L'assicurazione
Come gettare al vento un regalo inaspettato...
di Michela Torcellan - Scrittrice Esordiente
Il fatto è che siamo tutti megalomani, esaltati o, nel migliore dei casi egocentrici.
Intendo dire tutti noi, scrittori dilettanti. E tutti abbiamo un fantomatico "romanzo
nel cassetto", come si dice con una delle tante frasi fatte che abbondano nella
nostra lingua. Come se i cassetti, e non gli armadi o le cassapanche, fossero gli
unici nascondigli ammessi per i romanzi.
Il mio, comunque, stava in un file e in
un paio di floppy-disk.
Ma anch'io, come tutti gli scrittori ignoti, fremevo di impazienza. Avevo speso
tre anni di vita a confezionare la mia opera, e consideravo il mio romanzone
medievale un po' come il fratello di mia figlia, dato che entrambi erano stati fatti
da me. E con i figli siamo un po' tutti parziali, specialmente se non sono proprio
perfetti!
Sapevo da sempre che chi non è famoso può pubblicare solo a pagamento, quasi che
la sentenza di George Orwell ("per diventare scrittori bisogna essere almeno una di
queste tre cose: ricco, comunista o omosessuale"), dopo oltre cinquant'anni dalla sua
formulazione fosse ancora tragicamente vera. Così, assoggettandomi alla legge di Orwell,
mi ero messa l'animo in pace: a me non sarebbe toccato mai.
Invece l'anno scorso morì mia madre. Erano passati appena dieci giorni dalla
disgrazia, quando un esultante assicuratore mi telefonò, per dirmi, con voce flautata:
- "Ho una bella sorpresa per lei, non si immagina neanche cosa".
Non mi sembrava proprio il momento di belle sorprese, ma lui insisteva e mi
annunciava gongolante che la defunta aveva stipulato un'assicurazione sulla vita
in mio favore e che quindi mi sarebbero stati assegnati 12 milioni, regalo consolatorio
da parte di mia mamma, nel momento della sua dipartita.
Oggi penso spesso a cosa la poveretta avrebbe voluto veder destinati quei soldi:
forse un paio di viaggi per tutti e tre noi, forse pellicce o gioielli o abiti firmati,
tutta roba per cui lei andava pazza e anche se a me non ha mai detto nulla, forse
cure estetiche ormai necessarie nell'incombente mezza età o una serie di soggiorni
nelle fantomatiche cliniche della salute altoatesine o il lifting tra qualche anno.
E invece no, perché io sono una scrittrice dilettante con il romanzo nel file.
E così decisi per l'unica cosa che non avebbe giovato a nessuno di noi, men
che meno a me: pubblicare il romanzo a pagamento.
Scartato subito l'astuto psichiatra bolognese con casa editrice "a caccia di nuovi
talenti", escluso anche il rampante avventuriero romano che assicurava una
"capillare distribuzione" ma risultava ignoto a tutti i librai da me interpellati,
ho optato per il compunto e dinastico editore fiorentino che da generazioni opera
sul campo e non promette fole a nessuno.
Perciò il 29 febbraio, giorno che capita fortunatamente solo ogni quattro anni,
firmai il contratto per la confezione di 1000 copie del mio romanzo per la modica
cifra di L.11.200.000. Insomma, dell'assicurazione di mamma mi restò appena di che
comprarmi un cappotto!
Tutto ciò di certo non mi convinceva ma, dopo tre anni di lavoro, ritenevo giusto
tentare, quasi fosse più un dovere verso me stessa che un ambizioso progetto.
Per che cosa avevo lavorato tanto? Studio, preparazione, mesi in biblioteca a
leggere e documentarmi; poi l'intreccio, la psicologia dei tanti personaggi,
la verosimiglianza storica... non erano mica roba da poco.
Ma nonostante le mie giustificazioni morali, ebbi subito a pentirmi di questa mia
sofferta decisione. Pretesa una prima rata di L.3.700.000, l'editore fece perdere le
sue tracce per mesi. Il telefono era sempre occupato e comunque agli autori è riservata
solo la mattina del giovedì dalle 9 alle 13; una volta che riuscii a trovare libero alle
9:15 una segretaria seccata mi disse che era troppo presto: non c'era nessuno a
quell'ora.
A giugno, ignorando ancora quale fosse la sorte del mio libro, intensificai le
chiamate trovando finalmente in ufficio la figlia dell'editore, che aveva appena
preso il potere defenestrando evidentemente tutti gli altri: una persona di un'arroganza
disumana, la quale mi informò che il libro era bloccato da tre mesi perché mancavano le
otto righe della sovracopertina dove si riportavano i miei dati anagrafici.
Non avevo ancora capito l'importanza di quelle poche righe e, sinceramente, non
credevo di doverle scrivere io e poi, che tutto un romanzo di 300 pagine restasse fermo
perché mancavano 8 righe mi sembrava un'enormità! Ma se proprio erano tanto importanti,
perché non mi avevano telefonato, sollecitandomi a scriverle?
La donna in carriera
mi rispose sbraitando come un cane rabbioso:
- "E mi metto a telefonare adesso? Figurarsi se ci mettessimo a telefonare a tutti!"
In pratica, dopo aver sborsato già 3.700.000 lire, non avevo diritto neanche a
un'interurbana!
Così, per colpa mia, il libro è slittato nella programmazione.
Forse non sono abbastanza intelligente per le principesse dell'editoria italiana,
forse me lo merito. Il libro uscirà chissà quando, dovrò comunque pagare i restanti
7.500.000, avrò le mie 50 copie e zitta. Il telefono al giovedì resta sempre occupato,
negli altri giorni non c'è nessuno, o è troppo presto o sono già usciti tutti. Non si
può parlare con le persone incaricate della redazione, non si può sapere come sarà
la copertina, inoltre la dinastia editrice (nel 2000!) non ha alcun sito internet.
Non ero convinta neanche prima, ma ora che ho fatto la frittata - o la
"bischerata" volendo restare a Firenze - capisco meglio il ruolo di questi
signori che speculano sulle ambizioni letterarie di noi poveri fessi.
L'illustre casata fiorentina edita circa 30 titoli all'anno a un prezzo medio di
12 milioni l'uno, per un totale di 360 milioni annui! Paga male i propri
dipendenti, si avvale di collaboratori esterni, quasi sempre neolaureati per il lavoro
redazionale, vero e proprio "lavoro nero" di cui nessun sindacato si occuperà mai, impiega
un tipografo di periferia per l'impaginazione e richiede il dischetto agli autori,
evitando così clamorosi refusi, risparmia su tutto e alla fine non distribuisce
le copie. Guadagno netto di almeno 300 milioni, solo sugli autori, cui si aggiungono
quelli provenienti dalle altre pubblicazioni di saggistica, dai periodici, dai volumi
onorari e da altre simili amenità.
Mi si dirà che lo fanno in molti, moltissimi.
Sì, ma forse con un po' di gentilezza, magari truffaldina certo, ma gentilezza.
Non con l'arroganza, l'incompetenza e il menefreghismo di costoro!
Sono arrivata alla fine del mio resoconto e vorrei pregarvi tutti - anche se mi
leggete solo in tre non importa! - vorrei pregarvi di non farlo! Non commettete
anche voi lo stesso errore: non serve a niente, tranne che ad arricchire questa
gentaglia. Il vostro romanzo, senz'altro bellissimo, può essere pubblicato con
minor spesa da una tipografia editrice, ce ne sono in tutte le città, la quale per
un paio di milioni al massimo vi stamperà 200 o 300 copie tutte vostre da regalare
agli amici, da spedire ai concorsi, da vendere via internet. E un paio di milioni
per uno sfizio si possono anche spendere, dodici no! Avrete così la vostra opera
stampata e finanzierete un po' l'arte tipografica italiana che campa ormai solo sulle
partecipazioni di nascita, matrimonio e morte.
E poi ricordatevi che questi ceffi campano perché siamo noi a mantenerli e
incrementarli. E noi scrittori dilettanti, poveri ridicoli illusi agli occhi di
qualunque persona di buon senso, ebbene proprio noi, come tutti gli utenti di
qualsiasi servizio, abbiamo un potere immenso: quello di astenercene.
In economia si chiama boicottaggio, qui si potrebbe chiamare con un nome
meno violento, comunque il concetto è quello:
Non pubblicate a più di 3 milioni, non fatelo più, non facciamolo mai più!
Rivolgetevi ad altri editori più onesti, andate direttamente in tipografia, andate
in rete, andate dove vi pare ma non da loro!
E, in attesa che venga il giorno in cui la giurisprudenza italiana riconosca anche
in queste attività gli estremi della truffa, noi piccoli scrittori mediocri, fragili e
megalomani, patetici esempi di velleità intellettuali insoddisfatte, mandiamoli in
fallimento!
Gli autori dei racconti della sezione "Esperienze" del Rifugio si assumono tutte le responsabilità per i contenuti delle
loro storie. Il Rifugio, comunque, non avendo alcun motivo per dubitare della veridicità di queste vicende, offre tutta
la sua solidarietà alle vittime di queste avventure, ed è orgoglioso di poter pubblicare sulle proprie pagine queste
preziose testimonianze.
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