Condotto in prima persona, il testo è diviso in tre parti. Il protagonista narra
di un viaggio in America accompagnato dagli amici Kuncewitz, Antonello e Gloria,
donna di Antonello. La prima parte, «Primo addio: il Museo Africano», scandita
in capitoli piuttosto brevi, segue il piccolo gruppo nel viaggio attraverso una
regione imprecisata degli Stati Uniti. L'esordio suona emblematico, come a
immettere subito il lettore in una condizione sospesa e rarefatta, priva di
punti di riferimento sicuri, cosicché tutto ciò che sarà narrato non potrà
sottrarsi a un'ambiguità di fondo che investe tutti i personaggi, i loro
pensieri, le loro affermazioni, comprese le lettere che si scambieranno:
«Viaggiamo in una regione alla quale non so dare confini, fra l'Arizona e la
California meridionale, da pochissimo tempo, ma non ci siamo fermati quasi mai,
altro che per dormire o per consumare dei rapidi pasti, e così l'idea è che
giriamo almeno da qualche settimana».
La condizione di spaesamento, di provvisorietà e di estraneità all'ambiente che
li circonda accomuna i quattro personaggi e li accompagna per tutto il viaggio,
al punto che essi non riescono a mettere radici in alcun luogo. Il viaggio,
pertanto, rappresenta l'immagine più chiara dell'inquietudine da cui sono
potentemente dominati.
Kuncewitz si abbandona ripetutamente alle proprie malinconie e racconta agli
amici che lo ascoltano distrattamente i propri «sogni»: i parchi gelati delle
città del Nord Europa, il porto di Lubecca, Monaco di Baviera, la steppa.
Accanto a luoghi che disegnano un paesaggio immobile e ghiacciato, viene però
evocata anche Roma, la Roma del Giardino zoologico e del Museo Africano,
descritta nei dettagli.
Nella seconda parte, «Secondo addio: Phoenix», il viaggio prosegue e tocca varie
città che sono però semplicemente nominate. L'attenzione del narratore,
costantemente interessata allo svolgimento delle conversazioni tra i personaggi
e dei pensieri del protagonista, rifugge da ogni descrizione d'ambiente. In
queste pagine si fa cenno all'interesse dello stesso protagonista per Gloria.
La terza parte «Ober», prende il nome dal paese austriaco nel quale Kuncewitz è
andato a vivere e dal quale mantiene una corrispondenza epistolare con il
protagonista, che a sua volta è rientrato a Roma. Le lettere di Kuncewitz
descrivono analiticamente Ober, in particolare la neve che perennemente la copre
e il paesaggio immobile osservato dalla finestra; ma egli racconta all'amico,
con ricchezza di particolari, anche la storia d'amore che lo lega a Margherita.
Tra i due corrispondenti le lettere si incrociano ma ciascuno sembra svolgere un
proprio discorso, separatamente dall'altro. Rievocando il viaggio, Kuncewitz si
domanda: «Anche a me tante cose sembrano improbabili, incredibili, lontane,
anche io, molte volte, mi faccio queste domande: come è potuto succedere? Chi
eravamo?».
Dalle lettere finali il lettore viene gradualmente a ricostruire le vicende che
hanno legato il protagonista a Gloria e intuisce come il loro amore abbia dato
origine a conseguenze irreparabili (di Antonello si sa che è sparito senza dare
più notizie di sé). II viaggio ha trasformato tutti i componenti del gruppo, li
ha allontanati e dispersi, ha segnato indelebilmente le loro vite, mettendo a
nudo la fragilità dei loro rapporti e la rete di convenzionalità e di menzogne
che li avevano accompagnati. Alla fine del romanzo anche Kuncewitz ammette il
suo fallimento e le sue bugie: la sua donna lo ha abbandonato e lui ne aspetta
senza speranza il ritorno. Le emozioni e i sentimenti più veri e intimi sembrano
sfuggire inesorabilmente alla scrittura e scorrere su un piano ben distinto,
inaccessibile anche a colui che li vive e che riesce a coglierne solo frammenti
incomprensibili.
Come il romanzo d'esordio, Il museo africano «rivela un'evidente prossimità con
la narrativa d'avanguardia e con la lezione del nouveau roman [...], che si
manifesta nel primato assegnato alla descrizione, cui viene ricondotto ogni
atteggiamento psicologico e ogni momento narrativo». (Patrizia Girolami).
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