Scritto nel 1973, uscì postumo nella collana «Narrativa contemporanea».
Ultimo romanzo di Morselli, e da molti ritenuto il suo più rappresentativo,
Dissipatio H.G. (la sigla sta per humanis generis) presenta un consuntivo delle
motivazioni che portarono l'autore al suicidio, pochi mesi dopo, nel luglio del
1973. In venti capitoli si ripercorre la vicenda di un uomo il quale, di ritorno
dalla caverna in cui avrebbe voluto uccidersi, scopre che il mondo è rimasto
completamente privo di esseri umani. Il titolo dell'opera richiama un supposto
testo del neoplatonico Giamblico riguardo una possibile «evaporazione»
dell'intero genere umano che, in questo romanzo fantastico e surreale, scompare
nella notte tra il 1œ e il 2 giugno. L'unico superstite è proprio l'aspirante
suicida, ex giornalista nella detestata città di Crisopoli (nome dietro cui si
cela Zurigo), dove il protagonista ha abitato a lungo, prima di ritirarsi a
Widmad, in una valle. Di contro alla sparizione degli esseri umani, si sente la
continua ed ossessionante presenza delle macchine che persistono nelle loro
ormai inutili funzioni. Gli animali, adesso, occupano gli spazi una volta
occupati dagli uomini e dalle donne, di cui non rimangono che piccole tracce. La
natura, in silenzio, accoglie l'unico uomo rimasto. La sua reazione è la paura,
il panico. Anche lui dovrà scomparire come gli altri? Ora gli si è aperto
l'accesso a un tempo eterno, in cui ripercorre eventi del passato legati alla
presenza degli altri esseri umani. Riscopre, così, l'attaccamento a oggetti
quotidiani, come una foto, un tappeto, la propria macchina per scrivere oppure
la Browning 7 e 65, la pistola che diventa la sua «ragazza dell'occhio nero».
La sua storia, ormai, coincide con la Storia dell'Umanità e dell'intera Società.
Non esiste, infatti, che il suo io: l'lo. La città di Crisopoli, piena di banche
e di chiese, è una «città-borsa» tutta in ordine, ma per chi? Sembra già
congelata in un'epoca lontanissima e archeologica. Il bisogno dell'io di sentire
voci umane si esaurisce nell'ascolto dei messaggi registrati sulle segreterie
telefoniche, oppure nella ricerca di qualcuno all'aeroporto Teklon, desolante
con i suoi aerei immobili, mentre i tabelloni luminosi continuano a segnalare le
partenze e gli arrivi dei voli. La sua «fobantropia» si trasforma lentamente in
una dolorosa nostalgia per gli esseri umani. Nella silenziosa solitudine in cui
è scivolato, comincia a capire la loro importanza. Si è avverato, tuttavia, il
suo sogno di una realtà legata solo a se stesso, dove gli altri non ci sono.
Dice, infatti, a se stesso: «Per chi dovrei cambiarmi vestito? Mi faccio la
barba, solo perché i peli lunghi mi danno noia quando dormo, e finché il rasoio
funzionerà, finché ci sarà corrente». Ma la fine dell'uomo sulla terra vorrebbe
dire la fine del mondo? L'«evaporazione» del genere umano e la riappropriazione
della natura e delle cose da parte degli animali sono la riprova della vanità di
tale assioma. L'unico modo per intrattenere ancora un dialogo con il mondo degli
«scomparsi» è la rievocazione del dottor Karpinsky che gli aveva curato, anni
prima, una neurosi ossessiva. Medico anticonformista e fiducioso nelle
possibilità di guarigione, era morto durante una lite tra infermieri nell'asilo
psichiatrico distrettuale. Solo superstite, l'anonimo protagonista, divenuto un
nuovo Robinson, erige un monumento agli «scomparsi». A lui spetta la custodia
della terra che gli altri hanno abbandonato. Prescelto dal Caso a essere l'unico
sopravvissuto, non sa se il suo sia un destino da eletto o da dannato. Il mondo
è divenuto per lui coincidenza di monarchia e anarchia, regno di uno solo e
insieme abbattimento del principio di proprietà. Può disporre di ogni cosa e per
tutto il tempo che vuole. Ma la realizzazione del suo desiderio di solitudine
gli fa ora cercare nella città di Crisopoli - dove è tornato dal rifugio montano
- le tracce di Karpinsky, fino a immaginare un incontro con lui, tenendo in
tasca un pacchetto delle sigarette che il dottore preferiva.
«Con uno di quei suoi straordinari salti fantastici che hanno un gelo mentale
matematico, Morselli ha rovesciato i termini di una corrispondenza cosmica. Il
suicida è vivo, i vivi sono, non già "morti", ma "la morte". Morselli scrisse
questo romanzo nello stesso anno in cui si tolse la vita, 1973. E forse mai era
giunto ad una così calma gestione del suo astratto e lucido gioco intellettuale.
Un gioco mortale e tuttavia capace di una intima grazia, oserei dire letizia»
(Giorgio Manganelli).
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