Gli Esodi



La Lunga Marcia dei Navaho (1864).


Nel quadro della Guerra Civile Americana nella primavera del 1862 venne inviato nel New Mexico il generale James H. Carleton per difenderlo dall'avanzata delle truppe Confederate, ma quando egli giunse, queste ormai si erano ritirate nel Texas. Decise allora di dedicarsi alla sottomissione degli Apache e dei Navajo.

Pensò come prima mossa quindi di intimare agli indiani di trasferirsi in una "riserva" al di fuori dei loro territori o di morire combattendo. Affiancato dal leggendario colonnello Kit Carson, che avendo in precedenza ricoperto il ruolo di agente indiano godeva della fiducia di questi, e da cinque compagnie di volontari, dopo aver sconfitto gli Apache Mescalero deportandoli nella "riserva" di Bosque Redondo, Carleton si incontrò con i capi Navajo Delgadito e Barboncito proponendo lo stesso trattamento riservato a quelli. Al loro netto rifiuto il generale ordinò che ogni Navajo maschio fosse ucciso o fatto prigioniero e organizzò agli ordini di Carson una campagna volta a creare "terra bruciata" attorno ai nativi. In sei mesi i soldati uccisero solo 78 indiani , ma riuscirono ad abbattere il morale dei guerrieri Navajo e soprattutto a sconvolgere le consuetudini di vita. Nel 1864 Carson decise quindi di attaccare la roccaforte indiana, il Canyon di Chelly. Questa vallata di cinquanta chilometri, pur godendo di buone posizioni difensive, fu sistematicamente devastata dai soldati che rasero al suolo gli "hogan" con le loro riserve di cibo, trucidarono o dispersero il bestiame, distrussero le coltivazioni tra cui un frutteto di 5.000 alberi di pesche orgoglio della tribù. Stremati, affamati e demoralizzati, nella metà di marzo del 1864 circa seimila Dineh si arresero, accettando di fatto la deportazione. Fu questa, la resa più numerosa di tutte le guerre indiane. Iniziò in questo modo "La Lunga Marcia dei Navajo" che, da Fort Defiance in Arizona, per 563 chilometri percorsi a piedi in pieno inverno tra neve e ghiaccio li avrebbe condotti nella "riserva" di Bosque Redondo in New Mexico. Tra marce forzate, e strani cibi consumati durante il cammino che causarono diarrea indebolendo ancor pił i malcapitati, chi non resisteva, non poteva più cammminare o s'ammalava veniva inesorabilmnente ucciso. Altri durante il tragitto furono imprigionati dai messicani e trattati da schiavi.

Nè fu meglio l'arrivo a Fort Sumner. Qui fu ben presto chiaro che le promesse fatte da Carleton al momento della resa non sarebbero state mantenute. Gli indiani costretti a vivere in 104 kmq di terreno arido non potevano certo sostentarsi con l'agricoltura come nelle intenzioni. Inoltre inondazioni, siccità, parassiti minavano i già magri raccolti. A questo s'aggiungevano condizioni di vita bestiali: costretti a vivere in buche, senza legna da ardere e con sacchi di juta come coperte, insufficienti ai rigori dell'inverno, le razioni alimentari distribuite dal governo inoltre erano gravemente deficitarie. Cibi come caffè bacon e farina, ignoti ai nativi, erano male utilizzati e causavano, insieme all'acqua alcalina del fiume Pecos, gravi disturbi gastrointestinali. Inoltre i soldati posti a guardia della "riserva" permettevano le razzie perpetrate dai Comanche, nemici dei Navajo, i quali, naturalmente non avendo armi, non potevano in alcun modo difendersi dal furto del già scarso bestiame.

In tale situazione quindi per quattro lunghissimi anni dal 1864 e il 1868 morirono circa duemila prigionieri per denutrizione, stenti e malattie infettive quali morbillo e polmonite. Quando ormai era chiaro che il piano di Carleton di trasformare i Navajo in agricoltori era fallito nel 1868, dietro firma per la cessione dei tre quarti delle loro terre, i sopravvissuti poterono finalmente far ritorno in patria.