GLI SPECIALISTI PUNTANO ADESSO SU TERAPIA GENICA, FARMACI PIÙ EFFICACI, NUOVE TECNICHE CHIRURGICHE. MA SOPRATTUTTO RACCOMANDANO STILI DI VITA PROTETTIVI, PER TENERE IN FORMA PERFETTA IL MUSCOLO PIÙ IMPORTANTE.

È vero: di infarto, rispetto a qualche decennio fa, oggi si muore meno. Ma ci si ammala con la stessa frequenza di trent'anni fa. E il vero traguardo per mettersi al riparo da un attacco di cuore, ma anche da un ictus o da una trombosi, è eliminare i fattori di rischio. Sarà proprio il 1998, secondo cardiologi e cardiochirurghi, l'anno in cui la scienza si avvicinerà a questo traguardo. Medici ed esperti ne hanno parlato tutte le volte che si sono riuniti in questi ultimi mesi: a Orlando, in Florida, al congresso dell'American heart association; a Londra, al congresso mondiale di cardiochirurgia; e a Milano, al congresso sull'insufficienza cardiaca e le terapie avanzate. Gli specialisti del cuore hanno sempre concluso che sì, la mortalità è calata moltissimo grazie alle unità di terapia intensiva. Ma per ridurre gli episodi di malattia è necessario puntare sulla prevenzione di massa.

Queste conclusioni sono il risultato di studi appena terminati. Come il progetto mondiale Monica (Monitoraggio delle malattie cardiache) condotto dall'Organizzazione mondiale della sanità
che ha coinvolto anche tre aree italiane: Brianza, Friuli e le campagne di Latina. Nell'ambito della ricerca in Italia, sono stati seguiti per un decennio oltre un milione di italiani (fra il 1980 e il 1994 i casi mortali di in farto si sono ridotti del 35 per cento; dice Giancarlo Cesana, del Centro studi patologia cardiaca dell'università di Milano. Invece il numero complessivo di infarti che si verificano ogni anno è calato solo del 3-4 per cento in dieci anni). Ogni anno i medici continuano a registrare circa 300 casi di infarto miocardico e 250 casi di ictus ogni 100 mila abitanti. In gran parte si potrebbero evitare con la prevenzione. Come? Chiamando subito l'ambulanza invece di un medico, per esempio, si abbreviano i tempi del ricovero in unità coronarica e nelle nuove unità di terapia intensiva neurologica che stanno sorgendo un po' ovunque. In questi centri si usano farmaci che sciolgono il trombo, riducendo la mortalità al 7-8 per cento. Inoltre, stanno arrivando nuove armi, come la terapia genica, che rivoluzioneranno la cura delle malattie cardiocircolatorie. Ma è sulla diagnosi precoce che si deve puntare di più, perché consente di rallentare e persino bloccare il decorso dell'insufficienza cardiaca. E soprattutto sugli stili di vita del singolo individuo.

Oggi si sanno molte cose delle malattie cardiocircolatorie. Per esempio, che sono dovute in gran parte ai trombi che si formano nelle arterie, cioè all'aterotrombosi. Con l'invecchiamento le pareti delle arterie diventano sempre più spesse, mentre fumo, stress, pressione alta e molto colesterolo in circolo contribuiscono pesantemente a questa degenerazione dei vasi sanguigni, spiega Rarry Bùller, direttore del dipartimento di medicina vascolare dell'università di Amsterdam. Sulla parete interna dei vasi si forma così la cosiddetta stria lipidica, una placca composta di grasso (colesterolo), cellule ed elementi corpuscolati del sangue.

Quando questa placca, sotto l'effetto della pressione del sangue, si fissura, le proteine della coagulazione del sangue (piastrine, fibrina e globuli rossi) accorrono credendo di trovarsi di fronte a una emorragia. E cosi facendo formano un coagulo che si attacca alla placca.

Due ricercatrici italiane, Maria Benedetta Donati e Licia Iacovello dell'istituto Mario Negri Sud, hanno appena scoperto che se una persona produce poca fibrina (una delle proteine della coagulazione del sangue), rischia meno di essere colpita da infarto. Ha cioè un fattore protettivo in più. Secondo lo studio, condotto in 54 ospedali italiani e pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine, un italiano su cinque possiede nei suoi cromosomi la variante di uno specifico gene che ha la ricetta di quanta fibrina deve essere prodotta dall'organismo: meno ne produce, minore è il rischio di infarto.


 
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