COGNOME e NOME: | CATEGORIA di RELAZIONE : |
Craig Henry Edward Gordon |
compagno rivoluzionario |
CRAIG
e la DUSE ovvero lo "SCENOGRAFO TOTALE"
e la "SUPERMARIONETTA" tanto SUPER e POCO MARIONETTA |
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Giovanni Calendoli definisce la collaborazione tra Edward Gordon Craig ed Eleonora Duse come uno degli «incontri falliti nella vita teatrale degli inizi del Novecento. Cosi il regista come l'attrice erano ambedue alla ricerca di un fondamento spirituale, che potesse dare una definitiva concretezza allo sforzo artistico da essi perseguito con impegno totale, ma senza un preciso orientamento» (Giovanni Calendoli, L'attore, Roma, Ed. dell'Ateneo, 1959) Un
rapporto di collaborazione che sfocia in una realizzazione teatrale, a
dire il vero, ci fu: nel 1906 al teatro La Pergola di Firenze è
rappresentata "Casa Rosmer" di Henrik Ibsen. Insuperabile a questo proposito è la testimonianza di Isodora Duncan, che a quel tempo vive assieme allo scenografo: |
«A quei tempi Juliette Mendelsshon, che viveva con il marito, un ricco banchiere, in una stupenda villa, era mia vicina. Ella si interessava, al contrario delle sue amiche borghesi, alla mia scuola e un giorno m'invitò con i miei allievi a danzare davanti al mio idolo, Eleonora Duse. Fa allora che presentai Gordon Craig alla Duse; l'attrice fu affascinata dalle sue idee sul teatro e cosi avemmo modo di incontrarci più volte, entusiasmandoci vicendevolmente nelle discussioni. |
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Infine la Duse ci invitò ad andare con lei a Firenze, perchè Craig potesse organizzare là una rappresentazione. Fu deciso, secondo il suo desiderio, che Craig avrebbe messo in scena il Rosmersholm di Ibsen e cosi partimmo su di un treno di lusso insieme a Marie Kist e a mia figlia Deirdre. |
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Durante il viaggio dovetti nutrire la mia bambina, ma poi, improvvisamente, mi mancò il latte e fui obbligata a ricorrere ad alimenti artificiali. Nonostante ciò ero al colmo della felicità. Per merito mio le due persone che adoravo di più sulla terra si erano conosciute: Craig avrebbe realizzato i suoi progetti e la Duse avrebbe finalmente recitato in una, cornice degna del suo genio. A Firenze alloggiammo in un piccolo albergo vicino al Grand-Hotel, dove Eleonora occupava l'appartamento reale. |
Improvvisamente però scoppiò una discussione e io dovetti diventare interprete tra i due, poichè Craig non conosceva una sola parola d'italiano o di francese e la Duse non capiva l'inglese: mi trovai perciò alle prese con questi due geni, che dimostravano di possedere sul teatro concezioni completamente diverse. |
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Cercavo
di dar ragione all'uno e all'altro e ci riuscii usando solo un pò
d'astuzia; spero che le mie bugie mi siano state perdonate, in
considerazione che furono dette per una causa giusta. Tutto si sarebbe
fermato se avessi tradotto ad Eleonora ciò che Craig le diceva e se
avessi ripetuto esattamente gli ordini che la Duse impartiva. |
bozzetti di scena firmati da Edward Gordon Craig: la "novità" è evidente
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Credo
che Ibsen, nella prima scena di Rosmersholm, indichi "una sala
arredata con mobili di vecchio stile". Craig invece voleva che
raffigurasse l'interno di un tempo egiziano, con il soffitto altissimo e
dei muri elle allungavano all'infinito la prospettiva. Oltre a ciò,
egli voleva portare sul fondo, a differenza dei templi egiziani, una
grande finestra quadrata. Secondo Ibsen, la finestra dovrebbe guardare su
un viale alberato, che conduce ad un cortile, Craig voleva invece
un'apertura di dieci metri per dodici, che dava su un panorama
fiammeggiante, con dei rossi, dei gialli, dei verdi, che poteva evocare i
bordi del Nilo, ma che non faceva certo pensare ad un cortile di una
vecchia casa. Eleonora, sconcertata, diceva: -"Se si dice che deve
essere! una finestra piuttosto piccola, non possiamo metterne una
grande"-. Craig allora scoppiava a dire: -"Di a questa benedetta
donna che non deve occuparsi di affari che non la riguardano"-. Io
allora dovevo tradurre: -"Craig ha detto che
ammira la vostra idea e che farà di tutto per accontentarvi"-. |
Eleonora in Francesca da Rimini (1902)
due ambientazioni "convenzionali"
Eleonora in Rosmersholm (1906) |
Poi
volgendosi verso Craig, traducevo cosi le obiezioni della Duse:
-"Eleonora mi dice che sei un genio, e che non farà alcuna critica,
ma accetterà i tuoi bozzetti come sono"-. Queste discussioni
duravano talvolta delle ore. Spesso scoppiavano all'ora in cui dovevo
allattare la bambina, ma, nonostante ciò, ero sempre pronta a diventare
un'intermediaria pacificatrice fra i due. Soffrivo come non mai, quando,
passata l'ora in cui dovevo allattare la piccola Deirdre, ero obbligata a
spiegare ai due artisti quello che, in realtà, essi non dicevano affatto.
Questo compito era snervante e la mia salute cominciò a soffrirne. Le
discussioni ritardavano la mia convalescenza, ma per permettere la
realizzazione di quest'opera, in cui Craig voleva glorificare Eleonora
Duse, nessun sacrificio mi pareva eccessivo. Craig si chiuse poi in teatro
con dozzine di barattoli di colore e con un grosso pennello: cominciò a
dipingere lui stesso le scene. Non era riuscito a trovare degli operai
italiani che comprendessero cosa voleva. Non aveva potuto trovare la tela
che gli occorreva e dovette accontentarsi di usare tela di sacco, unendone
insieme i pezzi. Per giorni e giorni un gruppo di vecchie donne si installò
sulla scena per cucire i lembi della tela; alcuni giovani pittori italiani
si muovevano sui ponti, cercando di eseguire gli ordini di Craig, il
quale, coi capelli arruffati, lanciava insulti, intingeva pennelli nei
barattoli, appoggiava ai muri delle scale traballanti e rimaneva in teatro
giorno e notte. Non ritornava a casa neppure per mangiare: se non gli
avessi portato un cesto con le provviste si sarebbe persino dimenticato di
nutrirsi. |
La
consegna era di non lasciar entrare in teatro la Duse. –"Se entra -
egli diceva - prendo il treno e me ne vado"-. Ma la Duse bruciava dal
desiderio di vedere a che punto erano i lavori e io avevo l'incarico di
tenerla lontana, senza però irritarla. La portavo perciò a far lunghe
passeggiate nei giardini dei Boboli, dove il fascino delle statue e dei
fiori calmavano i suoi nervi [...]. |
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Le scene di
Rosmersholm procedevano. Ogni volta che mi recavo a teatro per portare la
colazione a Craig lo trovavo in uno stato che stava tra la collera e la
gioia frenetica. Talvolta si mostrava convinto di creare la più grande
opera d'arte che il mondo avesse mai visto. Un minuto dopo piangeva
disperatamente protestando di non aver trovato in Italia nè operai nè
colori adatti, e d'esser obbligato a far tutto da sè. - "Che quel a
benedetta donna non metta piede qua dentro - diceva - se non vuole
ricevere un barattolo di colore sulla testa!"- Avvicinandosi il
momento in cui Eleonora avrebbe dovuto vedere le scene, io cercavo di
distrarla con tutti i mezzi a mia disposizione. Quando giunse il giorno,
venni a prenderla per condurla a teatro: ella era in uno stato di grande
eccitazione, che poteva esplodere in una crisi, di momento in momento,
come un uragano in un giorno d'estate. Mi attendeva nella hall
dell'albergo, drappeggiata in una pelliccia rossiccia e con un cappello di
color rosso-bruno, che somigliava a un copricapo da cosacco. Quel cappello
era messo di traverso, perchè la Duse, sebbene avesse frequentato un
certo momento della vita i grandi sarti, su consiglio di amici, non imparò
mai a vestirsi e non fu mai una donna elegante. Il suo vestito saliva
sempre da una parte e pendeva dall'altra; il cappello non era mai diritto.
Per quanto ricco fosse il suo abbigliamento ella aveva sempre l'aria di
essersi appena degnata di prenderlo. Durante il
percorso per arrivare a teatro la mia eccitazione era tale, che potevo a
malapena parlare. Arrivati davanti al teatro, dovetti usare tutta la mia
diplomazia per impedirle d'entrare per la porta di servizio; feci aprire
la porta principale e la condussi in un palco. Passarono lunghi minuti,
mentre io stavo sulle spine e la Duse continuava a ripetere: « Ma la
finestra?... Sarà come la vedo io?... Dove sono le scene? ». |
Alla fine dello
spettacolo Craig esultava. Egli vedeva il suo avvenire ormai deciso, e
tutta una lunga serie di opere grandiose dedicate alla Duse, di cui
parlava ora con un'ammirazione più ardente della sua antica collera. Oh,
fragilità umana! Fu quella l'unica rappresentazione in cui la Duse
apparve avendo per cornice una scena di Gordon Craig! Ella aveva un
repertorio fisso e ogni sera doveva recitare una commedia diversa. Un bel
giorno, quando il nostro entusiasmo si fu calmato, mi accorsi che il mio
conto in banca stava per finire. La nascita di mia figlia, le spese della
scuola di Grunwald e il viaggio a Firenze avevano esaurito i miei
risparmi. Arrivò proprio in quei giorni l'offerta di un impresario di
Pietroburgo, che mi chiedeva se potevo di nuovo danzare, e mi offriva un
contratto per una « tournée » in Russia. Lasciai perciò Firenze
affidando Dierdre a Maria Kist e lasciando Craig alle cure di
Eleonora e
presi l'espresso per Pietroburgo. Non ho molti
ricordi di questa « tournée »: il cuore mi richiamava a Firenze e
abbreviai cosi il viaggio il più possibile, accettando un contratto per
l'Olanda, con la speranza d'essere sempre più vicina alla mia scuola e a
coloro che amavo. La sera del mio debutto ad Amsterdam fui colpita da un
forte malessere; doveva trattarsi di quella malattia che viene chiamata «
febbre del latte ». Dopo lo spettacolo svenni e mi si dovette trasportare
all'albergo. Per giorni e giorni rimasi nella mia stanza immersa
nell'oscurità, con una crisi di nevrite. |
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Edward Gordon Craig (1905) |
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Isadora coi figli Deirdre e Patrick (1913) |
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Craig accorse presso il mio letto e mi assistette con devozione, rimanendo al mio fianco per tre o quattro settimane. Un giorno però ricevette un telegramma di Eleonora: « Rappresenterò Rosmersholm a Nizza. Le scene sono insufficienti. Venite subito ».Stavo allora entrando in convalescenza, ma, appena vidi il telegramma, ebbi il chiaro presentimento di ciò che sarebbe accaduto tra i due artisti senza la mia mediazione e il mio astuto servizio d'interprete. |
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Craig un mattino
entrò come un uragano nel teatro del vecchio Casinò di Nizza, e vide
che, all'insaputa della Duse, la sua scena era stata tagliata in due.
Davanti al suo capolavoro, al frutto della sua arte e della sua
sofferenza, cosi malamente amputato e massacrato, Craig fu preso da un
terribile accesso di collera, e, come una furia, si rivolse ad Eleonora
che era presente: « Cosa avete fatto? - gridò - La mia
opera... Avete distrutto il mio lavoro e la mia arte! Proprio voi, da cui
mi aspettavo tanto! » E continuò cosi, finchè Eleonora, che non era
affatto abituata ad essere
apostrofata in quel tono, fu presa a sua volta
dalla collera. « Non avevo mai visto un uomo in tale stato - mi disse in
seguito - nessuno mi ha mai parlato cosi: dall'alto del suo metro e
ottanta, in una crisi di collera britannica, mi ha detto delle cose
terribili. Non l'ho potuto sopportare e gli ho mostrato la porta dicendo:
Andatevene, e che non vi riveda mai più». Cosi fini il progetto della
Duse di dedicare tutta la sua carriera al genio di Craig». (Isadora
Duncan, “La mia vita”, da: Giovanni Calendoli, L’attore, storia di un’arte, Roma, Edizioni dell’Ateneo,
1959) |
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