E' diviso in cinque capitoli numerati, a loro volta suddivisi in paragrafi
anch'essi numerati. Attraverso le vicende di un uomo di provincia, l'autore
traccia il quadro della politica italiana della fine degli anni Quaranta,
quando, terminata l'avventura della Resistenza, che aveva unito tutti contro i
fascisti, emergono dolorosamente le differenze.
Marco Berardi - narratore e protagonista - rievoca la parabola della propria
vita: dall'impegno politico al disimpegno, lasciando emergere, in una
riflessione continua, il profondo legame tra dimensione pubblica e privata.
Professore di liceo a Teramo, e segretario di sezione del Psi, l'uomo mal si
destreggia in una posizione ambigua, vissuta, però, con lucidità di analisi. È
considerato un «borghese di sinistra», uno che sfugge alle definizioni, un
«lusso», appunto, secondo le parole dell'amico comunista Giorgio, «da
intellettuali di sinistra: dissociati, malsicuri, pieni di complessi». Proprio
l'incapacità di accettare «una visione del mondo dove un uomo non è un uomo, ma
solo una funzione del suo gruppo sociale» (che non riesce, perciò, a spiegare il
suo «modo d'essere contraddittorio»), ha tenuto Marco fuori dal Psi e lo ha
spinto verso il «compromesso» del Psi.
Innamorato di Amelia, la figlia dell'avvocato De Ritis, personaggio di spicco
nel paese e rappresentante della borghesia benpensante cattolica, Marco teme di
sembrare alla ricerca di un matrimonio d'interesse: ha «troppa paura», come lo
apostrofa l'amico Arrigo, «di passare per conformista», «di dover rispondere
della sua stessa vita intima al tribunale dei suoi principi politici». In quei
mesi, insieme con la consapevolezza del cambiamento dei tempi, in Marco crescono
il disagio e l'incapacità di accettare le dinamiche interne al partito e alla
coalizione con il Psi: dopo un acceso litigio, il protagonista abbandona la
carica e la politica. Sull'uscita dal Psi - per sua ammissione, «una decisione
su cui ripicche e malumori pesarono assai più d'ogni ragione ideologica» - si
chiude il capitolo secondo, che segna il passaggio alla parte del romanzo più
direttamente dedicata alla sua vita privata.
Spinto da circostanze esterne a dichiararsi al padre di Amelia, Marco viene
accolto in casa come fidanzato, potendo, così, sperimentare il piacere delle
consuetudini e delle attenzioni familiari, «una nicchia calda fatta apposta per
smussare le sue inquietudini». Pur continuando a sfoggiare «L'Unità» e
l'«Avanti!» - come «un precauzionale scudo ideologico» nei confronti
dell'ambiente, esaurendo con tanto poco il «quotidiano fabbisogno di coerenza»
-, si lascia gradualmente suggestionare da quella casa, «dove ogni giorno si
parlava di Dio», e in particolare dall'avvocato, la cui indubbia dirittura
morale non manca di suscitare la sua stima. Ma l'atteggiamento condiscendente
che assume lo allontana da Amelia, una donna forte e schietta, che proprio delle
sue convinzioni e del suo impegno politico si era innamorata.
Incapace, ormai, di certezze, sempre sospeso tra sensazioni e pensieri
contraddittori, l'uomo sembra quasi irritato «d'essere nato in un tempo capace
di chiamarlo a fare delle scelte», e invidioso di quanti, stabilmente legati a
un'ideale, come «al di qua d'una trincea», possono «detestare tranquillamente
chi si trova dall'altra parte». Così, quando nella primavera del '49
l'attenzione pubblica italiana è calamitata dal Patto Atlantico, e la paura di
una nuova guerra dà vita a comitati e dibattiti per la pace, egli legge i
giornali «con una specie di disamore e l'incerta sazietà di chi non si sente
parte in causa». Nonostante l'adesione formale a un nuovo incarico politico, non
riesce a partecipare con convinzione alla causa e, osservando con sguardo
distaccato e disilluso le iniziative della sinistra, si accorge di quanto siano
anacronistici il suo linguaggio politico e i comizi, legati a qualcosa «di
rigido e d'artefatto».
Perso ogni riferimento, si abbandona a un comportamento senza certezze e
coerenza dettato dalle circostanze, ma lontano anche da un vero opportunismo.
Così, per esempio, mosso da gratitudine nei confronti del suocero (il matrimonio
in chiesa tra il protagonista e Amelia non è narrato, ma più volte citato
polemicamente dagli ex compagni di partito di Marco), non sa resistere ai
tentativi da lui escogitati per condurlo alla conversione. Una conversione vera
non ci sarà, ma ve ne sarà l'apparenza: Marco accetta di confessarsi (anche se
mente al confessore), prende ad accompagnare la moglie in chiesa e accetta di
essere presentato al vescovo, in prospettiva di un possibile incarico politico
nella Dc.
Il matrimonio tra due ex compagni, Lucio e Vera, incinta di tre mesi, è
l'occasione per la definitiva presa di coscienza della realtà: quello che era
stato un tempo «l'orgoglioso club dei cervelli» è ora un circolo di personaggi
che sembrano dei «vecchi», «pateticamente umani, rassegnati come chiunque altro
alle soluzioni più normali», «arresi» al loro ambiente, dimentichi delle loro
«illusioni», presi a rinfacciarsi l'un l'altro il tradimento degli antichi
ideali o l'incapacità di capire i cambiamenti della storia.
Rispettando l'usuale simmetria tra dimensione pubblica e privata, l'autore
costruisce un "chiarimento" conclusivo anche per Marco e Amelia. Dopo il lungo
periodo di silenzio in cui si era chiusa, spossata anche da una gravidanza
difficile, la donna accusa apertamente il marito di incoerenza, gli rinfaccia
l'«omuncolo» che ora è, rimpiangendo l'uomo del passato. Il libro si chiude al
presente, quando i due, provati dal dolore per la perdita del figlio atteso, ma
incapaci di condividerlo, si guardano a distanza, con pietà reciproca. Marco è
costretto a riconoscere la propria «vita infedele»: dopo essersi tenuto
«disponibile per mille verità», le ha rifiutate tutte, l'una dopo l'altra, «per
tenersi disponibile» ancora.
La compromissione ottenne successo di pubblico e suscitò grande attenzione della
critica, che interpretò il romanzo come analisi della crisi di una coscienza
privata, oppure, in chiave etico-politica, come documento di una crisi
generazionale. Carmine Di Biase, fra i tanti, lo definì il «romanzo della piena
maturità, umana e stilistica, di Pomilio».
Il libro è stato tradotto in spagnolo da Consuelo Pastor Sanz. Ottenne il premio
Campiello nel 1965.
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