Dino
Campana nasce a Marradi (Faenza) nel 1885. Compiuti gli studi medi a
Faenza e a Torino, si iscrive alla Facoltà di chimica all'università
di Bologna nel 1903. L'anno successivo compie forse un viaggio in
Ucraina, quindi passa all'università di Firenze e poi nuovamente a
Bologna, ma non porterà a termine gli studi. Dà i primi segni di
squilibrio mentale. Seguono vagabondaggi in Svizzera e in Francia.
AI rientro in Italia è rinchiuso per qualche tempo nel manicomio di
Imola. Torna a iscriversi all'università, ma poi parte per un
viaggio in Argentina e Uruguay (forse nel 1908). Nel 1909 è
rinchiuso nel manicomio di Firenze, quindi durante un successivo
viaggio in Belgio è nuovamente internato a Tournay. Rimpatriato,
risiede a Marradi. Viaggia quindi in Italia e viene varie volte
arrestato e rinviato alla cittadina natale. Tra il 1912 e il 1913
pubblica i suoi primi componimenti su rivista. Nel 1913 incontra Papini
e Soffici a Firenze e consegna loro il manoscritto del Giorno più
lungo, prima stesura dei Canti orfici,
per la pubblicazione su «Lacerba». Soffici però smarrisce il
manoscritto (solo di recente ritrovato fra le sue carte) e Campana -
a quanto pare - riscrive a memoria il testo, che verrà pubblicato
col nuovo titolo presso uno stampatore di Marradi a spese del poeta
(1914), Qualche componimento compare anche su «Lacerba». Scoppiata
la guerra, si presenta come volontario, ma viene riformato. Nel 1916
ha una relazione con Sibilla Aleramo. Viene
nuovamente più volte arrestato per vagabondaggio e squilibrio
mentale, finché nel 1918 viene definitivamente internato nel
manicomio di Castel Pulci, dove morirà nel 1932.
Da molti considerato il "poeta visionario" italiano
per eccellenza, da altri ridimensionato a semplice «poeta visivo»
(Contini), Dino Campana é poeta discusso (che è anche dire
coinvolgente) e suggestivo. Nell'ambito della linea
"vociava", in cui può esser fatto rientrare almeno
marginalmente, rappresenta una sintesi originale di simbolismo ed
espressionismo.
L'ansia di liberazione e realizzazione esistenziale, forse di
assoluto (che ha una sua più astratta definizione nella Chimera),
spesso si esplica in lui nella rappresentazione del viaggio e del
vagabondaggio, della tensione d'origine baudelairiana verso altri
luoghi e altri spazi (ma anche altri tempi), ritrovati nel
repertorio della memoria personale e mitizzati o semplicemente
fantasticati e sognati; come i paesaggi del Viaggio a Montevideo o
la fantasia di fuga del Sogno di prigione.
Varrà la pena qui di insistere su alcune componenti dei linguaggio
campaniano e innanzi tutto sui procedimenti iterativi, che
costituiscono una cifra dello stile dell'autore. La ripresa
circolare di termini e sintagmi identici o di poco variati a
giudizio di alcuni costituisce un limite dello stile campaniano, se
non altro per il suo carattere ricorrente e del tutto scoperto.
Scrive ad esempio il Mengaldo che nella poesia di Campana «ciò
che, soprattutto, appare sospetto è la facilità con cui l'analisi
riesce a dar conto dei suoi procedimenti formali, basati in sostanza
e pervicacemente sul principio della ripetizione e della circolarità,
che avvolge nella spirale dei continui ritorni parallelistici I'apparente
slegato dei verso libero e della prosa lirica, collegandolo
strettamente al di là del frammentismo di superficie, brano a brano
[ ...]. È come se questo poeta ctonio e notturno non avesse,
stilisticamente, segreti». Ancor più drasticamente il Contini
insinua, in un suo saggio del 1937, che Campana proprio non abbia
stile («S'intese la libertà di Campana, non le leggi della sua
lirica, ch'egli stesso non riuscì a formulare in uno stile»?.
Viceversa secondo il Turchetta, recente studioso dei poeta, gli
aspetti formali della sua poesia «consentono a Campana d'instaurare
continuamente ulteriori parallelismi ed equivalenze fra oggetti di
per se non comparabili, per esempio mediante una parziale
sovrapposizione dei suoni che costituiscono parole diverse [...],
che si ritrovano assimilate anche semanticamente. Sulla base così
di un esasperato principio di ripetizione-variazione, í Canti
orfici funzionano come una specie di multidimensionale scatola
cinese semantica, in cui alcune scelte fondamentali tendono a
polverizzarsi e rifrangersi a tutti i livelli del testo,
intersecandosi in varie direzioni, e accrescendo in progressione
geometrica il proprio potenziale di senso. Questo è anche il motivo
per cui l'uso costante della ripetizione non crea, come sembrerebbe
ovvio, ridondanza e monotonia, bensì contribuisce alla difficoltà
e alla complessità dei testo. É qui peraltro che si compie il
superamento dell'avanguardia perseguito da Campana, poiché la sua
esasperata messa in opera di procedimenti retorici iterativi risulta
di fatto molto più profondamente trasgressiva del semplice rifiuto
della letterarietà. Ma soprattutto importa che, dispiegando e
insieme controllando con i mezzi dello stile la sua insostenibile
coazione a ripetere, egli abbia saputo render conto delle tensioni
di un'epoca oltre che delle sue proprie, e insieme abbia dato voce,
con straordinaria radicalità, ad una violenza psichica e biologica
di solito senza nome e senza parola, e che fa parte in qualche
misura di tutti noi».
In altri termini la frequenza di ripetizioni può apparire sia come
un impoverimento del testo sia come un suo arricchimento. Questa
seconda linea interpretativa può associare all'artificio della
ripetizione la complessa dislocazione dei sintagmi nel testo (figura
dell'iperbato e dell'anastrofe) che, suggerendo molteplici
accostamenti (si vedano i vari esempi addotti in nota e ad esempio
Viaggio a Montevideo, vv. 14-17), contribuisce potentemente alla
moltiplicazione dei significati del testo (polisemia).
Si può oggi, comunque, dir superata almeno la vecchia querelle sul
rapporto letteratura/vita in Campana. A una parte della critica
Campana era parso - semplifichiamo - un autore preletterario, con
scarsa consapevolezza culturale e letteraria (in ragione della sua
condizione mentale), mentre oggi vari studiosi hanno messo in luce
la complessa stratificazione dei riferimenti culturali presenti
nell'opera del poeta. |