addome e la sensazione è così potente da costringere la mia bocca
a staccarsi dalla sua.
Il suono del mio gemito
taglia l’aria e inconsapevolmente mi ritrovo ad osservare l’espressione del suo
viso.
Ed è così dannatamente
spaventata che mi è impossibile non trasalire.
Non posso sopportare
quello che vedo.
Non posso sopportare la
sua paura, non adesso.
Dio… non mi sono *mai*
sentito così vulnerabile, così scoperto.
Mai, in tutta la mia
vita.
Costringo ancora il suo
capo ad appoggiarsi contro il mio petto e la tengo più stretta possibile senza
correre il rischio di soffocarla.
Quelle che penso siano lacrime
di confusione mi offuscano la vista e spero solo che capisca quello che sto
cercando disperatamente di dirle.
Sono io, Scully.
Dio, sono solo io.
Rimaniamo immobili per
un’eternità e, cullata dal suono dei nostri respiri profondi ma affannati, posso
sentirla perdere tensione tra le mie braccia.
Forse ha capito, ma non
ne sono sicuro.
Comprendimi, Scully -
la supplico stringendola più forte - giustificami… perdonami.
Non posso impedirmi di
meditare su cosa sarebbe meglio fare in questo momento.
Come agire o cosa
dirle.
Ancora una volta non ho
la più pallida idea di come siamo arrivati a questo punto e tanto meno come
andare avanti.
Dove andare… cosa fare.
Ma la sua guancia è
appoggiata sul mio petto e so che può ascoltare il mio cuore che batte caotico
e turbato.
E, Dio, devo sopprimere
un ansimo quando sento le sue mani muoversi sulla mia schiena, per poi scorrere
caute sul mio torace fino ad bloccarsi ai lati della sua testa appoggiata.
Sente il mio cuore
bussare sotto il suo orecchio e sotto le sue dita, mentre respira profondamente
su di me.
Vedo i suoi cappelli
muoversi piano, sento la carezza del suo capo che si sposta lentamente e
trattengo il fiato.
Il calore delle sue
labbra mi riscalda il petto anche attraverso la stoffa della maglietta e, Mio
Dio, non posso neppure pensare al fatto
che la sua bocca prema in direzione del mio cuore.
Oh. Dio.
Quelle mani scivolano
lungo il mio torso e i suoi pollici colpiscono quasi distrattamente i miei
capezzoli all’erta come ogni parte del mio corpo in questo istante.
Gemo per la sensazione
e per quello che questo gesto sono certo che significhi.
Non posso crederci.
Ed ora non posso
aspetare.
Le alzo la testa e mi
riprendo le sue labbra quasi con forza mentre un’altra scossa di desiderio
viaggia lungo la mia spina dorsale.
Mi desidera, lo so, e
non mi importa sapere se lo abbia sempre fatto o se lo faccia per la prima
volta in questo istante.
Sento che solo ora può
veramente comprendere cosa provo e cosa ho provato, per tutto questo tempo.
Provo, ma non riesco a
mantenere il controllo di me stesso, di quello che sento.
Labbra e mani
impazienti.
Odore di pelle e suono
di gemiti e respiri.
Solo questo ha
importanza adesso.
Barcolla all’indietro mentre
la mia mano percorre la sua schiena fino a posarsi sulla curva del suo sedere e
spingerla verso di me.
La mia bocca la divora.
Dio.
Il mio cervello non
riesce ancora a capacitarsene, ma i bisogni del mio corpo prendono il
sopravvento.
Cercare di immaginare
quello che potrebbe desiderare *lei* in questo istante è troppo difficile, devo
stare attento a non sovraccaricare la mia memoria se voglio evitare di
bloccarmi completamente.
Stacco la mia bocca
dalla sua e il suo respiro denso sfiora i lineamenti infuocati del mio viso.
Scivolo lungo il suo
collo mentre una mano sale lentamente dal suo fianco al suo petto.
Circondo un suo seno
con le dita e la sua schiena si inarca appena.
Geme quando le mie
labbra si appoggiano al centro del suo petto e premono forte.
Non so se lo faccio
perché voglio inconsciamente restituire quel suo gesto che è stato in grado di
farmi cadere in pezzi ai suoi piedi o perché le sono solo immensamente grato.
Posso sentire con il
pollice la durezza del suo capezzolo anche attraverso sottogiacca e reggiseno,
e questa conferma è come gas esilarante: mi fa diventare leggero come aria.
La voglio.
E suona sciocco
rendersi conto solo ora che questa non è altro che l’essenza di quello che ha
scatenato tutto questo turbine di dure battaglie e rigide tregue.
Io la voglio e lei ne
ha paura.
Ogni evento, ogni
errore, ogni ferita trova in questo una concomitante spiegazione.
Dio… la voglio adesso.
E mi prendo quelle
labbra che il destino non ha voluto che avessi in quel pomeriggio d’Agosto, e
la tocco come ho solo osato immaginare, memorizzo ogni curva, ogni valle….
Assaggio con labbra,
lingua e denti la pelle del suo collo, la carne della sua spalla.
Lei continua
inesorabilmente ad ondeggiare all’indietro… verso la camera da letto.
Scully non ha superato
la sua paura, non posso illudermi del contrario.
Ma la sta affrontando,
adesso, forse solo perché spinta da paure ancora più grandi.
Probabilmente non si
rende neppure conto di quello che sta per accadere, non sa di essere in serio
pericolo se crede che sarò in grado di fermarmi quando riuscirò ad avere il suo
corpo.
Non è abbastanza e non
lo sarà mai.
Ma prendo tutto quello
che riesco a prendere, in questo momento.
Prendo tutto quello che
è disposta a dare, solo perché ho troppa fame di lei.
Tiro la stoffa della
sua maglietta ansioso che esca dalla mia strada.
Bacio tutto quello che
riesco a scoprire, l’addome piatto, le sue costole ad una ad una.
Mordo i capezzoli
attraverso il reggiseno di liscio raso.
Lei si muove ansiosa
tra le mie braccia e geme, di continuo, e alimenta questa fiamma.
Abbiamo già
oltrepassato la porta bianca della sua camera da letto quando finalmente posso
lanciare l’indumento a terra.
Ad occhi chiusi, brancolando
con le labbra lungo il suo corpo, rintraccio ancora la sua bocca e sento le sue
dita fredde disegnare profondi cerchi sulla pelle incandescente del mio addome.
Mi allontano solo un
istante per togliermi la maglietta prima di pressarmi sul suo petto per sentire
la consistenza del suo seno morbido e caldo contro la mia pelle.
Ansimo.
Ansima.
“Sdraiati” qualcuno le
ordina con la mia voce, tono fin troppo basso e roco per il desiderio.
Trattiene il respiro
sulla mia bocca.
Rimane pietrificata per
attimi interminabili.
Quando si allontana un
onda di terrore mi attraversa… anche se sono certo che eseguirà questo mio
comando.
Sa benissimo che non si
può tornare indietro, non da qui.
La scorto con lo
sguardo mentre si adagia sul copriletto chiaro, si toglie le scarpe.
Non fa nessuna mossa
per spogliarsi, sa che *voglio* essere io a farlo.
Schiaccia il materasso
con il suo peso e si posiziona al centro, appoggiando solo le spalle alla
testiera e tenendosi in equilibrio sui gomiti.
Riallaccia i suoi occhi
ai miei e quello che ci vedo dentro è così dannatamente indescrivibile che sono
certo di essere a rischio di infarto.
Paura e desiderio si
inseguono come mercurio liquido nell’azzurro delle sue iridi.
Mi tremano le mani
mentre mi libero di scarpe, calzini, pantaloni e boxer… come se gli abiti
fossero troppo pesanti per sopportarne il peso.
Nudo ed immobile,
continuo a riempirmi gli occhi dell’immagine di lei, Scully… Dio, sdraiata su
quel letto, con il torace coperto solo da un reggiseno scuro di raso e la pelle
bianca come gesso lucido immersa nella colonna sonora dei nostri respiri.
I suoi occhi si
spalancano quando mi avvicino al letto.
Mi siedo e mi sdraio al
suo fianco, la guardo e osservo il suo petto che si alza e si abbassa a causa
dei profondi respiri che si sta imponendo di prendere.
La mia gola diventa
arida d’improvviso e *devo* solo abbassarmi su di lei per baciarla ancora.
Non posso che essere
sorpreso quando risponde al mio bacio con un velo di ansietà e di affanno, come
se avesse temuto per un istante che non sarebbe mai più accaduto.
Le mie mani scivolano
sul suo ventre, lascio andare le sue labbra e abbasso la testa per accarezzare
con lo sguardo quello che le mie dita riescono a toccare.
Il suo respiro caldo si
fa sempre più vicino alla mia guancia, al mio collo, fino a quando sento la sue
labbra umide e socchiuse sulla mia pelle.
La sua bocca scivola
fino al mio orecchio ed io ansimo e rabbrividisco mentre infilo le dita sotto
il raso del reggiseno.
Quando il mio pollice
segue il duro contorno del suo capezzolo, i suoi denti si stringono attorno al
mio lobo.
Tremo e gemo e Dio…
Mi stacco da lei che mi
guarda con una espressione quasi sorpresa.
Percepisce l’origine
della mia ansietà e inarca la schiena per slacciarsi quel reggiseno. Io mi dedico
ad abbassare la zip sul suo fianco, afferro l’estremità e spingo malamente
verso il basso gonna e calze, che scivolano rumorosamente sulla pelle levigata
delle sue gambe.
Ansimo solo per la
vista di quello che mi trovo di fronte ancora prima di alzare gli occhi ed
incrociare il suo seno.
Dio.
Non ho idea di dove sia
riuscito ad appoggiare gli abiti che ho appena tolto, so solo che adesso mi sto
sdraiando su di lei.
Non ricordo l'ultima
volta che ho visto una pelle così perfetta.
Non ricordo l'ultima volta
che ho potuto toccare qualcosa di così irrimediatamente additivo.
La mia gamba scivola
tra le sue mentre seppellisco il viso nel suo seno ed incomincio a baciare,
sfiorare e assaggiare tutto quello che sono in grado di raggiungere.
Sento la consistenza
del suo capezzolo duro sotto la lingua e lei spinge il bacino contro la mia
coscia.
Posso sentirla calda e
umida su di me anche attraverso le mutandine che ancora indossa.
Dio, posso sentire
quanto desidera tutt questo, quanto lo vuole.
Un suono che non sono
in grado di classificare mi esce dalla gola e il mio corpo incomincia a
spingere verso di lei ciecamente e a frizionare la mia pelle incandescente con
la sua.
Scully ansima
ininterrottamente, adesso… e quasi si lamenta, mentre continuo a succhiarle prima
un seno e poi l’altro completamente sopraffatto da tutto.
La sua mano si insinua
tra i nostri corpi uniti fino a quando non la sento pressare sopra di *me*,
DIO….
Una scossa di piacere
troppo forte mi trafigge e ansimo.
Le sue dita mi
circondano ed inizia a spingere ed accarezzare… languida e profonda.
Ed è tutto così
dannatamente surreale eppure così incredibilmente vero, che penso che finirò
per svenire.
E devo fermarla prima
che sia troppo tardi, allora mi allonano da lei e mi strofino la sua pelle con
la mia mentre mi sposto piano verso il basso, assaggiando tutto quello che le
mie labbra incontrano sulla strada, la seta che ricopre i muscoli tesi del suo
addome, il suo ombelico rotondo.
Mi avvicino alla fonte
di quell’incredibile profumo che mi riempie i polmoni e il mio cuore martella e
rimbalza sulla mia costole.
Sta fremendo sotto di
me.
Trema e si muove piano
e la sola idea che mi stia incitando a continuare manda in black out totale il
mio cervello.
Infilo le dita sotto il
sottile elastico dell’ultimo indumento che la copre e il suo bacino sobbalza.
Geme ancora e quasi
singhiozza.
Spingo la stoffa verso
il basso, lentamente, senza perdere l’occasione di percorrere con le dita
l’intera lunghezza delle sue gambe levigate e lucide come legno chiaro.
Un’ondata più forte del
suo odore mi colpisce i sensi, non posso resistere.
Le allargo le ginocchia
lentamente e mi abbasso per assaggiarla.
La mia mente non riesce
neppure ad elaborare gli impulsi che il mio corpo sta mandando ad insostenibile
velocità, riesco a provare il suo sapore salato e dolce sulle labbra, sulla
lingua, Scully emette un suono che manda in frantumi anche il più minuscolo
frammento di autocontrollo che mi era rimasto.
Si irrigidisce e trema
sulla mia bocca ed io non posso fare che raggiungerla il più presto possibile,
in alto sul letto, ingabbiare la sua testa tra i miei gomiti e supplicarle di
farmi entrare spingendo contro la sua apertura.
La punta del mio pene
preme appena contro la sua carne ancora tremante.
“Dio” ansima e sobbalza
ancora.
Ed è troppo da
sopportare.
Cerco disperatamente i
suoi occhi solo perché voglio che sia totalmente consapevole di quello che sta
succedendo.
Un azzurro vitreo e
screziato che non avevo mai visto mi abbaglia.
E mentre scivolo dentro
di lei, millimetro dopo millimetro, e mi lascio avvolgere e inghiottire dal suo
calore, una potente sensazione mi lacera.
E non è solo il piacere
dell’atto e della frizione.
Non è solo perché la
sento intorno a me, così dannatamente stretta… e calda… e.. Dio….
C’è altro….
C’è troppo.
Ho come la devastante
impressione di essere nel punto di convergenza di centinaia di vite, passate
presenti e future.
Esistenze trascorse nel
diniego, passate a tenere a distanza questa risoluzione, questo sentimento.
Migliaia di anni tesi
come corde, spesi a rifiutare questa passione… che solo ora si sta
inesorabilmente consumando.
Brucia e le fiamme
lambiscono la mia anima e il mio corpo sotto forma scosse di corrente
incandescenti e ghiacciate che viaggiano lungo i miei nervi, percorrono e
trapassano carne, ossa e muscoli… ancora ed ancora.
E mi rendo conto che
sto spingendo dentro di lei e lei risponde colpo su colpo alzando i fianchi
facendo leva sui suoi piedi incastonati nella carne del retro delle mie cosce.
Con forza, profondamente,
con un’intensità cieca e una velocità che aumenta ed aumenta….
E realizzo di avere
chiuso gli occhi solo quando li riapro, e vedo ancora quell’azzurro innaturale
e profondo quanto l’oceano di fronte a me, così vicino che ho paura di
annegarci dentro, di affogare.
“Dio” gemo… e mi sento
disperato, perché le scosse mi stanno totalmente dilaniando.
Posso sentire il
piacere e il dolore in ogni punto del mio corpo nello stesso preciso istante in
cui arrivo all’apice.
Scully grida nella mia
bocca aperta per lo stupore e per lo sforzo e smette d’improvviso di
controspingere mentre tento ancora di tenere disperata presa su me stesso.
Ma non posso più
oppormi quando i suoi muscoli interni si serrano intorno a me.
Mi svuoto con forza,
sia letteralmente che idealmente, dentro di lei.
Mi perdo, annego, mi
annullo e mi spengo.
Mai… mai in tutta la
mia vita - è la sola cosa che riesco a pensare mentre cado in frantumi sul suo
corpo e le mie spinte perdono di potenza - *mai* così… intenso, DIO.
Sento gli occhi incandescenti
e la pelle del sul collo quando ci seppellisco il mio viso dentro è addirittura
gelida.
Non riesco a prendere
respiri abbastanza profondi per far fronte al fabbisogno di ossigeno dei miei
muscoli e del mio cervello.
Dio, l’idea che da un
momento all’altro potrei svenire diventa una eventutualità troppo probabile per
non essere presa in considerazione e non poso impedire alle mie labbra di
curvarsi in un sorrido di irrazionale beatitudine.
Riuscirei ad
imbarazzare entrambi se succedesse davvero.
Non ho mai sentito un
respiro irregolare tanto quanto quello di Scully in questo istante.
Il suo petto che si
dilatata e si svuota riesce a farmi ondeggiare sopra di lei.
Ricado su un fianco per
impedirmi di soffocarla.
Ma un’improvvisa ondata
di terrore mi paralizza quando appoggio lo sguardo sul suo viso e la *guardo*.
La sua piccola bocca è
spalancata in cerca d’aria e le sue guance sono lucide e fradice di lacrime.
Dalle sue labbra scivolano
una serie di singhiozzi e rantoli ed ansimi che mi legano l’esofago attorno
alla trachea.
“Sculleee” gemo
terrorizzato.
“Dio” è tutto quello
che riesce ad espirare.
E come un movimento
brusco che mi lascia completamente spiazzato si rigira sullo stomaco e
seppellisce il viso nel cuscino.
La sua schiena si alza
e si abbassa furiosamente a tempo con il suono dei suoi gemiti smorzati.
Completamente devastato
da quello che vedo non posso fare altro che appoggiare un palmo aperto sulla
pelle lucida della sue spalle.
Comincio a percorrere
la sua colonna vertebrale lentamente e profondamente e non ho la più pallida
idea di chi voglia consolare.
Il mio sguardo segue lo
sconosciuto profilo del suo corpo nudo e ricade inesorabilmente su quella serpe
che non ho mai avuto l’opportunità di vedere per davvero.
La fisso ed i miei
occhi bruciano e si serrano come se ci avesse spruzzato dentro il suo veleno.
Dio, sono shockato… e
non sarò mai in grado di assimilare veramente quello che è appena successo.
Ho… cazzo… ho fatto
sesso con… Scully?
Dio.
Mi sdraio sulla schiena
e mi ritrovo a osservare il soffitto bianco, confuso e sopraffatto.
E non posso impedire
alla improvvisa certezza di inondare la mia mente.
La certezza che questa
che si è consumata non è altro che l’ennesima battaglia dell’infinita guerra di
cui siamo protagonisti.
Un'altra. Fottutissima.
Battaglia.
Dio.
Forse abbiamo solo
sfoderato l’arma più devastante.
Dopo anni di trattative
e guerra fredda, la bomba all’idrogeno che ci eravamo tacitamente accordati di
non inserire mai nel nostro arsenale è stata scagliata oltre la trincea, forse
perché la paura della sconfitta, su tutti i campi, ci ha solo resi
disperatamente sconsiderati.
E quello che ho davanti
agli occhi, nel petto e nell’anima è solo il residuo dell’esplosione.
Non posso esserne
sorpreso… era nell’aria da tempo oramai… sapevo, cazzo, che prima o poi sarebbe
dovuto accadere… ed allora faccio la sola cosa che sono in grado fare, che
penso sia utile fare: le circondo la vita e la trascino sul mio petto.
Non era così che doveva
succedere - continuo a ripetermi - non
così…
Scully sobbalza
spaventata e la ignoro mentre la tengo stretta abbastanza da renderle chiaro
quello che neppure io posso completamente incominciare a capire.
Le dico che può piangere…
che può farlo per entrambi.
Piano, lentamente, i
suoi singhiozzi diventano più radi e la tensione della sua schiena pressata sul
mio petto va scemando.
Sospiro sulla pelle del
suo collo e quando penso che si sia calmata, se non per questo mio gesto almeno
per il sonno dato dalla stanchezza, tiro copriletto e lenzuola e avvolgo
entrambi.
Per un istante, solo
per un istante, mi impedisco di pensare alla devastante minaccia che si staglia
all’orizzonte.
Come se questo lenzuolo
fosse acciaio e non seta, voglio sentirmi al sicuro… protetto in questo bunker
di stoffa, pelle, odore e caldi respiri.
Una mano scivola sul
suo addome e l’altra tra i suoi seni e posso sentire il battito del suo cuore
che diventa sempre più regolare sotto il mio palmo.
Dio, per un istante
ancora… voglio solo non sentirmi così maledettamente spaventato.
Il nodo orribile di
apprensione che mi stringe lo stomaco si allenta quando le sue mani si
appoggiano caute sulle mie.
Le sue dita sottili ed
umide intrecciano le mie, un sospiro di irrazionale sollievo mi scivola dalla
gola.
Si, Scully… stringimi,
sentimi, anche se solo per stanotte… anche se solo per un minuto ancora… rimani
con me… qui.
Dimmi che va tutto
bene… dimmi che non è la fine.
La sua tempia è troppo
vicina per non appoggiarci le mie labbra.
Dormi Scully - la
rassicuro senza parlare - dormi adesso.
Non ti senti al sicuro?
Tra le mie braccia?
Il suo corpo si spegne
lentamente mentre le accarezzo i capelli con la fronte.
Sei al sicuro Scully….
E se solo il mondo si
potesse chiudere in una bolla, imprigionarlo in questo istante, forse potrei
incominciare a crederlo possibile.
Ma l’incubo della
realtà è ancora fuori da queste lenzuola, in attesa.
E non sono certo che
quello che ho appena vissuto sia veramente in sogno….
Qualsiasi cosa sia, lo
scoprirò domani….
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