CRITICA LETTERARIA: IL CINQUECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
 

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Il Guicciardini storico
di G. SASSO



La prospettiva storica e politica del Guicciardini è, in tutte le opere minori, essenzialmente fiorentina e municipale: soltanto nella Storia d'Italia egli giunge a una visione europea dei problemi del tempo, rappresentando la «crisi» italiana sullo sfondo della formazione delle grandi monarchie, nei cui confronti le istituzioni e gli organismi politici degli stati italiani si dimostrano del tutto inadeguati. Tale crisi è ribadita dal tono amaro e distaccato dei Ricordi, che tuttavia manifesta, oltre alla lucidità del moralista, anche l'aspetto negativo di un cedimento, che è anche del Guicciardini, alla situazione di decadenza dell'intera vita italiana.

Nell'opera del Guicciardini e dei minori scrittori fiorentini di cose politiche, è soprattutto la storia di Firenze che rimane al centro della considerazione, con i suoi problemi costituzionali, con le sue forze politiche, con i Medici che sempre più chiaramente tendono ad assumere il potere assoluto e a cancellare ogni residuo di quella umanità e libertà che Cosimo e Lorenzo, i fondatori della grandezza medicea, avevano pur conservato. Dal Discorso, sul modo di ordinare il governo popolare fino al Dialogo del reggimento di Firenze, tutto il pensiero politico del Guicciardini è impegnato su questo punto: l'esperienza fiorentina è sempre al centro dei suoi interessi, costituisce l'unica sua passione e l'unico suo problema. E se, nel secondo libro del Dialogo, il Guicciardíni richiamerà la grande esperienza della oligarchia veneziana per meglio fondare la sua concezione di una oligarchia che comprenda non i nobili o i ricchi, ma semplicemente i migliori o i più saggi, l'allargamento della prospettiva è solo in un paragone, e la centralità di Firenze non ne risulta minimamente scalzata. Per questo, malgrado l'eccezionale acutezza delle sue analisi, il senso magistrale delle forze politiche, la finezza e l'equilibrio con cui lo scrittore rielabora la grande lezione machiavelliana, i suoi scritti hanno un tono meno universale, più chiuso e municipale. Solo nella Storia d'Italia, il cui problema di fondo sarà quello della crisi italiana, il Guicciardini salirà ad una considerazione italiana della storia stessa di Firenze; perché lì, per la prima volta, l'analisi delle forze politiche sarà proiettata sullo sfondo concreto e dolorante delle guerre per il dominio italiano: e allora dietro gli stati italiani apparirà la moderna Europa delle grandi monarchie, e il nesso dei problemi sarà chiaramente un nesso europeo.

In quest'opera, la consapevolezza della crisi raggiunge il suo culmine. La decadenza italiana non è più vista come il risultato dell'ambizione di un principe folle, o nel vano scatenarsi di passioni istintive alla morte di quel saggio regolatore della politica italiana che fu Lorenzo il Magnifico, ma, più profondamente, come il risultato di una vecchia inferiorità politica che non poteva ormai più reggere al ritmo imposto alle contese dai grandi stati moderni. E in questo racconto minuto, lucidissimo, in cui l'eccezionale finezza umana dei Ricordi si supera (conservandosi in altra forma) nella robusta concretezza del giudizio storico, la comprensione della crisi italiana riceve il suo suggello in quello che forse resta il più grande libro di storia dell'età moderna.

Negli stessi Ricordi di Francesco Guicciardini i frequenti accenni alla vita dei sudditi e ai rapporti tra suddito e tiranno son già testimonianza di una società che stava lentamente ma ormai ineluttabilmente intraprendendo il cammino che dalla «umanità» dei primi governi medicei conduce al principato, alla corte, alla morte definitiva delle vecchie e gloriose tradizioni della libertà comunale. E se, come è ovvio, c'è nel Guicciardini una capacità di distacco, di prospettiva critica che la sua stessa contenuta amarezza contribuiscono a far meglio rilevare, se insomma il Guicciardini è ben superiore a questi molto più modesti scrittori di cose politiche, molto interessante è comunque che anche un uomo della sua statura abbia sentito l'urgenza obbiettiva di certe questioni e vi abbia rivolto la sua meditazione e il suo pensiero. Nella lenta dissoluzione e ricomposizione di tanti motivi, si deve dunque saper cogliere non solo la notevole maturità di giudizio, il rigore di certe analisi, la chiarezza di certe tesi, ma anche questo lento decadimento della vita morale di un popolo, lo scadimento di tutti i valori, l'atonia politica. Perché nella pura impostazione tecnica delle questioni, la positività della forza può ben coincidere con la ricerca del tornaconto, e la grandezza di certi pensieri appiattirsi in una sostanziale banalità.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it