Fu scritto e pubblicato per la prima volta in francese nel 1909, presso la casa
editrice parigina Sansot. Marinetti ne aveva preannunciato l'uscita dal 1902,
con il titolo Les porteurs du soleit, poi cambiato in Le roi des chaudes e,
infine, in Mafarka le futuriste, roman africain. Venne poi tradotto in italiano
da Decio Cinti. Per alcune descrizioni, l'autore subì nel 1910 un processo;
difeso da Luigi Capuana (intervenuto in qualità di "esperto"), fu assolto in
giudizio di primo grado, ma poi condannato in Cassazione.
L'opera è dedicata ai «grandi poeti incendiari» (Gian Pietro Lucini, Paolo
Buzzi, Federico De Maria, Enrico Cavacchioli, Corrado Govoni, Libero Altomare,
Aldo Palazzeschi) e si compone di dodici capitoli titolati. Marinetti ripropone,
con il medesimo tono dei suoi celebri manifesti, il richiamo all'"ordine"
futurista, alla polifonia stilistica, al disprezzo per il sentimentalismo, alla
glorificazione della guerra «sola igiene del mondo». Nel «paesaggio africano di
deserti infuocati e palmizi in cui si spandono intensi gli odori di corpi e
piante», è facile riconoscere lo sfondo dei racconti appassionati dei griot, i
cantastorie arabi che l'autore aveva ascoltato durante l'infanzia. La storia di
questo «romanzo africano» è quella di Mafarka-el-Bar, re di Tell-el-Kibir: un
sovrano che ama la guerra, disprezza le donne e ha come consigliere il sole.
Egli è l'eroe emblematico della dimensione mistico-filosofica del Futurismo.
Nel primo episodio - il salvataggio di alcune donne lasciate in preda ai soldati
- si impone subito la figura del protagonista, il quale sa agire con prontezza
eroica. Questa caratteristica, però, non è il segno di una moralità
tradizionale, ma l'espressione della volontà di riscattare gli uomini, i suoi
uomini, dalla condizione abbrutita di «schiavi miserevoli della vulva». La scena
dell'«orgia bestiale» che segue il salvataggio, con la cruda descrizione dei
corpi e dei volti deformati, scopre tutto il disgusto di Mafarka per il degrado
individuale a cui porta l'asservimento all'altro sesso. È questa una delle
chiavi principali di lettura del romanzo. L'ideale del sovrano è quello di
superare se stesso, per raggiungere una sorta di trascendenza fisica e
spirituale, il superuomo di Nietzsche. A metà tra il mito e la fantasia il libro
prosegue con la dimostrazione dell'«astuzia» di Mafarka, virtù che può
garantire, con la forza, il dominio sui propri sudditi. Tale concetto
machiavellico di potere è chiarito dalle parole che Mafarka spesso rivolge al
suo fido secondo, Abdalla: «Che cuore hai, tu, per non aver provato il desiderio
di uccidermi e di prendere il mio posto?». Per dare prova della propria
intelligenza, il re, in un altro episodio, travestendosi da mendicante, riesce a
entrare nella corte del sovrano avversario, Brafane-el-Kibir, e a soggiogarlo
con le armi dell'astuzia. Raccontando una storia favolosa - che ha per soggetto
la lunghezza smisurata del proprio fallo - egli spinge il sovrano dell'esercito
nemico a seguire la strada che lo condurrà progressivamente verso la disfatta.
Mafarka sa essere feroce e lo è in un modo estremamente lucido: come quando
uccide lo zio, ostacolo alla conquista del potere. Con la morte dello zio e
l'ascesa al trono, le aspettative di un destino eroico del «grande re africano»
mutano però di segno. La morte del fratello Magamal, causata dal morso di un
cane, porta il protagonista a una profonda. crisi (che Marinetti identifica con
il ritorno allo stadio fetale). Mafarka giunge al quasi totale annullamento di
sé e rinuncia al regno. Decide di partire per un omerico viaggio verso il luogo
in cui vivono i genitori per consegnare loro le spoglie di Magamal. Il mare -
sul quale affronta il suo «viaggio notturno» - diviene il luogo dell'espiazione,
la caduta nel peccato, ma anche il battesimo purificatore.
E proprio grazie a questa sorta di Golgota marino, infatti, che il re (e con lui
lo stesso Marinetti) può redimersi, insieme, dal proprio sentimento di colpa e
dal proprio passato. Per il protagonista è ora di pensare al futuro. Dopo aver
attraversato misteriosamente una montagna, a causa di uno strano vento che lo
spinge verso una caverna per farlo poi uscire dal lato opposto, vive una sorta
di rinascita. La generazione di un nuovo io presuppone la morte del vecchio, e
Mafarka, nell'ultimo discorso rivolto ai soldati, rivela il suo grande progetto:
creare, grazie al solo concorso della propria possente volontà, e anche a costo
della propria morte, un figlio: «io trasfonderò la mia volontà nel corpo nuovo
di mio figlio! Egli sarà forte di tutta la sua bellezza, che non fu mai
torturata dallo spettacolo della morte! E sappiate che io ho generato mio figlio
senza il concorso della vulva!». La sua nuova religione uccide quella dell'amore
per imporre la «Volontà estrinsecata», la «voluttà dell'eroismo», «dell'Unico».
Questo «superuomo alato» è Gazurmah, l'«eroe senza sonno e perciò immortale».
Egli è, ad un tempo, il figlio e la sublimazione di Mafarka, finalmente spoglio
della sua imperfetta umanità. Gazourmah rappresenta l'archetipo dell'immaginario
marinettiano: costruito in acciaio è dotato di ali, è perciò simbolo della forza
e del movimento; è proiettato verso il futuro in quanto immortale e,
soprattutto, è capace di trionfare sulla natura. Infatti, alzandosi in volo
verso il cielo, Gazourmah riuscirà infine a prendere il posto del sole,
corripiendo così l'ideale «deizzazione» dell'uomo futurista.
Il libro, che Marinetti definì un «grande romanzo esplosivo», rientra nel genere
romanzesco solo per convenzione, perché - sempre secondo le parole dell'autore -
«è, insieme, un canto lirico, un'epopea, un romanzo d'avventure e un dramma».
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