Il complesso conventuale di

San Francesco a Folloni


Il complesso monumentale di San Francesco a Folloni sorge a poco più di due chilometri dall’abitato di Montella, nei pressi del fiume Calore, lungo la strada che da Montella porta a Bagnoli Irpino.

Questo convento, che ha avuto una notevole importanza nella vita religiosa e civile del nostro paese e che ormai è conosciuto in ogni dove, si vuole sia stato fondato dallo stesso San Francesco.

Infatti, si racconta che, nell’inverno del 1221, il poverello di Assisi, durante il suo viaggio di evangelizzazione verso la Puglia, deviò per queste zone e, fermatosi a Montella, chiese ospitalità in paese, per se e per i suoi frati, ma, vedendosela rifiutata, si portò nel bosco di Folloni ove, sotto una pianta di elce, che sembra si trovasse nel luogo ove ora sorge l’altare maggiore della chiesa, trovò riparo insieme ai suoi compagni.

Durante la notte vi fu un’abbondante nevicata, ma la neve non toccò l’albero che proteggeva i frati.

Saputo del fatto miracoloso, il conte di Montella, Tommaso d’Aquino, pregò Francesco di restare per qualche tempo, ma questi, non potendolo fare, vi rimase solo un paio di fraticelli che diedero inizio alla costruzione di un piccolo convento, grazie alla generosità del conte che, non solo donò ai frati il terreno su cui edificare, ma diede a questi il materiale da costruzione, il legname, i diritti di far legna nel bosco di Folloni e di pescare nel fiume Calore, nonché una elemosina annua di 36 tomoli di grano1.

Altri episodi miracolosi si raccontano intorno a questo convento, come, ad esempio, quello riguardante una sorgente d’acqua che S. Francesco, l’anno successivo, nel suo viaggio di ritorno, fece sgorgare ai piedi di un cerro secco, a nord del convento, per far sì che si dissetassero gli operai addetti alla costruzione del convento, visto che le acque del fiume Calore erano torbide, sorgente che ancora oggi viene chiamata fontana del miracolo.

Un altro episodio miracoloso si ebbe a verificare nell’inverno del 1224: i frati erano rimasti bloccati dalla neve e rischiavano di morire d’inedia, sentito bussare alla porta del convento e andati ad aprire, senza che sulla neve vi fosse impronta umana, vi trovarono un sacco di fragrante pane e sul sacco il contrassegno dei reali di Francia.

Frate Francesco, in quel momento, era per l’appunto alla corte di Luigi VIII e aveva affidato agli angeli il pane, chiesto per i suoi frati, alla carità del re.

La tela del sacco fu utilizzata dai frati per farne una tovaglia per l’altare e, si narra che, dopo ben tre secoli, questa fu rubata da un brigante che ne fece toppe per il suo mantello, cosa questa che gli salvò la vita, rendendolo invulnerabile alle schioppettate, e gli salvò l’anima poiché tale fatto lo condusse al pentimento.

Questo racconto è raffigurato in un affresco del Ricciardi conservato ancor oggi nel refettorio del convento.

Ma veniamo alla storia: da recenti lavori di restauro sono venuti alla luce notevoli resti di costruzioni gotiche che risalgono al XIII e al XIV sec. e che, se non altro, ci confermano il periodo di origine del convento.

La chiesetta primitiva, nel 1500, fu sostituita da una più ampia, dedicata all’Annunziata, e presentava una navata al centro, una navata minore, fiancheggiata da sette cappelle, a destra, e delle altre cappelle a sinistra.

La chiesa aveva come ingresso quello che ora è l’ingresso del convento e sorgeva ove ora vi è il primo chiostro, le stanze adiacenti e l’attuale cappella del Crocefisso.

Il campanile, solido ed elegante, fu iniziato nell’anno 1575 e fu completato nel 1594, ma un secolo dopo, nel 1694, un terremoto ne rovinò la parte superiore (dall’ottagono in su) che, anche se rifatta, non rispecchiò più né il disegno né l’altezza originale.

Nella seconda metà del 1500 le cappelle poste sul lato destro vennero ampliate.

Nel 1613 il convento ospitava 14 padri, 4 novizi ed alcuni fratelli laici e godeva di una ricchissima rendita (1.500 ducati).

La costruzione della chiesa attuale fu iniziata verso il 1740 e fu consacrata nel 1769 dal Vescovo di Nusco nel Mons. Bonaventura.

La nuova chiesa, a differenza della prima, che era volta a ponente, presenta la propria facciata rivolta a mezzogiorno; essa si presenta vasta, ben armonizzata nella sua struttura, imponente e in uno stile barocco molto sobrio e garbato che non sfocia in quell’ecesso di fronzoli tipico di questo stile.

Nel 1743 fu messo in opera l’imponente portale, nella cui nicchia superiore trova posto una statua del santo fondatore, donata dal principe ereditario Umberto II a ringraziamento dell’ospitalità ricevuta in occasione delle manovre parziali che si tennero in queste zone nell’agosto del 1932.

Nel 1776 si diede opera alla costruzione, in legno, del coro e della sagrestia.

Con la soppressione degli ordini religiosi, da parte del governo Bonaparte, il monastero fu soppresso dal 1808 al 1817, e, in quel periodo fu spogliato di molte sue opere2.

Comunque, se il monastero riuscì a salvarsi in quel decennio non si verificò la stessa cosa dopo la sua seconda soppressione che si verificò dopo la costituzione del Regno d’Italia.

Infatti il convento rimase abbandonato e, nel 1872, fu ceduto dallo Stato al Comune perché venisse trasformato in Cimitero o utilizzato ad altro scopo, ma questi progetti non andarono in porto e, nel 1874 e nel 1876, si cercò di affidare la custodia della chiesa monumentale ai Minori Conventuali.

Anche questo progetto non poté essere realizzato poiché, a causa della soppressione degli Ordini Religiosi, i frati si erano completamente dispersi.

All’inizio di questo secolo il convento ospitò una comunità femminile e, durante la prima guerra mondiale fu utilizzato per dare asilo ai profughi veneti.

Nel 1926 e nel 1927, e particolarmente in occasione del centenario francescano, i Frati Minori Conventuali chiesero, ripetutamente, ma senza alcun risultato, alle autorità di Montella di poter ritornare nel loro antico convento col proposito di istituirvi un Noviziato.

Finalmente, nel 1933, i frati francescani tornarono a far rivivere l’antico convento, ma, per poterlo fare, furono necessari dei massicci restauri che furono iniziati nel 1930.

In ogni modo i restauri e gli interventi più impegnativi e massicci sono stati messi in atto dopo l’ultimo evento sismico del 1980, che, oltre a consolidare e restaurare l’antica struttura, ha riordinato il giardino antistante, ha ripavimentato il sagrato3 ed ora, in alcuni locali posti al piano terra, trova posto un museo4.

Purtroppo negli anni 60, a ridosso del convento, fu edificato un moderno complesso, che attualmente ospita gli uffici della Comunità Montana Terminio-Cervialto , che, pur se ubicato sul retro del convento, cioè nella parte nascosta, toglie all’intero complesso parte di quell’aspetto mistico e fascinoso che questi luoghi sanno infondere nel visitatore riuscendo a trasmettergli un senso di pace e serenità sia fisica che spirituale.

Comunque, il Complesso Monumentale di San Francesco a Folloni, resta uno dei complessi architettonici più importanti e ricchi di interesse storico, artistico e culturale della nostra provincia, che va difeso e curato dagli attacchi del tempo, ma ancor più, da quello degli uomini 5.

 

NOTE: (per tornare al testo fare clic sul numero della nota)

1.

Il tomolo era un’unità di misura di capacità per aridi usata fino a qualche tempo fa dalle nostre parti e corrisponde a 50,5 litri (a barra, cioè raso, mentre a curmo, cioè colmo, conteneva il 5% in più).

2.

Fondo Capone, I, fol. 221, Bibl. Prov. di AV; Arch. Municipale Carte ecc., Vol. III; Francesco Scandone "Il Monastero di Santo Francesco a Folloni in Montella (AV)" - 1928 - pag. 102.

3.

A nostro avviso, il completo "restauro" del complesso, piuttosto che migliorare l’aspetto monumentale ed artistico del convento, ne ha deturpato il suo stile originale, specie per quanto riguarda l’aspetto esteriore, ivi compreso il sagrato.

4.

Attualmente il museo è quasi del tutto privo di opere d’arte, e, salvo l’interessamento delle autorità cittadine competenti, che potrebbero prendere in considerazione l’ipotesi di dotarlo di tutti quei reperti rinvenuti nella nostra città, ed ora dispersi qua e là, esso, purtroppo, è destinato a scomparire.

5.

Molto spesso gli uomini sono molto più dannosi e deleteri delle calamità naturali!