ANALISI DEL '900 ITALIANO: GIOVANNI PASCOLI

 

Luigi De Bellis

 


 

  Introduzione  
Assiuolo
Calypso
Digitale purpurea  
Gelsomino notturno 
I due fanciulli
Il fanciullino
Italy
La mia sera  
Nebbia
Novembre
Arano
 

HOME PAGE


TRATTO DA
IL SISTEMA LETTERARIO

Autori:

Guglielmino-Grosser
NEBBIA

In questi versi la nebbia - anche se qua e là connotata nella sua realistica entità di fenomeno atmosferico - è assunta a simbolo di un atteggiamento esistenziale, e di una visione del mondo; essa assume il significato di elemento di separazione tra il poeta e la realtà, di difesa del "nido" (altro simbolo fondamentale nell'ideologia pascoliana), di esclusione dalla lacerante contingenza storica.
La lirica è tratta dai Canti di Castelvecchio (1903).

Per l'analisi di questa lirica è opportuno rifarsi a quanto si è detto per L'assiuolo, cioè alla dialettica fra determinatezza e indeterminatezza che, come ha messo in luce il Contini, è una costante della poesia pascoliana. A questo proposito egli scrive:

Pensate a Nebbia. Qui sopra un fondo di bruma o di fumo vedete emergere dei primi piani, precisamente dei primi piani in senso cinematografico, una siepe, una mura, due (due di numero) peschi, e ancora (sempre numerabili) due meli, un cipresso. Ma dei primi piani non si giustificano se non in rapporto a un fondo, a un orizzonte, il quale esso è indeterminato, cioè a dire, per definizione, non se ne sentono e non se ne rappresentano attualmente i limiti: questi oggetti determinatissimi e computabili si situano sopra uno sfondo effuso.

Va aggiunto inoltre che ciò che qui è "messo a fuoco", ciò che è "determinato" è il piccolo mondo, il nido che protegge e isola (e come altrove troviamo la siepe, qui abbiamo l'orto ai vv. 19 e 29 e la mura al v. 11). Ancora una volta è il nido a difendere dall'ignoto, dal dolore provocato dalla morte (v. 8), dal pianto delle cose (v. 14), a nascondere (un termine che non casualmente echeggia da una strofe all'altra). Ma il rifugio in questo orizzonte familiare e angusto diventa in questa lirica vagheggiamento e accettazione del distacco dalla vita, vocazione di morte. In questa prospettiva il cane del v. 30 («qui, solo quest' orto, cui presso / sonnecchia il mio cane») diventa, secondo la suggestiva indicazione del Tropea, «sonnolento idolo totemico di questo familiare universo funebre».

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it