L'idea di Mistero buffo venne all'autore nel 1968, in occasione di una tournée
in Svezia e in Danimarca della commedia La signora è da buttare. La prima
rappresentazione è del settembre del 1969 nella Casa del popolo di Cusano
Milanino. Nello stesso anno l'opera fu pubblicata a Cremona. In questa prima
edizione, alla fine dell'introduzione, Fo pose una lunga citazione da Il grido
del popolo di Antonio Gramsci. Una seconda pubblicazione fu corredata di una
nota sui testi di Sergio Vecchio. L'anno successivo il testo venne ripubblicato
a cura di Franca Rame. Fu poi incluso nella raccolta Le commedie di Dario Fo, a
cura di Franca Rame, con una testimonianza in appendice della stessa: la
raccolta è stata ripubblicata nel 1998, dopo il premio Nobel all'autore; poi con
il titolo Teatro nei «Millenni». In volume singolo Mistero buffo è stato
ristampato, nel 1998, dallo stesso editore, nella collana «Stile libero». Quest'ultima
edizione reca l'aggiunta di nuovi episodi tratti dai Vangeli apocrifi riuniti
sotto il titolo Testi della passione.
L'opera è la rappresentazione di nove storie (Rosa fresca aulentissima, Lauda
dei battuti, Strage degli innocenti, Moralità del cieco e dello storpio, Le
nozze di Cana, Nascita del giullare, La nascita del villano, Resurrezione di
Lazzaro, Bonifacio VIII) tratte da canovacci di testi giullareschi medievali e
versioni popolari dei Vangeli apocrifi, mediate, articolate e riscritte
dall'autore in un curioso linguaggio padano. Questo è un impasto di antico
lombardo, veneto e piemontese, che in parte si rifà a fonti storiche, ma che in
buona misura è rielaborato e costruito dallo stesso Fo. La componente più
cospicua di tale pastiche verbale è il grammelot, il linguaggio onomatopeico
inventato dai comici del Quattrocento e del Cinquecento che riproduce vagamente
i ritmi, le cadenze e i suoni della lingua ufficiale o del dialetto, ma in cui
la capacità di chi lo recita mira ad accordare il gesto all'espressione vocale.
La serie di storie e di personaggi rappresentata è recitata da un solo attore,
che entra ed esce dai diversi ruoli per spiegare ciò che sta facendo e
intervenire criticamente anche su fatti d'attualità, innestando un ininterrotto
dialogo con gli spettatori che riecheggia le irridenti clowneries giullaresche
nelle piazze pubbliche. Le storie sono spesso unite dal tema e dalla singolare
figura di Cristo presente nelle sacre rappresentazioni polacche e cecoslovacche,
oltre che venete e siciliane, duecentesche e trecentesche. In esse si narrano le
vicende di un Cristo che scende all'inferno e prende a pedate i pontefici, o di
Madonne prive di ogni ieraticità e di donne sotto la croce rappresentate come
comari al mercato. Non è un caso che il titolo Mistero buffo sia lo stesso di
un'opera di Majakovskij che si rifà a un dramma sacro di buffoni, dove la forma
"buffa", per l'appunto, esprimeva, in modo farsesco, la parabola del
proletariato in lotta.
Nel compiere la sua operazione Fo considera il teatro stesso come argomento
dell'opera, concepisce il teatro come mezzo per esprimere e comunicare idee di
rivolta. Riecheggiando le
rappresentazioni popolari, esamina i primi movimenti comunisti della storia,
come quello dei Catari e dei Patari che, oltre a una riforma morale, elaboravano
quasi sempre un programma militante di riforma agricola. Un esempio di questo
tipo di ricostruzione è la storia di fra Dolcino, un eretico condannato a morte,
che Fo introduce nella serie degli episodi del Mistero. Il motivo del sacro
espresso in forma popolare, inoltre, si articola fra le varie storie facendo da
collante e ponendole l'una in rapporto con l'altra. La storia Bonifacio VIII,
per esempio, si lega con la storia Moralità del cieco e dello storpio,
riadattamento e reinterpretazione del testo omonimo quattrocentesco di Andrea
della Vigna: nella prima si narra dell'incontro tra il pontefice e Cristo, il
quale si indigna di fronte al comportamento immorale del papa e lo prende a
calci; nella seconda l'incontro è tra Cristo, un cieco e uno storpio. I due
inizialmente tentano di evitare Cristo, temendo di essere miracolati e perdere
così il privilegio di usare l'arma del ricatto e della pietà per vivere di
elemosine senza lavorare. Scappando, però, il cieco, che porta sulle spalle lo
storpio, inciampa e tutti e due rotolano ai piedi di Cristo. Questi
immediatamente li miracola e li lascia scornati.
Attraverso questo gioco di intrecci fra politica e religione, Fo - attore
multiforme e incarnazione vivente della figura del giullare rappresentata
nell'opera - non manca di dare un'idea alternativa della cultura popolare,
sempre trascurata e spesso cancellata dalle classi dominanti. È proprio questo,
anzi, il nucleo ideologico e programmatico che sta alla base del Mistero il
quale inizia con la presentazione di un testo celeberrimo anche nei libri di
scuola, Rosa fresca aulentissima di Ciullo d'Alcamo, in cui si narra di un
gabelliere che vorrebbe far l'amore con una ragazza che gli si rifiuta. Nella
spiegazione di quest'opera Fo non manca di rinfacciare la mistificazione del
testo allo stesso Dante, che, nel De vulgari eloquentia, la attribuisce a un
aristocratico, un autore erudito, capace, grazie proprio alla sua raffinata
cultura, di far salire un tema triviale, qual è un «dialogo d'amore carnale»,
alle vette della vera poesia. Nell'interpretazione che ne dà Fo, invece,
attraverso un altalenante discorso fatto di battute e citazioni dotte,
riferimenti attuali e documenti, viene ribadita l'origine popolare del testo,
una sorta di ballata che veniva recitata nelle piazze. Trasposta in chiave
teatrale Rosa fresca aulentissima diviene per l'autore il punto dì riferimento
principale della tesi secondo cui, fin dal Medioevo, sarebbe attestata una vera
e propria cultura popolare. Una cultura «altra», dice Fo ricordando Antonio
Gramsci.
La singolarità di Mistero buffo sta nella realizzazione di spunti e intuizioni
civili, ideologici e politici, in cui l'idea di cultura popolare è
brillantemente espressa con forme giullaresche che confluiscono nello stile
comico e grottesco della rappresentazione. Il modo trasgressivo e esagerato che
si evince dai testi di Fo, del resto, non passò inosservato: il Vaticano,
infatti, reagì aspramente alla sua messa in onda televisiva. Nella cultura
medievale, fatta di canti, danze, riti dionisiaci, draghi, fuochi fatui e
diavoli (visti in chiave positiva), Fo fa rivivere, interpretandoli in un'ottica
culturale alternativa, tutti i ritmi del lavoro manuale; cosicché gli strambotti
e le pavane sono fatti risalire a gesti connessi a vari tipi di lavoro, come
quelli del gondoliere o del pescatore che tira la rete: gesti che in seguito
sono diventati ritmi di un canto. Il lavoro di ricostruzione storica che ha
attuato Dario Fo - ha scritto Jean Chesneaux - è simile a quello di uno storico
selvaggio che «invece di accumulare informazioni specialistiche intende pensare
politicamente il passato e storicamente il presente».
Il successo crescente registrato dall'opera è stato scandito dalla realizzazione
di più di un sia all'estero, a cui si aggiungono quelle radiofoniche e
televisive. Alle numerose edizioni italiane si affiancano le traduzioni nelle
principali lingue europee. Dopo le prime perplessità, la critica di ogni
tendenza ha apprezzato Mistero buffo, riconoscendo la straordinaria abilità
dell'autore-attore Fo nel coordinare e intrecciare decine di personaggi in un
unico lunghissimo dialogo-monologo. In Francia, Bernard Dort lo ha definito un
«meraviglioso narratore, inventore dì un teatro senza scene e senza miracoli».
Proprio grazie al successo internazionale cresciuto intorno a Mistero buffo, nel
1998 è stato assegnato a Fo il premio Nobel per la letteratura.
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