Lungo e corto:
Il romanzo è un racconto lungo?
di Claudio MONTALTI - Scrittore... e lettore
E perché non dire che il racconto è un romanzo breve?.
Se facciamo un discorso squisitamente di contenuto, l'autore bravo è capace di esprimere molto con
un racconto come l'autore meno bravo può esprimere poco con un romanzo. Mi vengono in mente i lavori
di Harold Robbins e qualcuno di Wilbur Smith, tanto per rimanere ad autori molto noti. Sono campioni
eccellenti di quella produzione letteraria - piuttosto consistente - che profonde parole e abbatte
intere foreste per sostenere trame che hanno il solo pregio, non piccolo ma in ogni caso futile,
d'intrattenere. Penso invece con piacere ai racconti di Charles Bukowsky, ricchi di lezioni e di
personaggi che un romanzo difficilmente riuscirebbe a sviscerare altrettanto bene. La mia opinione
di lettore attento è che romanzo e racconto possono fare l'uno le veci dell'altro con una facilità
disarmante. Quindi la risposta alla domanda non può prescindere dal talento di chi scrive.
Premesso questo, è chiaro che un romanzo non può e non deve essere un racconto lungo.
Racconto e romanzo condividono l'emozione di fondo, l'ispirazione se vogliamo chiamarla così,
ma da questo punto in poi le strade divergono completamente. Da una parte c'è il lungo lavoro per
raggiungere tutti i lettori, per allettarli ed infine guadagnarli a quello che lo scrittore vuole
trasmettere. Dall'altra, rimane l'impulso creativo del momento, l'esigenza irrinunciabile di
esprimere qualcosa senza doverla sviluppare o approfondire. In fondo, chi scrive un racconto
ritiene accessorio l'essere compreso.
Un romanzo ha quindi ha il preciso proposito, e l'esigenza, di comunicare con facilità e chi
lo scrive deve rendere il lettore partecipe di un'atmosfera, una paura, un'emozione, un dolore, un
colore. Più precisamente, un vero scrittore di romanzi dovrebbe avere vissuto le situazioni che scrive.
Solo così si può trasmettere totalmente qualcosa e consente al lettore di "vedere". Una cosa
esclude necessariamente l'altra. Anche se ha i crismi dell'avventura e dell'irrealtà, il romanzo
deve intrattenere ed insegnare. I romanzieri anglosassoni sono maestri eccelsi e sperimentatori
sublimi, in questo. Curiosi di ogni minimo particolare, riescono a trattare esaurientemente una
cultura, un fatto, un'idea e - seppure attraverso i loro occhi - ci consentono di viverle fino in fondo.
L'idea e l'esperienza sono, evidentemente, molto personali. Leggendo, ho imparato tanto.
Voglio concludere questa breve disquisizione con un esempio.
In quanti ricordano gli insegnanti mediocri che hanno avuto? Pochi, credo.
In quanti, invece, ricordano quelli bravi? Quasi tutti, oso dire senza timore di proferire un'eresia.
Questi ultimi ci hanno fatto piacere una materia ostica e magari sempre odiata, ma non ci hanno
certo messo lo spazio di un racconto, scusate, di una lezione per aprirci la mente su nuovi spazi
e nuove possibilità che prima rifiutavamo persino di prendere in considerazione.
Consentitemelo: l'insegnante bravo è una splendida metafora del romanzo.
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