Si strugge e geme il naufrago ignoto e dice - Io - al re che gli chiede, rivela il nome, la stirpe, la patria.
Sono Odisseo, figlio di Laerte, noto agli uomini per tutte le astuzie, la mia fama va fino al cielo. Abito Itaca chiara nel sole... Non so vedere altra cosa più dolce, per uno, della sua terra. libro IX versi 1 - 36 (trad. di G.Bemporad )
Narra, narra fluente la sua odissea, come avesse varcato la soglia magica, la bocca dell'ipogeo dell'anima. E diventa Ulisse, ahi!, l'aedo e il poema, il cantore e il canto, il narrante e il narrato, l'artefice e il giudice, diventa l'inventore di ogni fola, menzogna, l'espositore impudico e coatto d'ogni suo terrore, delitto rimorso. Narra dal momento in cui lascia le macerie di Ilio, issa le vele e inizia il viaggio di ritorno. Viaggio da oriente verso occidente, in una dimensione orizzontale. Ma, una volta immerso nella vastità del mare, è come fosse il suo un viaggio in verticale, una discesa negli abissi, nelle ignote dimore, dove, a grado a grado, tutto diventa orrifico, subdolo, distruttivo. Si muove il navigante tra streghe, giganti, mostri impensati, tra smarrimenti, inganni, oblii, malìe, perdite tremende, fino alla solitudine, all'assoluta nudità, al rischio estremo per la ragione e per la vita.
Quel cammino fluido e mutevole, sconfinato e monotono è il luogo dove il reale, il concreto, si sfalda, vanifica, e insorge l'irreale, s'installa il sogno, l'allucinazione: il genitore dei mostri, immagini delle nostre paure, dei nostri rimorsi.
L'Odissea d'espiazione, di catarsi, è nata dall'orrore della guerra, dal senso di colpa per le morti, per le distruzioni narrate nell'Iliade. Non poteva compiere quel viaggio che Ulisse, il più astuto, paziente e tenace, il più umano degli eroi greci, perchè egli aveva inventato il mostro tecnologico, il cavallo di legno, arma estrema, sleale e dirompente che aveva segnato la sconfitta di Troia, la fine della guerra. Ulisse è il più carico di rimorsi, anche per essere sopravvissuto a tanti guerrieri, a tanti compagni, eroi spesso più grandi più valorosi di lui, ma certo più incoscienti. Rimorsi che lo spingono a varcare la soglia dell'umano, a spingersi, vivo, nel regno dei morti, a dialogare, per lenire le ferite del suo animo, con le ombre dei trapassati. Superate tutte le prove, sopportate tutte le perdite, divenuto ancora più consapevole, potrà infine raggiungere Itaca, e qui affrontare i nemici reali, storici, installatisi nella sua casa; con l'aiuto del figlio, ricolmare così la lunga assenza, ricongiungersi con la moglie, sanare lo squarcio della sua vita. Purgato di ogni colpa, ritrovare, alla conclusione del viaggio penitenziale, l'armonia perduta. Mostri generati dai rimorsi. I più tremendi sono, nella favola, nel poema, nell'isola al centro di quel mare, nelle pieghe più oscure e minacciose della sua natura, nella terribilità del suo vulcano, negli scuotimenti della sua terra, nelle insidie delle sue isole intorno.
Vincenzo Consolo , l'olivo e l'olivastro Mondadori 1994