La struttura del romanzo ricalca quella di un'opera teatrale in tre atti, un
prologo e un epilogo.
Nel prologo il protagonista, il commissario Pantieri, da poco vedovo viene a
sapere da una vecchia signora (Elvira Gruvi) che sull'umanità intera grava il
complotto di una misteriosa setta, la «troga». Il figlio della signora, un noto
medico e scienziato, è in pericolo perché ne ha scoperto le trame. Il
commissario non crede a Elvira, che si congeda da lui con queste inquietanti
parole: «Commissario, lei sarà distrutto dalla troga».
Nel primo atto (diviso in sette scene) il giudice Anteo Biraghi, ospite in casa
di Pantieri, rievoca un incontro avvenuto tempo prima tra l'onorevole Calenda
(Ministro degli Interni), il dottor Gruvi e l'ingegner Opitz. Alla riunione non
era stato invitato l'eminente uomo politico Grato Sabbioneta: a lui, il Natale
successivo, doveva essere affidato l'incarico di formare un nuovo governo di
solidarietà nazionale. Il dialogo tra il commissario e il giudice è interrotto
dalla notizia di un attentato alla Banca dei Depositi e degli Sconti. Bilancio:
venti morti e cento feriti. Presso la banca il commissario incontra il sostituto
procuratore Raniero Conti, uomo volgare dalla loquela assai sboccata, La Calenda
e il cardinale Meschia, «per alcuni un santo, per altri un mascalzone». Il
procuratore riesce in breve tempo a individuare il presunto colpevole: Pasquale
De Fiore detto Ciro, che si proclama estraneo alla vicenda e che confessa solo
di essere il protettore della moglie Mirella, antica fiamma del commissario
Pantieri. Questi, intanto, ha ritrovato, tra le cose della defunta moglie,
alcune foto pornografiche e un'istantanea che ritrae due uomini, uno più giovane
e l'altro più anziano, estremamente somiglianti. Biraghi si trasferisce dalla
casa del commissario alla sua villa di Lavinio, lasciando nella cantina una
gabbia con numerosi roditori, mentre Mirella, libera ormai dal marito-pappa, va
a vivere con Pantieri.
Il commissario, dubitando a questo punto di aver sottovalutato l'avvertimento
della vecchia signora, si reca in Università per parlare con Gruvi. Il
professore gli rivela di aver fatto parte della troga: «eravamo una setta, una
società segreta, qualche cosa di simile a una loggia massonica, quello che le
pare... Non so proprio perché ci chiamammo "La troga"; fu una scelta non mia e
non toccava a me di metterla in discussione. Eravamo in molti: personaggi
conosciuti, potenti, ricchi. Eravamo organizzati in cellule non comunicanti e
quindi io non potrei fare nomi all'infuori di quelli della mia cellula. Al
vertice dell'organizzazione c'era Raimondo di Turenne». Dietro questo nome si
celava il noto uomo politico Grato Sabbioneta.
Il secondo atto si apre con l'assassinio del professor Gruvi: il suo corpo viene
ritrovato dal commissario - condotto sul posto da un altro misterioso messaggio
- vicino a un equivoco Motel. Gruvi è stato ucciso - almeno apparentemente - da
uno stocco (un arnese simile a uno spiedo) proveniente dalla casa del
commissario: per questo egli è accusato da Conti di essere il colpevole. Per
scagionarsi, Pantieri si reca a casa dell'ingegner Opitz anch'egli appartenente
alla setta: qui la figlia Lucilla, amante di Gruvi, gli rivela che in realtà, il
professore è stato avvelenato e solo in un secondo momento trasportato nel luogo
dove è stato ritrovato il cadavere. La donna fornisce anche una descrizione di
colui che ha offerto al medico una sfoglietta di cioccolato: si tratta di De
Fiore. Lucilla rivela inoltre al commissario che sua moglie Assunta era
un'affiliata della troga e l'amante di Conti. I due, secondo la Opitz,
condividevano un segreto: Conti crede che il commissario lo abbia scoperto e,
per questo, vuole incastrarlo. Guardando con più attenzione la foto ritrovata
tra gli effetti personali di sua moglie, Pantieri si rende conto che i due
uomini sono padre e figlio e riconosce in loro La Calenda e De Fiore: l'intento
di Conti e di Assunta era allora di far scoppiare uno scandalo, rivelando
all'opinione pubblica il figlio illegittimo di La Calenda. Il commissario decide
di spedire la foto a Biraghi, a Lavinio.
Intanto De Fiore scappa dal carcere e uccide, per sbaglio, l'ingegner Opitz a
una conferenza: il vero obiettivo era, ancora una volta, Sabbioneta. Il
commissario, presente anche lui alla conferenza, è formalmente incriminato da
Conti e rinchiuso a Regina Coeli.
Un nuovo attentato contro il carcere permette, però, a Pantieri di fuggire e di
continuare a cercare il colpevole: dal giornale apprende che tutti sanno del
figlio segreto di La Calenda e che Sabbioneta è stato rapito. Egli incontra dopo
poco Biraghi, che gli confessa di essere membro del gruppetto terroristico
responsabile dei due attentati e di avere reso nota la foto per screditare La
Calenda. Ma l'operazione non è riuscita, e il ministro ha formato il governo di
salvezza nazionale. Gli dice anche che i suoi topi, ormai fuggiti dalla cantina,
stanno diffondendo una pericolosa epidemia e ciò, infatti, è quello che avviene:
tutta l'Europa ne è infestata.
Nel terzo atto e nell'epilogo si chiarisce infine tutta la vicenda: Grato
Sabbioneta, dopo aver inscenato la propria morte, viene ritrovato vivo dal
commissario e da Mirella nel paesino di Papasidero: «La troga fu una mia
creazione. Questa parola, così invadente, non è che l'anagramma del mio secondo
nome di battesimo. La mia idea era elementare, persino rozza, mi occorrevano un
mostro non ben definito, ma dai connotati ripugnanti, al quale riferire
l'immenso male che accadeva per vocazione naturale e l'altro poco che io mi
ingegnavo a raggiungere del mondo». In breve le cose - racconta Sabbioneta -
sfuggirono di mano al suo stesso organizzatore: il gruppo terroristico, di cui
faceva parte Biraghi, organizzava attentati; Gruvi e la madre, scoperta la
macchinazione ordita ai danni dell'uomo politico, furono eliminati; Conti decise
di cambiare bandiera e di passare alla fazione avversaria di Sabbioneta.
Rapito e trasportato nella villa di Biraghi, egli riuscì a sfuggire al controllo
dei suoi carcerieri, ma fu nuovamente individuato da De Fiore che tentò di
ucciderlo in una casa da gioco. A questo punto l'uomo politico - dopo aver finto
la propria morte - si è rifiugiato a Papasidero, dove possiede un castello.
Raggiunto dal commissario e da Mirella, egli rivela loro il nome del mandante:
«È il primo ministro La Calenda, naturalmente. Ma non mi darà fastidio e non ne
darà neppure a voi. Troppo occupato a guardarsi le spalle, la partita a poker
continua». Sabbioneta sale su un elicottero e si allontana rapidamente. Il
commissario e Mirella si fermano a Papasidero, ospiti di uno zio di Mirella e
decidono di rimanere insieme: «avrebbero potuto tentare una strada o un pezzo di
strada in comune. Era una buona idea, certamente era l'unica idea che meritava
un barlume di considerazione, bisognava rassegnarsi alla materialità del mondo.
E poi nessuno più voleva un universo di pensieri seriosi, si sarebbe dovuto
proibire alla vita di diagnosticare ogni passo, le cose viaggiavano per conto
loro e c'erano decisioni importanti da prendere, smettere di fumare, condire
l'insalata con l'olio di semi, indossare la maglia con le mezze maniche,
camminare a lungo per prevenite la stitichezza, accettare qualche piccola
tangente per vivere con meno grigiore...».
Controversi i giudizi della critica: se Pietro Citati ha riconosciuto all'autore
di «aver scoperto l'irrealtà essenziale di quegli anni (dall'uccisione di Moro
alla morte di Calvi) di apparente storia italiana», Geno Pampaloni ha
sottolineato l'esordio felice del libro, soprattutto dal punto di vista dell'uso
della lingua, cogliendone però anche gli aspetti meno convincenti: «Le
variazioni e i lapsus con cui essa [la troga] si presenta (droga, troga, troia,
pregna, trota, "chi cerca troga", "voce del verbo trovare"); la figura onesta e
malinconica, forse in parte autobiografica del commissario di polizia Pantieri;
gli squarci di una Roma notturna flagellata dalla pioggia; sono pagine
suggestive e accattivanti. Ma poi tutto o quasi tutto si fa insieme troppo
costruito e occasionale, complicato e meccanico».
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