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IL SUO primo allenatore quando lo vide
per la prima volta pensò di essere dentro un film. E infatti fece
come Michail Caine in Fuga per la vittoria: "Dategli il
pallone, al resto penserà lui". Nella finzione quello che
doveva ricevere il pallone era Pelé (nel ruolo di un soldato
prigioniero dei nazisti), nella realtà il destinatario della frase
è Michael Owen. Allora aveva compiuto da poco i quattordici anni,
ora che ne ha 22 continuano a dargli palloni, sperando che ci pensi
lui.
Gli dà il Pallone anche il settimanale francese France Football che
lo incorona con quello d'Oro. Successore di Figo, Rivaldo, Zidane,
Ronaldo, tanto per andare un po' indietro. I migliori, i figli
benedetti del dio talento, quelli che si vede subito quanto valgono.
Owen non era ancora al Liverpool, che già tutti parlavano di lui.
Gol come se piovesse nelle giovanili, con tanto di record di Ian
Rush bambino demolito: 92 in una stagione contro le 79 del gallese.
Numeri, che sono diventati ancora più grandi dal 1997, da quando il
cucciolo di casa Owen (il papà Terry lo segue come un'ombra) ha
firmato il primo contratto da professionista. Il club fortunato è
il Liverpool che sul ragazzo ci punta sin da subito. E lui ripaga:
131 partite in campionato con 71 reti, 28 presenze nelle coppe
europee con 14 centri. E poi le statistiche con la maglia inglese:
32 presenze, 14 gol e il record del più giovane marcatore del
secolo per i Bianchi.
Numeri, tanti numeri, ma che non dicono tutto. Bisogna vederlo
giocare Owen per capire perché vale oltre 150 miliardi e
soprattutto perché per lui siano impazzite prima Liverpool, dove lo
paragonano ad uno dei Beatles, e poi tutta l'Inghilterra. E bisogna
vederlo fuori dal campo, per capire perché ha mantenuto le
promesse.
Sull'erba fa l'attaccante, che detta così è una cosa che fanno in
molti. Lui però lo fa alla sua maniera, cioé meglio degli altri.
La velocità è il suo biglietto da visita principale. Sul retro ci
stanno scritte agilità, dribbling e visione di gioco. Insomma tutto
il repertorio classico, per di più in dosi massicce. Tanto che Pelé
di lui dice: "Alla sua età non ho mai visto nessuno così, è
meglio del primo Ronaldo".
Ne sanno qualcosa i difensori dell'Argentina, i primi ad accorgersi
a livello internazionale di questo ragazzino con la faccia da primo
della classe e i muscoli da lottatore. Era il 1998, erano i Mondiali
di Francia: l'Inghilterra affronta i biancazzurri. Owen con il
risultato sull'1 a 1, prende palla sulla trequarti passa davanti ad
Almeyda che si sta ancora chiedendo cosa fosse quella "cosa
bianca così veloce". Poi si ferma un attimo, il tempo di
mandare fuori strada con una finta Ayala e Chamot e di segnare.
E' il primo mattone del suo mito. Adesso c'è un muro, ancora più
alto dopo la tripletta segnata alla Germania tre mesi fa a Monaco
nelle qualificazioni per i Mondiali.
Tre gol da applausi, che contribuiscono alla sconfitta dei rivali
tedeschi. Roba da perdere la testa. Altri forse, ma non Michael Owen
che la testa è abituato ad usarla più nella vita che quando gioca:
"Il merito è dei miei compagni, senza di loro non avrei
segnato", riuscì a dire senza farsi scappare da ridere.
Coccolato da una famiglia solida e protettiva, l'attaccante è
costruito su misura per demolire tutti i cliché sui calciatori
inglesi. Non beve, non fuma, va a letto tutte le sere poco dopo le
undici. Non frequenta le discoteche e non ha intenzione di sposare
una Spice Girls. Per divertirsi gioca a biliardo e a golf. Misura le
parole e non si fa incantare dalle migliaia di ragazze che lo
assediano: "Mi vedono come una pop star, ma nella vita contano
altre cose", ripete sempre. E ha l'aria di crederci, come
quando giura: "Non ho ancora fatto vedere quello che so fare,
devo crescere, devo imparare molto". E se lo dice lui, bisogna
fidarsi. |
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