IL COMPLESSO CHE HA VINTO A NAPOLI

BALORDI PER MODO DI DIRE

 

 

 

I quattro Balordi a dispetto del loro nome sono gente seria. "Impegno? - dicono - Protesta? Macché! Noi ci limitiamo solo a mettere in ridicolo certe situazioni e certi problemi."

 

Milano, luglio  

 

     Un festival balordo, quello di Napoli. Lo abbiamo scritto noi, lo hanno detto altri, lo hanno pensato molti. Balordo: una parola a doppio senso che, nel caso di Napoli, è stata sfruttata a fondo. Per la prima volta nella storia del festival partenopeo, un complesso ha vinto, sia pure all’ombra di un personaggio come Nino Taranto. Il complesso è quello dei Balordi. Quattro ragazzi del nord, quattro tipi molto strani. Quattro balordi, insomma.

     Gion dorme quasi sempre, e quando non dorme disegna e compone canzoni. Parla sempre sottovoce, canta e suona il basso. Andrea è suo fratello, ma non gli assomiglia per niente; porta gli occhiali (non è una questione di moda, è miope come una talpa) ed i basettoni e si occupa delle questioni organizzative. Suona la chitarra d'accompagnamento e canta in falsetto. Bruno ha i capelli cortissimi, neri, e gli occhi azzurri. Studia all’Accademia di Brera ed è un malato della chitarra. Quella classica, s’intende, e gli altri fanno molta fatica a convincerlo che il beat si fa diversamente da come lo farebbero Montoya o Diaz Cano. Beppe suona la batteria e si è fatto crescere i baffi. Fa il "tecnico doganale" e quasi nessuno è ancora riuscito a capire bene cosa significhi, ma lui si dà una certa importanza lo stesso.

     Sono, con le loro divise stravaganti, le loro copertine stranissime ed i loro dischi assurdi, i Balordi. Un nome abbastanza appropriato, anche se, alle orecchie di uno studioso di etimologia, la parola  potrebbe suonare come un'offesa. Con l'evoluzione subita dalla terminologia corrente in questi ultimi anni, tuttavia, "balordo" oggi può essere interpretato al massimo come "zuzzurellone", "pazzerello", eccetera. E su questo piano va bene. E' comunque un nome che non è venuto fuori per il complesso. Voglio dire che, in un certo senso, prima è nato il nome e dopo il complesso. E' andata così: Gion, che lavorava in una ditta di pubblicità specializzata in cartoni animati, venne incaricato di trovare un personaggio simpatico, un po' fuori del comune, un Charlle Brown made in Italy. E così nacque Gion il balordo, un cosino tutto scarpe e testa, con tre lunghissimi peli sul cranio. Solo qualche tempo dopo, quando Gion, Andrea e due loro amici, Bruno e Beppe, decisero di mettersi a suonare sul serio, saltò fuori l'improrogabile necessità di trovare un nome per il complesso. Non solo, ma doveva essere un nome nuovo, adatto ad un genere nuovo. Qualcosa, insomma, genere e nome, di totalmente diverso dai tremila e più complessi già in circolazione.

            I "Balordi" dunque andava benissimo come nome. E per il genere... beh… chi ha ascoltato il loro primo disco "Vengono a portarci via, ah, ah" non può negare che fosse da shock. Poi "Domani devo fare una cosa", il secondo disco, un tentativo abbastanza drastico di modificare il mondo, e infine "O matusa" al Festival di Napoli.

E' la prima volta che un complesso va in finale al Festival di Napoli.

 

 

 

     Figurarsi poi se, oltre a questo, arriva anche una vittoria!

     "Naturalmente, - dice Gion - hanno scritto quasi tutti che il Festival lo ha vinto Taranto. E non hanno proprio tutti i torti. Però non esageriamo. Se la nostra esecuzione non avesse influito proprio per niente, allora Taranto avrebbe vinto il Festival con l'altra sua canzone, "'A prutesta", che invece si è classificata solo seconda. E non di­mentichiamo che la serata finale siamo stati proprio noi a chiudere la trasmissione, quindi le giurie avevano ben chiaro davanti agIi occhi anche noi, mica solo Taranto!"

     Andrea, il "ragioniere", lo interrompe: "Non stiamo a fare polemiche che non servono a niente. Tanto di cappello a Nino Taranto e qualche complimento anche a noi. D'altra parte, volevi dei complimenti migliori di quelli che ci stanno facendo gli impresari? Non ci sono mai state offerte tante serate come adesso e, nota bene, mica nel nord dove, bene o male, i nostri soldi li tiravano su, ma quasi tutte nel sud. Segno che il pubblico di laggiù ci ha notati e apprezzati. E questo basta.  Forse non venderemo molto del disco del Festival. E' la prima volta che affrontiamo la canzone napoletana, non potevamo fare miracoli. Però sul piano della pubblicità dobbiamo ricono­scere che meglio di così non ci poteva proprio andare".

     "Qualcuno l’ha chiamato Festival Balordo – dice Gion - più o meno con l’intenzione di prenderci, sia pure garbatamente, in giro. E ci ha dato una buona idea per il titolo del 33 giri che stiamo preparando. Si chiamerà Mondo Balordo e può anche darsi che piaccia. Ci sarà una facciata di cose serie ed una di cose, invece, balorde, di quelle che piacciono a noi. Due soprattutto, quelle che aprono e chiudono questa seconda facciata, ci sembrano ben riuscite. Una si intitola "1863" e l’altra "2000". Vi sembrano strani come titoli? E perché? Sono due date. Le date di un sogno, uno stesso sogno fatto da due persone completamente diverse, in due epoche completamente diverse".

     "Balordi" finchè si vuole, come nome e come clichè, ma in fondo ragazzi estremamente seri e preparati, soprattutto sul piano professionale. Portiamo il discorso su temi più ampi che riguardano le loro musiche. Protesta? Impegno? Ma no! I ragazzi sorridono a queste domande.

     "In questi generi – rispondono - o ci sai fare veramente (ed molto, ma molto difficile) oppure scadi inevitabilmente nel banale, nella scopiazzatura trita e ritrita di certi profeti americani ed inglesi. E queste cose non riescono mai bene".

     "D'altra parte - aggiungono - la protesta migliore, dovendola proprio fare, è quella di mettere in ridicolo certe situazioni, certi problemi, certi personaggi. E quando la gente riderà di queste cose, vuol dire che non le prende più sul serio ed è gia un bel passo avanti".

Elvio Rosato

 

BIG  2 agosto 1967

 

Gion, Beppe, Andrea e Bruno sono i quattro Balordi. Dopo la vittoria, insieme a Taranto, al Festival di Napoli, le loro quotazioni sono aumentate di parecchio, specie al sud. Si vestono in modo strano e la gente per la strada li prende spesso per pazzi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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