Autori ed Editori:
Cosa possiamo imparare dai casi di Kafka, Morselli, Svevo e Musil?
di Luca MASALI - Scrittore Affermato
C'è un mio amico che fa l'idraulico. È piuttosto bravo, un vero maestro della giratubi da
otto... Per il resto è un simpaticone punk che vive a El Paso, la versione subalpina del più
famoso Leoncavallo di Milano.
E' un idraulico serio, lui. Di quelli che mettono i bigliettini nelle buche delle lettere
condominiali. Un vero mago nell'arruffianarsi le vecchie signore, col berrettino da
Supermariobros calcato sul cranio per non sconcertare l'attempata befana di turno con il
suo spettacolare taglio verdeacqua. La dolce ragazza di ieri ha sicuramente una cognata, una zia,
una nipote col cesso rotto, e sarà lieta di presentare l'aitante giovanotto dal sorriso
smagliante e la parlantina sciolta perché rovisti nella sacra Tazza alla ricerca dell'ingorgo.
Il mio amico si è anche messo sulle pagine gialle. Ha un'amica carina che risponde al
telefono, tutta tette e sorrisi. Il mio amico lascia i biglietti da visita al bar. Il mio amico
si è dipinto il numero di telefono sul Fiorino.
Il mio amico sarebbe un grande scrittore.
Cosa possiamo imparare da Kafka, Morselli, Svevo e Musil?
Niente, almeno per quel che riguarda i rapporti col mondo dell'editoria.
Cosa possiamo imparare dal mio amico idraulico?
A farci furbi e a non farci prendere per il culo.
Il mio amico idraulico non sarebbe mai così fesso da pensare che, visto che lui è un dio
dello sciacquone, il piccolo mondo condominiale non aspetti che Lui. Lo sa benissimo che girar
di chiave inglese è solo una parte, importante ma non principale, di quell'affascinante e
difficile arte che è l'idraulica. Sa anche benissimo che in giro ci sono piombatori meno bravi
ma più ricchi di lui: perché son più furbi, non c'è che fare. Magari si fanno vedere alle
riunioni della cassa artigiana, e chiacchierando tra un panino e l'altro nascono alleanze.
Magari hanno un accordo con l'elettricista, o con il piastrellista. Conoscono tutti gli
amministratori di condominio del circondario e a Natale gli mandano il panettone.
Conoscono il loro ambiente, e ci girano sornioni come grassi gattoni d'appartamento:
morbidi e affabili, ma vigili e astuti. Rassicuranti e domestici, ma nel cuore felini tutti
unghie e denti. Mica aspettano la manna dal cielo.
Sono professionisti.
La triste storia di Kafka, ovvero Fantozzi colpisce ancora.
Franz Kafka ha scritto storie bellissime. Il suo universo immaginario era dominato
dall'inferno della burocrazia, descritta con un senso del grottesco e una sottile ironia,
degni di un vero gigante della letteratura.
L'universo di Kafka non si discostava poi molto da quello di Paolo Villaggio.
Ma la classe di Franz, senza nulla voler togliere a Paolo, era veramente smisurata.
Eppure Franz non riuscì a pubblicare quasi niente, se non su una misconosciuta rivista
letteraria ungherese. Perché? Boh?
Franz lavorò per tutta la vita in un ufficio pubblico, a mettere timbri sulle carte bollate.
E ci viveva di questo lavoro, probabilmente in modo dignitoso.
Però io mi chiedo: possibile che mettere timbri sia più redditizio di scrivere
Metamorfosi?
Il mio amico idraulico fa l'idraulico.
Prima faceva le consegne col mototaxi.
C'è stato un periodo in cui guadagnava più col vespino che con il sifone. Ma voleva fare
l'idraulico.
Per un po' di tempo è stato un pony express con l'hobby dell'idraulica. Ma credeva in sé
stesso e nelle sue capacità. Si è fatto conoscere, prima nel caseggiato, poi nel quartiere.
Coi primi guadagni si è fatto il Fiorino.
Cosa possiamo imparare da Kafka? A mettere i timbri sulle carte bollate.
Cosa possiamo imparare dal mio amico idraulico? A essere progettuali e propositivi sulla
nostra scrittura. A pubblicare su una rivistina ungherese son capaci tutti. Per fare un salto
di qualità, bisogna investire tempo e risorse per farsi conoscere. Il nostro è un mestiere con
cui si può vivere solo se si è noti, almeno nel proprio ambiente. Scrivere racconti è un
bell'hobby, ma se si vuole qualcosa di più bisogna saper proporre progetti editoriali: raccolte
di racconti, antologie, romanzi, trilogie, saghe… Sapersi presentare a un editore o a un agente
letterario coi racconti già editi sulla rivista ungherese ed in mente un bel progetto di romanzo
è già un punto di partenza.
Ma forse Franz era contento così. A lui piacevano i timbri.
La triste storia di Morselli, ovvero Ma Io Che Cazzo Scrivo?
Guido Morselli è uno dei miei autori preferiti. Il suo romanzo più bello a mio parere è
Contro-passato prossimo, pubblicato da Adelphi. Ho un enorme debito di riconoscenza
verso Morselli: è stato lui che mi ha ispirato I Biplani di D'Annunzio, il romanzo con
cui ho vinto il premio Urania nel '95 ed ho venduto oltre 35.000 esemplari, che in Italia sono
davvero un mucchio di copie. Ora i biplani sono pubblicati anche in Francia.
I Biplani di D'Annunzio è un romanzo abbastanza buono, forse merita un 6+.
Contro-passato prossimo invece è un capolavoro.
Ma I Biplani è stato pubblicato un paio di mesi dopo che ho finito di scriverlo.
Contro-passato prossimo è uscito solo parecchio tempo dopo che l'autore era
tragicamente scomparso (non voglio pensare che Guido si sia ucciso perché non riusciva a
pubblicare i suoi meravigliosi romanzi, sarebbe troppo triste). Guido era un artista vero,
uno dei più grandi del nostro Novecento.
Scriveva ottima fantascienza.
Ma forse non lo sapeva. Il suo genere era l'Ucronia, cioè romanzi in cui uno si fa
domande del tipo:
"...E se l'Austria avesse vinto la Grande Guerra?" (Morselli e il sottoscritto).
"...E se Roma fosse senza Papa?" (Morselli).
"...E se Garibaldi avesse combattuto a Gettysburg?" (P. Prosperi,
edito da Editrice Nord).
"...E se i nazisti avessero trionfato?" (P. K. Dick, La Svastica sul Sole,
uno dei massimi della fantascienza mondiale).
Morselli era bravo, molto bravo. Ma la fantascienza è una bestia nera da pubblicare: ci
sono pochi editori che hanno delle collane specializzate. E ci sono anche pochi lettori, ma
questo è il problema minore. L'importante è rompere il ghiaccio, uscire col primo romanzo, poi
si vedrà. Evangelisti, il massimo autore della fantascienza italiana, è uno scrittore
professionista stimato in tutta Europa. Ha vinto premi prestigiosi, vive della sua arte
(un privilegio concesso a pochi), è stimato. Guido, concedimi una piccola ucronia:
"...E se tu avessi contattato Urania, o gli editor delle collane della Editrice Nord?"
Il mio amico idraulico ha sempre saputo di essere un idraulico, non ha mai pensato di
essere un elettricista.
Cosa possiamo imparare da Morselli? Niente.
Cosa possiamo imparare dal mio amico idraulico? A capire che cosa siamo. Se scriviamo
gialli, presentiamoli al premio Tedeschini. Se il nostro genere sono le storie per i ragazzi,
seguiamo il premio Calvino. Io ho proposto, tanto per provare, il mio nuovo romanzo di
fantascienza a un grande editore italiano. Forse non volevo davvero fare le corna alla
Mondadori, magari volevo solo vedere che cosa succedeva... O forse volevo davvero provare
a cambiare, non ha importanza. L'editor di quella casa editrice conosceva il mio libro
precedente, e quindi con grande disponibilità ha accettato di leggerlo. E poi me l'ha rispedito
indietro, perché quella casa editrice non ha collane di fantascienza. Non avrebbero saputo che
farsene.
Le tristi storie di Svevo e Musil, ovvero: ragazzi, se siete così pigri pigliatevi un
agente letterario, cazzo!
Tutti i romanzi di Svevo (Senilità, Una vita, La coscienza di Zeno)
sono considerati, chissà perché, un buon esempio di letteratura italiana. A me non piacciono,
ma naturalmente è un parere personale. Del mio stesso parere era l'editore Treves, uno dei
massimi editori del periodo in cui i romanzi sono stati scritti, che rispedì al mittente i
manoscritti.
Questo bastò a spingere il nostro a rivolgersi a pagamento ad un piccolissimo editore
(l'editore triestino Vram). Una vita sarà pubblicato nel 1892 da tale editore in mille
esemplari, a totali spese dell'autore.
E provare a guardare al di là del proprio naso? Il mondo mica finisce con la Venezia Giulia!
Pubblicate le creature a sue spese, Svevo attese la manna dal cielo: si aspettava che la critica
letteraria gridasse al miracolo e lo trascinasse agli altari della notorietà letteraria. E
naturalmente rimase in attesa, senza fare assolutamente nulla perché ciò accadesse.
Ovviamente i critici avevano ben altro da fare che scartabellare tra i cartami della Vram,
così nulla accadde. Anche La coscienza di Zeno venne rifiutata da Treves, e il nostro se
ne lagnò con Joyce, che era amico suo. L'altro gli rispose: "...Perché si dispera? Deve
sapere che è di gran lunga il suo miglior libro. Quanto alla critica italiana non so. Ma faccia
mandare degli esemplari a stampa a M. Valery Larbaud, M. Benjamin Cremieux, Mr.T.S.Eliot,
Mr. F.M. Ford".
Visto come si fa? Chi se ne frega se Treves non lo vuole? Cazzo, amico, ma prenditi un
agente letterario! Meno male, per Svevo, che Joyce sapeva come si fa a fare lo scrittore,
sennò chissà quanto si sarebbe lagnato ancora Svevo. La colpa era naturalmente sua, solo ed
esclusivamente sua.
Il mio amico idraulico mica sta a piagnucolare se la vicina di sotto si fa riparare il
bidet da un altro! Lui ragiona in termini cittadini, e sta cominciando ad allargarsi a livello
regionale. Ah, a proposito: uno scrittore che non viva solo d'aria e d'amore, è meglio che
cominci a ragionare almeno in termini europei. Va bene cominciare dall'editore sotto casa, ma
può benissimo darsi che la prima occasione di pubblicazione sia più lontano di quello che
immaginiamo... Conosco (giuro che è vero!) uno scrittore di fantascienza genovese che ha
pubblicato i suoi romanzi solo in Bulgaria! (...ecco, però non gli ho chiesto quanto gli danno
di diritti d'autore, in verità).
Quanto a Musil, pubblicò il primo volume di "L'uomo senza qualità" nel 1931 da
Rowohlt, ed il secondo volume nel 1933.
Morì nel '42 poverissimo e completamente sconosciuto. Nel '49 due coniugi inglesi,
Wilkins-Kaiser, pubblicarono, anonimo, un articolo sul "Times Literary Supplement"
proclamando che quest'uomo, completamente dimenticato, era uno dei massimi scrittori del
Novecento. Non so se avessero ragione i Wilkins-Kaiser ad incensarlo o i suoi contemporanei
a snobbarlo, ma quel che è certo è che Musil aveva un ufficio stampa che faceva schifo e un
agente letterario incompetente.
E quindi?
In conclusione, è troppo facile per gli scrittori prendersela con gli editori e con i
critici. Sembrano i salumieri che se la prendono col governo per le tasse.
Gli editori fanno il loro mestiere, che è abbastanza un casino. Possono pubblicare bei
libri che vendono. Oppure brutti libri che vendono. Oppure bei libri che non vendono. Non
possono pubblicare brutti libri che non vendono. Non spetta a loro coccolare e incoraggiare
gli autori in crisi mistica. Se uno vuole attenzione da parte degli editori, se la deve
conquistare sul campo. Vincendo un premio letterario, per esempio. Oppure pubblicando racconti
e saggi su riviste fino a farsi conoscere nell'ambiente. O come diavolo gli pare, purché si
muova un po'. La quantità di fuffa che arriva alle grandi case editrici è impressionante.
È ovvio che non possono leggere tutto. Devono fare una preselezione per isolare quello che
potenzialmente può essere interessante, e soprattutto utile e in linea con i progetti culturali
e industriali della casa editrice.
Siamo noi autori a dovere aiutarli, dandogli gli strumenti per farsi un'idea chiara di
che cosa stiamo proponendogli. Identificando la collana giusta, per prima cosa. Una collana
che dovremo conoscere bene, dovremmo aver letto tutto quello che ha pubblicato negli ultimi
tempi. E poi facendo delle sinossi intriganti e brevi dei nostri lavori, magari con immagini
e brani di dialogo, ben impaginate e piacevoli, che potremo anche pubblicare su Internet.
Se volete ispirarvi, le mie sinossi sono sulla mia home page, all'indirizzo:
http://www.masali.com
Per quanto riguarda i critici, il discorso è proprio lo stesso. Sembra che alcuni autori
pensino che la critica letteraria sia una specie di servizio sociale di supporto psicoanalitico
al romanziere in crisi. Ma chi l'ha detto? Chi cazzo l'ha detto, che i critici debbano essere
una specie di cani da tartufi intellettuali, col naso a terra per trovare il prezioso tubero
sotto il letame? Il loro mestiere è analizzare i libri che la gente legge, non si capisce perché
dovrebbero fare un cattivo servizio ai loro lettori andando a pescare chissà che roba pubblicata
al piccolo editore misconosciuto in 500 copie.
Quando uscirono I biplani di D'Annunzio, non rimasi certo ad aspettare l'ufficio
stampa Mondadori: non sono così ingenuo da pensare che il colosso di Segrate si sarebbe mosso
per me. Così ho preparato un pacco per i giornalisti contenenti le sinossi, una copia del libro,
un articolino già scritto in formato Word per fare il copia-e-incolla, i file della copertina
del libro in formato TIF, a 300 punti per pollice, in modo che fosse già pronto per la
pubblicazione e le fotocopie delle recensioni già uscite. Ho fatto una letterina
d'accompagnamento un po' spiritosa e ho inviato il tutto a tutte le redazioni possibili e
immaginabili, cercando però di non rompere i maroni a chi ci lavora. Chi ha mai frequentato
una redazione sa bene che razza di casino sia il lavoro del redattore. Trovarsi la pappa fatta,
le immagini già a posto, e un pizzico di ruffianaggine ha fatto miracoli: il mio romanzo è stato
recensito da decine e decine di riviste. Una massa critica che ha fatto sì che del mio lavoro si
interessassero anche i grandi quotidiani e le riviste di critica letteraria. Ho fatto un ottimo
lavoro, tutto sommato. Grazie agli insegnamenti del mio amico idraulico, naturalmente: lui
quando non ha clienti se li va a cercare, non aspetta la manna dal cielo. Un lavoro che mi è
costato soldi e fatica, ma ne è valsa la pena.
Come disse Kim a proposito del mestiere del mendicante
"Chi in silenzio chiede, in silenzio muore".
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