Capitolo 2 - La lista

 

Che io e Scully non stessimo passando uno dei nostri periodi più “tranquilli” era un dato di fatto.

Vorrei poter responsabilizzare di questo cambio di routine solo la cara e vecchia Diana, ma sembra riduttivo.

Scully “gelosa” non è poi una così sconvolgente novità, molte volte nel corso degli anni mi è capitato di imbattermi in questo uragano alto un metro e sessanta di territorialità, ma ne siamo sempre usciti immutati.

NOI siamo sempre usciti IMMUTATI da TUTTO, cazzo.

Ed allora che diavolo è?

Sforzandomi potrei distintamente riconoscere il momento preciso in cui questa guerra fredda ha avuto inizio:

dopo il ritorno dall’Antartico, dopo la riapertura degli x-files e dopo la loro assegnazione a Diana e al compianto Spender.

Ma forse mi sbaglio, forse è successo prima, o dopo… non lo so.

La sola cosa certa è che questa aria stantia tra noi mi fa venire la nausea.

Ho sempre creduto fermamente che tra me e Scully scorresse una forte corrente di pura elettricità.

I suoi sguardi erano fulmini, riusciva ad attrarre la mia attenzione da metri di distanza.

Ed in quei momenti ciò che pensava, ciò che credeva, ciò che voleva era incredibilmente chiaro.

Ora invece ci separa solo una invisibile foschia.

Io non capisco i suoi segnali, lei evita caparbiamente di mandarmene.

Mi ero illuso che riavendo gli X-files ci saremmo dati da fare per risolvere quella spinosa questione tra di noi.

Una questione nata circa un anno fa, in un caldo pomeriggio d’Agosto, proprio nel mio corridoio.

Una questione di cui invece nessuno ha mai parlato… attimi di risoluzione e pure scosse di emozioni che sono finite dritte dritte nel più remoto dei dimenticatoi.

Per colpa di chi?

Entrambi… questo lo posso ammettere.

Sta di fatto che in questa nube di completa incomunicabilità si è imbattuta Diana.

So che riesce a percepire quello che tra me e Scully c’era stato… so che ne è incuriosita e indignata.

Riconosciuto il problema ci si aspetta che si agisca in modo da rimuoverlo, o almeno smuoverlo.

Diana lo fa, Scully no.

Ed è questa la differenza fondamentale.

So anche che questo aspetto a Scully sembra inconcepibile;

come può Mulder dare il beneficio del dubbio alla donna che ha aperto gli x-files con lui, che è stata sua amante – sono quasi certo che lo sappia -, e che ha il passato più candido di qualsiasi altro soggetto venuto in contatto con noi negli ultimi sei anni?

Come può, Mulder, anche solo rivolgerle la parola?

Come si permette, Mulder, anche solo di sperare che nel suo mondo fatto di cronica paranoia qualche essere umano sia immune dalle spirale di diniego e falsità che sembra essere una costante genetica nelle persone che ha conosciuto, conosce e che conoscerà?

Richieste assurde, Scully – penso, e sono incazzato come mai prima.

Come puoi permetterti di distruggere se non fai neppure la più minima mossa per costruire?

Ma cosa c’è da costruire?

Probabilmente niente, *per lei*.

Premettendo allora che come essere distinto e disconnesso da Scully IO sono libero di riporre la mia fiducia in chiunque meglio creda.

Premettendo che la sola colpa di Diana è stata quella di andarsene quando io l’ho praticamente cacciata via.

Premettendo che questo non intacca il mio rapporto con il MIO lavoro.

Dove sta il problema?

Perché Scully deve comportarsi come una mogliettina gelosa?

E perché io non posso evitare di sentire una morsa allo stomaco quando il ghiaccio dei suoi occhi mi colpisce?

 

Mentre esco dalla tana del LGM, ancora scosso da quel nostro quasi NON-litigio il mio cellulare si mette a squillare.

Scully si ferma per una frazione di secondo al suono ma poi continua a camminare con quel passo indignato e quella testa incassata rigida nel collo.

“Mulder” rispondo.

‘Fox’.

Diana.

Mi irrigidisco “Si?” dico neutro. E subconsciamente prego perché Scully non si accorga dell’identità del mio interlocutore.

‘Dobbiamo parlare…’

Cazzo, odio quando me lo dice con quel tono cospirativo che mi fa drizzare i peli del collo.

“… di cosa?” chiedo piatto.

‘Non al telefono Fox’ ed è incredibilmente seria.

“Che è successo?” domando ed un ombra di apprensione compare nella mia voce.

“A casa mia… appena puoi” sussurra e riattacca.

Piuttosto sgomento ripongo il telefono nella tasca interna della mia giacca.

Quando rialzo la faccia sono praticamente davanti alla portiera della macchina e Scully è già dentro, dalla parte del guidatore.

Sospiro e mi accomodo.

La temperatura emotiva all’interno dell’abitacolo e ben al di sotto degli zero gradi e Scully accende la macchina senza neppure aspettare che mi allacci la cintura.

Io non dico una parola.

Lei sembra che nemmeno respiri.

Poco prima della svolta che porta direttamente agli uffici federali mi schiarisco la voce e lo dico “…a casa.. portami a casa…”

Lei si acciglia, non stacca gli occhi dal vetro anteriore e svolta senza commentare.

Perché mai commentare il fatto che decida di interrompere il mio giorno lavorativo alle tre del pomeriggio?

Perché mai commentare che lo sto facendo solo perché ho appena ricevuto una telefonata?

Perché mai commentare se SA perfettamente da chi arrivava quella chiamata?

Odio questa situazione.

Non è la prima volta che succede negli ultimi mesi che Diana decida di darmi informazioni riservate.

Che lo faccia per incastrarmi, perché ancora crede negli X-files e voglia solo aiutarmi, o solo perché desideri infilarsi nei miei pantaloni, francamente non mi importa.

Quelle informazioni sono utili,  sono soddisfatto che non le debba cercare e che mi piovano dal cielo.

Ma la danza che precede e segue questi incontri è inevitabilmente la stessa.

Scully erige il suo muro di indifferenza.

Io mi sento incazzato e sporco come un traditore.

Lei non fa domande, io non le do risposte.

E quando meno me lo aspetto si volta verso di me, mi tramortisce con quegli occhi colmi di indignazione, rabbia e remissiva accettazione per una frazione di secondo.

Lo fa giusto il tempo per farmi sentire un verme di terra, e poi ritorna nel suo limbo emozionale.

Lasciandomi scosso e inevitabilmente più incazzato.

E lo sta facendo, *proprio* in questo istante.

E poi torna a fissare la strada.

Sbuffo il più sonoramente possibile ma lei non da segni.

Guardo fuori dal finestrino e la mando al diavolo telepaticamente.

Arriviamo davanti al mio edificio in religioso silenzio.

A motore spento ci metto più del dovuto a slacciarmi la cintura e ad aprire la portiera.

La routine si spezza però quando, proprio prima di uscire, la sento bisbigliare con un tono asciutto e tagliente come una lama di ghiaccio “Divertiti”.

Con un piede fuori dalla macchina e la mano incastonata nel bracciolo della portiera mi volto quasi di scatto.

Sono sorpreso.

Ma, tanto per cambiare, lei mi offre uno dei suoi profili più statici e di pietra.

La fisso per qualche millesimo di secondo mentre cerco di arginare questa controllata furia che mi arrovella lo stomaco.

Rifletto che a muro eretto e fortificato mi ci vorrebbe tempo per cavarle qualche emozione di qualsiasi natura.

Ed ora non ho tempo.

Sbuffo ancora - sembra che sia la sola cosa che riesca a ‘dirle’ ultimamente - ed esco sbattendo la portiera con forza quasi eccessiva.

Giuro di aver sentito le gomme della macchina girare a vuoto per un paio di volte dalla forza con cui ha schiacciato l’accelleratore.

Quando mi volto verso la strada la macchina fa già parte dello sfondo.

Scully è ad anni luce da me.

 

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Ok. Oggi è una giornata di merda.

Lo riconosco e lo accetto.

Non c’è nulla di difficile in questo.

La collera certamente fuori luogo di Mulder quando Ed ci ha dato quello informazioni poteva avere anche qualche remoto aspetto accattivante.

Poteva.

E dovrei anche essere abituata al suo glaciale cinismo.

Dovrei.

Ma mai, e poi MAI, gli permetterò di guardarmi con quella sottile aria di compatimento come se fossi accecata dalla gelosia più infantile.

Come se ad avermi guidato fino a qui, come se ad avermi intrecciato a questa vita di misera, fosse solo una strana forma di amore idealizzato verso il Nuovo Dio Pagano Mulder.

Non gli permetterò mai, e poi MAI, di declassarmi a questo infimo livello.

Vuoi scoparti Fowley?

Bene.

Lo stai già facendo?

Benissimo.

Non sono fottuti affari miei!

Ma falla entrare anche solo dalla finestra nel lavoro un cui ci ho buttato vita e energie per sei anni, falle solo spiare dal buco della serratura queste rovine in cui ho investito ogni maledetta cosa che pensavo di possedere e GIURO che nulla mi fermerà dall’uscire da quella porta e andare a cercare la MIA verità… da sola!

 

Mentre rifletto e picchietto la punta delle mie lucide unghie sulla superficie regolare della SUA scrivania il telefono dell’ufficio squilla.

L’intensa energia statica che mi circonda mi fa quasi sobbalzare ma poi alzo gli occhi al cielo in una silenziosa preghiera.

Dio… fai che non sia… NIENTE.

Prendo la cornetta “X-files – Dana Scully” rispondo apatica.

‘Agente Scully?’ sento, ed è Skinner.

“Si, Signore” dico e mi metto più rigida sulle sedia.

‘L’agente Mulder è li con lei?’

E questa domanda? Che diavolo vorrebbe significare?

“No” Sbuffo.

Passa meno di un secondo in cui medito quasi di riattaccare ma poi parla ‘Ho appena ricevuto una chiamata dal Detective della contea di Cantan, Ohio … una donna è stata trovata morta… la causa del decesso è chiara: un colpo d’arma da fuoco, ma ci sono altri… particolari ancora da stabilire… pensavo che lei….’

Quasi sospiro dal sollievo: per quanto possa sembrare raccapricciante, l’idea di trascorrere tre ore su un cadavere ad affettare e analizzare è quasi rilassante.

“E’ già a Quantico?” chiedo.

‘no… non ancora’ risponde e per la prima volta noto che la sua voce è tesa… troppo tesa ‘ma sarà qui tra poco’

“Come mai questa urgenza, Signore?” domando incominciando a temere la risposta.

Si schiarisce la voce nervoso ‘Dana’ dice ed un brivido ghiacciato mi attraversa.

“Cosa, Signore” mi sorprendo a sussurrare.

‘Pensiamo che sia… la prima--- della lista’

L’aria si pietrifica intorno a me e la cornetta è così fredda da intorpidirmi la mano.

Oh Dio, NO!

E’ la prima della lista… di ED.

 

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Dopo aver sentito Scully fare rally sulle strade del mio quartiere ho preso la mia macchina e mi sono diretto verso l’appartamento di Diana.

Lei mi apre la porta vestita piuttosto casual.

Visto che è un cosa alquanto rara non posso fare a meno di fissarla.

E’ una bella donna, su questo non si discute.

Ma tra apprezzamento e… attrazione c’è una bella differenza.

Se devo essere sincero non so nemmeno quanto possa essere ancora attratto da lei.

Certo è che quella maglietta e quei pantaloni che le fanno da seconda pelle non mi sono totalmente indifferenti.

Non dimentichiamoci che faccio ancora parte della categoria degli uomini, e si sa con che parte del corpo prediligiamo ragionare.

“Ciao” sussurro mentre entro.

Lei mi sorride appena e mi chiude la porta alle spalle.

“Allora?” domando una volta dentro alla perenne oscurità del suo salotto.

“Grazie per essere venuto così in fretta…” incomincia e mi si posiziona di fronte.

Risparmio facili commenti da tredicenne malizioso e la lascio proseguire.

“… ho appena scoperto una cosa che potrebbe esserci utile… o meglio, che ci potrebbe interessare…”

L’uso del plurale sembra fuori luogo, ma se è utile a farle credere che i sei anni che ci separano come partner non siano mai trascorsi… non sarò certo io ad impedirle di usarlo.

E certamente non in questo momento in cui il solo pensare alla rappresentate di quei sei anni mi fa salire il sangue alla testa.

“Cosa?” incalzo mentre mi siedo su una delle vicine poltrone.

Lei si accomoda sul divano ed è al massimo a venti centimetri di distanza da me.

“… A Alamosa, Colorado una società di produzione farmaceutica, l’Applied Pharma Research, è stata rasa al suolo ieri notte…. Un incendio, probabilmente di origine dolosa…. Le indagini sono appena iniziate e sicuramente questo non trasparirà dal rapporto conclusivo. Sai come funzionano queste cose.”

Faccio un mezzo sorriso amaro mentre annuisco.

Lei prosegue, il suo tono di voce sempre più profondo “… dalle prime indagini risulta che l’incendio si è propagato dall’ala est dell’edificio, cioè quella in cui erano ubicati i laboratori di ricerca avanzata. L’Applied Pharma Research era famosa per quei laboratori… erano i più moderni e sofisticati dello stato del Colorado… e questo suona strano visto che le ricerche che perpetuavano riguardavano nuovi composti per la cura delle malattie della pelle….”

“Pensi facessero altro?” chiedo inutilmente.

“No…” fa una pausa “ne sono sicura!”

Mi sporgo in avanti con la schiena rigida come una trave di legno “e come fai ad esserne così sicura?” sussurro.

Lei sospira “Fox… ne ho viste abbastanza di queste macchinazioni per riconoscerne a naso… oppure, chiamalo intuito femminine….”

Non me lo dirà… equivale a dire che mi devo fidare di lei… sono tutte tattiche ed io le riconosco a vista, ma non ho nessun motivo per non fidarmi.

“E cosa pensi facessero?” mi arrendo.

“… questo non te lo so dire… ma una serie di industrie farmaceutiche e di ricerca sono collegate all’Applied Pharma Research … ti premetto che non sarà facile, ma vale la pena controllare….”

La sola cosa che posso fare è annuire.

“Vedrò quello che riesco a scoprire” dico mentre mi alzo.

Lei appoggia in fretta una mano sul mio ginocchio costringendomi a sedermi.

Non posso impedire ad uno sporco brivido di propagarsi lungo la mia spina dorsale.

Osservo quella mano che non si sposta nemmeno di un millimetro anche quando sono di nuovo seduto sulla poltrona.

“Ci sono delle vittime in quell’incendio…. Sei per l’esattezza… sono quasi sicura che la loro morte sia anteriore alla tragedia….”

“Questa non è nuova” commento pensando a Dallas.

“Il caso è federale, io sono una delle agenti chiamate ad investigare….”

Che caso fortuito!

“parto domani in giornata… puoi unirti al gruppo di indagine se vuoi…” propone.

“No…” rispondo in fretta… sento il bisogno di darle spiegazioni solo quando vedo i suoi occhi spalancarsi sorpresi “Ho un caso tra le mani e….” Quale caso? Ah si, Ed Jerse e i suoi dati… mi verrebbe voglia di tornare a casa e preparare i bagagli “… non posso spostarmi da Washington…”

Lei abbassa la testa per un secondo “E’ importante quello che ti sto dicendo, te ne rendi conto?”

“Si… si” mi discolpo “… ma ho delle cose da fare qui….”

Lei rialza la testa e mi osserva per un attimo “Ok” si arrende “ma promettimi che se questo caso si arena mi raggiungerai li” fa una pausa, sospira “Ho veramente *bisogno* che tu ci sia!”

Rimango di ghiaccio: sembra sincera mentre lo dice.

Sincera e costernata, come se davvero scoprire questa verità dipendesse dalla *mia* presenza.

Mi sento così lusingato da questa impagabile dimostrazione di fiducia che non posso resistere all’impulso di alzarmi e andarmene via alla svelta.

“Ti farò sapere….” Sussurro ormai di fronte alla porta.

“Ci conto” risponde appena prima che io mi catapulti nel corridoio.

 

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Continua…