IntroduzioneQuesta ricerca ho preso in esame venti storie di vita e di lavoro delle operaie di sei filande del comune di Vittorio Veneto dall’epoca fascista al secondo dopoguerra. Tale scelta è dovuta al fatto che il lavoro in filanda, in un’economia prevalentemente agricola, caratterizzata da un lento decollo industriale, ha rappresentato per molti anni l’unica possibilità di mettere insieme un reddito di sussistenza per centinaia di famiglie del distretto vittoriese. Poiché la manodopera impiegata in questo settore era composta quasi totalmente di donne, si è voluto raccontare le storie di queste donne lavoratrici. Sono stati analizzati i difficili passaggi tra la famiglia e il lavoro e contemporaneamente si è riflettuto sulle trasformazioni relative ai processi di autorealizzazione individuale. Per delineare l’importanza dell’industria serica, è stato analizzato il quadro economico in cui la filanda si è inserita. Delineando così i tratti dell’economia vittoriese dai primi anni dell’Ottocento fino alla ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale. Emerge il quadro di una popolazione prevalentemente dedita all’agricoltura. Poiché la cultura prevalente è quella contadina non potevo tralasciare di riflettere sulle condizione socio- economiche della famiglia contadina, e sulla mentalità, sull’educazione, ed in modo particolare sul ruolo che la donna aveva all’interno del nucleo familiare, come figlia, moglie e madre. Dall’insieme dei documenti raccolti e dalle testimonianze emerge un quadro in cui la filanda si inserisce come unica possibilità di uno stipendio. Ma se da un lato essa dà la garanzia di un salario, dall’altro lato però, la filanda aumenta la fatica della donna che già lavora nella casa e nei campi, la costringe ad una rigida disciplina e a condizioni di lavoro quasi disumane; non ci sono possibilità di ribellione o forme di protesta manifesta, qualsiasi comportamento sconveniente viene punito dai datori di lavoro o dai loro rappresentanti in filanda con misure drastiche, con tagli di salario e licenziamenti. Attraverso le fonti orali ho tentato di evidenziare come e quanto le trasformazioni economiche, politiche e sociali, del contesto vittoriese nel periodo preso in esame, si intrecciassero alle esperienze di vita e di lavoro delle operaie oggetto della ricerca. La filanda nell'economia del vittoriese (back)Il settore primario ha costituito l’asse portante dell’economia vittoriese fino al decollo della locale “rivoluzione industriale” negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Il lavoro dei campi impegnava l’80% della popolazione maschile e femminile. Una attività connessa all’agricoltura era l’allevamento dei bachi da seta. Come ho spiegato nel primo capitolo, la bachisericoltura era assai diffusa a Vittorio Veneto, come nel resto dell’Italia, perché le particolari caratteristiche del clima e del terreno fornivano buone condizioni di vita per la crescita del gelso e del baco. L’allevamento del baco forniva alla famiglia rurale il primo compenso dell’anno, necessario alle spese di semina. Pur se frazionata in migliaia di allevatori, per molti anni la produzione italiana di bozzoli ha fornito la materia prima, la seta, che ha costituito la storica ricchezza del nostro paese. Anche se era una attività complementare, l’allevamento del baco aveva dato vita nel distretto, ad un vero e proprio settore industriale che comprendeva gli stabilimenti bacologici e le filande. Prima che sorgessero i grandi stabilimenti, la fase di trattura, ossia la lavorazione dei bozzoli (chiamati “gaete” nel dialetto vittoriese), aveva un carattere prettamente domestico. Nelle case dei contadini, le donne con piccole “filande” del tutto artigianali, riuscivano a prelevare la seta dal bozzolo essiccato. Mettevano sopra una fiamma del fuoco una “caliera”, cioè un recipiente, di solito in rame; vi immergevano una manciata di bozzoli, aspettavano che si schiudessero un poco e poi, immergendo le mani nude in quest’acqua ad alta temperatura, filavano tutto il filo in essi contenuto. Questo sistema, che anticipa la filanda a fornello usata nei primi opifici, era caratterizzato da una scarsa divisione del lavoro e da una minore (minima) specializzazione. Di solito la donna si faceva aiutare da una giovane bambina che procurava le scorte di bozzoli e muoveva l’aspo attorno al quale veniva filata la seta. Come ha scritto Simonetta Ortaggi, “per tradizione l’attività tessile nel mondo contadino era competenza antica della donna e si intrecciava strettamente con i suoi compiti domestici e con il lavoro agricolo”. Nei casolari di campagna, sotto il porticato, nelle stalle o a cielo aperto, le donne filavano e tessevano: lana, seta, canapa, lino… L’abilità manuale femminile costituiva una vera e propria risorsa per la famiglia, sia che fosse impiegata per la produzione di abiti o cose utili in casa, sia che fosse finalizzata alla vendita sul mercato. Con il passare degli anni da “artigianale e domestica”, la lavorazione della seta si fece industriale. Questo cambiamento segnò l’inizio di una vera e propria industria serica. A Vittorio Veneto lo sviluppo dei grandi stabilimenti meccanici di filatura cominciò verso i primi anni dell’Ottocento. Come si può vedere dalla tabella sottostante (n°.4) le filande più antiche furono: Paludetti e Calbo-Crotta; il cui anno di fondazione risulta ignoto. Mi sembra opportuno a questo punto fare alcune considerazioni per spiegare, prima di addentrarmi nella ricerca esposta nei capitoli successivi, alcune caratteristiche connaturate alla nascita e allo sviluppo dell’industria serica. Nella società essenzialmente rurale del tempo, esisteva un enorme numero di persone che non riusciva a trovare lavoro: queste formavano una vera e propria riserva di forza lavoro a cui i primi industriali potevano attingere per l’avvio degli impianti.
Anno di fondazione delle filande vittoriesi Una larga disponibilità di manodopera, la quasi totale assenza di controlli da parte dello stato e di organizzazione sindacale, consentivano un risparmio sui salari e davano la possibilità di uno sfruttamento indiscriminato in termini di tempo e sforzo fisico. Dal censimento industriale del 1876 risultavano funzionanti a Vittorio Veneto 10 filande con un totale di addetti pari a 763 donne, 86 fanciulli e 21 uomini. La schiacciante abbondanza di forza lavoro femminile trova ragione in alcuni motivi di fondo: il primo è la naturale “inclinazione” della donna per l’attività tessile data l’abilità delle sue mani; in secondo luogo la società rurale povera forniva abbondanza di lavoratrici donne. Se si osserva l’ubicazione delle filande nella cartina ( ubicazione delle filande lungo il corso del fiume Meschio indicate con un pallino rosso) di Vittorio Veneto si nota come fossero poste tutte in pianura, una zona dove affluivano le contadine dalle colline e dalla montagna circostante. Un ulteriore elemento che spingeva la donna verso il mercato del lavoro era la disoccupazione maschile. Il panorama occupazionale del tempo non forniva certo molte possibilità di scelta!
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