CRITICA LETTERARIA: IL CINQUECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
 

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La concezione del "particulare" e della storia nel Guicciardini
di F. DE SANCTIS



Il Guicciardini viene presentato come l'uomo del «particulare» che fa dell'interesse individuale un codice di vita, rivelando, secondo il critico, il crollo di ogni ideale e vincolo religioso, morale e politico. Questo spregiudicato interesse al concreto e al particolare, al di là di ogni esperienza puramente libera e dottrinale, muove anche le pagine della Storia d'Italia, nella quale gli avvenimenti sono colti nel loro nascere e svilupparsi, nella loro irregolarità irriducibile a qualsiasi schema o principio.

Machiavelli ti addita in fondo al cammino della vita terrestre la patria, la nazione, la libertà. Non ci è più il cielo per lui, ma ci è ancora la terra. Il Guicciardini ammette anche lui questi fini, come cose belle e buone e desiderabili, ma li ammette sub conditione, a patto che sieno conciliabili col tuo particolare, come dice, cioè col tuo interesse personale. Non crede alla virtù, alla generosità, al patriottismo, al sacrificio, al disinteresse. Ne' più prepondera l'interesse proprio, e mette sé francamente tra questi piú, che sono i savi: gli altri li chiama «pazzi», come furono i fiorentini, che «vollero contro ogni ragione opporsi» , quando «i savii di Firenze avrebbero ceduto alla tempesta», e intende dell'assedio di Firenze, illustrato dall'eroica resistenza di quei pazzi, tra' quali erano Michelangiolo e Ferruccio. Machiavelli combatte la corruttela italiana, e non dispera dei suo paese. Ha le illusioni di un nobile cuore. Appartiene a quella generazione di patrioti fiorentini, che in tanta rovina cercavano i rimedi, e non si rassegnavano, e illustrarono l'Italia con la loro caduta. Nel Guicciardini comparisce una generazione già rassegnata. Non ha illusioni. E perché non vede rimedio a quella corruttela, vi si avvolge egli pure, e ne fa la sua saviezza e la sua aureola. I suoi Ricordi sono la corruttela italiana codificata e innalzata a regola della vita.

Il dio del Guicciardini è il suo particolare. Ed è un dio non meno assorbente che il Dio degli ascetici, o lo stato del Machiavelli. Tutti gl'ideali scompariscono. Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l'individuo. Ciascuno per sé, verso e contro tutti. Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita.

Il Guicciardini si crede più savio del Machiavelli, perché non ha le sue illusioni. Quel venir fuori sempre con l'antica Roma lo infastidisce, e rompe in questo motto sanguinoso:

Quanto s'ingannano coloro che ad ogni parola allegano i romani! Bisognerebbe avere una città condizionata com'era la loro, e poi governarsi secondo quello esempio: il quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facesse il corso di un cavallo.

In questo concetto della vita il Guicciardini è di così buona fede, che non sente rimorso, e non mostra la menoma esitazione, e guarda con un'aria di superiorità sprezzante gli uomini che fanno altrimenti. Il che avviene, a- suo avviso, non per virtù. o altezza d'animo, ma « per debolezza di cervello », avendo offuscato lo spirito dalle apparenze, dalle impressioni, dalle vane immaginazioni e dalle passioni. Ci si vede l'ultimo risultato a cui giunge lo spirito italiano, già adulto e progredito, che caccia via l'immaginazione e l'affetto e la fede, ed è tutto e solo cervello, o, come dice il Guicciardini, ingegno positivo».

Perché l'ingegno sia positivo si richiede la «prudenza naturale», la «dottrina» che dà le regole, l'«esperienza» che dà gli esempli, e il «naturale buono» tale cioè che stia al reale, e non abbia illusioni. E non basta. Si richiede anche la «discrezione» o il discernimento, perché è «grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente e per dire cosí per regola, perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione, e queste distinzioni e eccezioni non si trovano scritte in su' libri, ma bisogna lo insegni la discrezione». Il vero libro della vita è dunque «il libro della discrezione», a leggere il quale si richiede da natura «buono e perspicace occhio». La dottrina sola non basta, e non è bene stare al giudicio di quelli che scrivono, e in ogni cosa «volere vedere ognuno che scrive: cosí quello tempo che si arebbe a mettere in speculare, si consuma a leggere libri con stracchezza d'animo e di corpo, in modo che l'ha quasi più similitudine a una fatica di facchini che di dotti».

Ma il Guicciardiní con tutta la sua saviezza trovò un altro più savio di lui, e, volendo usare Cosimo a benefizio suo, avvenne che fu lui istrumento di Cosimo. Cosí finí la vita, come il Machiavelli, nella solitudine e nell'abbandono. Ebbe anche lui le sue illusioni e i suoi disinganni, meno nobili, meno degni della posterità, perché si riferivano al suo particolare. Ritirato nella sua villa d'Arcetri, usò gli ozi a scrivere la Storia d'Italia.

Se guardiamo alla potenza intellettuale, è il lavoro più importante che sia uscito da mente italiana. Ciò che lo interessa, non è la scena, la parte teatrale o poetica, sulla quale facevano i loro esercizi rettorici il Giovio, il Varchi, il Giambullari e gli altri storici. I fatti più maravigliosi o commoventi sono da lui. raccontati con una certa sprezzatura, come di uomo che ne ha viste assai e non si maraviglia e non si commove più di nulla. Non ha simpatie e antipatie, non ha tenerezze e indignazioni, e neppure ha programmi e preconcetti intorno a' risultati generali dei fatti e alle sorti del suo paese. Il suo intelletto chiaro e tranquillo è chiuso in sé, e non vi entra nulla dal di fuori che lo turbi o lo svii. È l'intelletto positivo, con quelle qualità che abbiamo notate, e che in lui sono egregie, la prudenza naturale, la dottrina, l'esperienza, il naturale buono e la discrezione. Maravigliosa è soprattutto la sua discrezione nel non riconoscere principi, né regole assolute, e giudicare caso per caso, guardando in ciascun fatto la sua individualità, quel complesso di circostanze sue proprie, che lo fanno esser quello e non un altro: dov'è la vera distinzione tra il pedante e l'uomo d'ingegno. Con queste disposizioni è naturale che lo interessa meno la scena, che il dietroscena, dove penetra con sicurezza il suo occhio perspicace. Ha comune col Machíavelli il disprezzo della superficie, di ciò che si vede e si dice il parere, e lo studio dell'essere, di ciò che è al di sotto, e che non si vede. Hai innanzi non la sola descrizione de' fatti, ma la loro genesi e la loro preparazione, li vedi nascere e svilupparsi.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it