CRITICA LETTERARIA: IL CINQUECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
 

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Il paesaggio del "Furioso"
di W. BINNI



Il paesaggio ariostesco risulta dall'incontro dei più vari elementi, che vanno dal gusto del viaggio e dell'evasione al piacere dell'elencazione di nomi e luoghi esotici, dall'indugio nell'idillio alla pura evocazione musicale di forme e aspetti della natura. È un paesaggio misurabile realisticamente nello spazio e nel tempo: è illusorio, e tuttavia obbedisce alla legge della proporzionata armonia propria del Rinascimento. In questo paesaggio, i personaggi si muovono non come caratteri rilevati e fortemente individuati, ma come elementi che ulteriormente lo animano e ravvivano.

Quando penetriamo nel mondo dell'Orlando, ci sentiamo attratti in un viaggio che si svolge complesso e vario in uno spazio e in un tempo di originalissima dimensione: spazio illusorio e pur non cartaceo, fatto di misure gigantesche e di lontananze rapidamente raccorciate, cui collabora un tempo ora fugace ora rallentato, intimo alla libertà della memoria e pure chiaro e fluido come la divisione delle giornate reali.
La geografia del viaggio ariostesco è ricca e sfumata, a volte preciso paradiso naturalistico come il giardino di Alcina, a volte favolosa nostalgia di una Europa medioevale che all'Ariosto veniva dall'epopea cavalleresca: le brume settentrionali, i deserti aridi della Spagna, la dolce terra di Francia. Atmosfera romanza ' che porta il suo fascino speciale nella chiara serenità rinascimentale; la sua natura di presupposto della formazione fantastica dell'uomo moderno, di riferimento sicuro ai sogni, al bisogno di errare e di evadere; atmosfera che collabora suggestivamente con il paesaggio ariostesco che il poeta evoca con estrema semplicità, ma su misure soprareali mai pretendendo di farne un protagonista dichiarato del poema. Non insiste cioè a definirlo come autonomo, e anche quando siamo di fronte a paesaggi precisi e definiti (l'isola di Alcina, il castello di Atlante) essi non ci vengono imposti mai come fine ultimo di una descrizione, ma sono sempre pronti a sfarsi, a dileguare in quella specie di carta geografica fantasiosa e non grottesca che rende favolosi gli spazi, le proporzioni della terra pur nutrendosi di un senso caldissimo di spazio vissuto, di aria impastata di luci, di ombre, di oggetti.
Il paesaggio ariostesco è perciò sempre intonato nella sua varietà: a volte assume l'aria di un volo sulla carta animato da brama di viaggio, come nel XXXIII (96-101), in cui, dopo le avventure di Ullania, l'Ariosto si sbizzarrisce per ben sette ottave in, un rapido raccorciamento di distanze punteggiate di nomi in un elenco sempre più denso, gustoso per i nomi italianizzati e più per lo sfogo esuberante di questo vagare senza scopo immediato. A volte invece tutto si riduce ad un brevissimo accenno che, supera il puro gusto pittoresco in più larghe prospettive e in valore musicale.
Nomi esotici adoperati con estrema familiarità come se quel mondo sterminato fosse percorribile in poco tempo (e il tempo stesso è del tutto approssimativo sì che avventure brevissime non vengono circoscritte e si allungano in un tempo indeterminato: «una» sera, «un» giorno e lunghi viaggi si puntualizzano potentemente), geografia che è motivo di continua freschezza per la poesia ariostesca nel suo continuo dislocarsi in ambienti diversi che agiscono a sollecitare il ritmo della fantasia, a caricarlo di nuovi moti e di nuove suggestioni ed arricchendosene in un'unica atmosfera avventurosa e serena.
A volte i paesaggi fluiscono in movimento (e questa è la loro giustificazione più naturalmente musicale), a volte si coagulano brevemente non in quadri a sé stanti, ma in giri più calmi che funzionano da preludio a scene più mosse.
Cosí nel VI (35), il paesaggio fiabesco ed orientale del castello di Alcina che precede la gioiosa pesca e l'avventura di Astolfo:

E come la via nostra e il duro e fello 
distin ci trasse, uscimmo una matina 
sopra la bella spiaggia, ove un castello 
siede sul mar, de la possente Alcina. 
Trovammo lei ch'uscita era di quello, 
e stava sola in ripa alla marina; 
e senza rete e senza amo traea 
tutti li pesci al lito, che volea.




Ed anche nelle famose quattro ottave del VI (20-23) in cui si presenta per la prima volta il paradiso alcinesco, in quel paesaggio quasi troppo dolce, quasi di una raffinatezza polizianesca resa più sinfonica e piú matura, dopo la presentazione emblematicá del nuovo motivo naturalistico

(culte pianure e delicati colli, 
chiare acque, ombrose ripe e prati molli)


e la pienezza delle due ottave centrali, nell'ultima, dopo le agili manovre di Ruggero, il paesaggio dell'isola riappare con tanta maggiore suggestione in una potenza essenziale resa con accenni più lineari e puri:

 

poi lo lega nel margine marino 
a un verde mirto in mezzo a un lauro e un pino.


Dopo la profusione vegetale di prima, quei tre alberi, mirto, lauro e pino, son come dei colori puri che ci permettono una distinzione maggiore di tutto il quadro su quello sfondo di mare con una prospettiva più profonda e meno sfumata.
Nel senso più sottile del paesaggio non mancano brevi idilli con un maggior limite di rabesco autonomo e prezioso, ma quasi sempre il loro valore rifluisce nel ritmo generale che supera ogni possibile chiusura calligrafica (v. XI, 45), e il pittoresco è quasi sempre colto con estrema rapidità, senza compiacenza di esercizi descrittivi

(il manigoldo, in loco inculto et ermo, 
pasto di corvi e d'avvoltoi lasciollo)


o è superato in musica da simmetrie che insieme sono traduzione del gusto di proporzione rinascimentale ed astrazione stilistica:

 

Tra duri sassi e folte spine gia 
Ruggiero intanto inver la fata saggia, 
di balzo in balzo e d'una in altra via 
aspra, solinga inospita e selvaggia; 
tanto che a gran fatica riuscia 
su la fervida nona in una spiaggia 
tra 'l mare e 'l monte, al mezzodí scoperta, 
arsiccia, nuda, sterile e deserta.


o serve di accrescimento fantastico di un paesaggio come in questo quadro cui viene aggiunta quasi una nuova dimensione con l'introduzione di una voce (il frinire della cicala) che in un silenzio opprimente di estate meridionale e desertica delinea spazi profondi e soprareali senza decadere in particolare prezioso marinistico.

 

Percuote il sole ardente il vicin colle, 
e del color che si riflette a dietro, 
in modo l'aria e l'arena ne bolle, 
che saria troppo a far liquido il vetro. 
Stassi cheto ogni augello all'ombra molle: 
sol la cicala col noioso metro 
fra i densi rami del fronzuto stelo 
le valli e i monti assorda e il mare e il cielo.


In questi paesaggi cosí diversi (da quelli meridionali ed orientali come la bellissima immagine di Damasco da Gentile Bellini, a quelli di un Nord burrascoso che prevarrà nei Cinque Canti) e pur cosí unitari nella loro generale funzione di musica, agiscono dei personaggi, delle individuate figure poetiche. Ma contrariamente alla impressione comune suggestionata da un canone critico tradizionale, nei Furioso i personaggi non vivono una loro vita separata e drammatica né stanno a prestar nome a precisi sentimenti, a velleità dell'autore quanto piuttosto vivono della linea generale del poema rifuggendo da uno stacco di oggettiva individualità, immedesimandosi con i paesaggi, con le avventure.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it