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CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI ROMA |
LE STAGIONI DEL LEGNO |
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MOSTRA SULL'ARTE DEL LEGNO A ROMA 4 - 14 OTTOBRE 2001 PIAZZA DI PIETRA - TEMPIO DI ADRIANO INGRESSO LIBERO - ORE 9 - 19 IL
LEGNO COME COLORE DELL’UNIVERSO La
tarsia lignea e l’autorappresentazione dell’oggetto. “I
corpi geometrici e le prospettive astratte sono stati nel Rinascimento
due elementi privilegiati della decorazione, che hanno trovato forma ed
espressione in modo spettacolare grazie alle tarsie. La tecnica
originale dell'intarsio è alla fonte e alla guida dello sviluppo dei
due tipi di figurazione più forti, più sintetici e più vigorosi del
volume e dello spazio che l'arte occidentale abbia mai conosciuto prima
del XX secolo” ([1]). “L'essenza
legnosa, ad opera della tarsia, rappresenta un nuovo acquisto del colore
nel Rinascimento” ([2]).
Il
richiamo alla storia della tarsia italiana è essenziale per intendere
le ragioni che hanno determinato la scelta di questo mezzo di
espressione. Non potrebbero infatti comprendersi appieno i valori
culturali ed estetici dell'uso di essenze lignee, commesse secondo i
moduli della tarsia, se si tralasciasse l'evoluzione storica dell'arte
di legname o si omettesse di considerare l'opera di quei maestri
rinascimentali che elessero il legno a materia privilegiata dell'arte
loro. Ma
il ripercorrere - pur in estrema sintesi - il breve arco di
tempo (non piu d'un secolo, tra la metà del XV e la metà del XVI
secolo), che segnò la nascita, l'apogeo e la splendida e repentina
decadenza dell'arte tarsiaria italiana non giova solo a integrare i
canoni di valutazione di opere che ad essa dichiaratamente si
ricollegano: la consapevolezza storica può infatti dischiudere una più
profonda comprensione del significato attuale della tarsia, consentendo
la percezione dei molteplici livelli di lettura della superficie
materica regolata dall'intervento umano. Alla
base del ricorso alla tecnica del commesso ligneo, antica come la stessa
civiltà umana ([3]),
possono oggi riconoscersi ragioni avvicinabili, in qualche misura, a
quelle che nei primi decenni del quattrocento indussero i maestri di
legname ad elaborare e sviluppare, fino all'eccellenza, l'espressione
tarsiaria. I1 segno impresso sulla materia, quasi a sorprenderne
d'incanto valenze figurative e trarle in luce dalla casuale naturalità,
catalizza - ora come all'alba della Rinascenza - una pluralità di
significati, in relazione alla coeva realtà sociale e culturale, di cui
può tentarsi la decifrazione. La
tarsia nello sviluppo del linguaggio figurativo rinascimentale La
valorizzazione dell'essenza lignea, come mezzo di espressione artistica,
è strettamente legata alla profonda rivoluzione rinascimentale dei
canoni rappresentativi e percettivi; il che pone lo sviluppo dell'opera
lignaria tra le più significative innovazioni tecniche e, al tempo
stesso, estetiche che contraddistinsero quell'epoca di radicali
trasformazioni delle arti. Al rinnovamento della sensibilità verso ogni
manifestazione dei valori umani trasfusi nell'opera d'arte corrispose
l'elaborazione di una tenica - quella, appunto, tarsiaria - che modula
la materia lignea (universale oggetto dell'artificio umano) e la
piega a forme che la esaltano ed al tempo stesso la trascendono in
virtù del mirabile intervento dell'artista. I1
prestigio di cui la tarsia ebbe a godere nel quattrocento ([4])
fu dovuto al fatto che in essa trovava immediata realizzazione ed
applicazione la più moderna e accreditata forma espressiva dell'epoca:
il linguaggio prospettico. I1 magistero del Brunelleschi e di Benedetto
da Maiano sono posti dal Vasari ([5])
alla radice del periodo di massimo splendore dell'arte di commesso;
d'altra parte, lo stretto legame artistico di Piero della Francesca con
i Canozi di Lendinara fu determinante per lo sviluppo dei modelli
figurativi di questi maestri lignarii, cui si deve il più energico e
felice tentativo di elaborazione di un linguaggio tarsiario, non
subalterno rispetto a quello delle arti c.d. “maggiori”. Nella
tarsia, in effetti, si realizzava la sintesi poetica ed espressiva delle
scoperte prospettiche con l'accattivante bellezza decorativa del legno,
sapientemente utilizzato nelle venature e nelle naturali sfumature
chiaroscurali. La stessa costruzione dell'opus, del resto, rivelava lo straordinario impegno professionale
dell'artista, proteso alla creazione degli effetti ottici, ricostruiti
per forza d'ingegno dalla bruta casualità di nodi e marezzature. La
seduzione dell'opera lignaria risiedeva pertanto nella sua collocazione,
nel solco del più vivo dibattito artistico dell'epoca, all'incrocio di
tutte le arti, racchiudendo in sé i tratti della più raffinata
intelligenza artigianale e meccanica, dell'innovazione figurativa e del
sapere scientifico ([6]).
Significativamente, è stato osservato, di nessuna tarsia lignea e
prospettica si ha notizia in tempi precedenti il De
pictura di Leon Battista Alberti, nella sua redazione
volgare (1436) ([7]).
Condizione necessaria per lo sviluppo della tarsia è infatti la
rilevazione geometrica degli spazi e dei volumi sulla superficie piana,
intesa quale intersezione della piramide ottica, teorizzata dall'Alberti.
“Questo lavoro ebbe origine primieramente nelle prospettive, perché
quelle avevano termine di canti vivi, che commettendo insieme i pezzi
facevano il profilo, e pareva tutto d'un pezzo il piano dell'opra loro,
sebbene e' fosse stato di più di mille” ([8]). Alla
luce della nuova convenzione prospettica ([9]),
la tarsia diventa il luogo di ideale coincidenza delle rinnovate istanze
figurative, del più raffinato gusto decorativo dei manufatti lignei e
delle esigenze tecniche, sottese alla produzione lignaria: nel commesso,
infatti, più che in ogni altro prodotto artistico i fattori creativi
convergono sulla norma geometrica, cui si affida il procedimento di resa
prospettica dell'immagine. I1
taglio, l'accostamento e l'intersezione lineare delle tessere, in
funzione generatrice della spazialità, sono strumenti privilegiati,
atti a tradurre, sulla piana superficie degli arredi, una sintassi di
segni vicina alla nuova razionalità di stampo umanistico. Pertanto, la
costruzione “razionale” della veduta, secondo la rinnovata
convenzione, consente una sorta di codificata comunicazione tra
l'artefice e l'utilizzatore dell'oggetto: a coloro, che per attitudini e
cultura posseggono la chiave interpretativa di quei segni, è concesso
d'intenderne i valori innovativi ed è così fornita l'occasione di un
raffinato godimento “intellettuale” nell'apprezzamento estetico
dell'opera figurativa. La
raffigurazione per segmenti geometrici è, d'altro canto, la più
congeniale alla traduzione lignaria, per la relativa facilità ed
immediatezza dell'uso del mosaico e per l'esaltazione delle naturali
potenzialità cromatiche dell'essenza. In vero, all'origine dell'uso del
legno quale materia espressiva stanno ragioni di carattere squisitamente
funzionale: le grandi superfici dei manufatti lignei, fossero cassoni o
cori o pareti di studioli, inducevano naturalmente alla decorazione a
mezzo dello stesso materiale, valorizzato nella superficiale
variegatura. I1 commesso ligneo trova quindi la sua primaria ragion
d'essere quale sviluppo della tradizionale ornamentazione “a toppo”
di oggetti d'uso comune, cui aggiunge pregio d'arte nell'ideale
contaminazione con la figurazione pittorica. Ruolo di questa
contaminazione rimane, nel primitivo stadio dell'elaborazione
quattrocentesca, quello di mero richiamo per allusione, in cui la
maestria esecutiva conserva il suo specifico tratto di aderenza al mezzo
tecnico utilizzato, senza tentazioni mimetiche rispetto all'arte
pittorica. Nell'utilizzare le tessere lignee i maestri di tarsia si
avvalgono, con consumata intelligenza meccanica, della conoscenza
organica del materiale, intesa all'utilizzazione dell'intrinseco tessuto
grafico in funzione di un'espressività ad esso peculiare. Le
potenzialità cromatiche e le variabili strutture lineari del legno,
moltiplicate dalle diverse modalità del taglio delle tessere rispetto
al tronco, condizionano l'immaginazione del lignario, stimolandolo a
trarre la figurazione per forza di combinazioni materiche, d'incidenza
di luci sul reticolo dei pori e delle venature, di contrasti tra le
cromie e le rifrazioni delle superfici. In effetti, il preponderante
valore dell'essenza legnosa quale strumento della figurazione
caratterizza il primitivo sviluppo dell'arte della tarsia, dal suo
iniziale esordio in ambiente senese, nel secondo quarto del secolo XIV,
fino all'evolversi della tradizione lendinaresca in Emilia, sul finire
del secolo XV. Solo
successivamente, al volgere del secolo, tale specifica cifra del
commesso ligneo quattrocentesco si stempera, con l'accentuarsi del
richiamo ai valori chiaroscurali della pittura, nel tentativo dei
successivi maestri di legname di indirizzare l'opera verso una
espressività più aderente al gusto dei committenti, sedotto dallo
straordinario fascino delle contemporanee realizzazioni dell'arte
pittorica. Ma i limiti che inevitabilmente incontra la costruzione
lignaria sulla strada di tale imitazione decretarono la decadenza della
tarsia, cui le preminenti preoccupazioni mimetiche sottrassero i tratti
fisionomici caratterizzanti, che ne avevano giustificato l'iniziale
sviluppo. Cenni
alla storia della tarsia Per
meglio intendere la complessità dei fattori che incidono
sull'evoluzione della tarsia giova un sintetico profilo dello sviluppo
storico dell'arte lignaria ([10]),
che punti l'attenzione sulle fasi essenziali dell'elaborazione e della
crisi dello specifico linguaggio, parallelo a quello delle altre arti. Gli
splendidi resti dell'originario coro del Duomo di Orvieto, eseguito da
Vanni di Tura dell'Ammannato e da maestranze senesi ([11])
mostrano già, nell'autonomia stilistica dei maestri lignarii, una
spiccata libertà da preoccupazioni mimetiche rispetto alla coeva
produzione pittorica ed alla struttura cromatica e lineare degli stessi
cartoni utilizzati per l'opera d'intarsio. L'istanza formale sottostante
all'esecuzione di questo ciclo risponde ad intenti figurativi,
essenzialmente concentrati sull'effetto di accostamento dei legni e sul
peculiare cromatismo ricavato dal loro sommesso contrasto. I1 vibrare
del fondo madreperlaceo, ottenuto mediante il taglio trasversale del
rovere che evidenzia la ricca venatura dell'essenza, contrasta con la
chiara e compatta materia lignea nella quale sono ricavate le figure,
poste in rilievo dal lucido e solido bosso dei nimbi. I
tratti dell'autonoma espressività lignaria che caratterizzano l'esordio
senese della tarsia si fondono, nell'ambiente fiorentino della prima
metà del quattrocento, con i risultati delle ricerche del Brunelleschi
sulla prospettiva, aprendo la grande stagione della tarsia prospettica
rinascimentale. Dal connubio della specificità materica dell'arte
lignaria e della composizione geometrica in funzione prospettica trae
origine una convenzione rappresentativa, che può collocarsi tra le più
accattivanti ed al tempo stesso tra le più inquietanti ed enigmatiche
manifestazioni artistiche: la rappresentazione del legno mediante il
legno. La
finzione di oggetti di legno collocati su scansie o all'interno di
mobili con sportelli ornati di intarsi, in varie posizioni prospettiche,
è ottenuta per mezzo della stessa materia lignea, che assume doppia
funzione e trasmette perciò un senso di percezione sdoppiata, in una
continua ambivalenza della raffigurazione tra oggetto e mezzo. "
Tra i primi esempi di questa tipologia di intarsio sono gli ornamenti
degli armadi laterali della Sacrestia delle Messe in Santa Maria del
Fiore a Firenze, dove l'illusione dello spazio è frutto del sapiente
accostamento di elementi costruttivi che frantumano il piano visibile
dell'armadio in trame tridimensionali, rese dal naturale chiaroscuro dei
legni. L'illusorio aprirsi e chiudersi degli sportelli, l'aggetto di
elementi, resi prospetticamente sporgenti dal piano, creano un continuo
sdoppiamento tra spazio reale e spazio figurato, che costituirà una
costante della successiva tradizione, fino agli estremi esiti di Fra
Giovanni da Verona o di Fra Damiano da Bergamo. Con
l'intensificarsi nella seconda metà del secolo XV della produzione
tarsiaria, a fronte delle crescenti richieste della committenza
ecclesiastica e civile, si attua la progressiva autonomizzazione della
tarsia, come elemento decorativo, rispetto al supporto architettonico
dell'arredo nel quale è incorporata. In conseguenza, si perviene, ad
opera dei maestri lignarii, all'elaborazione di una specifica grammatica
espressiva, che sfocia in creazioni della massima tensione figurativa. Dalle
esigenze della produzione su larga scala nascono grandi botteghe, quali
quelle dei Canozi di Lendinara, nelle quali si elabora un linguaggio
tarsiario in chiave prospettica, dagli archetipi riconducibili ai
cartoni di Piero della Francesca, forniti con illimitati diritti di
riproduzione al “suo caro quanto fratello Maestro Lorenzo Canozo da
Lendinara” ([12]).
I moduli figurativi pittorici, peraltro, si stemperano nella fedeltà
alla specifica fisicità materica: dall'occasionale ingerenza delle
linee del legno, dei suoi colori, della trama superficiale, si traggono
i dati della meccanica costruzione dei mosaico, in un continuo gioco di
integrazione tra artificio umano e naturalità delle essenze. I1 tema
prospettico del cartone resta quindi - nelle tarsie prodotte nel periodo
di massimo fulgore dell'arte - un pretesto, sul quale la nitida materia
lignea si plasma liberamente, in giochi ottici di intimo ed essenziale
richiamo, tutto impostato sulle potenzialità dello strumento e dei modi
della costruzione lignaria. Le
opere di tarsia prospettica di questo periodo rivelano il più alto
grado di autonomia di linguaggio rispetto alla pittura del tempo. Nelle
essenziali prospettive di Cristoforo da Lendinara per la Sacrestia dei
Consorziali del Duomo di Parma ed in quelle del Maestro lendinaresco
veneto che decorò il coro riminese dei Santi Marino e Bartolomeo si
realizza, al massimo livello, la fusione tra intenzione espressiva e
forma lignaria: il legno assume in queste opere una preponderante
valenza, un ruolo “totalizzante”, sia come mezzo della
rappresentazione che, al contempo, come oggetto rappresentato,
aggregando, in una sintesi di straordinaria suggestione, tutti gli
attributi raffigurativi. L'effetto di questa reductio
ad unitatem è l'evolversi della sintesi visiva, suggerita allo
spettatore, verso esiti affatto originali. La prorompente fisicità del
mezzo, infatti, produce un'inconsueta distorsione della percezione
dovuta all'alterazione delle risonanze mentali suscitate dall'oggetto
contemplato. L'iter suggerito non è tanto quello, puramente illusionistico, della
finestra aperta sulla realtà effettuale, “veduta” come tale per
forza di finzione, ma quello che muove verso più intime e complesse
simulazioni, allusive ad una realtà integralmente lignea, dove ogni
elemento si sostanzia di quella materia, come in un'immensa scenografia,
le cui quinte siano di grezze assi di quercia ed in cui perfino i monti
e il cielo abbiano essenza d'immani distese di blocchi e tavole. Ma
dove “l'epica artigiana dei Lendinara cresce ancora di tono, fino a
toccare i limiti dello spropositato: ma senza varcarli” (12) è
nelle tarsie del Presbiterio della Cattedrale di Pisa. In esse “questo
carpentiere quasi monomane par vedere il mondo, allucinatamente, tutto
in una base d'argano o di frantoio, nei giri di una ruota dentata, nella
geometria parallelepipeda, cubata a blocchi d'ombra e di luce, d'una
morsa; ma che infine si salva nella misura e si rivela, non vittima d'un
incubo sordo e ottuso, non succubo di "oggetti" enormi, come
si potrebbe sospettare, ma padrone della sua fantasia nel pensiero
puramente figurativo del prisma di legno; inutile come un sogno, con i
vani travi che girano, infissi, a misurare uno spazio tutto
immaginario” ([13]). Nelle
tarsie pisane ed in quelle che Cristoforo creò come ornamento per le
facce inferiori delle panche nella Sacrestia dei Consorziali del Duomo
di Parma, l'espressione lignaria condiziona la fantasia dell'artefice
fino ad improntarne totalmente gli esiti raffigurativi: l'universo
rappresentato appartiene ad un immaginario integralmente ligneo, dove la
materia, sovranamente autosufficiente, è il solo elemento costitutivo
di ogni entità raffigurabile, il solo componente fisico di organismi
rigorosamente aderenti ad una logica e ad un'estetica puramente
xilomorfe. I corpi geometrici rappresentati in queste opere,
“impossibilmente fuori scala come decorazioni; improbabilmente
illusivi, per mancata pertinenza ad un coerente contesto spaziale;
perlopiù inclassificabili come oggetti d'uso, ma troppo concreti per
richiamare l'astrazione geometrica” segnano “una delle altezze
assolute dell'immaginario prospettico, dove la fisicità sembra avere
estraniato la regola dimensionale” ([14]).
Questi
vertici di totale coerenza del linguaggio tarsiario non saranno più
uguagliati nella successiva produzione. Già
nella stupefacente abilità professionale dell'artista che eseguì lo
studiolo di Federico da Montefeltro ad Urbino ([15])
l'espressione lignaria si piega fino all'estremo limite delle
possibilità prospettiche, in una creazione totale tesa a fornire,
mediante la perfetta imitazione, un'illusiva unificazione tra lo spazio
reale e quello rappresentato. L'uso
del legno come elemento privilegiato dell'illusione ottica, per il suo
potere immediatamente evocativo, trova nello studiolo di Urbino la sua
piu alta e conseguente matrice: l'intarsio sulla piana boisevie di
elementi aggettanti, l'emergere in primo piano di oggetti sospinti verso
l'osservatore per forza di inganno, l'apertura improvvisa di squarci
visivi, dove il moltiplicarsi dei piani e degli incagli ottici
suggerisce all'occhio avventurosi smarrimenti, segnano un punto di
arrivo della tarsia prospettica ma pongono, al tempo stesso, le premesse
per la successiva, inevitabile involuzione dell'arte. Se infatti, nella
poetica lendinaresca, prospettiva, colore e materia sono fuse in un
ordine intimo, tutto risolto nella partitura delle tessere lignee, che
mai rinnegano sé stesse in tentazioni mimetiche nei confronti della
sostanza pittorica, l'evoluzione posteriore è caratterizzata da un
progressivo avvicinamento della tarsia alla pittura, sia per il
complicarsi dei temi della raffigurazione lignaria sia per l'innesto di
tecniche parallele di trattamento delle superfici (tintura e
bruciatura dei legni, inserimenti polimaterici ecc.). E tale
avvicinamento, pur producendo risultati di grande suggestione, non
poteva, alla lunga, non risultare esiziale per un'arte che solo dalla
sua assoluta specificità materica traeva ragion d'essere. I1 confronto
con la pittura, infatti, si risolve in senso sfavorevole alla tarsia, se
questa vien collocata - secondo l'angolo visuale già assunto dal
Vasari ([16])
e da Galileo ([17])
- sullo stesso piano di quella, senza por mente ai tratti di assoluta
unicità che la caratterizzano. Al tradizionale metro dell'imitazione
della natura (“ut natura
pictura" anche la straordinaria intelligenza creativa di Fra
Giovanni da Verona dovette apparire ai contemporanei come “cosa che
non contraffà se non la pittura, essendo da meno di quella” ([18]).
La drastica svalutazione vasariana (che non poco ebbe ad influire
sulla decadenza dell'arte) deriva dal progressivo sbiadimento dei
caratteri salienti dell'opera tarsiaria, essendo venute a man care, ad
un secolo dalla sua nascita dal ceppo della cultura prospettica, le
ragioni stesse che ne avevano indotto lo sviluppo nelle botteghe dei
maestri di legname. Nell'autoesaltazione
della tecnica (“coelo non
penicillo”), contenuta nella perduta tarsia del Barili, si coglie,
accanto al compiacimento dell'artefice per l'eccezionale tour de force
professionale, una sottolineatura competitiva rispetto all'arte
pittorica, che è già segno di una crisi in atto. Le ampie campiture
delle tarsie del Duomo di Siena (ora nella Collegiata di San
Quirico d'Orcia), sono percorse da un tracciato lineare, di chiara marca
pittorica, dove è evidente la contaminazione non occasionale ma
volutamente programmatica con il dominante linguaggio della pittura. E
circa trent'anni più tardi, nella realizzazione delle tarsie del coro
di Santa Maria Maggiore a Bergamo, l'osmosi creativa tra il maestro
lignario (Giovan Francesco Capoferri) e il pittore, ideatore dei
cartoni (Lorenzo Lotto), avvicina ancor più l'arte lignaria alla
pittura, con la progressiva riduzione delle essenze lignee a mero
supporto degli interventi modificatori dell'artista, conformi al
preponderante dettato grafico del modello. Ben
si comprende perciò come la subalterna collocazione rispetto alla
pittura, consacrata nel negativo giudizio vasariano, abbia determinato,
al volgere della prima metà del cinquecento, la sostanziale estinzione
di un'autonoma forma d'arte lignaria. Da questo momento la tarsia
riassume la sua originaria funzione decorativa, quale elemento di
impreziosimento ed alleggerimento di manufatti lignei, confinata per
questo nelle botteghe degli ebanisti (dove conobbe, peraltro,
momenti di straordinaria felicità espressiva). Attualità
delle tarsie lignee rinascimentali I
brevi cenni alla storia dell'arte tarsiaria consentono di sviluppare
alcune significative considerazioni sui motivi che possono indurre a
ripercorrere oggi le tracce degli antichi maestri lignarii. Come
già detto, la tarsia prospettica nasce sull'onda della rivoluzione dei
canoni espressivi e percettivi del Rinascimento italiano, come punto di
convergenza di innovazioni estetiche e tecniche che nell'elaborazione
della superficie lignea trovano ideale composizione. La contaminazione
tra arte e vita, tra oggetto artistico e manufatto funzionale, raggiunge
nelle tarsie quattrocentesche un vertice altissimo, con l'opera di
Cristoforo Canozi di Lendinara e dei suoi seguaci. La modulazione di
linee e colori, tratta dalla congiunzione dei legni sugli stalli dei
cori e sulle superfici degli armadi, irradia un'espressività immediata
che in parte prescinde dalla rappresentazione figurativa, dalla
naturalistica imitazione, per assurgere .linguaggio autonomo, risolto
nella concretezza materica del mezzo tecnico adoperato. Valutata
alla luce di una moderna coscienza critica, affinata dalla esperienza
delle incessanti “rivoluzioni” dell'arte contemporanea, la tarsia
prospettica rinascimentale rivela potenzialità insospettate di
“oggetto artistico”. E
ciò non è solo per il sottile senso di straniamento “metafisico”
che si associa alla nitida resa prospettica dell'immagine. Nell'opus
ligneo può scoprirsi l'attenzione per i puri valori timbrici e
cromatici della materia, propria di tanta parte dei moderni “realismi
oggettuali"; d'altro canto, il suo porsi in alternativa alla
pittura, quale ricerca di
effetti visivi eterogenei rispetto a quella, accosta la tarsia -
pur nella totale diversità dei contesti
storici - alle ricerche che mirano al superamento dei
tradizionali generi artistici. Non solo, ma l'atto creativo del maestro
lignario, che fa assurgere per virtù del gesto ordinatore oggetti di
uso comune ad opere d'arte, (pur se forse non avvertito con
questa stessa valenza funzionale da quegli artefici) si colloca
in un ideale nesso di somiglianza a quello degli artisti della
gestualità pura, si avvicina alle varie esperienze di
“valorizzazione", mediante
l'attività artistica, della realtà quotidiana. Un
ulteriore livello di lettura dell'opera lignea può essere suggerito
dalla particolare relazione che essa imposta con l'oggetto raffigurato,
allorché la rappresentazione avvenga in qualche modo per
“consustanzialità". Il
rapporto tra la rappresentazione ed il suo oggetto nella tarsia lignea I1
rapporto tra il mezzo della rappresentazione, il suo oggetto e il
soggetto percettore, già di per sé ambiguo ed intrigante, si fa ancor
piu sfuggente nel caso della tarsia, quando la realtà rappresentata sia
avvicinabile all'essenza lignea. La componente materica - il legno,
appunto - assume, a causa della omogeneità sostanziale, valore di
tramite immediato tra la percezione ed il suo oggetto. Se, in genere,
nella tradizionale rappresentazione grafica o pittorica l'oggetto è
suggerito per illusiva riproduzione dei caratteri esteriori che ne
rendono percepibile all'occhio l'essenziale sostanza, nella tarsia
lignea l'oggetto tende a rappresentarsi per mezzo di un autorichiamo
della stessa sostanza che lo compone. Viene
in tal modo varcato il sottile limite tra oggetto rappresentante e
oggetto rappresentato, coniugando in sé l'oggetto-tarsia il duplice
versante della realtà raffigurativa in un unicum
che al tempo stesso è strumento del richiamo psichico e realtà
richiamata. I1
liuto o il ligneo objet de vertu
ritagliati sul piano intarsiato rimandano non illusionisticamente al
“sé medesimo” raffigurato, con il quale in gran parte si
identificano per morfologie e consistenze materiche. Ma
la materia penetra nella rappresentazione anche ad un ulteriore livello,
già intuito da Cristorofo Canozi nelle sue opere di massima coerenza
lignaria: assunta come mezzo espressivo, essa suggerisce una realtà
totalmente unificata dallo strumento della figurazione, riconduce cioè
l'effetto illusivo ad una sfera più alta, che non si esaurisce
nell'imitazione ma ricerca la natura imitata in un ordine diverso,
puramente ligneo. A
distanza di cinque secoli, può oggi osservarsi che questa linea di
tendenza fu solo intravista nel concreto sforzo elaborativo di temi
adattabili alla tecnica tarsiaria, ma mancò dei coerenti sviluppi che
forse avrebbero contribuito al rafforzamento di un linguaggio espressivo
parallelo a quello delle altre arti. Le
potenzialità dell'opera di legname si andarono stemperando, in gran
parte, nel virtuosismo imitativo, che sottolineava prevalentemente
l'abilità professionale degli artefici (“contraffacendo” la
pittura), ovvero - su un altro e congiunto versante - nella esteriore
esaltazione del trompe l'oeiI.
A quest'ultimo riguardo, può rilevarsi che, con il
perfezionamento delle tecniche, l'omogeneità ma terica tra i due
elementi della oggettività rappresentativa lignea consentiva di varcare
agevolmen te il primo stadio della percezione mediante una
raffigurazione dei caratteri dell'oggetto non sola mente allusiva ma
profondamente identificante. La
prospettiva assumeva quindi in tale stato di pre disposizione
dell'occhio all'immediata percezione dell'oggetto rappresentato il ruolo
di suggerimento di quella realtà-altro, già preparata dalla materia
lignea. Fu proprio su questa strada, tuttavia, che l'arte lignaria
incontrò nel Rinascimento il principale limite valutativo, per la
critica contempora
nea. Nell'ambito di una estetica dominata dal costante confronto
tra verità dell'oggetto e verità suggerita al soggetto dal testo della
rappresentazlone, il superamento del confine dell'alterità materica tra
oggetto raffigurato e oggetto raffigurante apparve agli occhi dei
contemporanei ragione di inferiorità dell'arte lignaria rispetto
all'arte pittorica, in quanto infrazione al principio sotteso al
parallelismo ut natuva pictura, cioè la necessaria eterogeneità tra il
mezzo pittorico di raffigurazione e l'oggetto naturalistico della
rappresentazione stessa. L'apparente scorciatoia di una rappresentazione
che si avvalesse dell'oggetto stesso per raggiungere gli effetti
espressivi divisati, induceva il sospetto che in tal modo il lignario
perseguisse una finalità di aggiramento delle difficoltà insite nella
raffigurazione. I1 che non poteva non pregiudicare l'apprezzamento
dell'arte di legname come forma espressiva dotata di pari dignità
rispetto alle arti c.d. “maggiori”, determinandone il confinamento
tra quelle meramente meccaniche. Dotata
di ben piu raffinati strumenti e, soprattutto, liberata dai pregiudizi
dell'imitazione naturalistica, la moderna coscienza estetica può
ritornare a vedere l'opera lignea in tutti i suoi valori, apprezzando
nel giusto grado la sottile irruenza visionaria che si sprigiona dal
tessuto naturale delle grafie dei legni, la suggestione di straniamento
offerta dal mezzo espressivo, il valore profondamente umano del gesto
creativo dell'artefice. La
rappresentazione del legno mediante il legno fornisce oggi
all'osservatore spunti di inquietante problematicità sui confini della
percezione e sui nessi tra oggetto e risonanze psichiche del suo
riflesso sulla superficie dell'opera, nella tessitura di una sostanza
che lo richiama non allusivamente ma per identità materica. Si
ripropongono in tal modo le condizioni per un ideale ricongiungimento ai
mondi xilomorfi della poetica lendinaresca, denso di richiami ad un
totalitarismo di pura materia lignea, denominatore universale della
realtà raffigurata dal commesso. E l'intervenuta liberazione delle
facoltà immaginative dell'osservatore moderno consente di indiriz zarne,
con ben altra consapevolezza, il corso verso la profonda comprensione di
questa ricerca visiva. La
tarsia come linguaggio attuale Nella
progressiva rilevazione dei livelli di lettura dell'“oggetto”,
secondo canoni contemporanei, può cogliersi sapore d'apparente polemica
nel dichiarato rifarsi ai modelli degli antichi maestri lignarii, fino a
ripercorrerne morfologie, sintassi costruttive, accostamenti e
trattamenti delle essenze. Al di là di talune analogie (sopra
segnalate, e di cui occorrerebbe indagare a fondo il significato) con
l'innovativo contenuto di moderne impostazioni, il lavoro di commesso,
per intrinseca caratteristica, si colloca agli antipodi delle tecniche
in cui si esprimono le ricerche intese al superamento del sistema delle
arti. L'indirizzo comportamentale o concettuale della sperimentazione ha
posto l'accento critico sull'“opus
perfectum”, puntando i suoi strali demolitori sull'oggetto
artistico-merce, in cui si identifica un valore, un bene patrimoniale.
I1 fare oggetti di commesso, oggi, potrebbe perciò apparire come la
più radicale presa di posizione contro la svalutazione dell'oggetto
artistico. Si
tratterebbe tuttavia di una chiave riduttiva e fuorviante. In
effetti, se considerata solo come prodotto finale del procedimento
realizzativo, la tarsia si fa oggetto-valore, in cui s'incorpora il
lavoro dell'artefice. Ma è proprio quel particolare “valore”
dell'opera che ribalta la ristretta visione mercificante: la superficie
lignaria, con la inequivocabile traccia dell'intervento coordinatore del
gesto, testimonia di una tensione che trascende l'oggetto, simboleggia
una dimensione fabbrile che si rende depositaria di modelli
comportamentali trascurati dalla civiltà industriale. È in questa
operatività che va dunque ricercato il significato profondo
dell'indagine condotta su archetipi oggi confinati lontano dai consueti
circuiti dell'arte di massa; è in essa che trova giustificazione la
“produzione· di oggetti simbolici, esito estremo di una sintesi
dell'intervento umano con la naturale espressività grafica delle
essenze. In questa caratteristica peculiare della tarsia, come traccia
reificata di un gesto operativo creatore, sta il superamento di un
canone, che, per contro, permea i domini dell'arte-oggetto: il tabù
dell'originale. Nell'ambito
dei prodotti di un'arte che si pone come processo gestuale perde
significato la tradizionale distinzione tra originali, multipli,
repliche, copie. I1
complesso procedimento di realizzazione, riassunto e simboleggiato
dall'opera lignea, fa sì che ciascun oggetto prodotto sia unico ed
irripetibile, risultante storica di un processo specifico, di una
coordinata serie d'operazioni creative. La
materia lignea utilizzata per la realizzazione dell'opera e per il
raggiungimento dei fini espressivi è primario elemento differenziatore
di ciascun oggetto. Non esistendo in vero due frammenti lignei che
possano dirsi identici, il commesso composto da centinaia o migliaia di
frammenti è diverso da ogni altro che sia stato realizzato sulla base
degli stessi schemi procedurali. D'altra parte, le soluzioni date ai
problemi di trattamento superficiale del legno conducono a risultati
estetici diversi secondo la qualità e la quantità dei materiali
impiegati. All'ingente quantità di tracce lasciate dal gesto umano
sulla superficie si aggiungono le intenzionali sottolineature, con
pretesto espressivo d'ombre, tradizionalmente pirografate sulla naturale
tessitura grafica, a perseguire ineguagliabile risultato di un'opera
realizzativa, specifica ed esclusiva in ciascun esito oggettuale. Come
l'infinita combinabilità dei fattori genetici fa che dall'incontro di
identiche cellule derivino individui volta a volta diversi l'uno
dall'altro, così pure l'incontro dei molteplici fattori concorrenti
alla produzione di una tarsia lignea rende ciascuna opera
incomparabilmente differente da tutte le altre, reificazione di un
itinerario gestuale contingente, ma destinato a perpetuarsi nella
“cosa” generata. I1
gesto anela in tal modo all'infinito, cristallizzato con i tratti della
sua unicità nel duraturo segno relitto sull'essenza lignea, che la cura
artigiana affida al tempo a venire, ad un'eternità terrena. ([1])A.
Chastel, Musaici di legname
cioè tarsie, in FMR, n. 50, aprile 1987, p. 76 e in AA.VV., Imago urbis, Milano, 1987, Franco Maria Ricci, p. 15. ([3])
Frammenti di legno intarsiato, risalenti alla Prima
Dinastia (c. 3100-2890 a. C.), sono stati rinvenuti in Egitto,
presso Abido e a Saqqara (W.A. Lincoln, The
art and practice of marquetry, London, 1971, p. 97). Raffinati
arredi lignei, riccamente intarsiati, risalenti all'VIII secolo a.
C., testimoniano dell'elevatissimo grado di civilizzazione raggiunto
dalle antiche popolazioni dell'Anatolia centrale (v. The
Anatolian Civilisation Mtcsetlm, Ankara, s.d., p. 116). È
noto, d'altra parte, come in epoca romana i piu facoltosi e
raffinati esponenti dell'élite - tra i quali lo stesso Cicerone -
spendessero somme ingentissime per l'acquisto di arredi intarsiati. ([4])
A testimoniare dell'enorme importanza che l'arte lignaria assunse
nel secolo XV sta la notizia secondo la quale, nella sola Firenze,
vi erano nel 1472 circa 84 botteghe di “legnaiuolo di tarsie e
intagliatori” (v. M. Ferretti, I
maestri della prospettiva, in Storia
dell'arte italiana, 11, Torino, 1982, p. 516 e A. Chastel, op.
cit., p. 78). ([5])
G. Vasari, Le vite dei più
eccellenti pittori, scultori e architetti, ed. a cura di C. L.
Ragghianti, Milano-Roma, 1945, I, p. 178 sgg. ([9])
Sul valore della prospettiva e, in generale, sui problemi dello
spazio figurativo nell'arte, v. E. Panofsky, La
prospettiva come “forma simbolica”, Milano, 1987. 10) ([10])Un completo e documentato
profilo storico dell'arte della tarsia in Italia è contenuto nel
saggio di M. Ferretti (op.
cit., in part. p. 487 sgg.). Cfr., inoltre, D.C. Finocchietti, Della scultura e tarsia in legno dagli antichi tempi ad oggi,
Firenze, 1873, nonché F. Arcangeli, Tarsie,
Roma, 1943. Un importante contributo alla conoscenza della tarsia
lignea italiana è fornito dall'editore Franco Maria Ricci, anche
con i superbi apparati iconografici delle sue pubblicazioni: v.,
oltre a quelle già citate, Le
tarsie del Duomo di Todi, a cura di M. Righetti, Milano, 1978;
F. Zeri, Lo spettacolo
intarsiato, in FMR, n. 6, settembre 1982; A. De Maddalena e L.
Cheles, Federico Dux, ivi,
n. 12, aprile 1983; F. Cortesi Bosco e S. Quinzio, Lotto
intarsiato, ivi, n. 21, marzo 1984; G. Gargiulo, Wo die Zitronen blühn - Tarsie a Sorrento, ivi, n. 49, marzo 1987. ([11]) G. Testa, in Imago
Mariae - Tesori d'arte della civiltà cristiana, a cura di P.
Amato, Roma, 1988, p. 99 sgg. ([12]) L. Pacioli, De
divina proportione, Wien, 1889, pp. 123-24. V., al riguardo, le
considerazioni del Longhi, Officina ferrarese (1934), Firenze, 1956, p. 22. ([15]) Sulla complessa questione
attributiva delle tarsie urbinati v. M. Ferretti, op.
cit., pp. 518 sgg., il quale riferisce l'opera alla bottega dei
da Maiano. ([16]) La nota posizione vasariana,
sfavorevole all'opera lignaria (G. Vasari, Le vite, cit., p.
180) è da collocare in relazione alla decadenza dell'arte di tarsia
all'epoca (1540-1568) in cui 1'A. scrisse la sua opera ed ai
canoni estetici del tardo rinascimento, dominati dall'assoluta
centralità della pittura.Ibidem. ([17]) Ad un secolo circa di
distanza dal Vasari, spenta del tutto la vitalità dell'arte
lignaria, Galileo Galilei (Considerazioni
al Tasso, in Scritti
letterari, Firenze, 1970, pp. 493-494) ne riprenderà il
pregiudizio critico, in chiave svalutativa, raffrontando tarsia e
pittura. M. Ferretti, op.
cit., p. 503.
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