Lapo
de’ Bardi
Tavolo – tarsia
Diametro
cm. 120
Questa tarsia circolare
costituisce a ragione il “logo” della mostra: in essa sono
infatti condensati gran parte degli elementi caratteristici
dell’uso del legno in arte. Iconografia, tecnica esecutiva e
materia lignea sono intimamente fusi nell’oggetto, per rendere
valori formali e cromatici, altrimenti inesprimibili. La
funzionalità dell’oggetto, di cui può essere intuita la
possibile utilizzazione pratica, è nobilitata dalla totale
autonomia della superficie intarsiata.
Il
complesso contenuto iconografico riunisce le suggestioni della
geometria, della musica e dell’illusionismo prospettico. La
superficie è scomposta in un’infinita fuga di piani, che
sfidano la capacità selettiva e ricostruttiva dell’occhio con
il moto delle linee curve, con la forza evocativa delle
prospettive, con il trascolorare cangiante delle superfici. Questa
complessa e intrigante potenza evocativa del legno sagomato,
adoperato come elemento espressivo, spazia in ognuna delle aree
tematiche dell’arte tarsiaria, dal disegno al chiaroscuro, dal trompe
l’oeil al pittorico colorismo mimetico che sostanzia gli
oggetti rappresentati, arricchendosi anche del tattile vibrare
della superficie intarsiata, trattata con la naturale dolcezza
della gommalacca.
A
tutto ciò si aggiunge il serico modularsi delle marezzature
naturali delle radiche, con il capriccioso trascolorare dei nodi e
delle fiamme, esaltato dal paziente lavoro artigianale, nella
quasi incredibile maestria esecutiva. Le migliaia di tessere sono
infatti magistralmente accostate, con sapiente attenzione per
rendere appieno il potere di rifrazione delle venature lignee. La
luce infatti si frange e si articola nelle screziature, si immerge
nelle strie cangianti, variando continuamente la sua intensità e
il colore riflesso.
La
complessa iconografia parte dalla rappresentazione illusionistica
del connubio tra lo strumento musicale e il suo piano
d’appoggio. Sul tavolo è poggiato un liuto, ma esso non solo si
solleva illusionisticamente dal piano, per la resa prospettica,
bensì sembra addirittura galleggiare sulla superficie. Il moto
circolare delle tessere musive, che compongono il disegno a spire,
nega infatti la consistenza superficiale, trasformando il piano in
una griglia prospettica, che sfonda lo spazio sottostante allo
strumento, perdendosi nel vuoto dell’ebano di fondo. Il motivo
del piano ricalca quello del rosone in porfidi e serpentini,
situato nell’intercolumnio destro del transetto Nord della
Basilica di San Marco a Venezia (v. T. SAMMARTINI e G. CROZZOLI, Pavimenti
a Venezia, Treviso, 1999, p. 42 sgg.). Il tema musivo riprende
quello di antichi mosaici romani, provenienti con ogni probabilità
da ville o da edifici pubblici dell’area aquileiana.
Al
centro, a segnare l’unione tra i piani ma anche a sottolineare
la profondità degli sfondamenti prospettici, si colloca la nitida
perfezione del solido euclideo, il duodecedron
planus vacuus, tratto dal De
divina proportione di Luca Pacioli, disegnato da Leonardo da
Vinci.
L’oggetto
può essere anche considerato, nel suo complesso, un mandala. Nell'antica lingua indiana “mandala”, parola il cui
significato rimanda al cerchio, è una figura simbolica, spesso
collegata con varie pratiche meditative e magico-religiose
orientali. Esso è considerato anche in Occidente un simbolo
esoterico capace di contenere il senso della ciclicità naturale,
della vita, della morte e del ritorno. Ancora, è la
rappresentazione del gigante cosmico che racchiude in sé il
segreto dell'universo stesso, nonché componente di quella spirale
che apre la via all'interspazio, che immette in un'altra
dimensione al di là del tempo terrestre, primo anello di
fantascientifiche macchine del tempo. Insomma il mandala non è
una figura geometrica qualunque, ma ha da sempre raccolto in sé
significati profondi, nonché misteriosi buchi neri o giganteschi
cerchi solari (Mandala
– Colori e forme per una
ricerca interiore tra micro e macrocosmo, Ed. Mimesis, Milano,
1998, p. 1).
Il
mandala è per le credenze orientali uno spazio senza dimensioni,
senza tempo né limitazioni. Pur essendo legato intimamente e
simbolicamente al concetto di eternità, esso può essere usato in
modo spontaneo, come gioco e come spazio per esprimere la
creatività individuale.
Il
mandala ha incastonata nel suo centro una gemma, così come
l’esistenza reca la scheggia preziosa e intoccabile
dell’essere primordiale. Con i suoi valori e la sua massa
eterna, tale gemma può liberare da ogni tipo di illusioni, può
flettere la vecchia e logora linea del tempo e, grazie al moto
inarrestabile del Macrocosmo, può far apparire d'incanto il
cerchio, la corolla di un fiore (ibidem).
Nell’opera
qui presentata confluiscono e si amalgamano quindi temi, tecniche
e suggestioni derivanti, oltre che dalla tematica dell’arte
lignea, da molteplici filoni storico-culturali: dalla geometria
euclidea, attraverso Leonardo e Pacioli, dalla classicità romana,
mediata attraverso le sue sopravvivenze venete, dall’oriente,
con la struttura mandalica, dall’arte tarsiaria, per il tema del
solido e del liuto resi con illusionismo prospettico.
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