CAPITOLO VI
AGOSTO: NASCE LA DIVISIONE “GARIBALDI
LUNENSE”
Il Gruppo “Valanga” riceve rinforzi da Montefiorino
Il caldo mese di
agosto inizia senza avvenimenti clamorosi. I tedeschi sono sempre guardinghi e
cercano di ripristinare al meglio la viabilità, almeno quella di fondo valle.
Don Pinagli, nel suo diario, registra la ricostruzione del ponte di Piastrella
(il 2 agosto venne effettuata la "gettata" di cemento). Naturalmente
non abbassano la guardia nei confronti dei partigiani. Il 16 agosto, infatti,
catturano un partigiano di nome Bianchini Italo e lo fucilano a Piazza al
Serchio. E, sempre in agosto, fucilano a Nocchi, nel camaiorese, Ferrari Lina,
Ferrari Giorgio e Mentessi Massimo, di Roggio, che, forse, tentavano di passare
il fronte.
E i partigiani, pure molto guardinghi,
cercano di organizzarsi meglio.
Dopo la fine della Repubblica di
Montefiorino, distrutta dai tedeschi (28 luglio-3 agosto) un gruppo di 36
partigiani emiliani comandati da Ettore Bruni riesce a sfuggire ai tedeschi e
si salva al di qua dell'Appennino malgrado un agguato subito al passo delle
Forbici. Con molta prudenza riesce ad attraversare la valle del Serchio e a
raggiungere l'Alpe di S.Antonio per riunirsi al gruppo "Valanga". Si
trattava di uomini ben armati e con esperienza di combattimento, per cui furono
sostanzialmente ben accolti da quelli del gruppo che, ora, poteva contare su un
numero di partigiani superiore ai 60 uomini. Anche se pare ci fossero
divergenze sul fatto che il gruppo "Valanga", politicamente non
qualificato, riteneva di dover condurre una attività difensiva in attesa degli
alleati, mentre gli emiliani di "Stella Rossa" , comunisti,
ritenevano di dover condurre una attività di attacco continuo. In ogni modo
questi ultimi accettarono che il comandante restasse Puccetti e il vice De
Maria.
La riunione di Regnano. Nasce la “Lunense”
Ma anche le altre bande garfagnine sentono il
bisogno di collegarsi fra di loro e di organizzarsi in modo più solido,
cosicché il giorno 8 agosto a Regnano in Lunigiana ha luogo una importante
riunione di una ventina di capi partigiani della Garfagnana e della Lunigiana
ed anche della zona di Carrara e dell'Emilia, per concordare una unificazione
delle bande. Erano presenti il Maggiore Oldham, il Dr.Coli (Gatto), il
Ten.Bruno Zerbini e il Ten. Bertagni della banda Tony, il Ten. Marco (Giorgio
Ferro) della banda di Borsigliana, il Marini (Diavolo Nero) della banda
lunigianese, Contri de La Spezia, Barocci (Roberto Battaglia), Giulio Carozzo,
Andrea, Elio, Vita ed anche il maggiore Johnston e Eros (commissario politico)
venuti dalla vicina Emilia.
La notte alle ore 1,30 un rastrellamento
interruppe la riunione e costrinse alla fuga i convenuti. Ma Andrea fu ucciso e
Elio ferito. Vita, l'R.T., si nascose in paese e si salvò.
Tuttavia la riunione aveva sortito i suoi
effetti. Ci si era accordati, infatti, per dare vita ad un gruppo unitario che
si chiamò Divisione Garibaldi Lunense e per assegnarne il comando al maggiore
Oldham.
Tale divisione avrebbe dovuto coordinare
tutte le azioni partigiane non solo della Garfagnana e della Lunigiana, ma
anche quelle della zona di là dalle Alpi Apuane (Massa, Carrara, Sarzana).
Infatti nel settembre entrerà a far parte della divisione anche la Brigata
Muccini di Sarzana, la Brigata Apuana e, in ottobre, i Patrioti Apuani di
Pietro Del Giudice.
La Divisione Garibaldi (1) Lunense fu
articolata in quattro brigate: La prima fu la Brigata Garfagnana e fu comandata
dal Dr. Abdenago Coli. Essa aveva il comando alla Foce di Careggine e contava
350 uomini. La seconda ebbe come comandante Contri, di La Spezia e pose il
comando a Campocecina, sul crinale fra il carrarese e la valle del Lucido in
Lunigiana. Contava 500 uomini. La terza fu la Brigata “La Spezia” comandata da
Pietro Marini (Diavolo Nero), che pose il comando a Regnano in Lunigiana e
contava 350 uomini. La quarta fu comandata da Bertolini ed ebbe il comando a
Comano, vicino al passo del Lagastrello. Aveva 300 uomini. Inoltre, come già
detto, avevano accettato di farne parte la Brigata Muccini che operava nel
Sarzanese ed era forte di 700 uomini e i Patrioti Apuani di Pietro Del Giudice
che assommavano a 1100 uomini. Infine il comando della divisione contava anche
i 50 uomini del Valanga che, però, non accettarono mai di farne parte, avendo
in animo di collegarsi con la cosiddetta XI Zona (Montagne di Bagni di Lucca)
comandata da Manrico Ducceschi (Pippo)(2). Il comando di divisione fu posto sul
Monte Tondo e dispose di una compagnia comando di 80 uomini. Così l'intera
forza della divisione ammontò a circa 3400 uomini. Ciascuna di queste brigate mantenne
una larghissima autonomia e l'unica azione comune documentata fu,
probabilmente, il tentato attacco alle spalle delle truppe R.S.I. che si
trovavano al fronte. Attacco che, come vedremo, fallì e determinò lo
scioglimento della divisione. Cosa che fu giudicata molto severamente dai
partigiani massesi e carrarini.
Tuttavia Oldham, con l'aiuto di Barocci che
divenne il Commissario Politico della divisione, cercò di dare una
organizzazione unitaria decretando delle norme comuni e costituendo un tribunale
militare per ogni brigata, presieduto da lui stesso. Era previsto il biasimo,
la degradazione, la espulsione, la prigione e la morte. Pare siano state emesse
poco meno di 100 condanne a morte.
Il problema dei partigiani ladri
Fra queste anche quelle di alcuni partigiani che, profittando delle armi che portavano, depredavano vergognosamente le popolazioni gettando il discredito su tutto il movimento partigiano. Famosi, fra questi, tre fratelli di San Romano: Regali Giovanni di anni 18, fucilato sul Monte Tondo il 17.7.44, Alberto di anni 16, fucilato nello stesso luogo il 14.8.44 e Luigi, di anni 26, fucilato sul monte Ripa il 17.8.44. Essi, accusati di tali reati, furono condannati a morte e uccisi. E in data 6 agosto risulta ucciso, all'Alpe di Borsigliana anche lo spezzino Caprioni Antonio di 24 anni. Si tratta, forse, di uno di quegli spezzini uccisi dai partigiani e gettati nella voragine che di trova in quel luogo, denominata Buca di Monte Basciano. Anche il gruppo Valanga ebbe problemi di questo genere e intorno al 20 agosto fu fucilato un certo Ernesto Di Nuzzo, di 21 o 22 anni, campano, studente universitario, ex guardia di P.S., sbandato dopo l'8 settembre, che fu accusato di depredare la povera gente, terrorizzandola con ingiunzioni di pagamento inviate a nome del Gruppo Valanga, cui aveva appartenuto e di cui si era procurato un timbro (3). Questa sentenza di morte fu decisa a grande maggioranza con una votazione cui parteciparono, secondo la testimonianza di Valiensi, tutti i partigiani del gruppo. E fu eseguita malgrado l'intervento di Don Bertozzi, parroco di Rontano e amico di Puccetti Leandro, che tentò di evitarlo. In effetti non era facile distinguere, specie per i derubati, chi rapinava per la causa partigiana e chi "pro domo sua" e la piaga non fu mai estirpata del tutto. Vale la pena di ricordare anche quanto dice Padre D’Amato (4)
All'atto della costituzione della Divisione
“Lunense” Marini consegnò una notevole somma di denaro ricevuta dagli americani
che avevano effettuato un lancio da un aereo e questa fu divisa fra le prime
tre brigate (la 4ª pare non ne avesse bisogno essendo ben fornita). Ma per il
finanziamento della divisione si ricorse anche a prelievi dalle banche,
requisizioni di beni ai fascisti e taglieggiamenti vari.
Pare che la divisione fosse dotata anche di
due mortai e di 15 mitragliatrici (Breda e Bren). Naturalmente tutti i
partigiani erano armati con armi leggere.
Pare, infine, che disponesse di venti punti
di raccolta delle informazioni. Un punto importante era Orzaglia, nel comune di
San Romano.
Pare che, fra le regole stabilite, ci fosse
quella che i partigiani non avevano l'obbligo di partecipare alle azioni (ci
andavano solo i volontari) mentre gli ufficiali avevano questo obbligo.
La costituzione della Lunense rappresentò
certamente un fattore di migliore organizzazione, però ogni banda, in
definitiva, continuò a operare con una autonomia quasi illimitata, anche perché
i collegamenti erano difficili e la necessità di prendere quasi sempre delle
decisioni rapide richiedeva che ogni gruppo, anche piccolo, fosse in grado di
prendere le sue.
La 1°Brigata “GARFAGNANA” della Divisione “Lunense”
In Garfagnana, quindi, operava la 1ª Brigata
comandata dal Dottor Abdenago Coli che aveva posto la sede del comando a Foce
di Careggine.
Tale brigata comprese tutte le bande operanti
in Garfagnana (escluso il gruppo "Valanga" che, come già detto,
preferì sempre operare in collegamento coi partigiani di Pippo, al secolo Manrico Ducceschi(5) ed escluso il gruppo di
Magliano, associato alla 3° Brigata di Marini come distaccamento “Franchi”,
comandato, pare, da un certo Samuele Danti) e fu articolata in 4 battaglioni.
Il primo comprese le bande che operavano in alta Garfagnana e cioè la banda di
Minucciano comandata dal maestro Benedetto Filippetti (Ten.Lupo)e la banda di
Borsigliana-Molinello comandata da Giogio Ferro (Ten.Marco). Il comando di
questo primo battaglione fu localizzato a Minucciano e fu affidato al
Filippetti, pare con qualche contrasto con la banda di Borsigliana che
considerava comandante di battaglione il Ten.Marco. In effetti ci sono fonti
che attribuiscono il comando all'uno e fonti che lo attribuiscono all'altro.
Probabilmente fu riconosciuto unico
comandante il Filippetti dopo la morte del Ten Marco, di cui si dirà, e il
conseguente sbandamento del gruppo di Borsigliana. Il secondo battaglione
comprese uomini prevalentemente di Careggine, Vagli e Camporgiano, operò
soprattutto in quel di Careggine in funzione difensiva (malamente assolta: è lo
stesso Zerbini che lamenta la scarsa combattività dei suoi uomini, più lesti a
fuggire che a combattere. Non a caso questo battaglione fu soprannominato
"Battaglione Fifa") e fu comandato dal Ten. Zerbini Bruno di
Careggine. Il terzo comprese uomini provenienti da Castelnuovo e zone
circostanti e fu di gran lunga il più attivo. Fu soprannominato il Battaglione
"Casino" per lo scompiglio che pare riuscisse a portare nelle file
nemiche con le sue azioni spericolate. Lo comandò il Ten. Giovan Battista Bertagni.
Era stanziato sulle montagne di Careggine e operava soprattutto nella zona di
Castelnuovo e zone limitrofe. Il quarto battaglione era comandato da tale Mario
Sabatini (6) e su tale battaglione le notizie scarseggiano. Era, comunque,
stanziato anch'esso sui monti di Careggine e ricorrono di frequente notizie di
azioni compiute "da uomini del 3ª e del 4ª Btg."
Lo Zerbini dice, nelle sue memorie, che fin
dal 10 agosto era all'opera per organizzare il suo battaglione che, come gli altri,
contava non più di 70-80 uomini (Zerbini pubblica per intero l'organico del suo
battaglione che risulta composto da 4 squadre : Squadra Careggine, Squadra
Fabbriche, Squadra Foci, Squadra Vagli, più una Squadra Comando, per un totale
di 73 uomini più il comandante).
In effetti in questa prima quindicina di
agosto si registra una certa calma e non risultano compiute azioni partigiane.
(In data 15 agosto, però, si registra la uccisione di un ufficiale della R.S.I.
di Villa Collemandina in Garfagnana, Pennacchi Attilio Luigi, avvenuta a
Zavattarello Valverde, nell'Oltrepo` pavese,
ad opera dei partigiani.)
Azioni partigiane. L’attentato a Silla Turri nella
Rocca Ariostesca
Il 20 agosto, invece, la lotta riprende con
una azione piuttosto clamorosa: un attentato nella sala del consiglio del
Comune di Castelnuovo.
Una squadra della Brigata Nera
"Mussolini" era stanziata a Castelnuovo.(7) La comandava Turri Silla,
che aveva anche assunto le funzioni di Commissario Prefettizio. Quella mattina
il Turri con alcuni collaboratori si trovava nella sala del consiglio del
Comune allorché una forte esplosione sconvolse la sala. Proprio sotto la pedana
sulla quale stava il tavolo del Podestà era stata collocata una bomba a tempo
da due partigiani di Castelnuovo (pare si trattasse di Gualtierotti Renato e
del maestro Asara Giuseppe detto Pipino), che pare avessero avuto la complicità
della nipote del custode, Luciana Bertolini, che era stata costretta a fornire
la chiave. L'obiettivo era il Turri Silla, personaggio di spicco del Fascismo
garfagnino.
Egli, però, in quel momento non si trovava
seduto al tavolo sulla pedana e si salvò. Rimase, però, ferito insieme ad altri
tre (Francesco Simonetti, impiegato comunale, Giulio Tamburi, Antonio Broglio).
Morì, invece, un sergente di nome Battaglini Giovanni detto Torello. Furono
operati numerosi arresti fra cui
Giuseppe Asara (Pipino) e il padre Antonio, Giorgio Giorgi, Italo Rossi,
Michele Bertagni, Gina Gualtieri, Luciana Bertolini, Eugenio Pasquali, Ugo Franchi,
Azelio Boschi. Pare che la Bertolini accusasse l'Asara che confessò ma, poi,
riuscì a fuggire.
Degli altri arrestati alcuni, fra cui il
padre di Asara, furono subito rilasciati, altri furono incarcerati a Lucca nel
carcere di S.Giorgio ove rimarranno fino all'arrivo degli americani.
Non ci furono rappresaglie. Forse si tentava
ancora di evitare che lo scontro diventasse troppo feroce e si voleva garantire
un certo rispetto della legalità (i crimini vengono giudicati dai tribunali).
Tuttavia è certo che questo episodio
contribuì a far crescere la tensione e ad alimentare l'odio di parte.
Intanto anche i partigiani della banda di
Borsigliana si fanno vivi.
Il 25 prelevano due uomini di Piazza al
Serchio, Marovelli Luigi e Regoli Mario e li uccidono a Casciana di Camporgiano
nella capanna del Terni, dove erano sfollati.
Don Pierami, prete di Piazza al Serchio dice
che uno dei due fu preso per errore. Ma non per questo gli fu risparmiata la
vita.
Lo stesso giorno accadeva il tragico
rastrellamento di Vinca. Già il 24 quaranta camionette tedesche, dopo aver
sostato a Gramolazzo, erano salite al Passo del Giovetto che sovrasta Vinca e
il giorno dopo altri militari della R.S.I. salirono allo stesso passo. Pare che
lì siano stati uccisi cinque uomini e due donne di Vinca che erano fuggiti
lassù. Pare anche che qualche superstite di Vinca si sia rifugiato a
Gorfigliano. E a Gorfigliano il giorno 26 i “Maimorte” (così li chiama Don
Vincenti. Probabilmente erano uomini della Brigata Nera) arrestarono tre
uomini, Pancetti Giovanni, il figlio Jacopo e Pesci Torquato e li portarono a
Castiglione. Qui “passarono brutti momenti” (Don Vincenti) però, vennero poi
rilasciati pare per interessamento del comando tedesco.
La tragedia del “Valanga”
E due giorni dopo si preparava un'altra
tragedia. Il 27 agosto una pattuglia tedesca, risalendo da Col di Favilla era
giunta all'Alpe di S.Antonio ove erano accampati i partigiani del Gruppo
Valanga. Una sentinella partigiana che stava a Colle a Panestra, tale Gualtiero
Montanari detto Tarzan, vide o udì la pattuglia e intimò l'alt. Poi sparò e
uccise un ufficiale tedesco, il Fw Rolf Bachmann (8). La pattuglia si ritirò.
Erano le 23,30.
A quel punto era chiaro che la cosa non
sarebbe rimasta senza conseguenze e ci sarebbe stata reazione da parte dei
tedeschi. Si è discusso molto su ciò che può essere accaduto in quelle ore. E’
evidente che i partigiani si saranno posti il problema di cosa fare.
Pare, fra l'altro, che fossero assenti sia il
comandante Leandro Puccetti che il vice De Maria.
Avrebbero potuto abbandonare la zona e
rifugiarsi in altro luogo.
Oppure rimanere e attendere gli eventi. Ed è
ciò che fecero. Ma come maturò questa decisione ? Qualcuno ha ipotizzato che
l'imperizia militare abbia fatto ritenere di poter sostenere l'assalto dei
tedeschi. Ma i 36 emiliani fuggiti da Montefiorino una certa esperienza
dovevano averla. Altri, anche su testimonianza di alcuni sopravvissuti,
sostengono che la decisione di rimanere fu presa consapevolmente per non lasciare
nelle peste la popolazione civile su cui i tedeschi, non trovando i partigiani,
avrebbero potuto sfogare la loro rabbia. Probabilmente c'è del vero in ciascuna
delle due ipotesi. La figura del comandante Puccetti, giovane idealista, e la
testimonianza dei superstiti depone a favore della seconda ipotesi. Valiensi
sostiene questa verità con molto calore, sostenendo che il Gruppo Valanga si
adoperò sempre per evitare danni alle popolazioni. Ma il fatto che il gruppo si fosse attestato sul monte Rovaio,
facilmente circondabile e, quindi, praticamente senza possibilità di
sganciamento, sembra avvalorare anche la prima ipotesi e che essi ritenessero
di poter resistere all'attacco tedesco. Forse il recente lancio di armi e
munizioni li fece sentire più forti di quanto non fossero. Avrebbero, forse,
potuto accettare il combattimento e, quindi, scagionare la popolazione, stando
in posizione più favorevole e garantendosi delle sicure vie di fuga ?
Non è facile dirlo e, comunque, si tratta,
forse, ormai, di congetture oziose.
Il giorno 28 trascorse tranquillo e
Puccetti, rientrato verso le 16, approvò la decisione presa di rimanere sul
posto per evitare guai ai civili. Dopo il ritorno all'Alpe, in località
Trescala (ritorno avvenuto dopo i fatti di Pania del 13 luglio) Puccetti aveva
fatto costruire quattro postazioni per mitragliatrici sul Monte Rovaio, che è
un massiccio isolato a sud della valle della Turrite e a nord del Monte
Piglionico. La postazione A era al centro della cresta del monte, la B (del Bovaio)
all'estremità ovest, la C era al di sotto della A, nel versante sud (verso il
Piglionico) e la D, quella "del Gesù", all'estremità est, sopra Colle
a Panestra.
Fu nelle prime ore del 29 , esattamente alle
3,20, che si scatenò l'attacco tedesco (secondo alcuni erano presenti anche
truppe della R.S.I. ma la notizia non è documentata. Valiensi, comunque,
afferma di aver visto truppe italiane in divisa grigioverde, probabilmente
militi della G.N.R., che attaccarono in una zona scoperta e che furono costrette
a ritirarsi). L'attacco avvenne sia da nord (i tedeschi risalirono dalla valle
della Turrite Secca sottostante) che da sud (dalle pendici del monte Piglionico
ove erano giunti anche provenendo da Col di Favilla).
Una parte degli uomini del Valanga (forse una
cinquantina) si era arroccata sulle quattro postazioni, armati la A e la D con
Bren e Breda e dieci bombe a mano, la B e la C con la Breda e 10 bombe a mano.
Bren e Breda avevano 1000 colpi ciascuno e ogni uomo aveva lo Sten. Pare che
alcuni uomini del gruppo, definiti poi "volponi", non salissero sul
Rovaio. Essi trovarono modo di allontanarsi e di sottrarsi al combattimento.
I primi proiettili di una mitragliera da 20
mm giunsero dalla parte di Col di Favilla, in un paesaggio spettrale illuminato
dai "bengala". Poi entrarono in funzione altre due mitragliere dalla
parte opposta. Infine, all'alba, cominciò anche il fuoco di almeno un mortaio.
Trescala e la postazione B resistettero poco più di mezz'ora poi gli uomini
salirono sulla cresta del monte.
La situazione della postazione C, più bassa,
si fece presto critica e anche gli uomini di questa postazione si ritirarono
sulla vetta del monte. Qui, disposti a piccoli gruppi, facendo fuoco con i
fucili mitragliatori Bren, con le mitragliatrici Breda da 6,5 mm e lanciando
bombe a mano, i partigiani si difesero strenuamente per alcune ore. Ma il monte
era bersagliato con mortai (pare non si trattasse di veri e propri mortai bensì
di piccoli lanciabombe) e i tedeschi, sia pur lentamente, continuavano a salire
e a stringere il cerchio. Gli uomini continuavano a cadere ad uno ad uno e, a
un certo punto, i tedeschi raggiunsero la cresta dopo aver distrutto la
postazione D. Allora fu chiaro che non era più possibile resistere.
Erano circa le ore 10 quando Puccetti lanciò
il "si salvi chi può" e i pochi superstiti cercarono si attraversare
l'accerchiamento tedesco buttandosi in un canalone scosceso sul lato nord e
nascondendosi fra i cespugli. Molti morirono durante la fuga (mentre si
gettavano nel canalone erano sotto il fuoco delle mitragliere), uno, Sassi
Renzo, pare si sia ucciso, un altro, Olivieri Rubino, fu catturato e, pare,
fucilato, ma di lui non si seppe più nulla. Tuttavia qualcuno si salvò. Il Puccetti fu fra questi, ma aveva una grossa
ferita all'addome. Un partigiano che si era salvato con lui raggiunse un paese
vicino e chiese aiuto. Alcuni uomini (o forse alcune donne) andarono,
raccolsero il Puccetti (ma era rimasto 36 ore nascosto in una grotta) e lo
portarono in una località presso Sassi detta "Taso", poi, sotto falso
nome (Pietro Marinari) e falsa diagnosi (peritonite generalizzata da probabile
perforazione appendicolare), lo portarono all'Ospedale di Castelnuovo. Ma non
fu possibile salvarlo e il 3 settembre morì.
Il bilancio fu terribile. I morti partigiani
furono 18 più il Puccetti, circa un terzo del gruppo (9). Dei 19 caduti 9
appartenevano al gruppo degli emiliani, 3 erano meridionali e 7 lucchesi. Tutti
si erano battuti con molto coraggio. E molti furono i feriti.
Non sono note le perdite tedesche ma pare
che qualcuno abbia visto diversi caduti portati a valle dai commilitoni mentre
alcuni abitanti della zona assicurano che non ebbero perdite. La verità,
probabilmente, sta nel mezzo.
Fu questo l'episodio più sanguinoso e il
combattimento più impegnativo sostenuto dai partigiani in Garfagnana. E il
gruppo "Valanga" visse un momento di grande sbandamento. A fatica il
già vice-comandante del gruppo, Mario De Maria, riuscì a riunire a Vergemoli
alcuni superstiti. Comunque il gruppo, come vedremo, continuò ad esistere e ad
operare.
Il
generale Frido Von Senger in Garfagnana
Intanto la presenza tedesca in Garfagnana si
faceva sempre più massiccia. Il 10 si installano anche a Poggio, il 18
(riferisce Don Pinagli) sono in Filicaia e si riforniscono di carne presso i
contadini locali requisendo vitelli e "pagandoli poco".
Ma, soprattutto, il 18 agosto il Comando del
XIV Corpo d'armata del Generale Frido Von Senger und Etterling lascia una
località presso Pistoia e si pone a Villacollemandina in Garfagnana. Questo
comando tattico ha la responsabilità di tutto il settore a ovest degli
Appennini, compreso il settore costiero fino a La Spezia.
E anche gli aerei americani non fanno
vacanza. Il 20 sganciano bombe nei dintorni di Camporgiano mirando, sembra, ai
tralicci dell'alta tensione. Che non colpiscono. Colpiscono, invece, la casa
dei Fabbri in località Borelletta, causando un morto e dei feriti.
Il 25, invece, tocca a Vagli, fortunatamente
senza vittime.
E il 26 Don Pinagli annota il passaggio di un
bimotore tedesco in avaria, a bassissima quota, fatto segno, per errore, al
fuoco della contraerea tedesca. Poi l’aereo lanciò dei razzi bianchi,rossi e
verdi e si fece identificare. Sarà l'ultimo aereo non americano visto in
Garfagnana.
NOTE:
(1) Pare che
l'aggiunta del nome Garibaldi, premesso a Lunense fosse voluto dal Maggiore Oldham,
che era un ammiratore dell'Eroe dei Due Mondi. Non significò che la divisione
fosse formata da partigiani comunisti. Infatti per la maggior parte di essi non
fu così.
(2) Esiste una
lettera di Tony, cugino di Leandro a Pippo (cioè il Ducceschi,di cui era amico)
nella quale si sollecita il collegamento del “Valanga” con lo stesso Pippo.
(3) Dice Valiensi
che il Di Nuzzo conosceva bene il Di Natale, ucciso, come abbiamo visto, il 27
luglio sul Monte Forato.
(4) Il cosiddetto
“Diario di Padre D’Amato”, (riportato da O.Guidi in DOCUMENTI di Guerra, cit.,
pag.127-180), riferisce a pag. 128, di un certo “fuoruscito straniero di nome
Pietro” il quale, da giugno a settembre 1944 imperversò nella zona
terrorizzando tutti con le armi, che usò anche contro il collegio. Questo
diario, di estremo interesse, narra le vicissitudini di alcuni poveri frati
(Padre Nicola D’Amato, rettore del Collegio annesso al Santuario di S.Maria
della Stella di Migliano nel comune di Fosciandora, P.Carlo Danti,P.Umberto
Ceccaglia,P.Leandro Speranza,P.Giuseppe Pomposi,P.Carlo Conti più alcuni
“fratelli operai”: Fra Franco, Fra Rocco,ecc.) che rimasero nel collegio,
situato a non più di due chilometri dalla linea del fronte sulla sinistra del
Serchio, avendo anche la responsabilità di diversi collegiali, adolescenti che
la guerra aveva separato dalle famiglie. Questi religiosi, oltre al grave
problema del come procurare i viveri per tutti loro (l’unica carne con cui
potevano sfamarsi era quella degli asini uccisi dalla guerra) e a quello della
sicurezza dei ragazzi, continuamente in pericolo per le bombe e le cannonate
(talvolta, addirittura, i ragazzi più grandi venivano utilizzati dai soldati
per il trasporto dei feriti dal fronte all’infermeria), si accollarono l’onere
dell’assistenza alla popolazione di quei paesi, esposti come forse nessun altro
ai pericoli della guerra. E non si trattava solo di assistenza spirituale.
Erano loro, infatti, che spesso andavano a raccogliere i feriti per portarli al
loro collegio dove funzionava una infermeria militare.
(5) Probabilmente
influì anche la inimicizia personale di Puccetti con Oldham, che gli aveva
portato via la ragazza.
(6) Qualche
perplessità desta la comunicazione del comando della “Lunense” a firma Barocci
e Oldham in data 12 settembre 1944 che, al punto 3 recita: “E’ modificato
l’organico della Divisione, aumentata di circa 600 effettivi in questa ultima
settimana (dovrebbe trattarsi degli uomini della Brigata Muccini). COLI è
nominato Comandante della 1° Brigata, gli altri battaglioni conservano gli
stessi Comandanti e lo stesso numero; il 6° Btg. diventa 4° Btg. e passa alle
immediate dipendenze di Coli.” Non è chiaro se si sta parlando dei
battaglioni della prima brigata e, se sì, come mai il Coli figura comandante
del 4° Btg oltre che comandante di Brigata. Forse ne assunse il comando
provvisoriamente in attesa di trovare una persona adatta ad assumerne il
comando in via definitiva e il Sabatini fu nominato successivamente ?
(7) Esistevano, in
Garfagnana, piccoli presidi della B.N. a Castiglione, a Sillico, a Fosciandora
, a Barga e a Gallicano. E, forse, anche altri.
(8) Ci sono
incertezze su questo nome. Il Guidi, infatti, (Documenti di Guerra,cit.,pag
122) riporta il nome Bachmann basandosi sul fatto che nel Comune di Molazzana
risulta la morte di questo tedesco in località Alpe di S.Antonio e in data
27.8.44. Valiensi, però, assicura di aver letto sul piastrino e sui documenti
del tedesco morto il nome Hotzmann. Probabilmente il nome è stato trascritto
male nell’atto di morte.
(9) Ecco il nome
dei caduti: Puccetti Leandro di Gallicano (LU), Bruni Ettore di Castelfranco
Emilia, Sassi Renzo di Modena, Bergamini Edoardo di Bomporto (MO), Bertoni
Mario di Molazzana (LU), Borro Giovanni di Barrafranca (Enna), Borsi Remo di
Malalbergo (BO), Bucci Sergio di Roma, Cipriani Pasquale di Vergemoli (LU),
Davini Mario di S.Maria del Giudice (LU), Francesco detto il Napoletano di
Albanova (Caserta), Lorenzoni Renato di Anzola d'Emilia (BO), Olivieri Rubino
di Zocca (MO), Pierantoni Walter da Bologna, Pieroni Lauro di Molazzana (LU),
Puccetti Gabriele di Gallicano (LU), Rusticelli Aldo di S.Giovanni in Persiceto
(BO), Tognoli Ferruccio di Malalbergo (BO), Venturelli Mario di Molazzana (LU).
Nella lapide posta all’interno
della Cappella eretta in località Piglionico figura anche il nome di Bartolozzi
Roberto, nato a La Spezia il 23 aprile
1914 e morto a Lucca il 29 giugno 1944.