Scritto nel 1952, è il primo romanzo della trilogia Una storta italiana
(proseguita con Lo scialo del 1960 e Allegoria e derisione del 1966), con la
quale l'autore si era proposto di ripercorrere la storia italiana dall'ultimo
quarto del XIX secolo agli anni della sua generazione. Dopo la prima edizione,
intitolata Una storta italiana, I. Metello, il libro fu ristampato con
un'inversione tra titolo e sottotitolo, Metello. Una storia italiana, I.
La storia, che si svolge tra Firenze e Rincine, un paese del Mugello, si
articola lungo gli anni 1875-1902. Metello Salani, figlio di un renaiolo
anarchico c combattivo, soprannominato Caco, nasce nel rione di San Niccolò a
Firenze. Sua madre è morta nel darlo alla luce e suo padre, pochi mesi dopo, sul
finire del 1873, è morto anche lui, annegando nelle acque dell'Arno mentre,
durante una giornata di spessa nebbia, «cavava rena secondo il suo mestiere».
Siamo nel pieno «Decennio della Carestia», immediatamente successivo al «Lustro
dell'Abbondanza» che caratterizzò fino al 1870 la Firenze capitale d'Italia. Con
la morte di Caco, Metello viene adottato nella famiglia di Isolina Tinaj, la
balia che lo aveva allattato. I Tinaj sono contadini e vivono a Rincine, al
confine con la val di Sieve, nel Mugello. È qui che Metello trascorrerà la sua
infanzia e parte dell'adolescenza, sempre insieme con il fratello di latte,
Olindo Tinaj, prima pascolando le pecore e poi lavorando i campi. All'età di
quindici anni, però, Metello capisce di non poter più vivere in campagna e, in
seguito al trasferimento della famiglia Tinaj in Belgio (dove sperano di vivere
in modo più agiato, lavorando nelle miniere), si incammina da solo verso
Firenze. Qui, facendo il facchino al Mercato, conosce Betto, un anarchico amico
del padre, che lo ospita e gli insegna a leggere, gli parla del padre e delle
idee politiche che ha condiviso con lui e in cui continua a credere: gli parla
di Cafiero, Kropotkin, Bakunin, Godwin, Stirner e Proudhon. Sarà sempre Betto a
spingere Metello a scegliersi un mestiere: «Mctello lo guardò e gli rispose: "Il
muratore"». Di lì a poco il ragazzo entrerà a far parte, come manovale, di un
cantiere edile e, nel frattempo, si legherà sempre più a Betto, tanto da fare
suoi gli ideali del vecchio anarchico. Un giorno, però, questi scompare per non
fare pio ritorno: sono in molti a credere che sia finito in Arno come Caco.
Cercandolo, Metello fa la sua prima esperienza del carcere perché, ingenuamente,
è andato a chiedere di lui proprio alla stazione di polizia, dove Betto è noto
come un rivoluzionario più volte arrestato. In guardina conoscerà un muratore
come lui, il socialista Chellini, da cui, «per la prima volta, Metello sentì
parlare di socialismo, di uguaglianza, di lavoro che andava pagato "secondo il
sudore"»
La vita di cantiere, la nascita e la propaganda delle Camere del Lavoro, delle
Federazioni di lavoratori e dei Sindacati spingono Metello ad accostarsi al
socialismo, tanto da divenire per molti suoi compagni il campione della sua
classe. Dopo una relazione con una giovane vedova, Viola, e un lungo periodo
passato in carcere in seguito a una manifestazione in piazza, Metello sposa
Ersilia, una ragazza del popolare rione fiorentino di San Frediano, figlia di
Quinto Pallesi, un anarchico, muratore del suo stesso cantiere, che aveva
partecipato alla Comune parigina ed era morto per un incidente sul lavoro.
Dall'unione di Metello ed Ersilia nasce un figlio, Libero, cosi chiamato perché
«era un nome che pareva un programma». Ma la vita di Metello non è solo quella
di un uomo con precise idee politiche: il suo carattere curioso lo induce a
comportamenti incoerenti, anche se «da un uomo come lui alla fine si tira sempre
la stessa somma». Infatti le sue esitazioni, le sue perplessità si trasformano
in una rinnovata voglia di lottare. Nel 1902, durante un lungo sciopero, Metello
appare frastornato da altre vicende: egli, infatti, pur partecipando alla lotta,
anzi essendone addirittura a capo, è distratto dalla sua vicina di casa, la
frivola ed «esosa» Idina, una donna di famiglia piccolo-borghese, che da un lato
lo porta a tradire Ersilia e dall'altro sembra allontanarlo dalla solidarietà
con i compagni. Ciononostante, gli avvenimenti lo vedono sempre esposto in prima
persona, tanto da finire per l'ennesima volta in carcere, in seguito allo
scontro con l'imprenditore del cantiere (l'ambiguo e caparbio ingegner Badolati)
e con le forze dell'ordine. Lo sciopero, sebbene si concluda con una vittoria
dei lavoratori, ha come risultato finale, per Metello, la perdita di tre
compagni e altri sei mesi di carcere. Proprio in cella egli maturerà una più
salda fede politica. Scontata la pena, troverà ad aspettarlo la fedele Ersilia
incinta una seconda volta.
In quest'opera Pratolini intreccia la coralità di voci dei numerosi personaggi,
il susseguirsi delle vicende, dei "fatti" e il percorso umano del protagonista
che li rispecchia, esprimendo così una «coscienza politica e l'esigenza di una
rivoluzione sociale» (Carlo Salinari). Grazie alla sua abilità narrativa, lo
scrittore abbandona il vecchio modulo di scrittura, più orientato verso una
sorta di neorealismo lirico, e pone le basi di una vera e propria narrativa
realista.
La tematica politica pose subito il romanzo al centro di numerosi dibattiti
sociali e letterari. Contraddittori furono i commenti della critica, che se da
una parte ne rintracciava i legami con la storia d'Italia, incarnati nella
«conquista di una coscienza antifascista e socialista» (Carlo Salinari),
dall'altra ne sottolineava la «cosiddetta crisi del personaggio» (Carlo Muscetta).
Ampio e indiscusso fu invece il successo di pubblico, sia in Italia che
all'estero (il libro è stato tradotto in ventuno lingue). Nel 1970 ne è stato
tratto il film omonimo, diretto da Mauro Bolognini; sceneggiatura di Ugo Pirro e
Suso Cecchi d'Amico; interpreti Massimo Ranieri, Ottavia Piccolo, Tina Aumont,
Lucia Bosé.
|