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                             CAPITOLO IX

 

                  NOVEMBRE - LA FINE DELLA "LUNENSE"

 

 

Le truppe della R.S.I. prendono posizione

 

Ora in Garfagnana ci sono Alpini dappertutto. Hanno sostituito i tedeschi quasi dovunque. Rimane a Pieve Fosciana il comando del 285ª Rgt tedesco, responsabile del  settore alla sinistra del Serchio.

 Responsabile del settore alla destra del Serchio e` il Col.Pasquali, comandante del 1ª Rgt Alpini della Monterosa, che ha sede a Torrite ed ha osservatori a Perpoli, torre di Sassi, Monte d'Anima. Responsabile di tutta l'artiglieria, compresa la contraerea tedesca, è il Ten.Col. Luigi Grossi, vecchio ed esperto soldato, classe 1894, che ha fatto anche la prima guerra mondiale.

 Il 10 Novembre Carloni assume il comando e pone la sua sede a Camporgiano, prima in una villa poi, con l'intensificarsi degli attacchi aerei, fra le robuste mura della locale rocca quattrocentesca.

 Anche l'Ospedale Militare di Camporgiano ora e` gestito dagli italiani.

 Padre d'Amato,(1) nel suo diario, manifesta la sua soddisfazione per l'arrivo degli Alpini. Anzitutto perché, dice, " con questi si può parlare e ci si capisce", ma anche perché spera che non siano buoni combattenti e consentano agli americani di venire avanti e al fronte di "passare".

 In questo rimarra` deluso.

 Un comando viene posto a Colognola di Piazza al Serchio e viene effettuato un rastrellamento nei dintorni per liberare la zona da eventuali partigiani. Vengono portati via diversi uomini che, per fortuna, dice il parroco Don Mentucci, "sono tutti tornati".

 Anche da Filicaia, il giorno 20, 400 tedeschi se ne vanno. Partono per Bologna e sono molto dispiacenti. Alcuni piangono. Don Pinagli dice che anche la popolazione li saluta commossa. Essi si sono comportati "assai bene". Il Bertolini parla di un Col.Stamm come di una brava persona che si sarebbe adoperato per mantenere buoni i rapporti fra la gente e i militari tedeschi. Tuttavia, sempre Don Pinagli, dice che il 9 novembre i tedeschi di Filicaia avevano celebrato con una cerimonia ordinata e solenne l'anniversario della ascesa al potere del Nazismo.

 Al loro posto, il 27, giungono 80 alpini con cavalli e carri. E Don Pinagli gioisce, perché questi autorizzano a suonare le campane, cosa che, prima, era vietata.

 Il primo giorno del mese i tedeschi, evidentemente non contenti del rilascio degli ostaggi di Nicciano, prendono 8 ostaggi a Poggio. Li portano a S.Donnino, poi in Lunigiana. Qui, però, li rilasciano.

 Il giorno 8 gli Alpini del Btg. Intra abbandonano i paesi di Azzano, Basati, Levigliani e Terrinca nell'Alta Versilia e si ritirano più in alto, in posizioni piu` favorevoli.

 Ora il Btg Intra (che dal 28 ottobre è in linea, avendo sostituito  gli Jager della 42ª Div. tedesca) controlla il settore più occidentale del fronte della Garfagnana. Partendo dal M.Focoraccia, nei pressi del quale è in contatto con una compagnia tedesca ridotta a 14 uomini del 281ª Rgt della 148ª Div., e fino a Betigna si schiera la 13ª Comp. (Ten. Di Pierro), con i mortai piazzati nelle cave del Fondone, lungo il crinale sud dell'Altissimo, da Betigna fino a Case Tonacci un plotone della 15ª Comp. pionieri (Ten.Paci), da qui e fino alle pendici sud-ovest del M.Corchia c'e` l'11ª (Cap. Messori, poi Cap.Tassinari), che ha i suoi mortai su quelle stesse pendici e che ha un osservatorio sul M.Croce, la 14ª Comp. (Cap.Oliviero) e` posta a difesa di Foce di Mosceta, ha il comando nel Rifugio Del Freo e, nei pressi piazza i suoi mortai curati dal maresciallo Bazzana, la 12ª e` sulla Pania della Croce (m.1859) e sulla Pania Secca (m.1709) e, fino alla meta` del mese, arriva anche alle Rocchette, avendo alla sua sinistra, al Grottorotondo, il II Btg del 6ª Rgt della Div. San Marco.

 

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(Da meta` novembre, invece, il tratto di fronte Grottorotondo- Rocchette sara` tenuto dal Gruppo esplorante "Cadelo"). E’ un tratto di fronte impervio, lungo una ventina di chilometri. Il resto della 15ª Comp. presidierà la rotabile Arni-Castelnuovo, vitale per i rifornimenti. Il comando del Btg. è a Casa Henroux (il Palazzo) presso l'uscita nord della galleria del Cipollaio (che e` stata sbarrata all'uscita sud verso l'alta Versilia e minata, e che presso l'uscita nord, chiusa da una grande porta, è utilizzata come deposito di materiali). L'infermeria è a Tre Fiumi e, nell'altra galleria lì presso c'è un altro deposito di materiali. Sul Colle Cipollaio, poi, in una casa ben mimetizzata, c'e` il deposito munizioni. Ad Arni, base logistica, vengono reclutati dei portatori civili, regolarmente stipendiati, che riforniscono quotidianamente le truppe in linea. La 5ª Batteria, 2ª Sezione del Gruppo artiglieria "Bergamo" piazza due obici da 75/13 a Col di Favilla, in appoggio al Btg. Intra. Altri due obici saranno spostati in vari luoghi e, infine, saranno piazzati al Passo del Vestito, sopra Arni.                         

 Lo scopo di questo lavoro non è quello di raccontare la storia militare di questo settore del fronte. Pare tuttavia opportuno  fornire anche informazioni di questo tipo per il frequente intrecciarsi dei fatti militari del fronte con la guerriglia

partigiana e con la vita delle popolazioni della zona.

 Fra l'altro la presenza di soldati italiani in luogo dei tedeschi, accentua il carattere di guerra civile degli scontri fra truppe della R.S.I. e partigiani.

 

Dura repressione contro i disertori e contro chi li aiuta

 

 Né bisogna dimenticare il fenomeno delle diserzioni, che si accentuerà con l'arrivo della Divisione Italia, ma che già manifesta i primi casi, conclusi, spesso con fucilazioni, tragiche e dolorose soprattutto per i soldati che devono uccidere commilitoni spesso ex amici.

 Così già il 4 novembre vengono arrestati tre alpini disertori a Fondo presso Azzano e vengono fucilati sul posto. Si tratta di Carlo Mariani di 19 anni e dei due fratelli Zamponi: Franco di 20 e Luigi di 21 anni.

 E il mattino del giorno 6, presso il cimitero di Castelnuovo vengono fucilati tre uomini : Ferruccio Marroni di 28 anni di Gallicano, Adelmo Simoni di 20 anni di Barca e Antonio Bargigli di anni 30. Pare che, al momento dell'ordine di far fuoco, nessuno del plotone di esecuzione sparasse, per cui l'ufficiale che lo comandava dovette far fuoco con la pistola. Un quarto uomo, Adelmo Medici, si salvò perché la moglie, Natalia Peranzi in Medici, lo scagionò assumendosi tutte le responsabilità. Ed essa fu fucilata nel tardo pomeriggio. Erano accusati di favorire le diserzioni e di accompagnare i disertori oltre la linea del fronte. Il Bargigli, la cui sorella era sposata a un Masotti di Castelnuovo, aveva in precedenza militato nella “X° MAS”. Ma, poi, aveva disertato e si era trasferito da Livorno a Castelnuovo, presso la sorella. Qui,però, pare fosse stato riconosciuto (o temesse di essere riconosciuto) da un tenente della Divisione San Marco proveniente dalla “Decima”. Così tentò di passare il fronte ma fu catturato.(2)

 Il giorno 13 gli alpini sono nel comune di Minucciano. Vanno per la prima volta a Gorfigliano, piazzano le mitraglie e sparano verso i boschi dove suppongono siano fuggiti i partigiani. Ma, dopo un po’, se ne vanno. L’11 dicembre, poi, chiameranno  il prete a Colognola di Piazza al Serchio per interrogarlo, ritenendolo amico dei partigiani. Ed egli andrà facendosi accompagnare da Don Mario Tucci. Lo racconta il prete stesso, Don Vincenti, dicendo che parlò con il Capitano Gervasini, col Cap. Ruini e col Ten. Peruzzi. Dice che ci furono minacce di distruzione per i paesi di Gramolazzo,Gorfigliano e Verrucolette, ritenuti covi di ribelli. Ma, poi, gli argomenti portati dal prete (i partigiani hanno passato il fronte, la povera gente è vittima essa stessa e non complice dei partigiani) fecero presa e la tensione si allentò. Saputo che i due preti erano digiuni il capitano Gervasini “ci fece servire un discreto pranzetto; si mangiò una buona ed abbondante pasta asciutta, che da tempo non si gustava, una pietanza di carne, frutta e mezzo litro di vino”. E tutto finisce lì.

 

La fine del bersagliere disertore Rino Rossi

 

 

 

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 Nello stesso giorno 13 novembre un'altra pattuglia si era diretta su Castagnola, sempre nel comune di Minucciano e si stava spostando verso Agliano.

 Piu` in basso, in localita` Tintoria, si trovavano due partigiani della banda Filippetti: Ugo Tersitti e Rino Rossi di Pistoia. Improvvisamente e molto avventatamente il Rossi spara una raffica di Sten verso la pattuglia.

 Subito da questa si staccano alcuni uomini che scendono velocemente e catturano il Rossi, mentre il Tersitti riesce a nascondersi in un forno. Ricongiuntisi con il grosso della pattuglia presso Agliano, gli uomini che hanno catturato il Rossi lo conducono davanti all'Ufficiale  e, qui, il Rossi viene riconosciuto. Era un disertore che aveva appartenuto a quello stesso reparto che lo aveva ora catturato (probabilmente un reparto del Gruppo Esplorante “Cadelo”).

L'Ufficiale, interpellati i suoi uomini, decide di passarlo subito per le armi. Il prete di Agliano Don Giorgetti (ora Monsignor Giorgetti) gli dà l'assoluzione. A quel punto il condannato con un balzo disperato tenta la fuga, ma viene subito ripreso e fucilato.(3)

 

Alpini contro tedeschi

 

 Fortunatamente si registrano anche episodi meno tragici.

 A Villetta (San Romano) il 25 accade un fatto interessante. Ce lo racconta il prete dell'epoca, Don Giannasi (4). Pare, dunque, che i partigiani, "sempre pronti, con le loro prodezze, a procurare disturbi e danni alle popolazioni" fossero riusciti a rubare delle scarpe e due muli a un reparto di guastatori tedeschi giunto il 23. Questi si portarono davanti alla casa Bertagni e, rastrellati due uomini: Ottavio Bonini e Leonildo Turri, "li condannarono a morte". Allora la moglie del Bonini, Rosita Martini, corse a Casa Angeloni ove si trovavano gli alpini del Comando del Rgt Artiglieria, e li pregò di intervenire. Questi intervennero immediatamente ed ebbero un duro diverbio coi tedeschi ("quasi si sparano fra loro"), riuscendo, alla fine, a far liberare i due uomini. "I tedeschi prendono due pecore e se ne vanno".

 Un altro episodio che aiuta a capire la complessità dei rapporti fra militari e civili ci viene da Eglio, paesino quasi sulla linea del fronte. Qui il 30 novembre, su istanza del prete, "il Col. Andolfato apre una cucina popolare per vecchi, bambini, inabili". Lo racconta il prete stesso, Don Turriani, con gratitudine. Anche Don Gigliante Maffei, parroco di Torrite (che pure aveva avuto problemi coi tedeschi: un certo maresciallo Fritz, di cui erano state scoperte certe marachelle, lo accusa di favorire i partigiani e lo costringe a nascondersi nel collegio di Migliano, vicino al fronte di Treppignana dal 27 ottobre al 6 novembre) stabilisce rapporti di buon vicinato con gli alpini che ora hanno sostituito i tedeschi e ottiene dal Gen.Carloni “lavoro per gli uomini e rancio per donne e bambini. Ciò per quasi tutto il tempo del fronte”(5). E non sono, questi, gli unici casi in cui gli alpini aiutarono la popolazione. Per esempio il gruppo esplorante "Cadelo" dichiarava, ogni giorno, 40 presenze in più per le orfanelle di un istituto di suore francescane di Pisa sfollate a Sassi. Orfanelle che il 15 novembre verranno decimate da una cannonata da 105 che centra in pieno la casa che le ospitava.  Moriranno ben 10 orfanelle e 4 suore. I poveri resti sfracellati verranno alla meglio raccolti in sei casse e sepolti nel locale cimitero.

 

La guerra al fronte

 

 Intanto il fronte si mantiene piuttosto attivo. Già il 4 i negri della 92ª Div. "Buffalo" (dal giorno 3 hanno completato la sostituzione dei brasiliani) tentano il primo attacco nel settore destro, fra le Rocchette e Grottorotondo. Le truppe della San Marco arretrarono un poco ma le riserve della stessa San Marco e una compagnia tedesca subito accorse bloccarono l'avanzata. All'alba del 5 una compagnia dell'Intra, la compagnia tedesca e il 2ª squadrone del Cadelo che era stato subito inviato sul posto (e che rimarrà al fronte, inserendosi fra il San Marco e l'Intra), dopo una breve preparazione di artiglieria, mossero all'attacco

 

 

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e riconquistarono tutte le posizioni praticamente senza perdite.

 Una decina di giorni di calma, poi un altro attacco più consistente                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   nella zona fra Grottorotondo e il paese di Montaltissimo. Dopo una forte preparazione con artiglieria e bombardamenti aerei, al mattino del 16 scatta l'attacco dei "Buffalo" (il giorno prima il 370ª Rgt aveva avuto di rinforzo il III

Btg. del 371ª) contro i reparti del San Marco e del Cadelo, attaccati anche alle spalle da partigiani in borghese. I negri hanno il solito successo iniziale e, sopraffatti i difensori fra Grottorotondo e Brucciano, puntano su Eglio e Sassi. Poi c'e` la sosta notturna. E all'alba del 17 l'attacco riprende. Ma le riserve locali riescono a contenerla. I pionieri del San Marco, guidati dal loro comandante costringono l'avversario a retrocedere con un assalto alla baionetta (uno dei rarissimi episodi del genere in tutta la guerra). Anche quota 913, dove è un osservatorio d'artiglieria del San Marco, resiste tenacemente. Oltre ai marò ci sono due squadre del 2ª Squadrone dei bersaglieri del Cadelo ed elementi della compagnia controcarro reggimentale. Da due giorni sono sotto il fuoco dei cannoni e dei mortai e hanno subìto forti perdite.

 Verso sera sono allo stremo. I Buffalo sono ormai vicinissimi e le bombe a mano sono finite. All'ultimo momento si vede un marò che arranca per la salita balzando qua e là fra le cannonate. Ha un sacco in spalla. Arriva in postazione esausto e apre il sacco. Sono bombe a mano O.T.O., non molto potenti ma sufficienti a far desistere i Buffalo che stavano per tentare l'assalto decisivo. Le perdite sono gravi (le due squadre del Cadelo sono ridotte a pochi uomini) ma la posizione è salva. Nella notte arrivano da Piazza al Serchio gli altri due Squadroni del Cadelo (riserva divisionale) e, da Castelnuovo, il Btg tedesco del 285ª Rgt. Con loro e` venuto il capo dell'ufficio operazioni della divisione che organizza (e, poi, guiderà di persona) il contrattacco. Il giorno 18, all'alba, un nutrito fuoco di artiglieria si abbatte sulle postazioni nemiche. Poi il Cadelo e i tedeschi vanno all'attacco. I negri abbandonano e fuggono lasciando armi, morti e prigionieri. Durante l'interrogatorio si mostrano molto critici nei confronti dei partigiani che hanno attaccato alle spalle.

 E Don Turriani, parroco di Eglio, annota mestamente l'episodio, rilevando che le cannonate americane hanno fatto due morti e due feriti fra la popolazione.

 Dopo questo episodio tutti e tre gli squadroni del Cadelo furono lasciati sul fronte.

 

Si prepara l’attacco partigiano decisivo

 

 Ma gli attacchi più gravi si ebbero nei giorni successivi, soprattutto, come vedremo, ad opera dei partigiani.

 Essi, che da tempo meditavano un attacco alle spalle delle truppe che si trovavano al fronte per consentire agli alleati di avanzare, fin dai primi giorni del mese furono piuttosto attivi e operarono alcune azioni di disturbo.

 Il primo novembre ci fu un attacco a un autocarro degli alpini in località Riocavo presso Camporgiano che costò la vita ad un alpino, certo Visentini Teseo.

 Il 2 furono catturati alcuni alpini lungo la strada d'Arni.

 Il 3 in località Sillicano prelevarono Orsi Pietro, che era stato fino al giugno Commissario Prefettizio di Camporgiano, "lo portarono in luogo solitario e lo spogliarono di tutto" (Don Pinagli).

 Il 4 una ventina di partigiani massesi (facevano parte dei rinforzi già inviati a Careggine per il progettato attacco al fronte) stanno andando da Careggine a Gorfigliano per procurare viveri. A Nicciano pranzano in casa del prete, poi riprendono la via. In località Caglio intercettano un motociclista isolato (dovrebbe trattarsi del Maresciallo Augusto Corti del Comando di Divisione) e lo uccidono. La reazione di alpini e tedeschi è immediata. Arrivano, hanno un breve scontro coi partigiani in località "Bandita" e bruciano alcune case. Poi radunano le donne e le invitano a convincere i mariti e i figli a non essere ostili, altrimenti saranno guai. E, per fortuna, la cosa finisce senza altri morti ammazzati.

 

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L’uccisione del S.Ten. Paolo Carlo Broggi

 

 Lo stesso giorno 4 a Careggine viene ucciso il S.Ten. Paolo Carlo Broggi della 13ª Cpg del Btg. INTRA della Divisione Alpina MONTEROSA.

 Era stato catturato il 30 ottobre mentre, con una piccola pattuglia, risaliva da Isola Santa verso Careggine all’inseguimento di un gruppo di partigiani che avevano depredato un convoglio di viveri destinato al Btg. INTRA e catturato alcuni alpini.   Secondo una diversa versione inseguiva alcuni disertori.

 In quell’occasione l’alpino Rigoni Bruno venne ucciso, il Ten Broggi rimase ferito a un piede e altri due alpini rimasero pure feriti abbastanza gravemente ( essi  furono abbandonati per via senza cure. Li salvò Don Marini, parroco di Colli di Capricchia, che li curò e, avvertendo il comando, fece sì che fossero trasportati in ospedale).(6) Il S.Ten. Broggi fu tenuto prigioniero in un porcile con altre 13 persone (che verranno, poi, uccise a loro volta) e fu ripetutamente invitato a venir meno al suo giuramento di fedeltà alla R.S.I. in cambio della vita. Egli, che fu alfiere della Divisione in Germania, durante la cerimonia del giuramento, presente Mussolini, rispose: " L'Italia può fare a meno di me, non del mio onore". E morì gridando "Viva l'Italia". Fu insignito di Medaglia d'Argento alla memoria.

  E il 5 a Vergemoli, località Molino, perde la vita in uno scontro coi partigiani il marò Berdozzo Bruno, pure di 20 anni, della Divisione "San Marco".

 L'idea dell'attacco imminente doveva aver creato nei partigiani un certo clima di euforia. Così, racconta Bertolini, un partigiano di Magliano detto "Squalo", dovendosi sposare il giorno dopo, l'11 di novembre fa saltare in aria un fabbricato con la dinamite "per fare festa". Anche Don Barsotti, sempre di Magliano, testimonia questo stato di speranzosa eccitazione nei partigiani che si avvicinavano al fronte in data 22, nell'imminenza dell'attacco, ma, poi, li vide tornare demoralizzati dopo il fallimento. E anche lui, alla fine, finirà col passare il fronte.

 Il 13 pare che altri alpini siano stati catturati a Deccio, sulla via d'Arni dal 3ª Btg partigiano di Bertagni.

 Dal carteggio di Carloni citato risulta anche che nella “Prima quindicina- presso Debbia – Un sergente e tre alpini del “Brescia” sono uccisi a tradimento mentre consumano il rancio.”

 E dal Carteggio Bernardi (7) si apprende che da Novembre a Dicembre nella zona di Piazza al Serchio, San Romano e zone vicine i partigiani di “Baffo” (Aldo Pedri, comandante del Gruppo Arditi Marco) catturano diversi militari isolati o in piccoli gruppi. Pare che molti di questi militari catturati siano stati gettati nella “Buca di Bacciano”, una “foiba” che si trova all’Alpe di Borsigliana.

 

Il proclama di Alexander e il fallimento dell’attacco partigiano

 

 Ma il giorno tredici accade anche un altro fatto che verrà ad assumere grande importanza nei prossimi giorni. Accade che viene pubblicato il famoso proclama del Gen. Alexander che, stante l'imminente arrivo dell'inverno, con conseguenti gravi difficoltà a rimanere in montagna, invita i partigiani a nascondere le armi e a sciogliere le bande e, quindi, a interrompere la guerriglia. Il proclama creò grande delusione e malumore fra i partigiani, alcuni dei quali si rifiutarono di obbedire. Certo è che, nell'immediato, non ebbe praticamente effetto alcuno.

 E il giorno 20 si riuniscono a Foce di Careggine gli ufficiali della "Lunense" per decidere l'attacco alle spalle del fronte. Si decide di attaccare la quota 999 (Le Rocchette) e la quota 832 (Monte d'Anima).

 L'attacco avverrà non appena gli americani avranno effettuato l'atteso lancio di armi e viveri. Si tira a sorte il nome del comandante di battaglione che dovrà condurre il primo attacco (a Le Rocchette). Esce il nome di Zerbini, comandante del II Btg., ma Zerbini, come racconta lui stesso nel suo libro più volte citato, trova modo di tirarsi indietro. Al suo posto accetterà Bertagni, che pare l'unico disposto a correre qualche rischio.

 

 

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 Il giorno 22 arrivano sei bimotori scortati da due caccia e, alle ore 13,25, effettuano il lancio. Ma è giorno chiaro, la visibilità è ottima e gli alpini hanno

occhi buoni. Immediatamente partono verso Careggine che dovrebbe essere difesa dal II Btg. di Zerbini, il quale ha posto sentinelle ovunque. Ma c'è euforia per l'avvenuto lancio e nel posto di guardia (comandato da un certo Gigli) che controlla la strada carrozzabile d'accesso si festeggia e si fanno le caldarroste.

 Gli alpini arrivano, li sorprendono e li mettono in fuga. Lo stesso Zerbini che va a ispezionare i posti di guardia e che, sentendo un eccessivo silenzio, chiama il Gigli per capire cosa succede, viene fatto segno a una grande sparatoria dalla quale a stento si salva con la fuga. Gli alpini entrano in Careggine ove non c'è più nessuno, incendiano il palazzo municipale che era la sede del comando del II Btg e recuperano almeno in parte il materiale del lancio.

 I partigiani si ritirano sui monti e non desistono, malgrado questi avvenimenti, dal progetto di attacco.

 E’ necessario, a questo punto e prima della narrazione dei fatti, fare alcune osservazioni. Si è sempre sostenuto, da parte dei partigiani, che l'insuccesso dell'attacco deve essere attribuito al mancato concomitante attacco degli alleati.  Secondo gli accordi che pare fossero stati presi, infatti, i partigiani avrebbero dovuto conquistare le Quote 999 (Le Rocchette) e 832 (Monte d'Anima) oltre ai paesi di Eglio e Sassi. Contemporaneamente un attacco alleato avrebbe dovuto incunearsi nel varco e, procedendo lungo la zona di Careggine, Vagli, Gorfigliano, Gramolazzo, Agliano, Capoli, zona che i partigiani ritenevano di controllare, chiudere al passo dei Carpinelli la ritirata alle truppe tedesche e italiane che tenevano il fronte e che, a quel punto, non avrebbero avuto altra alternativa che la resa.

 In realtà, confrontando le notizie fornite dai partigiani con quelle fornite dagli alpini della Monterosa, sembra di capire che:

1) In realtà un attacco alleato all'alba del 27 novembre ci fu, ma prima dell'attacco partigiano e non contemporaneamente.

2) I partigiani non condussero un attacco in forze ma, dal 23 al 27, una serie di azioni minori, che ebbero anche qualche successo, ma che furono sostanzialmente ben controllate dagli alpini e dai bersaglieri del gruppo esplorante "Cadelo".

 Dal che sembra di poter concludere che ci fu scarsa convinzione sia da parte dei partigiani che da parte degli alleati. Il limitato numero di caduti sia da una parte che dall'altra, del resto, non fanno che confermare la scarsa importanza delle azioni.

 E veniamo alla cronistoria dei fatti.

 La notte del 23 il Ten. Bertagni con 40 uomini del suo III Btg. più 10 del IV si dirige verso le Rocchette, avendo una guida del luogo, tale Alberto Domenichelli di Monistalli presso Sassi. Dal Grottorotondo alle Rocchette era in linea il primo plotone del II Squadrone del Cadelo. Pare che gli uomini di Bertagni fossero vestiti da bersaglieri e da alpini, come truppe che andassero a dare il cambio, per cui i bersaglieri del Cadelo, colti di sorpresa, furono catturati e condotti a Vergemoli, oltre le linee. Fra i catturati il Ten. Micheli e il Serg. Carboni. Il Cornia dice che due soli sfuggirono alla cattura. Fonti partigiane parlano di 63 uomini catturati (8)  e narrano una curiosa storia. Dicono che fra i 63 catturati ce ne erano tre che avevano in tasca la licenza e si rammaricarono col Bertagni di questa opportunità che stavano perdendo. Al che il Bertagni, generosamente, li rilasciò affinché potessero godere la loro licenza. Mi piace pensare che questa storia sia vera. Dimostrerebbe che, almeno in certi casi, anche in questo clima di ferocissima guerra civile, si riusciva a mettere da parte la ferocia e a far riemergere l'umanità.

 Risulta che in questa azione abbia perso la vita un partigiano di Pieve Fosciana, tale Franchini Alfredo di 23 anni, poi decorato di medaglia d'argento, e sia rimasto ferito un altro partigiano di nome Renato Ginestri. Pare che il Franchini fosse vestito da bersagliere.

 Nella notte del 24 lo stesso Bertagni compì una nuova azione di sorpresa e due squadre del II Plotone caddero in un agguato e furono catturati 30 uomini. La terza squadra, invece, rimasta isolata, rispose energicamente con le armi all'intimazione di resa e al fuoco dei partigiani, e questi ultimi si dileguarono.

 

 

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 Al mattino il comandante del Cadelo salì sulla linea del fronte con i cacciatori di carri, altri elementi della compagnia reggimentale e i resti del secondo squadrone. Verso Grottorotondo ancora i partigiani camuffati da alpini dell'INTRA si avvicinano e aprono il fuoco. Ma la reazione dei militari li fa fuggire verso Vergemoli.

 C'è un altro triste episodio da registrare nel giorno 24. Nel paese di Careggine, a difesa del quale è rimasto il II Btg. di Zerbini, c'è tensione e nervosismo, dopo i fatti del 22. All'alba una sentinella scambia per un nemico il cuoco del battaglione, tale Nello Milani, che era uscito a far due passi, spara e lo uccide.

 Il parroco di Eglio, Don Turriani, parla di un attacco a Monte d'Anima condotto dai partigiani, che durò due ore e che, poi, fu respinto, avvenuto il 25 novembre. Dice anche che due partigiani rimasero uccisi. Nessuna altra fonte, però, cita il fatto, né si ha notizia di caduti in quel giorno. Probabilmente si fa confusione di date e Don Turriani si riferisce ai fatti del 23 o del 27.

 Il giorno dell'attacco decisivo, invece, doveva essere e fu il 27.

All'alba di quel giorno, dopo una consistente preparazione di artiglieria, i negri della 92ª Div. "Bufalo" (comandata ora dal generale Almond) attaccano nella zona di Monte d'Anima, ma la linea resiste senza difficoltà e i negri vengono respinti.

 A questo punto entrano in scena i partigiani comandati da Oldham che, vestiti in borghese, si avvicinano cautamente a tergo di Monte d'Anima. Ma un sergente febbricitante che stava scendendo per recarsi in infermeria li vede. Riesce a controllarsi e finge di non averli veduti. I partigiani ci credono e lo lasciano andare. Così il sergente si precipita a Eglio e poi a Sassi e dà l'allarme. Il comandante del gruppo raccoglie quanti uomini può per fronteggiare il nuovo pericolo e, con questi, muove all'attacco. Intanto anche dalla cima del Monte d'Anima i partigiani sono stati avvistati e il Capitano Gosen prende un uomo o due da ogni squadra per fronteggiarli. Ma questi, attaccati dagli uomini provenienti da Eglio, abbandonano l'impresa. Nella sparatoria perde la vita, purtroppo, il figlioccio del gruppo, Paolo Bogni, alpino di 16 anni, che aveva voluto partecipare all'azione. Una pallottola lo colpisce in fronte.

Fonti partigiane dicono che Oldham aveva conquistato il Monte d'Anima ma poi dovette abbandonarlo per il mancato arrivo dei rinforzi che avrebbe dovuto condurre il Commissario Barocci (Roberto Battaglia). Ma la cosa non è credibile. Infatti subito dopo, le artiglierie alleate riprendono a sparare per preparare un nuovo attacco. Ma i negri, appena si muovono, vengono bersagliati dalle nostre artiglierie ora ben piazzate, e non riescono neppure a entrare in contatto con le nostre linee, saldamente difese.

 Dicevamo dei rinforzi che Barocci avrebbe dovuto condurre a sostegno dell'azione di Oldham. In realtà Barocci partì dai monti di Careggine e scese nella valle della Turrite. Qui, però, ebbe uno scontro con gli alpini e preferì tornare indietro. In effetti Davide Del Giudice, nel suo "Il battaglione Intra sulle Alpi Apuane" parla

di un attacco partigiano al presidio di Isola Santa che costò la vita al Ten. Barbiero della 12ª compagnia.

 E così anche Oldham ritornò sul monte Volsci. Si parla di ritirata disastrosa, con gravi perdite. Si parla perfino di morti affogati nell'attraversamento del torrente Turrite, il che appare veramente poco credibile. Né si ha notizia di morti registrate in quella data.

 Poiché si tratta di fonti partigiane (fra cui lo stesso Roberto Battaglia) è da pensare che si sia trattato di una storia romanzata ad arte, per esagerare la drammaticità dell'impresa.

 

La fine della “Lunense”

 

Quel che è certo è che il Maggiore Oldham, certamente d'accordo con i suoi uomini, il giorno dopo, 28 novembre, decretò lo scioglimento della divisione Lunense. Dopo di che lui, Barocci e molti altri passarono il fronte "per non far più ritorno" (9). Molti fra i partigiani non lo approvarono e specialmente i "Patrioti Apuani" di Del Giudice, che giudicarono la sua una "azione indegna"(10).

 

 

 

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 Ma, forse, non va giudicato tanto severamente per questa decisione. In quei giorni, infatti, i tedeschi, certo profittando del disorientamento creato dal proclama Alexander, stavano liquidando anche le altre brigate della Lunense. Il 26

la III Brigata di Marini viene "dispersa", il 27 quelli della Brigata Muccini "si smarriscono", fra il 27 e il 28 Contri (II Brigata) "deflette a Castelpoggio". (11)

 Secondo Federigi (12) fra il 28 novembre e il 2 dicembre buona parte dei partigiani della Lunense passarono il fronte.

 Tuttavia alcuni dei partigiani che avevano passato il fronte, continuarono a combattere a fianco degli americani. Gli uomini del "Valanga", che fin dai primi di ottobre erano rimasti nella zona occupata dagli alleati, erano, almeno in parte, stati inclusi nella compagnia "C" del "Btg. autonomo patrioti italiani", come si denominavano gli uomini di Pippo (Manrico Ducceschi). Subito dopo le vicende di fine novembre appena narrate, anche Bertagni, che con i suoi uomini era rimasto a Vergemoli, cioè di là dal fronte, finì con l'aggregarsi a detta compagnia "C". Pare, anzi, che la compagnia fosse comandata, a turno, un po' dallo stesso Bertagni e un po' dal De Maria, già comandante del "Valanga". Il Guccione (13) riferisce che il Bertagni il 31.1.45 riportò ferite in combattimento.

 E i poveri garfagnini continuavano a convivere, sforzandosi di sopravvivere, con questa guerra "in casa" che rendeva tanto precarie le loro esistenze. I bombardamenti quotidiani degli aerei, più in qua o più in là, ( Don Pinagli, meticoloso come sempre, e ormai esperto, segnala in data 17 novembre un bombardamento su Filicaia e precisa che 8 caccia-bombardieri sganciarono 8 bombe : 4 incendiarie e 4 dirompenti), le cannonate e quanto altro rendevano la morte veramente a portata di mano. Il 23, ad esempio, a Vergemoli risulta ucciso da schegge di granata il civile Tommasi Ugo di 40 anni. E il loc.Sarzali, nei pressi di Treppignana, muore per granata il civile Bernardi Pier Luigi.

 La fortuna aveva voluto che il raccolto delle castagne fosse stato, in quell'anno, abbondantissimo, tanto che non solo i garfagnini si sfamavano, ma anche i massesi e i versiliesi che quotidianamente attraversavano, fra mille insidie, le Apuane. I versiliesi hanno vivo il ricordo del famoso partigiano "Baionetta" (Tardelli Adriano) che a Capanne di Careggine nella casa della Erinna gestiva un proficuo commercio di generi alimentari basato soprattutto sullo scambio.

 

NOTE:

 

1) “Diario di Padre d’Amato” in Oscar Guidi, DOCUMENTI DI GUERRA – GARFAGNANA 1943-

   1945 – Ed Pacini Fazzi LUCCA 1995 pag. 137

 

2) Notizie fornite dal Sig. Gianfranco Rossi, parente del Bargigli.

 

3) Mons. Giorgetti in La guerra in Garfagnana dalle rlazioni dei parroci, cit.,

   pag. 156,157.

 

4) Don Giannasi in LA GUERRA IN GARFAGNANA DALLE RELAZIONI DEI PARROCI, cit.,

   pag.160

 

5) Oscar Guidi DOCUMENTI DI Guerra 1943-1945, cit., pag.113. Don Gigliante Maffei

   non è mai tenero con i tedeschi e con i soldati della R.S.I., però non nasconde

   le benemerenze, quando ci sono. Per esempio parla molto bene del Capitano

   Scattolin dicendo che liberò Tortelli Giovanni e Achille Discini salvandoli

   dalla fucilazione. Ibid., pag.114.

 

6) Il partigiano che catturò il Ten.Broggi - gli sparò ferendolo a un piede - era

   un massese dei “Patrioti Apuani”, che era venuto in Garfagnana per partecipare

   all’attacco alle spalle delle truppe al fronte che si stava preparando. E’

   ancora vivente e si chiama Nicodemo Vinci (testimonianza verbale del Sig. Guerra

   di Massa, che lo conosce personalmente). La storia dei due alpini feriti salvati

   dal prete non è sicura. Potrebbe riferirsi a un altro e diverso episodio

   episodio.

 

7) Oscar Guidi, Documenti di guerra. 1943-1945, cit., pag.103

 

8) Nel Carteggio Bernardi in Oscar Guidi, Documenti di guerra 1943-1945, cit.,pag,

   102, si parla di “una ventina di bersaglieri”

 

9) E.Mosti - La resistenza apuana. Luglio 1943 – Aprile 1945, Longanesi, Milano

   1973

 

10)Ibid.

 

11)Ibid.

 

12) Fabrizio Federigi, VAL DI SERCHIO E VERSILIA - LINEA GOTICA, Ed. Versilia Oggi,

    Querceta 1979

 

13) Liborio Gruccione, Il gruppo "Valanga" e la resistenza in Garfagnnana, Maria

   Pacini Fazzi Editore, Lucca 1978

 

 

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